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Grecia




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DALLA PRIMA LEGGE URBANISTICA IN POI   L.17/8/1942 n°1150   È
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GRECIA


in gr. mod. Hellas o Elladha.

Ufficialmente Repubblica Greca (in gr. Helliniki Dimokratia), Stato dell'Europa sudorientale, all'estremità della penisola balcanica; 131.957 km²; 10.493.000 ab. Cap. Atene. Città principali: Salonicco, Patrasso, Iraklion, Larissa.


Geografia


Geografia fisica

Rilievo

La Grecia presenta una complessa struttura geologica, cui si unisce un notevole frazionamento del rilievo. Si possono infatti distinguere diverse zone.

1. Nuclei di rocce cristalline o metamorfiche, circondati da sedimenti primari, rappresentano i resti di un massiccio antico sprofondato e dislocato; si trovano soprattutto nelle regioni nordorientali: zona meridionale del Rodope, monti della penisola calcidica e della Macedonia, Olimpo (Tessaglia). Le forme di rilievo più frequenti sono costituite da scarpate di faglia, da bacini tettonici colmati da depositi terziari, da vaste superfici d'erosione dislocate e suddivise in vari blocchi da faglie.

2. Nella zona occidentale, le catene montuose a pieghe appartengono al sistema dinarico formatosi durante l'orogenesi alpina: catene dell'Epiro, catena del Pindo e catene del Peloponneso. Varie fasi di ripiegamento succedutesi dal cretaceo fino alla fine del terziario diedero origine a falde di sovrascorrimento. In questa zona si sviluppò un rilievo di tipo carsico, caratterizzato dall'estensione delle depressioni chiuse.

3. Una zona di sprofondamento, corrispondente al mar Egeo, le cui isole costituirebbero i resti, cristallini o calcarei, di un antico continente. Anche qui, come nelle isole Ionie, frequenti sono le scosse telluriche e importante è l'attività vulcanica (Santorino). Le coste sono, in genere, molto frastagliate: profondi golfi corrispondono allo sbocco di strette valli o a bacini paludosi; i capi, invece, sono il prolungamento di catene montuose o nuclei cristallini isolati. Nel quaternario una trasgressione marina sommerse le coste: a ciò si deve la loro movimentata conformazione appena smussata dall'erosione secolare; il fondo di alcune baie viene tuttavia gradualmente colmato. La Grecia è uno degli Stati europei che hanno un grande sviluppo costiero: le sole coste continentali superano i 4.000 km di lunghezza. Eccetto che nella parte nordoccidentale, nessuna località dell'interno dista dalla costa più di 80 km.

Idrografia

I fiumi della Grecia hanno in genere corso breve, a causa della natura del rilievo, caratterizzato da bacini di limitata ampiezza o chiusi. A questo tipo appartengono i fiumi del versante ionico: Acheloo (Aspropotamo) e Arta (Arachthos). Nella parte meridionale del Peloponneso essi assumono carattere torrentizio e sono spesso asciutti d'estate (il più lungo e noto è l'Alfeo). Solo lungo la fascia nordorientale sfociano alcuni lunghi fiumi che hanno origine oltre il confine greco: la Maritza (Hevros), che segna il confine tra Grecia e Turchia, il Mesta, lo Struma, il Vardar (Axios).


Clima e vegetazione

In complesso, il clima è di tipo mediterraneo. L'isoterma di 27 sC, in luglio, attraversa il Peloponneso; quella di 25 sC passa nella zona settentrionale della Macedonia. Le temperature medie di gennaio superano, in questa regione, i 4 sC, mentre nelle zone meridionali raggiungono i 10 sC. L'estate è ovunque molto secca. Questi caratteri generali si modificano però, anzitutto in relazione alla latitudine: la Tracia e la Macedonia sono soggette a ondate di freddo, per effetto dei venti provenienti dal nord, come il vardarac. Le regioni interne e anche il Peloponneso sono più freddi durante l'inverno, mentre i bacini sono aridi durante l'estate. Infine, le precipitazioni sono più abbondanti lungo le coste occidentali che lungo quelle orientali: 1 m all'anno, contro i 500 mm circa sulle sponde dell'Egeo. Nelle zone montuose e nelle pianure settentrionali, la rigidità dell'inverno impedisce la coltivazione dell'olivo.

Nei bacini orientali cresce una vegetazione spontanea, di tipo steppico. In tutte le altre regioni, ma soprattutto lungo le coste e nelle isole, si sviluppa una flora tipicamente mediterranea; foreste di conifere e di querce, macchia mediterranea (mirti, lauri, arbusti spinosi, ecc.). Le colline e le pianure sono coltivate a vigneti e oliveti, gelsi e alberi da frutto.

Le condizioni morfostrutturali e morfoclimatiche hanno per lungo tempo ostacolato il passaggio a uno sfruttamento dello spazio greco secondo criteri razionali e moderni: il frazionamento del territorio determinato dal rilievo, la difficoltà di valorizzazione delle risorse idriche, la scarsità di fonti energetiche minerali, l'aridità estiva e il freddo invernale in altitudine restringono infatti la gamma delle colture possibili e la loro estensione.


Geografia umana ed economica

Popolazione

Dal punto di vista etnico, i Greci rappresentano oltre il 95% della popolazione totale; Macedoni, Turchi e Albanesi costituiscono le minoranze più importanti, ma vi sono anche gruppi di Rumeni, Bulgari, Armeni e Zingari. Nel corso del XX sec. la popolazione della Grecia ha subìto un forte incremento, imputabile in parte al massiccio afflusso di profughi greci (oltre 1.200.000 persone) dai territori turchi nel 1923, dopo la guerra con la Turchia. Ammontante a 6.204.000 ab. nel 1928, la popolazione della Grecia supera oggi i 10 milioni di anime. Il continuo incremento demografico e l'insufficienza delle risorse del paese determinarono un movimento migratorio costante, dapprima verso gli altri Stati mediterranei, in cui i Greci si occupavano come marinai e commercianti, e, più recentemente, anche verso le Americhe, e in particolare gli Stati Uniti, e l'Australia; soltanto negli ultimi anni il fenomeno ha accennato a esaurirsi. Rispetto ai valori del 1951 i coefficienti di accrescimento annuo, di natalità e di mortalità sono scesi in misura notevole e si aggirano attualmente intorno a valori analoghi a quelli dei paesi europei più sviluppati con un coefficiente di accrescimento annuo dello 0,6%. Anche la mortalità infantile, oggi del 12,3‰, è notevolmente diminuita e si è allungata la durata media della vita (72,2 anni per gli uomini e 76,4 per le donne). La popolazione attiva costituisce poco più del 40,2% di quella totale, con una netta preponderanza di quella maschile su quella femminile.

La Grecia ha una densità di popolazione di quasi 77 ab. per km², che rispecchia il forte incremento demografico, visto che la popolazione compresa nei confini nel 1830 aveva una densità inferiore ai 15 ab. per km². Si tratta però di un dato teorico, che non rispecchia una situazione reale, in quanto la popolazione greca è distribuita sul territorio in modo assai ineguale e questa ineguaglianza tende ad accentuarsi ulteriormente con il processo di inurbamento favorito dallo sviluppo del settore terziario, che impiega oltre il 43% della popolazione attiva e contribuisce per circa la metà alla formazione del prodotto interno lordo. La sua crescita ininterrotta dissimula l'arretratezza delle zone rurali e dei piccoli centri urbani e l'accentuarsi di distorsioni tutte a vantaggio dei grossi centri. Nonostante il saldo migratorio sia ormai nullo o positivo, l'esodo dalle campagne continua, concentrando più dei due quinti della popolazione totale nei due maggiori agglomerati urbani (la Grande Atene e Salonicco) e in quattro importanti città dalle molteplici funzioni (Patrasso, Iraklion, Larissa e Volo) e un'altra considerevole percentuale in numerose città di 30-50.000 ab. circa, che sono centri di servizi come Alessandropoli, Katerine, Kozane, Trikkala, Verria e dotate talora di attrezzature particolari (La Canea, porta della Creta occidentale) o di una specialità industriale (Kastoria, centro mondiale della pellicceria di recupero, che contribuisce in misura considerevole all'esportazione). Questa evoluzione porta con sé una trasformazione radicale dei paesaggi urbani, caratterizzata dall'infittirsi dello spazio costruito e dalla proliferazione di abitazioni illegali in un clima di speculazione esacerbata dall'inflazione. Attualmente la popolazione urbana rappresenta circa il 62% di quella totale, quella semiurbana circa l'11% e quella rurale circa il 27%.

La lingua ufficiale è il greco moderno o neoellenico; il tasso di analfabetismo ha continuato a scendere ed è oggi del 4%. La religione predominante è quella greco-ortodossa (oltre il 97%); vi sono inoltre esigue minoranze di cattolici (0,4%), protestanti (0,1%) e musulmani (1,5%).


I cambiamenti dell'agricoltura

L'agricoltura sfrutta 39.400 km² (di cui circa un quarto irrigati), pari a quasi il 30% della superficie territoriale, impiega il 27% della popolazione attiva e contribuisce per il 16% alla formazione del prodotto interno lordo. L'accresciuta produttività compensa l'esodo rurale e l'estensione dei maggesi; le risorse idriche non sono ancora sfruttate al pieno delle loro possibilità. Grazie alla modernizzazione le colture cerealicole danno una produzione complessiva di oltre 5 milioni di t, dei quali oltre 2,3 di frumento e circa 1,8 di mais, la cui coltivazione ha compiuto grandi progressi, e il resto di orzo, avena, segale e riso; associata alla cerealicoltura, nelle pianure irrigate viene praticata da migliaia di piccole aziende (di cui fa quadrare i conti) la coltura della barbabietola da zucchero, la cui produzione (2,6 milioni di t) è però inferiore al fabbisogno del paese. Sono in aumento la produzione di cotone, coltivato in Attica e in Beozia (495.000 t di semi e 345.000 t di fibra) e quella di tabacco, coltivato in Tracia e in Macedonia (130.000 t), per le quali la Grecia è rispettivamente al primo e al secondo posto (dopo l'Italia) in Europa. In crescita anche quelle delle olive (161.200 t) e dell'olio d'oliva (375.000 t), di cui la Grecia è il terzo produttore mondiale dopo Spagna e Italia. Le coste del Peloponneso, dell'Attica e della Beozia, le isole e gli anfiteatri collinari sono le principali aree di coltivazione della vite, presente anche a quote molto elevate (fino a 1300 m), che viene oggi usata meno per la produzione di uva passa (passoline di Corinto, della Morea occidentale e delle isole Ionie, sultanina di Creta e Samo, rosaki, ecc.; in totale 1.400.000 t), di cui la Grecia rimane comunque uno dei primi produttori mondiali, che per quella di uva da tavola e per la vinificazione (oltre 5 milioni di hl di vino). Caratteristiche colture mediterranee sono quelle del fico (Messenia, Laconia), del mandorlo, del pistacchio e degli agrumi, limitati questi alle regioni più meridionali e a Creta; sia la produzione di agrumi (900.000 t di arance, 70.000 t di mandarini, 140.000 t di limoni) sia quella di altri frutti (mele, pesche, ecc.) sono in espansione grazie all'aumentata richiesta sui mercati europei e mediorientali. Di antica tradizione, la bachicoltura è ancora praticata in Macedonia, Tracia e Tessaglia, ma ha modesto rilievo. Rivelatore dei mutamenti socio-economici in corso, sebbene l'alimentazione rappresenti in media il 32% delle spese di una famiglia (contro il 47% del 1964), l'aumento della produzione di latte e di carne dissimula il declino delle forme di allevamento tradizionali e l'emarginazione degli spazi pastorali di montagna, con il moltiplicarsi degli allevamenti in batteria (polli, suini) e degli allevamenti in stalla per la produzione di latte nelle regioni agricole moderne. Attualmente il patrimonio zootecnico greco comprende 5.557.000 caprini, 9.604.000 ovini, 608.000 bovini, 1.143.000 suini, 110.000 asini e 27 milioni di animali da cortile.

L'evoluzione dell'agricoltura è contrassegnata dalla diminuzione dell'autoconsumo, dall'immissione di parte della produzione nelle catene industriali e commerciali e dalla ricerca di mercati esteri. Il peso del passato è denunciato dalla polverizzazione della proprietà fondiaria, dal rialzo del prezzo della terra, dalla mediocrità dei redditi individuali, dal mantenimento di colture che richiedono poca manodopera, anche in presenza di infrastrutture che ne consentirebbero un impiego maggiore, e dalla persistente necessità di importare prodotti agricoli.

La pesca, principalmente costiera, fornisce oltre 199.000 t di pesce, destinato al consumo interno; solo le spugne, la cui pesca è tuttora fiorente (oltre 2.000 kg), vengono esportate.

Vittime di un disboscamento indiscriminato creato dalla fame di terre coltivabili e di pascoli, foreste e boschi coprono oggi soltanto 26.200 km², cioè circa il 20% della superficie territoriale. È tuttavia in corso una politica di rimboschimento. Se ne ricavano legname (2.779.000 m³) sufficiente a coprire buona parte del fabbisogno del paese e resina (dal pino di Aleppo, assai diffuso), utilizzata tra l'altro nella vinificazione per la produzione della nota retsina, il tipico vino resinato.


L'industria, le fonti energetiche e le risorse minerarie

Le attività industriali (industria estrattiva, costruzioni e lavori pubblici compresi), impiegano il 27,5% della popolazione attiva, e concorrono per oltre il 28% alla formazione del prodotto interno lordo e per oltre il 65% alle esportazioni.

Il consumo di elettricità è di 2.883 kWh per ab.; la produzione complessiva di energia elettrica è di 38.396 milioni di kWh ed è fornita per circa il 94% da centrali idrauliche, concentrate nell'ovest e nel nord del paese, e per circa il 94% da centrali termoelettriche, localizzate in buona parte in prossimità dei giacimenti di lignite (bacino di Florina-Kozane, in Macedonia; di Aliverion, nell'Eubea; di Megalopoli, nel Peloponneso, ecc.). Da alcuni anni vengono sfruttati i giacimenti sottomarini di petrolio e di gas naturale nell'Egeo (Prinos, al largo dell'isola di Taso), ma la produzione è modesta (19.200.000 t di petrolio) benché fortemente cresciuta negli ultimi anni e del tutto insufficiente al fabbisogno del paese, che deve sopperire con massicce importazioni. Le altre risorse minerarie sono rappresentate dalla bauxite (2.023.200 t; dai giacimenti di Eleusi - Mandra, presso Atene, e del Parnaso), minerale di ferro, piombo, magnesite, zinco, nichel, amianto. Dall'Attica e dalle isole (Sciro, Paro, ecc.) si cavano marmi pregiati, famosi fin dall'antichità, e le pozzolane di Santorino rappresentano il 90% delle materie prime utilizzate dai cementifici greci. Le produzioni di cemento (12.721.000 t; a Patrasso, Eleusi, Calcide, Volo), di alluminio (174.000 t), di fertilizzanti chimici (430.000 t), di fertilizzanti azotati (306.000 t), di acido solforico e nitrico (oltre 600.000 milione di t e 441.000 t rispettivamente) e di ferronichel illustrano i principali settori di un apparato industriale di base sovente moderno, ma ancora incompleto. Le industrie di trasformazione (alimentari, tessili, tabacchi, legno), di montaggio (elettrodomestici, autoveicoli) o di riparazioni (cantieri navali) sono concentrate principalmente nei due grossi agglomerati urbani della Grande Atene e di Salonicco e in alcune città minori (Patrasso, Volo, Cavalla, Larissa, Iraklion) dove hanno contribuito ad ammassare la popolazione attiva.

La crescita della produzione industriale, del 93% tra il 1970 e il 1980, ha subìto un drammatico rallentamento negli anni successivi. Una certa ripresa negli anni Novanta ha comunque consentito al prodotto nazionale lordo pro capite di raggiungerei 7710 $(1992), ma le sue debolezze sono sottolineate dal crescente aumento delle esportazioni di prodotti di origine agricola o mineraria, grezzi o poco lavorati — cuoio e pelli, tabacco, bauxite, ecc. — e dal fatto che numerose aziende appartengono a gruppi internazionali. Una delle peculiarità della Grecia, in questo campo, è infatti costituita dalla presenza di una miriade di piccole imprese adatte a lavorare in subappalto, ma che dispongono di capitali esigui e si avvalgono di manodopera poco qualificata, come dall'importanza di una quindicina di imprese controllate dallo Stato nei settori portanti dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni in particolare.


Le comunicazioni

Le comunicazioni interne trovano un forte ostacolo nella struttura fisica del paese: la rete ferroviaria è assai limitata (2.497 km) e in parte a scartamento ridotto; l'asse principale è costituito dalla linea Il Pireo - Atene - Salonicco - Alessandropoli. La rete stradale, per quanto sia stata notevolmente ampliata e migliorata per favorire il turismo (103.306 km, l'83% dei quali asfaltati), è ancora in buona parte costituita da strade tortuose, strette e mal tenute e solo in misura minima da autostrade. Le comunicazioni nella Grecia continentale sono comunque garantite soprattutto da autobus. Quelle con le isole tramite linee marittime, quasi tutte facenti capo al Pireo, oppure tramite linee aeree, quasi tutte facenti capo all'aeroporto di Atene (Hellinikon), che è anche un importante scalo internazionale. La compagnia di bandiera (Olympic Airways) assicura anche numerosi collegamenti internazionali.

La marina mercantile greca conta 1.923 navi (di 100 t ed oltre di stazza lorda) e una stazza lorda complessiva di 30.161.300 t, che la collocano al quarto posto nel mondo dopo quelle della Liberia, del Giappone e di Panama. Porti principali sono Il Pireo, Salonicco, Patrasso e Iraklion.



Il commercio estero e la bilancia dei pagamenti

Negli scambi internazionali della Grecia il valore delle esportazioni, attualmente superiore ai 2.278.000 dollari (contro i 300 milioni del 1964), e la loro evoluzione strutturale attestano come il loro sviluppo poggi sull'incremento degli investimenti e sull'ammodernamento delle attrezzature; ma il valore delle importazioni, sostenute dalla domanda interna (126 automobili, 400 radio, 172 televisori, 353 telefoni ogni 1.000 ab.) superano gli 5.207.000 dollari (contro gli 873 milioni del 1964).

La distribuzione degli scambi è oggi contrassegnata dall'espansione di quelli con gli altri paesi dell' UE (58,3% delle importazioni e 63,6% delle esportazioni) e con i paesi arabi, ben superiori a quelli con gli Stati Uniti (3% e 7,1%) e con i paesi dell'Europa orientale (5,2% e 4,9%). Fra i paesi dell'UE ai primi posti, sia come fornitori sia come clienti, sono Germania, Italia e Francia (16,9%, 14%, 7,8% delle importazioni e 23,7%, 13,2%, 6,1% delle esportazioni rispettivamente).

Il turismo (oltre 6,5 milioni di soggiorni), favorito dall'eccezionale patrimonio archeologico del paese, dalla bellezza dei paesaggi e dal clima, oltre che da svariate manifestazioni culturali, rappresenta un'importante fonte di valuta, che, con le rimesse degli emigranti e le entrate dei noli marittimi, contribuisce a compensare in parte il pesante passivo della bilancia commerciale. Tuttavia la bilancia dei pagamenti rimane deficitaria.


Storia


La Grecia antica

Importanza delle condizioni naturali

Il frazionamento e il particolarismo politico caratteristici dell'antico popolo greco ebbero indubbiamente uno dei loro fattori più importanti nella particolare struttura geografica del paese. La spezzettatura del rilievo, infatti, che interpone piccole pianure a montagne di media altezza (l'Olimpo con i suoi 3.000 m sembrava agli antichi così alto che ne fecero l'inaccessibile dimora degli dei del cielo), se non divideva la Grecia in veri compartimenti, frapponeva però seri ostacoli agli scambi e alle comunicazioni e favoriva nelle molteplici regioni, anche minuscole e con caratteristiche naturali proprie, lo spirito di autonomia, di indipendenza e di particolarismo. In un paese di tale configurazione fisica, l'agricoltura era difficile e, se produceva in abbondanza vino e olio, non soddisfece mai al fabbisogno di frumento che, ad es., per lo Stato ateniese costituì costantemente non solo un importante problema economico, ma anche un fattore determinante della sua politica espansionistica. Le ricchezze del sottosuolo si esaurirono presto, a eccezione delle cave di marmo del Pentelico, dei filoni argentiferi del Laurio e delle miniere d'oro del monte Pangeo in Tracia. Così avvenne che la povertà del paese spinse irresistibilmente i Greci, popolo ricco di spirito d'iniziativa e di avventura, a tentare, per sopperire alle proprie necessità, le vie del mare, vicinissimo ovunque e pieno di attrattive e di promesse, anche se temibile da affrontare. Del resto, numerose insenature offrivano ripari sicuri e le isole dell'Egeo furono altrettanti scali sulle rotte della Tracia, del Ponto Eusino e dell'Asia Minore. La Grecia primitiva, limitata dal mar Egeo, dall'Olimpo e dal golfo di Ambracia, e che escludeva quindi la Macedonia e l'Epiro e includeva non senza difficoltà la Tessaglia, terra di boschi e di estese pianure, aveva una superficie di metà inferiore a quella della Grecia odierna. Assai presto però l'area di diffusione della sua civiltà si estese ben oltre questi stretti confini: fin dai tempi della protostoria, infatti, civiltà affini dominavano sulle due rive dell'Egeo; in seguito, le diverse fasi della colonizzazione acquistarono al mondo greco la Sicilia, l'Italia meridionale (Magna Grecia) e gran parte delle coste del Mediterraneo, di quelle, almeno, che non dipendevano già dalla potenza fenicia e cartaginese; progressivamente entrarono, poi, nell'ambito della civiltà ellenica anche i paesi “barbari” del Nord (Macedonia, Epiro). Infine, le monarchie ellenistiche, sorte dallo smembramento dell'Impero di Alessandro, accrebbero in tutto l'Oriente la diffusione della civiltà greca, che i Romani estesero a tutto il loro Impero. Perciò, se la storia dei Greci interessa solo un paese territorialmente ristretto, quella della loro civiltà comprende tutta l'ecumene (gr. oikuméne, terra abitata), cioè tutto il mondo antico dall'Atlantico al Golfo Persico.


Preistoria

Il territorio greco fu certamente abitato parzialmente fin dai tempi paleolitici, come attestano i ritrovamenti effettuati nella grotta di Seidi in Beozia, nonché quelli dei dintorni di Larissa sulle rive del Peneo e quelli in una caverna presso Petralona, non lungi da Salonicco: qui nel 1961 vennero in luce frammenti di un cranio umano della razza neandertaliana, riferibile quindi al paleolitico medio. Dopo il periodo pleistocenico, cui vanno attribuite le più remote vestigia, il territorio della Grecia conobbe l'afflusso di genti provenienti dall'Anatolia e dal Vicino Oriente, che, specialmente in Macedonia e in Tessaglia, diedero vita a insediamenti neolitici preceramici, che possono farsi risalire al VI millennio a.C. Nei secoli successivi si verificò lentamente il passaggio dalla forma di vita nomade a insediamenti stabili, con la fissazione delle dimore, l'inizio e lo sviluppo di colture agricole e l'allevamento del bestiame domestico, con la nascita e lo sviluppo di fiorenti culture del pieno neolitico, come quelle di Sesklo e di Dimini, che prendono nome dalle omonime località della Tessaglia: mentre il ciclo culturale di Sesklo è caratterizzato da ceramica monocroma rossa, nonché da numerose statuette femminili steatopigiche d'argilla o di pietra, il ciclo di Dimini è contraddistinto da una produzione ceramica più ricca e più varia, spesso policroma e brillante, con motivi a meandri e a spirali. Nella costruzione delle abitazioni appare la forma del mégaron, che doveva poi esercitare una decisiva influenza sull'architettura greca classica. Col passaggio all'età del bronzo, verso il III millennio a.C., la Grecia continentale presenta quasi un mosaico di aspetti culturali paralleli e particolari di ogni regione, complessivamente raggruppabili in una civiltà tessalica al Nord e nell'elladica nelle zone centrali, occidentali e meridionali. Nelle isole Cicladi fioriva la civiltà cicladica, di cui sono peculiari le molte statuette votive antropomorfe di marmo, molto stilizzate, note come idoli cicladici.


La civiltà minoica

L'eredità più ricca però venne alla Grecia dalla civiltà minoica di Creta. Essa le fece conoscere una società urbana raffinata e amante dei particolari delicati, l'arte della navigazione e del commercio e una monarchia che sapeva verisimilmente amministrare e sfruttare il paese a suo profitto. Senonché a un tratto, bruscamente, verso il 1450-1400 a.C. il regno minoico scomparve sotto i colpi degli ultimi invasori della Grecia, gli Elleni, di razza indoeuropea, che i Cretesi stessi avevano educato alla civiltà.


La civiltà micenea

Fin dal 2000, infatti, in ondate violente o mediante lente infiltrazioni, una stirpe indoeuropea, quella dei Protoelleni o Achei, si era stanziata sulle due rive dell'Egeo. La loro civiltà fu chiamata civiltà micenea, dal nome di Micene, che, insieme con Tirinto, ne fu il centro più cospicuo, per il fatto che di essa si ebbe primamente notizia attraverso gli scavi eseguiti dallo Schliemann, sulla scorta della narrazione omerica. In verità, la guerra di Troia fu l'ultimo episodio dell'espansione achea e avvenne al principio del XIIsec. (1180 [?]), come risulta dagli scavi, iniziati dallo stesso Schliemann e compiuti da altri archeologi, che hanno riconosciuto nella Troia VII A la città conquistata e incendiata dalla spedizione condotta da Agamennone. La civiltà micenea ci è dunque rivelata dagli scavi e dall'Iliade Sorta sotto gli influssi minoici nell'Argolide, essa seguì da vicino i modelli cretesi nella ceramica, nell'ornamentazione pittorica e nei minuti e raffinati oggetti di lusso; ma il gusto della caccia e della guerra, di cui dà testimonianza la decorazione, il carro da guerra, di invenzione indoeuropea, il palazzo disposto ordinatamente intorno al mégaron, già scoperto a Dimini e così lontano dall'intricato labirinto cretese, le mura “ciclopiche” e le colossali tombe a cupola attestano, con la loro esigenza di razionalità geometrica, lo spirito originale degli Achei. Alla fine del XIII-inizio XII sec. cominciò la penetrazione nella penisola greca della seconda ondata indoeuropea, quella dei Dori.


Il medioevo greco (XII - VIII sec. a.C.)

L'invasione dorica diede inizio a un periodo storicamente oscuro, la cui evoluzione trapela soltanto dai poemi omerici e dall'opera, un po' più tarda, di Esiodo. Le novità rilevate dall'archeologia (introduzione della fibula, diffusione dell'uso del ferro, pratica dell'incinerazione, ceramica di stile geometrico) devono essere ritenute non tanto conseguenze della venuta dei Dori, quanto semplici coincidenze. Certo l'invasione dorica e gli spostamenti interni di popolazione che ne derivarono intensificarono la tendenza, già in atto nell'età preellenica, alla migrazione verso l'Asia Minore; quivi l'insediamento avvenne senza quell'ordine e quell'unità di gruppi etnici che l'epoca classica vi distinse poi (Eoli, Ioni, Dori), ma in ondate successive e composite. Alcuni storici stimano anche che la migrazione avesse come causa non l'invasione dorica, ma unicamente la sovrappopolazione della Grecia continentale e che fosse il risultato di una colonizzazione organizzata al tempo della maggior potenza di Micene (secc. XIV-XIII) e non dopo la sua caduta (secc. XI-VIII). Durante il cosiddetto medioevo greco si disgregò il genos che raggruppava, in una stretta solidarietà sociale e nel collettivo sfruttamento del suolo, famiglie risalenti a un mitico capostipite comune. Mentre i Micenei si erano raccolti in vere e proprie città, che dominavano su vasti territori, la Grecia in quest'epoca si spezzettò, per effetto di cause e secondo modi che ci sono scarsamente noti, in minuscole unità politiche (polis) comprendenti un agglomerato urbano, un territorio rurale e alcune borgate. In queste piccole città- Stato si differenziarono, fin da allora, diversi gruppi sociali: i nobili, compagni e pari del re, che possedevano la terra e il bestiame, unica fonte di ricchezza, e avevano il diritto di partecipare alla bulè(consiglio del re); i piccoli proprietari e i demiurghi, liberi lavoratori e, in particolare, artigiani, che erano semplici comparse nell'assemblea, puramente consultiva, dell'agorà i teti, miseri lavoratori a giornata, e gli schiavi, che erano esclusi dalla vita politica e dall'esercito. Il commercio, limitato e tenuto in poco onore, era lasciato ai Fenici. Ma sul territorio fortemente spezzettato dominava una civiltà comune: il sincretismo religioso aveva unificato in una sola “stirpe sacra” le divinità preelleniche (Demetra), indoeuropee (Zeus) e tracie (Ares e Dioniso). Contemporaneamente, fuori della penisola i gruppi eterocliti di Greci acquistarono una coesione di carattere religioso convergendo verso centri di culto, che furono il santuario di Apollo Delio per gli Ioni delle isole, il santuario di Micale per gli Ioni asiatici e quello di Cnido per i Dori. Infine la lenta formazione dei poemi omerici diede ai Greci una leggenda eroica “nazionale”, che esaltava l'unione degli Elleni contro l'Asia, mentre l'introduzione della scrittura di tipo fenicio, avvenuta intorno al 900, fornì alla loro civiltà il migliore mezzo d'espressione.


L'età arcaica ( VIII - inizio V sec.a.C)

Nel corso di quest'età il cui nome, preso a prestito dall'archeologia, evoca i primi capolavori dell'arte greca, la trasformazione della vita rurale e patriarcale primitiva in un'economia più ampia e più varia si accompagnò alla sostituzione del regime monarchico di tipo omerico col regime aristocratico, cui seguì, talora, una vittoria della democrazia sull'oligarchia. Tale evoluzione si ebbe prima nelle città dell'Asia Minore: quivi, fin dall'VIII sec., l'aristocrazia s'impadronì del potere, spesso mediante un progressivo smembramento delle prerogative regali, che venivano assunte da magistrati annuali. Così avvenne anche ad Atene, dove, al principio del VII sec., le massime magistrature, tutte annuali, erano un arconte, un re e un polemarco, dotati rispettivamente delle attribuzioni giudiziarie, religiose e militari. Accanto a esse, ebbe funzioni di governo la bulè, l'antico consiglio dell'epoca dei re, costituito ormai dai magistrati usciti di carica, che dirigeva la vita della città e riduceva a un'importanza minima la funzione dell'assemblea del popolo, o ecclesia dalla quale, d'altronde, i nullatenenti erano esclusi. Così una minoranza di privilegiati per nascita e beni di fortuna (gli eupatridi) concentrava nelle sue mani il possesso della terra e l'autorità. Ma nel VII sec. il regime oligarchico fu minacciato dallo sviluppo economico, conseguente all'espansione del popolo greco. Dall'VIII al VI sec., difatti, un vasto movimento di colonizzazione portò alla fondazione di città greche su tutte le coste del Mediterraneo e dei mari adiacenti, dal Ponto Eusino alla Spagna. Questa migrazione, provocata da principio dal regime patriarcale, che riservava la proprietà fondiaria ai primogeniti, mosse, a partire dal VII sec., alla ricerca non tanto di nuove terre da sfruttare, quanto di nuovi mercati per il commercio, su suggerimento dei sacerdoti di Delfi, che, in possesso di estese informazioni, si davano cura di orientare i nuovi coloni. I legami tra la madrepatria e le sue colonie, che dapprima erano puramente religiosi, assunsero il carattere di associazione commerciale: così, ad es., Mileto disseminò di empori le coste della Propontide e del Ponto Eusino e Marsiglia, già colonia di Focea, moltiplicò i suoi mercati sulla costa della Gallia e lungo il Rodano, in un paese completamente barbaro: lo sviluppo economico conseguente alla colonizzazione suscitò nelle città a regime oligarchico un duplice malcontento: quello dei nuovi ricchi che, creatisi una fortuna col commercio e con l'artigianato, reclamavano i diritti politici, e quello dei piccoli proprietari e dei lavoratori a giornata, che aspiravano, attraverso un rivolgimento sociale, all'abolizione dei debiti e a una ridistribuzione delle terre. I legislatori, come Solone ad Atene e Pittaco a Mitilene (principio del VI sec.), che furono incaricati di dirimere i conflitti tra gli oligarchici e le nuove classi, disgregarono ulteriormente la forza politica del genos, con il sostituire l'azione dello Stato alla vendetta familiare e con il redigere leggi scritte applicabili ormai a tutti. Dall'insufficienza di queste e di altre minori riforme, che non valsero a risolvere i contrasti e i problemi sociali, venne adottata una nuova formula politica, del tutto transitoria, la tirannide, nella quale un uomo solo, facendosi forte dell'appoggio del popolo e delle classi medie, assumeva il potere assoluto.

Tali regimi, generalmente benefici, da un lato assicurarono l'ordine, dall'altro ricostruirono la piccola proprietà e praticarono una politica di grandi lavori pubblici, sia per rendersi popolari, sia per sovvenire alle necessità degli indigenti (come i Pisistratidi ad Atene); fondati, però, sulla forte personalità di un uomo, essi non resistettero nel caso di successione di individui mediocri e di fronte agli sforzi dell'aristocrazia per tornare al potere. Nelle città commerciali, peraltro, il ritorno effimero dell'oligarchia fu spesso seguito dal trionfo della democrazia, come appare nelle vicende politiche di Atene (riforma di Clistene 508-507). L'urto fra le città greche in contrasto fra loro, sia per l'innato particolarismo, sia per la diversità dei regimi economici e politici, fu ritardato da una serie di guerre con la Persia. Questa grande potenza in fase di espansione, impadronitasi verso il 540 a.C. delle città greche dell'Asia Minore, cercava di raggiungere la linea del Danubio e minacciava la Grecia, cui tagliava le indispensabili comunicazioni con le regioni cerealifere del Ponto Eusino. Le guerre, scoppiate in seguito alla rivolta delle città ioniche dell'Asia Minore nel 499, rese famose dalle vittorie greche di Maratona (490), di Salamina (480) e di Platea (479), dimostrarono il valore dell'oplita greco e, insieme, l'incapacità delle polis a unirsi: se infatti un congresso aveva raccolto a Corinto i rappresentanti di diverse città greche (481), le più lontane, come Siracusa e le città di Creta, erano rimaste indifferenti, mentre la Grecia settentrionale parteggiò addirittura per i Persiani; così, dopo la vittoria del capo Micale (479) mentre gli Ateniesi continuavano la lotta, i contingenti spartani, invece, ritornarono in patria. In tal modo si acuiva l'antagonismo fra i due Stati, che avevano ugualmente contribuito alla vittoria.


La confederazione delio-attica e il primato spirituale di Atene (479 - 431 a.C)

Per merito specialmente dell'ateniese Aristide fu conclusa fra Atene e la maggior parte delle città della Ionia e dell'Ellesponto un'alleanza, detta Prima confederazione ateniese o Lega delio-attica, che si proponeva di sottrarre tutte le città greche dell'Asia al giogo persiano (478-477). La lega, la cui sede amministrativa era a Delo, rispettava l'autonomia delle città, ma affidava la presidenza del Consiglio federale e la direzione delle operazioni di guerra ad Atene; i confederati, sotto il comando di Cimone, portarono a compimento, con la vittoria dell'Eurimedonte (468), la liberazione delle città greche dell'Egeo, che fu sancita, nel 449-448, dalla pace di Callia conclusa fra Atene e il re di Persia. Nel frattempo, la confederazione si era, di fatto, trasformata in un vero e proprio “impero marittimo” di Atene, che riscuoteva a proprio profitto il tributo (phoros) degli alleati e fondava numerose cleruchie sui loro territori. Padrona del mare, Atene cercò allora di estendere la sua egemonia politica su tutta la Grecia, venendo in urto con Corinto e con la Lega peloponnesiaca, che faceva capo a Sparta. Ma la sconfitta (454) della spedizione mandata in aiuto dell'Egitto, che lottava per l'indipendenza dalla Persia, segnò per l'imperialismo ateniese una battuta d'arresto e nel 446-445 una pace trentennale, stipulata fra Sparta e Atene, riconobbe la coesistenza delle leghe ateniese e peloponnesiaca, dividendo la Grecia in due zone di influenza. Questa pace non poteva, in realtà, essere che una tregua, ma permise che in Atene, guidata da Pericle, la civiltà greca avesse la sua piena fioritura. Quivi, nel breve periodo che va dal 446 al 431, il genio ellenico raggiunse altezze tali, che quest'età rappresentò per sempre l'apogeo della civiltà greca. Atene, infatti, per lo splendore dei monumenti e la fecondità intellettuale, superava allora tutte le altre città, di cui divenne la “scuola”; nello stesso tempo, aprendo l'accesso alle magistrature a tutti i cittadini e indennizzando i servigi da loro prestati allo Stato con una retribuzione (mistoforia), segnò politicamente il massimo trionfo della democrazia. Tuttavia, nonostante che la città fosse divenuta il centro della vita intellettuale e artistica, nonché quello dell'attività marinara, Pericle non poté realizzare l'unità spirituale ed economica della Grecia e i suoi sforzi in questo senso, come il congresso sull'Acropoli, progettato nel 446, la fondazione della colonia panellenica di Turi (443) e il tentativo di un'unione religiosa intorno ai culti eleusini fallirono. Intanto le gelosie si accumulavano contro l'imperialismo democratico di Atene.


Le lotte per l'egemonia (431- 359 a. C.)

Il contrasto tra la Confederazione delio-attica e quella peloponnesiaca, acuito anche dai tentativi autonomistici delle città minori, divenne sempre più grave, finché sfociò in quella che fu detta la guerra del Peloponneso (431-404), nella quale uno Stato democratico e marittimo venne alle prese con uno Stato aristocratico e continentale e con le città commerciali di Corinto e di Egina, che difendevano la loro libertà economica. Dopo il disastro della spedizione di Sicilia (415-413) la lega di Delo si disfece, e la vittoria finale dello spartano Lisandro, alleato con la Persia, a Egospotami (405), costrinse Atene, privata degli sbocchi verso il Ponto Eusino, ad accettare la pace del 404, che la spogliava delle fortificazioni, della flotta e dei suoi possessi e la legava a un'alleanza con Sparta. La vittoria spartana, che pretendeva di “liberare” la Grecia dalla tirannide ateniese, non fece altro, in realtà, che sostituire a essa quella, ancor più crudele, di Sparta, impersonata da Lisandro e appoggiata su governi oligarchici. Costretta poi a un compromesso impossibile fra l'alleanza persiana, che le forniva i darici indispensabili, e la protezione dei Greci in Asia, Sparta finì con l'abbandonare alla Persia le città greche dell'Asia Minore nella cosiddetta pace di Antalcida, la quale sanzionava, per di più, il principio di autonomia per tutte le città greche, proibendo, di conseguenza, leghe o confederazioni (386). Così il Gran re dettava la sua politica. Il regime di terrore instaurato da Sparta, esecutrice della pace, avvicinò Atene a Tebe ed ebbe fine con la liberazione della Cadmea (379) dal presidio spartano e la grande vittoria tebana di Leuttra (371). Si apriva pertanto un nuovo periodo, nel quale Tebe si sforzò di stabilire la sua egemonia sulla Grecia continentale, mentre Atene ricostruiva la sua confederazione marittima. Dissoltasi nel frattempo la Lega peloponnesiaca, Tebe intervenne più volte vittoriosamente nel Peloponneso e nella Tessaglia, ma suscitò timori e gelosie in Atene, che si riavvicinò a Sparta (369); così Tebe, nonostante la vittoria di Mantinea (362), si vide costretta a rinunciare alle sue pretese di egemonia. Tre leghe, la beotica, l'attica e l'arcadica, si fronteggiarono allora in Grecia, ma in uno stato di equilibrio instabile, che rifletteva l'esaurimento di un paese devastato da guerre continue, incapace di solide alleanze e alla mercé del primo potente che l'attaccasse.


La crisi della città-Stato nel IV sec.a.C

Un'implicita assimilazione dei secc. V e IV falsa tradizionalmente il giudizio che si dà della civiltà greca alla vigilia della conquista di Alessandro. Se è vero che l'attività economica si manteneva intensa, nonostante l'emancipazione industriale dei paesi barbari del Ponto Eusino e l'estensione del commercio verso i paesi orientali e se è vero che la produzione artistica e intellettuale rimaneva copiosa, sorgevano però nuovi preoccupanti problemi di carattere istituzionale e sociale. Nel IV sec. la maggior parte delle città greche attraversavano una crisi, sia quelle aristocratiche, come Sparta, che si volsero verso una plutocrazia sempre più insolente, sia quelle democratiche come Atene, la quale, dopo brevi tentativi oligarchici (rivoluzione dei Quattrocento [411], tirannide dei Trenta [404-403]), cadde in una demagogia sempre più arrogante. Tutte le città poi furono turbate da conflitti sociali in conseguenza delle guerre e dell'aggravarsi delle condizioni economiche: a una minoranza di ricchi commercianti, fabbricanti e grandi proprietari si opponeva il demos, miserabile e inquieto, minacciato nel suo lavoro dalla concorrenza degli schiavi. Così, mentre la povertà e i disordini politici favorivano il formarsi di bande di mercenari in cerca di ingaggio, l'assenteismo dei cittadini, indifferenti nella stessa Sparta ai problemi dello Stato e ai loro doveri militari, e le rivendicazioni del popolo minavano del pari la polis. Gli uomini di pensiero sentivano la necessità di riformare lo Stato: Senofonte voleva fondarla sulla virtù dei governanti, Isocrate sul dominio dell'arte della parola, capace di operare un'alta educazione civile, Platone su un'aristocrazia del pensiero; ma tutti affermavano che il potere sulla folla doveva essere affidato a una scelta minoranza. Così pure svegliavano simpatie le esperienze dei tiranni in Sicilia. Ancor più pericolosamente, l'individuo rivendicava i suoi diritti e la sua libertà di fronte allo Stato e cercava forme nuove di associazione: prosperarono così le antiche confraternite, di carattere più o meno segreto, come le aristocratiche eterie e i popolari tiasi dionisiaci; l'identità degli interessi creava nuovi modi di solidarietà. La città-Stato fu minacciata non solo dall'interno ma, in uguale misura, dall'esterno: inconsciamente il mondo greco avvertiva il suo fallimento politico e, a fianco dei raggruppamenti di città, sotto la direzione autoritaria di una di esse, destinati a breve durata, sorsero simpolitie che tentarono di dare un'organizzazione centrale a città confederate su base di uguaglianza. Gli oratori Gorgia, Lisia, Isocrate predicavano la necessità dell'unione, giungendo fino ad augurarsi un regime monarchico; così l'impotenza delle città-Stato avviava la civiltà greca, in processo di trasformazione, verso un rivolgimento della sua organizzazione politica.


L'intervento di Filippo di Macedonia (359-336 a.C.)

La disgregazione della Seconda confederazione ateniese, di cui è prova la guerra “sociale” (357-355), che tolse ad Atene Chio, Rodi, Coo e Bisanzio, fu contemporanea all'affermarsi della Macedonia, sotto il regno di Filippo II. Questi trasformò il regime feudale del suo paese in una monarchia fortemente accentrata, la estese, mediante conquiste sui popoli vicini, fino al mare e la dotò di solidi mezzi d'azione (la falange, il corpo del genio, l'oro delle miniere del monte Pangeo). Profittò quindi della discordia delle città per intervenire in Grecia, sotto il pretesto della guerra sacra diretta contro i Focesi (356-346). Dovunque egli avanzava, in Tracia, nel Chersoneso e nella Calcidica, si scontrava con colonie e stanziamenti ateniesi; ma Atene, pur di aver pace, trascurò il pericolo che minacciava il suo vettovagliamento e la sua indipendenza. Dopo la conclusione della pace di Filocrate (346), Filippo occupava oltre alla parte settentrionale della Grecia, alcuni capisaldi nella Grecia centrale e disponeva dei due voti tolti ai Focesi nel consiglio anfizionico di Delfi. Da allora in poi il conflitto divenne, per così dire, una lotta fra il re e l'oratore ateniese Demostene, che doveva, inoltre, combattere l'inerzia e l'egoismo dei suoi concittadini. Egli organizzò la difesa di Atene, nonostante l'opposizione di Eschine e Filocrate, sostenitori del Macedone, e contro il pacifismo di Eubulo e dei suoi amici: i fondi di sovvenzione per partecipare agli spettacoli pubblici furono devoluti all'armamento; si cercarono alleati e, superando i vecchi rancori, si pensò a un'alleanza con Tebe e perfino con la Persia. Senonché lo sforzo bellico era tardivo e l'alleanza attico-beotica fu conclusa quando ormai l'esito era pregiudicato. La successiva guerra sacra, condotta in principio contro i Locresi, permise a Filippo di invadere la Beozia, che i contingenti greci non poterono salvare a Cheronea (338). Era la fine dell'indipendenza delle città-Stato. Con la pace del 338 Filippo, mentre colpì duramente Tebe, risparmiò Atene, privandola tuttavia del Chersoneso e della sua confederazione marittima e accerchiando l'Attica con le guarnigioni macedoni, stabilite sulla Cadmea e sull'Acrocorinto. Quindi, con la creazione della lega di Corinto, egli diede alla Grecia un'organizzazione unitaria: le città, dichiarate “libere”, dovevano vivere in pace tra loro e aderire alla lega di cui Filippo era il capo (hpiattoegempiatacuon) e il generale supremo. Infine, per consolidare la novella unione, Filippo decise, in conformità con l'ideale dei Greci, di muovere contro la Persia, ma fu ucciso prima che la spedizione partisse alla volta dell'Asia (336).


Alessandro e l'ellenizzazione del mondo antico

Nonostante le speranze suscitate dalla morte di Filippo, i Greci rinnovarono con Alessandro la lega di Corinto: un tentativo di rivolta costò a Tebe d'essere rasa al suolo. Alla sua partenza per l'Asia, Alessandro affidò la Macedonia e la Grecia ad Antipatro che, con piccoli presidi, si assicurò l'obbedienza delle città; nel 331, però, dovette domare un'insurrezione spartana, mentre Atene, divisa dalle lotte di parte, accolse, con un atto di indipendenza ben presto sconfessato, il disonesto tesoriere di Alessandro, Arpalo. Antipatro violò allora la fittizia autonomia della Lega corinzia e intervenne nel governo delle città. Con un'imposizione ancora più grave, Alessandro pretese e ottenne gli onori riservati alle divinità poliadi. Ma le sue conquiste e i suoi sogni di un impero universale, fondato sulla fusione delle razze e la creazione di nuove città, ebbero l'effetto di allargare l'ambito dell'ellenismo fino all'Egitto e a una gran parte dell'Asia. La civiltà, detta ellenistica, che si sviluppò nell'Asia dei Seleucidi e degli Attalidi e nell'Egitto dei Lagidi fu il risultato del contatto della civiltà ellenica con le civiltà preesistenti.


La Grecia dalla morte di Alessandro fino alla conquista romana

Alla morte di Alessandro la Grecia, sola fra tutti i paesi conquistati, tentò di ricuperare la propria indipendenza. La guerra lamiaca (323-322), che non riuscì ad attuare l'unione delle città greche, si concluse con la vittoria di Antipatro e la resa senza condizioni (322) degli insorti. In seguito la Grecia fu coinvolta nelle lotte che seguirono alla scomparsa di Alessandro. Contesa fra Poliperconte, successore di Antipatro, Cassandro, figlio di questo, e Demetrio Poliorcete, figlio di Antigono, venne finalmente, nel 277, insieme con la Macedonia, in potere di Antigono I Gonata, figlio del Poliorcete. Spezzettata, ridotta alla rovina, nonostante l'effimera ripresa economica dovuta all'apertura di nuovi mercati, per effetto delle conquiste di Alessandro, continuò a inseguire sogni di grandezza e di libertà. Il dominio dei re macedoni si manifestava in diversi modi: talora essi installavano nelle città un epistátes(soprintendente) con una guarnigione; talora si limitavano a designare i due principali magistrati delle città, talora anche si appoggiavano su un tiranno o sul partito oligarchico. Atene restava ancora il centro intellettuale dell'ellenismo, dove stoici ed epicurei predicavano ugualmente l'indifferenza verso l'attività politica. I conflitti sociali si aggravavano, soprattutto a Sparta, che era sconvolta da disordini diventati ormai endemici, nonostante i coraggiosi tentativi di riforma di Agide IV (244-241) e di Cleomene III (235-222). I culti ufficiali dello Stato non incontravano più che indifferenza; ci si sottometteva alle impersonali e astratte forze della Tyche (Fortuna) e dell'Ananke (Necessità) e ci si rifugiava nel misticismo salvatore di Dioniso e di Asclepio. Esperienze politiche originali si fecero in due regioni fino ad allora arretrate: l'Etolia rurale, per lungo tempo rimasta isolata, riunì le sue borgate in una lega strettamente ugualitaria, che, divenuta protettrice di Delfi, estese la sua influenza dal golfo di Corinto fino al golfo di Pagase, eccettuata l'Attica. Contemporaneamente nell'Acaia la lega, già da tempo esistente, si allargò fino a comprendere una sessantina di Stati, soprattutto nell'Istmo; essa tuttavia sofferse per i progetti ambiziosi di Arato, che volle combattere contro Antigono I Gonata. Infine il declino delle città e la loro rovina economica si estesero alla Magna Grecia, dove Taranto doveva lottare contro le popolazioni indigene e l'avanzata romana, mentre Siracusa, urtando contro la potenza cartaginese, falliva nel tentativo di raccogliere sotto di sé i Greci d'Occidente.


La fine dell'indipendenza greca e il dominio romano

Alla fine del III sec. con la conclusione della seconda guerra punica, le città greche dell'Italia e della Sicilia erano passate sotto il dominio romano. Nel Mediterraneo orientale Roma invece s'impegnò con riluttanza. Quivi le sue relazioni erano limitate ai traffici dei suoi mercanti in Delo ed in Rodi, quando l'appoggio dato, a partire dal 219, dall'ambizioso Filippo V di Macedonia ai pirati illirici e a Cartagine allora vittoriosa in Italia, scatenò una serie di conflitti (guerre macedoniche [215-205, 200-197 e 172-168]), nel corso dei quali i Greci si divisero parteggiando per l'una o l'altra delle due potenze in lotta. Dopo la vittoria di Cinocefale (197), Flaminino, d'accordo con il senato, restituì a tutte le città greche la loro indipendenza con la proclamazione fatta ai giochi istmici nel 196, ma, di fatto, abbandonò la Grecia in preda all'anarchia, accresciuta ancora da un ultimo tentativo imperialista della Lega achea che, guidata da Filopemene, aspirava al predominio sul Peloponneso. La scomparsa del regno e dell'unità macedonica (168) e gli interventi romani in Grecia sempre più decisi e violenti, provocarono la duplice sollevazione dell'avventuriero Andrisco in Macedonia e della Lega achea. Nel 146, la Grecia veniva infine annessa alla nuova provincia romana di Macedonia, perdendo così la sua indipendenza, alla quale erano state soprattutto causa di rovina i conflitti sociali e le discordie fra le varie città. Ben presto tutto il mondo ellenistico passò sotto il dominio romano; nel 133 il regno di Pergamo per eredità, nel 64-63 quello di Siria ridotto a provincia e nel 30 quello d'Egitto conquistato da Ottaviano.

Dopo il 146, le città greche furono sottoposte a tributo, salvo Atene, Sparta e Delfi, dichiarate “città federate”, mentre Corinto, forte concorrente dei mercati italici di Delo, scontava con la distruzione la sua prosperità. L'insuccesso delle imprese di Mitridate, sostenute da numerose città, fra cui Atene, tolse alla Grecia le ultime speranze di libertà (88-85). In seguito, nel corso delle “guerre civili”, divenne un campo di battaglia. Nonostante il sostegno dato a Pompeo, ebbe un trattamento benevolo da parte di Cesare, che fondò una colonia a Corinto. Ma era ormai un paese devastato dalle lotte e spossato dalle spoliazioni e dalle requisizioni, quando Augusto le diede una nuova organizzazione; la Tessaglia fu unita alla Macedonia, l'Epiro fu affidato a un procuratore, il resto venne eretto in provincia con il nome di Acaia sotto l'amministrazione di un proconsole residente a Corinto; la Tracia fu annessa nel 46 d.C. da Claudio. Roma si sforzò sempre di apparire rispettosa delle libertà d'Atene, che poté conservare la sovranità su Lemno e Delo. Nerone, quando si recò in Grecia (67) per conseguirvi la corona che consacrasse il suo talento di poeta e le sue doti di atleta, proclamò la libertà dei Greci e concesse alle città l'esenzione dai tributi, revocata poco dopo da Vespasiano. Adriano favorì la creazione di un'unione panellenica (inverno 128- 129), che celebrava feste periodiche e, nel 176, Marco Aurelio riorganizzò la scuola di Atene. Un viaggio in Grecia e il frequentare le lezioni dei retori e dei filosofi ateniesi costituivano pur sempre il coronamento indispensabile di una buona educazione; i Giochi, nonostante la scarsa sicurezza delle strade infestate da briganti, attiravano ancora gente di ogni paese. La Grecia era orgogliosa dell'influsso spirituale che continuava a esercitare e che era sostenuto con grande liberalità, per filoellenismo, da mecenati come l'imperatore Adriano ed Erode Attico. Soffriva, però, dello splendore intellettuale ed economico della provincia d'Asia e, spopolata e privata della sua funzione di intermediaria fra l'oriente e l'occidente, non conservava che talune industrie di lusso e alcune linee commerciali nelle colonie di Patrasso e di Corinto. Minacciata dai Goti, che verso la metà del III sec. giunsero a occupare Atene, la Grecia, con Costantino, entrò a far parte della prefettura dell'Illirico seguendo l'evoluzione generale dell'Impero nel campo amministrativo, sociale ed economico: mentre i dekáprotoi (letteralmente: i primi dieci magistrati) dovevano assumersi l'onerosa garanzia del pagamento delle imposte nelle città cui erano preposti, analogamente ai decurioni (o curiali) nei paesi d'Occidente, il resto della popolazione cadeva a poco a poco in una condizione di schiavitù. La fondazione di Costantinopoli (330 d.C.) segnò la decadenza completa della Grecia.


La Grecia bizantina

Dal 395, la Grecia fece parte dell'Impero d'Oriente, e raccolse insieme le prefetture del pretorio dell'Illirico (diocesi di Macedonia) e d'Oriente (diocesi di Tracia). In parecchie riprese fu saccheggiata dalle invasioni barbariche. Nel V sec. i Visigoti avanzarono fino al Peloponneso; gli Ostrogoti attraversarono la Macedonia; gli Unni saccheggiarono tutti i paesi a nord dell'istmo di Corinto. Nel VI sec. gli Slavi e gli Avari l'invasero più volte, attaccando Tessalonica e tutta la regione circostante e stabilendo per diverso tempo il proprio dominio su tutto il Peloponneso. Gli Arabi, infine, fatta irruzione nel territorio dell'Impero bizantino (632), conquistarono durante la prima spedizione marittima Cipro (649) e saccheggiarono Rodi (654). Tali invasioni, seguite dall'insediamento di popoli barbari, modificarono la composizione della popolazione. Numerosi Slavi s'insediarono nell'interno del paese, dove, a partire dal IX sec., si convertirono al cristianesimo; frattanto gli antichi abitanti si ritiravano nelle regioni costiere e nelle isole adiacenti, contribuendo a rinforzare l'elemento greco sul litorale meridionale e orientale. L'organizzazione amministrativa fu parimenti cambiata; il pericolo continuo delle invasioni barbare rese opportuna la creazione dei temi (quattro in Grecia), circoscrizioni a carattere militare amministrate da strateghi. Ma, soprattutto dopo la scomparsa dell'Impero d'Occidente (476), la Grecia acquistò nell'Impero bizantino un posto preminente nel dominio culturale, favorendo in quest'ultimo caso il processo di grecizzazione. L'imperatore Teodosio II, sotto l'influenza della moglie greca Eudocia, fondò a Costantinopoli un'università greca (425), dove l'insegnamento in greco fu prevalente su quello in latino, e autorizzò l'emanazione di sentenze in lingua ellenica. Se Giustiniano chiuse nel 529 le scuole filosofiche d'Atene, considerate un focolaio di paganesimo che doveva essere estirpato, egli pubblicò tuttavia in greco buona parte dei suoi decreti, e lo spirito ellenico ispirò scrittori e artisti del suo tempo. Verso il 630 Eraclio rinunciò all'intitolazione imperiale latina e adottò il titolo di basileus, che divenne il titolo ufficiale del sovrano bizantino. Fece del greco la lingua ufficiale dell'amministrazione come dell'esercito, mentre la chiesa cristiana, usando quella lingua, ne favorì la diffusione. La Grecia fu coinvolta anche nelle polemiche religiose che lacerarono l'Impero; lunga e sanguinosa più delle altre, la polemica iconoclastica, aperta da Leone III l'Isaurico tra il 726 e il 730 col divieto del culto delle immagini sacre, e protrattasi con varie vicende fino all'843. La Grecia aderì inoltre allo scisma del 1054, distaccandosi definitivamente dalla Chiesa di Roma. A partire dall'VIII sec. la Grecia conobbe gravi calamità. La peste del 746 ne ridusse alla metà la popolazione. Gli Arabi, temporaneamente fermati da Costantino V, che riprese Cipro (747), s'impadronirono dell'isola di Creta (825-826), da dove, per quasi un secolo e mezzo, infestarono le regioni circostanti con le loro incursioni, e conquistarono anche Tessalonica (904). Arrestata l'avanzata araba sulla fine del X sec. (nel 960-961 Niceforo Foca riconquistò Creta), la Grecia subì quella dei Bulgari. Il loro zar Samuele avanzò fino alle Termopili, ma fu sconfitto da Basilio II il Bulgaroctono, che sottomise l'impero di Samuele (1001- 1014). Poi i Normanni sbarcarono in Epiro (1081), attraversarono la Macedonia e la Tessaglia, per arrivare fino a saccheggiare l'Eubea e l'Attica (1145). Quelle invasioni precipitarono la Grecia in uno stato di profonda miseria. Molti contadini riaffluirono verso le città, e nelle campagne si formarono dei grandi domini feudali, come quello dei Cantacuzeni in Messenia. Per affrontare i loro nemici i vari sovrani ricercarono spesso l'appoggio delle repubbliche marinare italiane, in particolare della repubblica di Venezia, che ne approfittò per installarvi delle basi commerciali. Nel corso della terza crociata, il re d'Inghilterra, Riccardo Cuor di Leone, s'impadronì di Cipro (1191) e la cedette l'anno seguente all'antico re di Gerusalemme, Guido di Lusignano. Da quel momento l'isola rimase in possesso degli Occidentali: nel 1194 Amalrico sostituì il fratello Guido e prese il titolo di “re di Cipro”; nel 1489 quel regno divenne possedimento veneziano. La quarta crociata (1204) terminò con la creazione di un Impero latino, affidato al conte di Fiandra Baldovino IX (Baldovino I), che estese la sua autorità sulla Tracia e su buona parte delle isole del mar Egeo (Lesbo, Chio, Samo). Nella Grecia centrale e meridionale si costituirono numerosi principati che, in rapporti molto tenui con l'Impero di Baldovino, non erano direttamente responsabili verso questo ma solo davanti al re di Tessalonica. Il regno di Tessalonica fu attribuito a Bonifacio di Monferrato, che conquistò anche la Tessaglia e l'Attica, e distribuì alcuni feudi fra i suoi amici (la fortezza di Bodonitza situata vicino alle Termopili andò all'italiano Guglielmo Pallavicini, Atene e Tebe al duca Ottone de La Roche, originario della Franca Contea). Frattanto il bizantino Michele I costituì il despotato d'Epiro, che il fratello e successore Teodoro seppe ampliare con altri possedimenti, cominciando nel 1224 a togliere Tessalonica al figlio di Bonifacio di Monferrato. Il Peloponneso, chiamato ormai Morea dai Franchi, fu conquistato da Guglielmo di Villehardouin (1205) e trasformato in principato francese d'Acaia, di cui Goffredo di Villehardouin divenne il signore dal 1209. Venezia, creandosi quasi un impero coloniale in Oriente, si riservò l'Eubea (o Negroponte), e le più importanti città portuali dell'Ellesponto; le isole dell'Arcipelago furono costituite in principati (ducati di Nasso, di Lemno, ecc.), e Creta fu direttamente governata dalla Repubblica veneta. In Morea Goffredo sottomise la Laconia (1210), Corinto, Nauplia e Argo, non lasciando ai Bizantini che il porto di Monemvasia (Malvasia) [1212]. Stabilita la capitale ad Andravida, nell'Elide, egli seppe conciliarsi la popolazione lasciando ai grandi proprietari parte delle loro terre. La colonizzazione franca della Grecia proseguì e si sviluppò col suo secondo figlio, Guglielmo II di Villehardouin (1245-1278), il quale espugnò Monemvasia e fece costruire numerose fortezze per dominare il paese (Mistra, Leuktron, ecc.). Guglielmo impose la propria sovranità ai principi d'Atene e di Bodonitza, ma, sconfitto e fatto prigioniero nel 1259 dall'imperatore Michele VIII Paleologo, dovette, in cambio della libertà e del potere, prestare giuramento di fedeltà all'imperatore e cedere i possedimenti di Mistra, Monemvasia e Maina. Diede in sposa la propria figlia all'erede del re di Sicilia, Carlo d'Angiò, alla cui sovranità e protezione si sottomise, ormai spossato dalle lotte contro i Bizantini. Ciò si protrasse fino a quando degli avventurieri genovesi conquistarono il ducato nel 1404, sottomettendosi successivamente ai Bizantini (1430). La coesistenza dei Franchi e degli indigeni provocò la nascita di elementi misti, i gasmuli. Sotto il govemo dei La Roche, il ducato di Atene, dopo aver imposto la sua sovranità alla Tessaglia, ormai in decadenza, fu conquistato nel 1311, in seguito alla battaglia del lago Copaide, dai Catalani, che si posero sotto la protezione del re di Sicilia Federico d'Aragona. Ai Catalani, che vi tennero il potere per oltre settant'anni, succedette nel 1387 il fiorentino Nerio Acciaiuoli (Ranieri I) appartenente a una ricca famiglia di banchieri. I Fiorentini vollero ridare ad Atene tutto il suo antico splendore intellettuale, incoraggiando il movimento umanistico. Dopo la rovina del regno di Gerusalemme (1291), l'ordine militare dei cavalieri di San Giovanni si ritirò prima a Cipro, poi conquistò Rodi ai Greci (1306-1308); scacciato da quell'isola dai Turchi (1522), esso ottenne da Carlo V il diritto d'insediarsi a Malta (1530). Contro i Franchi e i Veneziani, gli imperatori greci si allearono con i Genovesi, ai quali abbandonarono Focea (1275), le isole di Chio (1304) e di Lesbo (1355). Nel XV sec. essi avevano riconquistato la maggior parte dei loro Stati dove la civiltà greca brillò d'uno splendore ancora più vivo di quello degli inizi dell'Impero d'Oriente. Quel rinascimento fu però ben presto arrestato dalla conquista turca.


La Grecia turca

Molto tempo prima della conquista di Costantinopoli (1453) i Turchi Ottomani avevano iniziato l'invasione dei Balcani (Gallipoli, 1354), occupando via via la Tracia (1360), poi Tessalonica (1387 e 1430) e la Morea (1446). Poco dopo Costantinopoli (1453), anche Atene cadde nelle mani dei Turchi (1456). I progressi dei conquistatori erano stati facilitati dalle dispute tra principi bizantini e dalla politica di Venezia, che cercò a lungo di accordarsi con loro per ricavarne vantaggi commerciali.

Molti principi accettarono di riconoscere la sovranità del vincitore. Tuttavia, la pacificazione non fu mai completa e si ebbero numerose insurrezioni: in Morea (1463- 1479), a Rodi (1522) e nella Grecia centrale (1571). L'arcivescovo di Tricca (Trikkala) in Tessaglia, Denys, fu la figura più eminente di questa resistenza: dopo aver capeggiato una rivolta durata dal 1595 al 1601, ne tentò una seconda in Epiro, ma fu ucciso (1611).

La Grecia turca fu sottoposta al beylerbey o governatore dell'eyalet (grande provincia) di Rumelia, a sua volta divisa in province minori o sangiaccati (Morea, Eubea, Beozia-Attica, Tessaglia, Etolia-Arcadia, Epiro, Grecia centrale) e in distretti amministrati da soubachi; più tardi apparvero raggruppamenti di sangiaccati, i vilayet, retti da pascià. Una parte delle terre venne confiscata per essere distribuita sotto forma di feudi militari ai sipahi, o per essere concessa in piena proprietà a elementi musulmani o al clero islamico. In questi domini, i contadini furono ridotti alla servitù; ma gli Ottomani rispettarono i beni dei monasteri ortodossi e dei grandi proprietari, che si sottomisero. Solo nelle regioni montagnose la popolazione indigena conservò per intero le proprie terre e la propria libertà.

L'occupazione turca della Grecia va considerata come quella d'un esercito accampato in territorio di conquista, che si preoccupava soprattutto del mantenimento dell'ordine. I non-musulmani (raya) dovevano pagare la capitazione (haradj) oltre alle imposte comuni agli altri sudditi; al di fuori delle milizie (gli armatoli) autorizzate in certi luoghi, essi non potevano portare armi, mentre dovevano fornire equipaggi per le navi. Potevano però praticare la loro religione e conservare il loro clero, tanto che il patriarca di Costantinopoli divenne un capo nazionale. Quanto alla riscossione delle imposte, questa fu presa in appalto da elementi greci, i quali acquistarono nelle loro zone un'autorità che fu sancita dal loro riconoscimento come capi di villaggi, più tardi assistiti da consiglieri municipali eletti (arconti).

Con l'indebolimento del potere centrale del sultano, a partire dal XVIII sec. l'anarchia si estese a tutta la Grecia turca e certi pascià si comportarono da veri e propri despoti. Molti Greci si rifugiarono allora sulle montagne, dove formarono bande di briganti (i clefti e i palicari), che furono più tardi elementi importanti della lotta nazionale. Sulle coste altri Greci si diedero contemporaneamente alla pirateria e alla pesca.

Per effetto delle capitolazioni firmate dal sultano con la Francia, con l'Inghilterra (1580) e con le Province Unite (1612), il commercio si sviluppò in tutto il Mediterraneo sudorientale, interessando molti Greci, che vi assunsero la funzione già tenuta dai Veneziani. A Costantinopoli, gli Elleni del quartiere del Fanar, detti Fanarioti, si arricchirono formando una borghesia capace di influenzare anche il governo, che le affidò certe funzioni, come quella di fornire i dragomanni (interpreti fra Europei e popoli del Vicino Oriente) alla Sublime Porta. Altri si sparsero come mercanti nel Levante e nell'Occidente, soprattutto in Russia, dove alcuni entrarono al servizio dello zar (fra questi Giovanni Antonio Capodistria).


Il risveglio del sentimento nazionale

Il sentimento nazionale greco si risvegliò per effetto delle persecuzioni dei pascià e dei tentativi delle potenze occidentali di abbattere l'Impero ottomano. Fra questi tentativi sono da ricordare: quello effettuato dalla coalizione composta dal papa Pio V, dai cavalieri di Malta, dalla Spagna e da Venezia, la cui flotta, agli ordini di don Giovanni d'Austria (e avente fra i suoi equipaggi numerosi volontari greci), sconfisse la flotta turca a Lepanto (ottobre 1571); l'intervento degli Occidentali a Creta per la difesa di Candia (1664), che fu tuttavia perduta dai Veneziani nel 1669; le iniziative della Lega capeggiata dal papa, per mezzo delle quali Venezia cercò di riconquistare i suoi antichi possedimenti (1684), finendo poi per rinunciare definitivamente alla Morea (1718). Nel 1770 Caterina II, entrata nel 1768 in guerra contro la Turchia, inviò la sua flotta sulle coste della Morea per provocarvi un'insurrezione; la lotta ebbe fine col trattato di Küciük Kainarge (luglio 1774), che stabilì il protettorato russo sugli ortodossi di Moldavia e Valacchia e permise alle navi greche di navigare battendo bandiera russa. I Greci, ormai, erano divenuti “clienti” fedeli della Russia.

Da parte loro, i Greci emigrati contribuirono a tener vivo il filoellenismo degli Occidentali, sensibili all'enorme prestigio della Grecia antica. Fra essi si distinsero Korais, uno smirniota che si recò in Francia durante la Rivoluzione, e Rigas da Velestino, che soggiornò a Vienna, dove fondò una società patriottica segreta, l'eteria politica e compose la Marsigliese ellenica(pubblicata soltanto nel 1814): fu poi consegnato ai Turchi come sospetto di relazioni con Bonaparte e giustiziato (1798). L'eteria venne ricostituita nel 1814 a Odessa (filiki eteria), sotto la presidenza del greco Alessandro Ypsilanti (Ipsilandis), divenuto aiutante di campo dello zar Alessandro I, ed entrò in relazione col pascià di Gianina, ‘Ali di Tepeleni, che era in conflitto col sultano.


L'indipendenza

Nel marzo 1821, mentre Ypsilanti tentava di sollevare i Romeni marciando sulla Valacchia, l'arcivescovo di Patrasso, Germanos, e un membro dell'eteria, Papaflessas, chiamavano i Greci all'insurrezione. I clefti guidati da Kolokotronis e i marinai comandati da Miaulis e Kanaris vennero in loro aiuto. Dopo la presa di Tripolitza (1821), in Morea, l'Assemblea nazionale greca, riunitasi in Epidauro sotto la presidenza di Alessandro Maurocordato (Mavrokordhatos), proclamò l'indipendenza del paese (1s-13 gennaio 1822). Ma i Turchi reagirono, impiccarono il patriarca e si diedero ai massacri, per es. a Chio (aprile 1822).

Invano i Greci sollecitarono l'appoggio della Russia al congresso di Verona, che si adeguò alle direttive della politica conservatrice di Metternich. Ma intanto l'opinione pubblica, in Europa e negli Stati Uniti, si entusiasmava per la loro causa, e un po' dappertutto si creavano comitati di filoelleni per inviar loro volontari, armi o danaro. Celebri, fra i volontari, furono gli inglesi Byron e Cochrane, gli italiani Santorre di Santarosa e Giacinto di Collegno, nonché il francese Fabvier.

Ma i Greci, divisi in una pluralità di governi locali, non seppero evitare discordie interne e guerre civili. Essi facilitarono così il compito delle truppe moderne del pascià d'Egitto Mehmet Ali, chiamate nel 1825 dal sultano e che, sotto il comando d'Ibrahim pascià, riconquistarono il paese in due anni, grazie all'espugnazione di Missolungi (1826) e dell'Acropoli di Atene (1827).

La situazione fu salvata dallo zar Nicola I, dal governo britannico di Canning e da quello francese di Villèle, che a Londra si trovarono d'accordo nell'esigere l'indipendenza della Grecia (luglio 1827). Malgrado Metternich, questi paesi inviarono le loro flotte, che distrussero la squadra navale egiziana nella rada di Navarino (20 ottobre 1827). In seguito Nicola I dichiarò guerra alla Turchia (aprile 1828) e la Francia fece occupare la Morea dalle truppe del generale Maison. Poi, nel settembre 1829, il sultano firmò il trattato di Adrianopoli, col quale si impegnava a rispettare le decisioni di Gran Bretagna, Francia e Russia per i territori greci situati a sud d'una linea di frontiera che andava dal golfo d'Arta a quello di Volo, con le isole Eubea e Cicladi. Pochi mesi dopo, col Protocollo di Londra (3 febbraio 1830), le tre potenze proclamarono l'indipendenza totale della Grecia, che in cambio dovette retrocedere le sue frontiere settentrionali in modo da escludere la valle dello Spercheo e l'Acarnania. Il sultano accettò queste condizioni nel maggio 1832.


Il regno di Grecia

Il paese fu in un primo tempo governato (dicembre 1827) dal dittatore Giovanni Antonio Capodistria, che pose la capitale provvisoria a Nauplia. Ma nel 1831 Capodistria fu assassinato e nel 1832 la Grecia divenne, per volontà delle grandi potenze, un regno con a capo il principe Ottone di Baviera. Questi immise nei quadri dell'amministrazione e dell'esercito un gran numero di Tedeschi e perdette così le simpatie dei suoi sudditi. Una rivolta militare guidata da Kallergis (settembre 1843) lo costrinse a promettere una costituzione. Entrata in vigore nel marzo 1844, questa prevedeva l'elezione di un'Assemblea nazionale, formata da una camera dei deputati eletta a suffragio censitario e da un senato nominato a vita dal re. Ciò nonostante, essa non instaurò un vero e proprio regime parlamentare, e Ottone fu in grado di conservare la propria autorità con l'appoggio della Russia.

Insoddisfatta della piega degli eventi, l'Inghilterra trasse pretesto dalle richieste d'indennizzo per danni subiti in Grecia fatte a quel governo dall'ebreo inglese David Pacifico, per attuare all'inizio del 1850 il blocco delle coste. Ma l'intervento ebbe l'effetto di far crescere l'influenza russa, tanto più che lo zar si era intromesso per ottenere dal sultano il riconoscimento dell'indipendenza della Chiesa greca. Poi, durante la guerra di Crimea (1854-1856), le simpatie greche per la Russia e le sollevazioni degli Elleni nelle province turche dell'Epiro e della Tessaglia indussero Francia e Gran Bretagna a sbarcare truppe al Pireo: truppe che rimasero sul posto fino al 1857.

Nel 1862 Ottone fu deposto da una rivolta militare. Interessata a stabilire la propria influenza sulla Grecia, la cui posizione nel Mediterraneo orientale era d'importanza capitale per la rotta dell'India, l'Inghilterra fece allora in modo che la Costituente scegliesse come sovrano il cognato del principe di Galles, Giorgio di Danimarca (ottobre 1863); e per legare a sé la nuova dinastia le fece dono (1864) delle isole Ionie, che possedeva dal 1815. La costituzione del 1864 limitò i diritti del sovrano e introdusse il suffragio universale, ma il regime parlamentare venne instaurato solo nel 1875.

Nel 1866 Giorgio I favorì un'insurrezione dei Cretesi contro i Turchi, ma non fu sostenuto dalle grandi potenze e dovette abbandonare l'isola al sultano. Durante la guerra russo-turca (1877-1878) i Greci penetrarono in Tessaglia; poi, al congresso di Berlino, furono loro promesse, per la Tessaglia e l'Epiro, le rettifiche di frontiera successivamente approvate dalla conferenza di Costantinopoli (1881).

Delusi dalla mancata attuazione delle promesse di riforme fatte nel 1878, i Cretesi tornarono a insorgere, con l'aiuto dei volontari greci, nel marzo 1896, mentre nel febbraio 1897 il governo greco di Delijannis (Dhelighiannis) fece sbarcare proprie truppe a Creta. Sotto il comando del principe Costantino, i Greci penetrarono in Macedonia ma furono poi battuti nella Tessaglia, dove a ben poco servì il sacrificio dei volontari garibaldini accorsi dall'Italia. La mediazione delle grandi potenze condusse a un armistizio, e col trattato di Costantinopoli (dicembre 1897) Creta venne dichiarata autonoma sotto il governo del principe Giorgio di Grecia.

La crisi balcanica, apertasi nell'ottobre del 1908, portò a un movimento nazionalista in Grecia e a Creta, dove Venizelos proclamò l'unione col governo di Atene, unione che non ebbe luogo per l'opposizione delle grandi potenze. Nell'agosto 1909 una lega militare attuò un colpo di Stato, a seguito del quale Venizelos divenne primo ministro greco (1910). Da allora Venizelos lavorò senza sosta nell'intento di riunire tutti i territori abitati da popolazioni elleniche. Quanto alla politica interna, egli fece votare nel 1911 una costituzione che assicurava le principali libertà e procedette, con l'aiuto di tecnici stranieri, alla riorganizzazione amministrativa, militare ed economica del paese. In politica estera, la Grecia si alleò, mediatrice la Russia, con Bulgaria, Serbia e Montenegro (maggio 1912): il 18 ottobre questa Lega balcanica dichiarò guerra alla Turchia.

Invasi l'Epiro e la Macedonia, l'esercito greco s'impadronì di Salonicco (novembre 1912) e di Gianina (aprile 1913); ma, proprio all'indomani di queste vittorie, Giorgio I fu assassinato a Salonicco e la corona andò al figlio Costantino, che era anche cognato dell'imperatore tedesco Guglielmo II (marzo 1913). La conferenza di Londra del maggio 1913 pose termine a questo primo conflitto; senonché le discussioni sulla spartizione della Macedonia portarono a una seconda guerra tra la Bulgaria, da una parte, e i suoi vecchi alleati, oltre a Turchia e Romania, dall'altra (giugno 1913). La disfatta della Bulgaria fu seguita dal trattato di Bucarest (agosto 1913), che assicurò alla Grecia gran parte della Macedonia con Salonicco, la Calcidica, Cavalla, l'Epiro meridionale, Creta e le isole di Samo, Chio, Mitilene e Lemno.

Nel corso della prima guerra mondiale il governo si trovò diviso fra germanofili, raggruppati dietro il re, e patrioti, che con Venizelos erano propensi a schierarsi al fianco degli Alleati. Quando questi ultimi intrapresero la spedizione dei Dardanelli, Venizelos propose l'entrata in guerra della Grecia, ma fu costretto da Costantino a dimettersi (6 marzo 1915). Tornato al potere in agosto col favore delle elezioni, durante l'invasione della Serbia (ottobre 1915) mantenne gli impegni relativi all'alleanza del 1913 e consigliò segretamente agli Alleati di sbarcare a Salonicco, protestando in seguito solo per forma contro la loro presenza in quella città. Costretto a dimettersi di nuovo il 5 ottobre, gli succedette Zaimis e poi Skuludhis. Senza pretendere di disarmare le truppe alleate ripiegate su Salonicco, quest'ultimo affermò di non voler opporsi all'eventuale entrata in Grecia dei loro nemici. La costituzione a Salonicco (settembre 1916) d'un governo repubblicano a opera di Venizelos, dell'ammiraglio Kunduriotis e del generale Dhanklis, indusse Costantino a esaminare la possibilità di una alleanza con gli Imperi centrali: politica che decise gli Alleati a sbarcare al Pireo alcuni reparti di fucilieri di marina. Il loro scontro con le truppe greche (1s dicembre 1916) segnò la rottura definitiva tra Costantino e l'Intesa. L'esercito greco ripiegò poi in Morea. Ma il governo regio organizzò gruppi di partigiani in Tessaglia, minacciando così in modo diretto gl'interessi degli Alleati. Questi decisero allora, nel maggio 1917, l'occupazione della Tessaglia mentre l'11 giugno l'alto commissario alleato, Jonnart, consegnò al re un ultimatum che esigeva la sua abdicazione. Costantino si sottomise e la corona passò al suo secondo figlio, Alessandro, che ben presto richiamò al governo Venizelos. Il 26 giugno la Grecia dichiarava guerra agli Imperi centrali, dando agli Alleati un contributo di dieci divisioni.

Le rivendicazioni della Grecia furono parzialmente soddisfatte nel novembre 1919 dal trattato di Neuilly con la Bulgaria (acquisto della Tracia occidentale e della costa egea intorno a Dede Agaç [Alessandropoli]) e nell'agosto 1920 da quello di Sèvres con la Turchia (acquisto della Tracia orientale, delle isole Imbro e Tenedo e dell'amministrazione del territorio di Smirne). L'Epiro settentrionale, invece, non poté essere annesso. Di fronte all'opposizione del futuro dittatore turco Mustafa Kemal al trattato di Sèvres, la Gran Bretagna fece leva sui sentimenti imperialisti di Venizelos per lanciare la Grecia, nel 1920, contro la Turchia. Questa nuova guerra fu impopolare; dopo la morte del re Alessandro (ottobre 1920), le elezioni del 14 novembre sconfessarono la politica del “Grande Cretese” (Venizelos) e Costantino fu richiamato al trono da un plebiscito (5 dicembre). Venizelos dovette andare in esilio.

Conclusasi l'offensiva in Asia Minore con un completo disastro, il governo firmò l'armistizio di Mudanya (ottobre 1922). Ufficiali venizelisti, guidati dal colonnello Plastiras, avevano costretto Costantino ad abdicare (26 settembre 1922) in favore del figlio primogenito Giorgio II, che governò tramite il comitato rivoluzionario di Plastiras e Ghonatas. Col trattato di Losanna (luglio 1923) la Grecia dovette rinunciare a Smirne, come pure alla zona della Tracia situata a ovest del fiume Hevros (Maritza), e accettare lo scambio delle minoranze con i propri vicini. In totale, 1.400.000 rifugiati, di cui solo 200.000 emigrarono successivamente all'estero, vennero ad aggravare la situazione economica, che nel 1923 richiese l'attuazione di una riforma agraria.

Le difficoltà economiche agevolarono il formarsi di due partiti d'opposizione: l'Unione democratica di Papanastasiu e il partito comunista, che si appoggiava a una Confederazione generale del lavoro. Dopo un tentativo di colpo di Stato da parte del generale Leonardhopulos (novembre 1923), le elezioni di dicembre diedero una schiacciante maggioranza ai venizelisti e Giorgio II partì per la Romania, lasciando la reggenza all'ammiraglio Kunduriotis (18 dicembre 1923).


La Repubblica greca

La repubblica, proclamata dall'Assemblea nazionale il 25 marzo 1924 e confermata nell'aprile da un plebiscito, ebbe per primo presidente l'ammiraglio Kunduriotis. Ben presto, però, essa fu afflitta da una serie di crisi: dopo il primo governo di Papanastasiu, si ebbe l'ascesa al potere del generale Pankalos (giugno 1925), quindi la sua dittatura, ben presto rovesciata dal generale venizelista Kondylis (agosto 1926). Avendo i repubblicani riportato alle elezioni una esigua maggioranza, Zaimis costituì un governo repubblicano di coalizione e varò nel 1927 una costituzione parlamentare. La politica estera fu caratterizzata (ottobre 1925) da un tentativo d'invasione della Bulgaria, subito bloccato dall'intervento della Società delle Nazioni, e dalle rivendicazioni sul territorio albanese d'Argirocastro (Gjirokastër). Mediatrice la Gran Bretagna, fu poi firmato un trattato di amicizia con la Iugoslavia (agosto 1926), che il parlamento greco si rifiutò di ratificare. Quanto alla situazione interna, essa venne aggravata dalle difficoltà finanziarie: si rese necessario stabilizzare la dramma e chiedere prestiti all'estero, finché, nel luglio 1928, Venizelos tornò alla presidenza del consiglio esercitando una dittatura di fatto. Egli rinunciò tuttavia alla sua vecchia politica imperialista, concluse un trattato di amicizia con l'Italia (settembre 1928) e un altro con la Iugoslavia (marzo (1929), ricevette il presidente turco Ismet Inönü (1931) e si astenne dal favorire il movimento nazionalista di Cipro, dove nel 1929 si costituì un comitato per chiedere l'espulsione degli Inglesi presenti nell'isola fin dal 1878. Questo mutamento di rotta e l'abbandono (1932) della parità aurea costrinsero Venizelos a dimettersi (maggio 1932), per cedere il posto a Papanastasiu e poi, in novembre, a Tsaldaris.

Dopo un nuovo tentativo di colpo di Stato (marzo 1933) da parte del generale Plastiras, il generale Kondylis si impadronì del potere (marzo 1935) e fece votare dall'Assemblea la decadenza della repubblica (10 ottobre).


Il ritorno del re

Richiamato da un plebiscito, Giorgio II tornò in Grecia nel novembre 1935, mentre Venizelos partiva definitivamente per l'esilio. Dopo aver formato un governo con a capo Dhemertzis, il re lasciò che il generale Metaxas, abolita la costituzione del 1927, sciogliesse il parlamento e instaurasse una dittatura di tipo fascista, protrattasi dall'agosto 1936 al gennaio 1941 (cioè fino alla morte del dittatore).

In politica estera, Metaxas cercò di sganciarsi progressivamente dall'Inghilterra, per portare la Grecia, che nel febbraio 1934 aveva aderito all'Intesa balcanica, al fianco delle potenze dell'Asse. Ma quando, dopo l'annessione dell'Albania operata da Mussolini (aprile 1939), le mire italiane sulla Grecia si fecero minacciose, a tal punto che venne richiesta la concessione di occupare le zone strategiche del paese, Metaxas decise di difendersi con le armi: il 28 ottobre 1940 l'Italia iniziò così le operazioni militari sul confine greco-albanese con una parte delle otto divisioni che presidiavano l'Albania al comando del generale Visconti Prasca.

Più tardi, nell'aprile 1941, i Tedeschi vennero in aiuto delle truppe italiane, poste in difficoltà dalla inattesa resistenza greca. Dopo la conquista di Corinto effettuata dai paracadutisti, tra il 27 e il 30 aprile le truppe dell'Asse occuparono Atene e la Morea. In precedenza Giorgio II si era ritirato a Creta, difesa dai Britannici. Il 20 maggio l'isola fu attaccata dai paracadutisti. Dopo la perdita della Canea (27 maggio), gli Inglesi si reimbarcarono (28-31 maggio) e Giorgio II trasferì il suo governo al Cairo, dove fu raggiunto da numerosi patrioti che combatterono poi nelle file alleate. I Tedeschi insediarono ad Atene il governo satellite del generale Tsolakoglon, contro cui un'intensa guerriglia fu condotta, sin dal marzo 1942, dalle organizzazioni della Resistenza: comunisti dell'EAM (Fronte nazionale di liberazione) e dell'ELAS (Esercito nazionale popolare di liberazione), moderati dell'EKKA (Lega nazionale sociale di liberazione) e dell'EDES (Esercito nazionale democratico greco). Esasperata dal servizio obbligatorio del lavoro, la popolazione favorì la guerriglia in misura sempre maggiore; finché, il 10 marzo 1944, fu creato un Comitato provvisorio di liberazione nazionale.

Intanto Giorgio II chiamò a far parte del governo Papandreu, costituitosi in esilio, rappresentanti di tutte le correnti, e si impegnò a rientrare in Grecia dopo un plebiscito. Dopo l'offensiva russa in Romania (agosto 1944), i Tedeschi evacuarono la Grecia (ottobre): contemporaneamente, il 14 ottobre gli Inglesi sbarcarono al Pireo. Ma i partigiani dell'estrema sinistra, che confluivano in un fronte nazionale a direzione comunista, si rifiutarono di deporre le armi e, il 3 dicembre, iniziarono la lotta armata contro gli Inglesi. Il re cedette allora i suoi poteri a un reggente, il metropolita di Atene monsignor Damaskinos (Dhamaskinos), il quale affidò la direzione del governo al generale Plastiras (gennaio 1945). Il 12 febbraio fu conclusa, con l'EAM-ELAS, la tregua di Varkiza. Ma alle elezioni del 31 marzo 1946 i partiti di sinistra si astennero dal voto e i populisti (monarchici), usciti da esse vincitori, organizzarono il plebiscito del 1s settembre che richiamò al trono Giorgio II.

In seguito al rifiuto dell'estrema sinistra di accettare l'autorità del re, la guerra civile riprese sulle montagne del Nord, alimentata dalle forze del generale Markos: questi creò in dicembre a Konitsa, in Epiro, un governo provvisorio della Grecia libera che ebbe subito l'appoggio sovietico. A condurre la lotta contro Markos furono dapprima gli Inglesi, in seguito, a partire dal marzo 1947, gli Americani, che rifornirono le truppe governative del materiale necessario. Veniva firmato intanto a Parigi (febbraio 1947) il trattato di pace con l'Italia, che assegnava alla Grecia le isole di Rodi e del Dodecaneso. Poco dopo moriva Giorgio II, al quale succedeva il fratello Paolo I.

La guerra civile ebbe fine nell'ottobre 1949 con la conquista, da parte delle forze governative del maresciallo Papagos, dei monti Grammos, principale zona di operazioni degli insorti. Le elezioni del marzo 1950 diedero la vittoria al partito progressista del generale Plastiras, che nell'aprile 1950 formò il governo. Ma i partiti di destra si riorganizzarono, sotto la direzione del maresciallo Papagos, nel Raggruppamento ellenico, mentre il figlio di Venizelos costituiva una Unione dei partiti di centro.

In virtù della propria importanza sulla rotta mediterranea del petrolio la Grecia, che era uscita dalla guerra in condizioni di estrema miseria, godette largamente dell'aiuto americano e fu ammessa alla NATO (febbraio 1952). Nel novembre dello stesso anno il maresciallo Papagos costituì, su basi più stabili, il suo secondo governo. Per migliorare la situazione economica e finanziaria il ministro Markezinis svalutò la dramma (aprile 1953) e firmò con la Cecoslovacchia e la Germania Occidentale convenzioni commerciali dirette a incrementare le esportazioni (1954). Seguì una politica di pacificazione con gli Stati vicini: nel 1953 vennero firmati trattati con la Iugoslavia e la Turchia e si ebbe la ripresa delle relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica. Dopo la morte di Papagos (ottobre 1955) fu costituito il governo Karamanlis, che si appoggiava al partito dell'Unione nazionale radicale (ERE).

Avendo prevalso di stretta misura nelle elezioni del febbraio 1956, il governo Karamanlis fu però costretto a dimettersi nel marzo 1958 in seguito alla defezione di quindici deputati della maggioranza. Le elezioni del maggio successivo si conclusero con una netta affermazione dell'ERE, che sui 300 seggi del parlamento ne ottenne 179 contro i 45 dei partiti di centro e i 79 dell'Unione democratica delle sinistre (EDA), espressione quest'ultima dell'elettorato comunista e socialista, dopo l'interdizione legale del partito comunista greco, avvenuta nel 1947. La nuova maggioranza godette, nei due anni successivi, di una relativa stabilità, grazie anche al passaggio nelle file governative del leader di centro Panayotis Canellopulos (gennaio 1959) e all'uscita dal partito liberale di un gruppo di deputati capeggiato da Giorgio Papandreu, che dava vita al partito liberale democratico (aprile dello stesso anno). L'accentuato indirizzo conservatore e anticomunista dell'ERE suscitò, particolarmente dopo l'incarcerazione del dirigente comunista Manolis Glezos (luglio 1959), vivaci reazioni da parte di vari settori dell'opinione pubblica e del parlamento, costringendo il governo Karamanlis a dimettersi (settembre 1961) e a indire nuove elezioni entro la fine del mese successivo. La nuova tornata elettorale, caratterizzata dal raggruppamento dell'opposizione moderata nella recente formazione politica dell'Unione di centro di Gheorghios Papandreu, vide riconfermata, nonostante il ragguardevole rafforzamento del Centro unificato (100 seggi) a scapito dell'EDA (24), la maggioranza all'ERE (176 seggi), il cui leader Karamanlis assunse per la quarta volta il potere, con un ambizioso programma economico, che prevedeva il raddoppiamento del reddito medio per abitante nel giro di un quinquennio, avvalendosi altresì del trattato di associazione della Grecia al MEC (luglio 1961). La situazione politica, tuttavia, già tesa fin da dopo le elezioni per le accuse lanciate all'ERE da parte del Centro di aver orchestrato un vero e proprio “colpo di Stato elettorale”, prese a precipitare drammaticamente nell'estate del 1963 in seguito all'assassinio, avvenuto nel corso di una manifestazione pacifista, del deputato dell'EDA, Lambrakis (maggio). Nonostante l'allontanamento di Karamanlis dal governo e la sua sostituzione con uomini di fiducia della corte, la tenace opposizione del partito di Papandreu rese necessarie nuove consultazioni elettorali. Le elezioni, tenute nel novembre 1963 e favorevoli in larga misura all'Unione di centro, dovettero essere ripetute nel febbraio dell'anno successivo per una crisi, scoppiata in parlamento in seguito al contributo decisivo dei voti dell'EDA alla formazione di un governo di centro. Il risultato di questa seconda consultazione riconfermò ampiamente il partito di Papandreu che raggiunse con 173 seggi, e la maggioranza assoluta, mentre segnò l'arretramento dell'ERE, che scese a 107 seggi e dell'EDA (20 seggi), il cui elettorato tradizionale si era in massima parte concentrato sulle liste del centro per favorire la definitiva sconfitta di Karamanlis. Nel frattempo moriva il re Paolo I (6 marzo 1964) a cui succedette il figlio Costantino che assunse il nome di Costantino II. Il nuovo gabinetto Papandreu, ottenuta la fiducia dal parlamento (marzo 1964), iniziò fin dal mese successivo a liquidare le misure autoritarie ereditate dal precedente regime, passando a liberare molti prigionieri politici fatti incarcerare all'epoca di Karamanlis. D'altra parte, questi e altri provvedimenti tesi ad assicurare al paese una ripresa della vita democratica non potevano non incontrare forti resistenze negli ambienti politici e militari conservatori, che mal sopportavano l'allontanamento dell'ERE dal potere. La crisi, latente per tutto il 1964, esplose agli inizi dell'anno successivo in seguito all'atteggiamento conciliante assunto da Papandreu a proposito della questione cipriota, che provocò una violenta campagna di stampa contro il governo e la defezione di tredici deputati della maggioranza e di due ministri. A questo si aggiunse il preteso complotto antigovernativo di una società segreta di ufficiali neutralisti, l'Aspidha, attribuito allo stesso figlio del premier, Andreas Papandreu. Le dimissioni del leader del partito di centro, entrato altresì in conflitto con la casa reale (15 luglio 1965), venivano ad aprire un lungo periodo di instabilità politica e sociale nel paese. Violente manifestazioni di piazza in sostegno di Papandreu e a carattere decisamente antimonarchico incominciarono a susseguirsi fin dal 23 luglio successivo, raggiungendo momenti di acuta tensione nel settembre; l'ex leader di centro, Stefanopulos, impresse al governo una svolta autoritaria, procedendo a numerosi arresti di sindacalisti e di manifestanti.

Una nuova ondata di dimostrazioni di massa ebbe luogo a partire dal marzo 1966 con l'annuncio da parte di Papandreu che il suo partito avrebbe aderito alla proposta dell'EDA di costituire un fronte antidittatoriale. D'altro canto, l'impossibilità da parte della corte di assicurare al paese un governo stabile (dalle dimissioni di Papandreu si erano succeduti ben quattro gabinetti) persuase il re a convocare nuove elezioni la cui data venne fissata nel maggio dell'anno seguente. In previsione della campagna elettorale, il 14 aprile 1967 fu sciolto il parlamento. Nella notte tra il 20 e il 21 aprile un colpo di Stato, diretto dal generale Pattakos e dai colonnelli Papadhopulos e Makarezos, interveniva a congelare la situazione, instaurando di fatto una dittatura militare sul paese. Le più importanti misure assunte di lì a poco dal direttorio militare, peraltro dichiaratamente anticomunista, riguardavano l'abrogazione di undici articoli della costituzione, che in pratica venne aggiornata sine die, l'introduzione della censura preventiva sulla stampa, l'arresto e il confino di centinaia di esponenti politici e sindacali. Un controcolpo di Stato venne tentato, senza successo, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre dalle truppe leali al re, mentre lo stesso Costantino abbandonava la Grecia trasferendosi a Roma, dove, nonostante l'epurazione dall'esercito greco dei quadri militari a lui fedeli, intavolò vane trattative con il direttorio di Atene. Intanto il nuovo governo greco fu riconosciuto, dopo un breve periodo di sospensione delle relazioni diplomatiche, dagli Stati Uniti e da altri paesi (gennaio 1968).

La “dittatura dei colonnelli” incontrò una forte opposizione, alla quale reagì con una repressione divenuta spietata dopo il fallito attentato a Papadhopulos da parte di A. Panagulis (agosto 1968). Nel 1969 il Consiglio d'Europa condannò il regime militare di Atene e, per evitare di venire espulsa, la Grecia preferì ritirarsi dal Consiglio stesso. Nell'aprile 1969, a Stoccolma, alcuni gruppi dell'opposizione diedero vita a strutture comuni di resistenza, ma nel complesso l'opposizione faticò a trovare una compattezza interna. Un elemento di contrasto era rappresentato dall'atteggiamento nei confronti della monarchia; i partiti di destra infatti si mantennero fedeli al sovrano in esilio a Roma. Nell'ottobre 1971, comunque, l'opposizione riuscì a dar vita a un proprio Consiglio nazionale.

I militari inizialmente mantennero la forma monarchica, ponendo un reggente, il generale G. Zoitakis, a capo dell'esecutivo. Papadhopulos governò, comunque, in modo empirico e frammentario, giacché le due costituzioni, la prima del 28 settembre 1968 e la seconda del 29 luglio 1973, non furono mai applicate.

Nel 1971, per fronteggiare la crisi economica, Papadhopulos allontanò dal governo la maggior parte dei militari e li sostituì con tecnici. Nel marzo 1972 licenziò il generale Zoitakis e assunse egli stesso le funzioni di reggente. Liberò inoltre numerosi prigionieri politici al fine di dare un'immagine moderata del proprio regime. Furono chiusi alcuni campi di concentramento e varie prerogative dei tribunali militari speciali vennero trasferite ai tribunali ordinari. Nel gennaio 1972 venne revocata inoltre, anche se solo parzialmente, la legge marziale.

Un valido appoggio al regime venne dagli Stati Uniti, che nel settembre 1970 revocarono l'embargo delle forniture di armi alla Grecia e nel 1972 consegnarono alcuni cacciabombardieri all'aviazione greca, dopo che il Pireo era diventato un porto d'appoggio per le unità della 6S flotta.

Nel 1973, oltre alla ripresa delle manifestazioni nelle università, si registrarono tentativi di colpi di Stato monarchici. Papadhopulos reagì destituendo formalmente re Costantino e proclamando la repubblica il 1° giugno. Subito dopo si fece eleggere presidente mediante un referendum popolare. Nell'occasione fu abrogata del tutto la legge marziale e venne proclamata l'amnistia generale. Il 6 ottobre venne formato un governo civile presieduto da S. Markezinis, un esponente del vecchio regime parlamentare. Una protesta di studenti e operai, che occuparono il politecnico di Atene, fu soffocata nel sangue nel novembre successivo, ma il 25 dello stesso mese Papadhopulos fu arrestato in seguito a un colpo di Stato militare. Il suo posto fu preso dal generale P. Ghizikis, anche se l'ispiratore del colpo di Stato era D. Ioannidis, capo della polizia segreta.

Il regime si preoccupò principalmente di rinsaldare l'unità dell'esercito, favorito in ciò dalla tensione con la Turchia, esplosa nei primi mesi del 1974. Il 15 luglio dello stesso anno la crisi di Cipro portò la Grecia sull'orlo della guerra con la Turchia. La guerra fu scongiurata dall'intervento dell'ONU, che impose una tregua nell'isola. Il mancato successo nella questione di Cipro provocò la caduta della dittatura. Furono gli stessi militari ad abbandonare il potere: il 23 luglio il generale Ghizikis richiamò in patria K. Karamanlis, che formò un governo di civili, impegnandosi a riportare la democrazia nel paese.

Il nuovo governo proclamò un'amnistia generale per i reati politici, chiuse i campi di concentramento e abrogò la costituzione dei colonnelli, tornando allo statuto del 1952. Il 14 agosto, in seguito alla ripresa delle ostilità da parte dei Turchi a Cipro, la Grecia si ritirò dalla NATO, accusando gli Stati Uniti di aver sostenuto la Turchia nella crisi al fine di assicurarsi nuove basi militari per il Medio Oriente. La Grecia venne riammessa al Consiglio d'Europa nel novembre 1974 e nello stesso mese le elezioni generali permisero al partito di Karamanlis, la Nuova Democrazia, di assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. L'8 dicembre si svolse il referendum istituzionale, che confermò la repubblica. Nel giugno 1975 entrò in vigore la nuova costituzione e C. Tsatsos venne eletto presidente della repubblica.

Nel 1976 la tensione con la Turchia, a causa della disputa sulle acque territoriali dell'Egeo, portò nuovamente sull'orlo della guerra i due paesi. Nel novembre 1977 le elezioni politiche anticipate, volute da Karamanlis, sancirono la sconfitta della Nuova Democrazia, che perdette la maggioranza assoluta dei voti ma non quella dei seggi in parlamento. Tra i partiti dell'opposizione si affermò il PASOK (Movimento socialista panellenico) di A. Papandreu, che conquistò il 25% dei voti. Nel 1978 e nel gennaio 1979 Karamanlis ebbe due incontri con il premier turco Ecevit sulla questione dell'Egeo. Nel maggio successivo venne firmato un accordo, in base al quale la Grecia veniva ammessa alla CEE a partire dal 1° gennaio 1981. Il 5 maggio 1980 Karamanlis venne eletto presidente della repubblica e il suo posto alla guida del partito e del governo fu preso da G. Rallis. Nell'ottobre 1981, però, il PASOK ottenne la maggioranza assoluta nelle elezioni politiche e A. Papandreu formò un governo interamente socialista. Questo avviò gradualmente una politica di riforme (modifica del codice civile, rinnovamento del sistema scolastico) e rafforzò l'immagine della Grecia quale paese non allineato. Le difficoltà permanevano soprattutto nel campo economico, sia per l'arretratezza delle strutture sia per la sfavorevole congiuntura internazionale. Nel luglio 1983 venne firmato un accordo con il governo di Washington relativo alle basi americane in Grecia. L'accordo prevedeva l'uso delle basi esclusivamente per scopi comuni di difesa e la possibilità di diminuirne il numero a partire dal 1988. Contemporaneamente gli Stati Uniti si impegnavano a garantire l'equilibrio delle forze tra Grecia e Turchia. Malgrado ciò, non vennero sopite le tensioni con la NATO e nel 1983, come poi nel 1985, la Grecia non prese parte alle manovre dell'organizzazione.

Nel marzo 1985, sostenuto dal PASOK, C. Sartzetakis, il magistrato che nel 1963 aveva smascherato i mandanti (tutti esponenti della destra golpista) dell'assassinio del deputato democratico Lambrakis, venne eletto presidente della repubblica. Le elezioni politiche anticipate del giugno successivo confermarono, malgrado una lieve flessione, la maggioranza assoluta dei seggi al PASOK e Papandreu formò il nuovo governo.

Deciso ad affrontare la grave situazione economica, Papandreu nell'ottobre successivo bloccò per due anni gli aumenti salariali, provocando la reazione dei sindacati. Nel marzo 1986 il parlamento modificò la costituzione, limitando i poteri del presidente e rafforzando quelli del primo ministro e del parlamento. Nel frattempo Atene fu teatro di attentati in parte diretti contro obiettivi americani, in parte però legati alle tensioni in Medio Oriente. L'impopolarità della politica economica di Papandreu costò al PASOK la sconfitta nelle elezioni amministrative dell'ottobre 1986, che sancirono il successo della Nuova Democrazia e l'avanzata del partito comunista filosovietico. Subito dopo Papandreu attuò l'ennesimo rimpasto del governo. Nel marzo 1987 la rinuncia da parte della Turchia a effettuare ricerche petrolifere nelle acque contese dell'Egeo allentò le tensioni tra i due paesi dopo un grave incidente di frontiera del dicembre precedente. Subito dopo il parlamento greco approvò il disegno di legge governativo sulla confisca delle proprietà agricole della Chiesa ortodossa e il loro passaggio a cooperative statali. Dopo le vivaci proteste della Chiesa e della destra, l'accordo tra il governo e la Chiesa, nel novembre successivo, pose termine alle tensioni. Nel gennaio 1988, durante un incontro a Davos, in Svizzera, i primi ministri di Grecia e Turchia si impegnarono a stabilire rapporti pacifici tra i due paesi. L'incontro fu seguito da una dichiarazione sottoscritta a Bruxelles nel marzo successivo e dalla visita ad Atene del premier turco T. Ozal in giugno. Successivamente la popolarità di Papandreu è stata appannata da alcuni scandali legati a vicende private (divorzio e nuovo matrimonio), ma anche alla corruzione di esponenti dell'amministrazione, del partito e dello stesso governo. Le elezioni del giugno 1989, pur avendo dato la maggioranza al partito della Nuova Democrazia, non hanno tuttavia consentito la formazione di una solida maggioranza governativa: il governo di T. Tzannetakis, comprendente due ministri comunisti, dopo aver eseguito il suo compito di “purificazione” politica (luglio- ottobre 1989) ha ceduto il passo a un governo provvisorio per gestire nuove elezioni (5 novembre), vinte dalla Nuova Democrazia di C. Mitsotakis, che però non ha raggiunto la maggioranza assoluta. È stato quindi formato un governo temporaneo, guidato dall'ottantacinquenne economista X. Zolotas, appoggiato dal PASOK e dai comunisti. Le elezioni dell'8 aprile 1990 hanno visto la vittoria di Nuova Democrazia che ha conquistato 150 dei 301 seggi e Mitsotakis ha formato il nuovo governo. Subito dopo C. Karamanlis è stato eletto presidente della repubblica. La politica economica del nuovo governo si è rivolta in particolare alla privatizzazione mentre in ambito estero la Grecia rivalutava i rapporti con i paesi europei e con gli Stati Uniti (nel 1991 un presidente visitava il paese, prima volta dal 1959); una grave crisi si apriva però al confine con la Macedonia per il rifiuto della Grecia a riconoscerne l'indipendenza con nome e simboli ritenuti patrimonio culturale greco. Il permanere delle difficoltà economiche ha riportato il paese ad elezioni, nell'ottobre 1993, vinte dal PASOK; Papandreu è così ritornato al potere, già minato dalla malattia e nonostante le divisioni interne al suo partito tra la sua corrente e l'ala più favorevole al rinnovamento. Nonostante il malcontento per le misure d'austerità imposte, il PASOK si è riconfermato alle amministrative e alle europee del 1994, mentre l'anno successivo è stato eletto alla presidenza Costis Stefanopoulos, della destra liberale. Dopo un rimpasto ministeriale nel 1995, Papandreu è stato nuovamente colpito dalla malattie e dopo un lungo ricovero ha dato le dimissioni nel gennaio del 1996 (è scomparso nel giugno dello stesso anno); è stato sostituito da Kostas Simitis, della corrente riformatrice del PASOK e già ministro dell'industria dimissionato nell'ultimo rimpasto. Alla guida di Simitis i socialisti sono riusciti a vincere anche alle elezioni anticipate dal 1996, premiando così la sua linea europeista. Più distesi sono infatti diventati i rapporti su questo versante con la sottoscrizione di un accordo di riconoscimento reciproco con la Macedonia (a condizione della revoca dell'embargo per la Grecia, condannato anche dall'UE, e dell'eliminazione del vessillo nazionale “sole di Vergina” dalla bandiera per la Macedonia); più complesse permangono la questione turca, sia per le dispute sull'estensione delle acque territoriali e sul controllo del Mar Egeo sia per la situazione cipriota, e quella albanese, per le accuse di maltrattamenti nei confronti della minoranza greco-ortodossa in Albania. Negli anni Novanta inoltre, in controtendenza con altri paesi europei, l'ultimo re Costantino e la sua famiglia sono stati privati della cittadinanza greca e di tutti i loro possedimenti sul territorio nazionale.

La Grecia è membro dell'ONU, dell'OCDE, del Consiglio d'Europa e dell'Unione Europea.


Storia militare

Se gli insorti greci del 1821 furono i precursori dell'esercito greco moderno, per veder nascere il regio esercito ellenico si dovette aspettare la legge militare del 1880, che introdusse il servizio militare obbligatorio pur concedendo numerosi esoneri.

Dal 1886 l'esercito greco, i cui effettivi non superavano i 30.000 uomini, beneficiò per la sua organizzazione e il suo addestramento della presenza di una missione militare francese, mentre una missione britannica operò a favore della marina. Nel 1911, Venizelos riorganizzò l'esercito che, nel 1912-1913, partecipò alle campagne dei Balcani con 100.000 uomini raggruppati nelle armate di Tessaglia (7 divisioni) e dell'Epiro (ca. 1 divisione) che conclusero vittoriosamente il confronto con i Turchi e con la Bulgaria. La Grecia scese nuovamente in guerra il 26 giugno 1917 contro gli Imperi centrali; nel 1918, nello scacchiere macedone, l'esercito schierò 9 divisioni (ca. 100.000 uomini) le cui perdite assommarono a 5.000 uomini. I disastri della guerra greco-turca del 1922 e l'espansione territoriale della Grecia resero necessaria una riforma completa dell'organizzazione militare. Nel 1940 l'esercito greco poteva contare su una forza di 14 divisioni di fanteria e di 1 divisione di cavalleria, che sotto la guida di Papagos affrontarono vittoriosamente l'aggressione italiana, soccombendo poi di fronte all'invasione nazista del 1941. Una brigata greca, ricostituita in Egitto nel 1942, partecipò successivamente alla campagna d'Italia con le forze britanniche.

La seconda guerra mondiale costò alla Grecia 520.000 morti, di cui solo 20.000 militari. Appena uscite dalle terribili prove del conflitto, le popolazioni elleniche dovettero subire le conseguenze della guerra civile. Ritornata la pace all'interno, la Grecia beneficiò dell'aiuto finanziario e militare degli Stati Uniti. Nel 1952 essa aderì, con la Turchia, alla NATO, in seno alla quale queste due potenze hanno avuto un ruolo importante per la loro posizione strategica nel Mediterraneo orientale. Il colpo di Stato dei colonnelli del 1967, mantenne la Grecia nella NATO e la loro politica fu appoggiata dagli Stati Uniti; con essi, nel 1973, fu rinnovato l'accordo del 1953 e furono concesse facilitazioni alla VI flotta americana del Mediterraneo nelle zone di Eleusi e di Megara. Nel 1974, dopo la caduta dei colonnelli, il governo decise di ritirare le forze armate dalla NATO, riammesse poi nel 1980.

Il governo greco dedica alle forze armate assegnazioni di bilancio che dal 5,1% del PNL del 1974 sono salite al 7,1% del 1988. La Grecia dispone oggi (1997) di 159.000 uomini di cui 125.000 di leva con coscrizione che varia da 15 a 23 mesi a seconda delle categorie e delle Armi. L’esercito conta 114.000 uomini con una divisione corazzata, una meccanizzata, nove fanteria, cinque brigata indipendenti di fanteria e due meccanizzate, una brigata fanteria marina, un reggimento paracadutisti, uno commando, uno anfibio. I mezzi comprendono 1.000 carri armati, 2.200 veicoli da combattimento della fanteria, 1.300 cannoni, 160 elicotteri e 150 aerei leggeri. La marina dispone di 19.500 uomini con 10 cacciatorpediniere, 10 fregate, 5 corvette, 10 sommergibili, circa 40 motovedette. L’aviazione navale ha 18 elicotteri. L’aviazione conta 25.000 uomini con circa 350 aerei da combattimento, 40 da trasporto e 31 elicotteri.


Costituzione

In base alla costituzione del 7 giugno 1975, emendata nel marzo 1986, la Grecia è una repubblica parlamentare. Il potere legislativo è esercitato dal parlamento, costituito da una sola camera composta di 300 membri eletti ogni quattro anni a suffragio universale. Compito del parlamento è anche quello di eleggere il presidente della repubblica. Il potere esecutivo spetta al governo, che è responsabile della sua attività di fronte al parlamento. Il primo ministro, designato dal presidente, sceglie i ministri, ma deve poi avere la fiducia del parlamento.

Amministrativamente la Grecia è divisa in regioni e nomi.


Letteratura e filosofia

Letteratura greca anticaLetteratura greca antica

Spontanea d'ispirazione, popolare d'origine, splendida nelle forme e ricca di eterni e universali valori umani, la letteratura costituisce una delle manifestazioni più significative del genio creatore del popolo greco. La sua storia, che si inizia con i poemi omerici e per convenzione si chiude con la soppressione della scuola d'Atene (529 d.C.), suole essere variamente distinta in periodi. Sulla base dei centri più importanti in cui fiorì successivamente (Ionia, Atene, Alessandria, Roma e Bisanzio), si considerano quattro periodi.

Ionico, dalle origini alle guerre persiane (dal IX-VIII al V sec.a.C.)

Centro dell'attività letteraria, quasi esclusivamente poetica, furono la Ionia e le isole dell'Egeo. Fiorì l'epica che nei secc. IX-VIII produsse, come splendido frutto di una tradizione che risaliva molto indietro nel tempo, l'Iliade e l'Odissea, seguite dai poemi ciclici e didattici (Esiodo); la lirica si svolse con originalità di contenuto e di forma nei generi più disparati, dal melico, monodico e corale (Saffo, Alceo, Alcmane, Stesicoro), ed elegiaco (Tirteo, Mimnermo, Solone, ecc.) a quello giambico (Archiloco, Ipponatte). Cantò la guerra per la patria (Tirteo), la passione politica (Alceo), i valori morali (Solone), il destino degli uomini (Mimnermo, Simonide di Ceo), l'impeto dei sentimenti (Archiloco), e l'amore sia ardente (Saffo) sia raffinato (Anacreonte). La filosofia diede i primi saggi del suo vigore speculativo sia in versi (Senofane, Empedocle, ecc.) sia in prosa (Ferecide di Siro, Eraclito, ecc.), la quale già nelle prime manifestazioni si rivelò strumento idoneo a esprimere i risultati dell'indagine storica (Ecateo di Mileto) e gli intenti moralistici della favola (Esopo).


Attico, dalle guerre persiane ad Alessandro ( secc. V-IV a.C.)

Il centro culturale si trasferì dalla Ionia ad Atene nell'Attica, divenuta la capitale intellettuale e artistica del mondo ellenico. Fu l'età classica per eccellenza, in cui la poesia corale raggiunse cime eccelse con Pindaro e la drammatica creò sommi capolavori nella tragedia con Eschilo, Sofocle ed Euripide e nella commedia con Aristofane. Splendido pure il rigoglio dei vari generi della prosa, nella storia (Erodoto, Tucidide), nell'eloquenza giudiziaria, epidittica e politica (Lisia, Isocrate e Demostene) e nei dialoghi e trattati filosofici (Platone e Aristotele).


Ellenistico, da Alessandro ad Augusto (secc. IV- I a.C.)

Il centro dell'attività letteraria e scientifica si spostò ad Alessandria e nelle capitali di popoli ellenizzati (Pergamo, Antiochia). Svigorito lo spirito creativo (ancor vivo in Atene nelle scuole filosofiche e nella commedia menandrea) nella poesia o si imitarono generi del passato, come l'epopea (Apollonio Rodio), il poema didattico (Arato) e l'inno (Callimaco) o sulla loro falsariga se ne crearono altri di diversa intonazione e di limitato respiro, come l'epigramma e l'epillio, o infine se ne inventarono nuovi, informati a un minuto realismo (mimi di Eroda), a uno squisito, e spesso ricercato, senso della natura (idilli di Teocrito) e a compiacenze erudite (Callimaco). Complessa fu la produzione in prosa, soprattutto nella storiografia, soggetta ora alla retorica, ora all'erudizione, con la sola eccezione del pragmatista Polibio; vasta e caratteristica l'attività nel campo delle scienze esatte (Eratostene, Euclide, Archimede, ecc.) e filologiche, soprattutto nel dominio dell'erudizione e della critica del testo (Aristofane di Bisanzio, Aristarco, ecc.).


Greco - romano (dal 30 a.C. al 529 d.C.)

Oltre cinque secoli di storia nell'ambito dell'Impero romano, trascorsi nell'imitazione del passato, con rare, e pur sempre modeste, manifestazioni di attività creativa o innovatrice. La lingua fu impoverita dalle esigenze del purismo e della retorica, ma mentre mancò ogni originalità nella poesia, nella prosa si ebbero ancora scrittori di notevole rilievo, quali Plutarco con le sue biografie e i trattati morali, Luciano con le sue satire brillanti, gli storici Dionigi di Alicarnasso e Dione Cassio, i filosofi Epitteto e Marco Aurelio, il geografo Strabone, l'astronomo Tolomeo e il medico Galeno. Il diffuso fervore per gli studi critici insieme con quelli grammaticali, giunse a un nuovo criterio estetico soltanto nell'anonimo autore del Sublime, mentre i numerosi compilatori, eccetto Ateneo, si mantennero su un piano di interessi popolari (Eliano). Neppure la seconda sofistica (Elio Aristide, Libanio, Giuliano l'Apostata) apportò elementi di un vitale rinnovamento, costituendo un fenomeno letterario che, culturalmente valido, mortificò però nella precettistica retorica l'individualità e lo spirito creativo. Solo il cristianesimo, che si servì del greco per la sua diffusione, a cominciare dal III sec. entrò nella letteratura con l'ardore di una fede che dava nuovo significato e valore alla vita. La polemica con il passato suscitò fervore di opere apologetiche e teologiche (Clemente Alessandrino, Origene) e, in seguito, dogmatiche (Atanasio, i tre Cappadoci, ecc.), alle quali si contrappose il neoplatonismo di Plotino. Fu l'ultimo sforzo speculativo del pensiero greco, mentre il centro culturale (secc. IV-V d.C.) si spostava a Bisanzio. (V. BIZANTINO [Impero], Letteratura.)


Storia della filosofia greca antica

La filosofia greca antica incluse nei primi secoli della sua storia il sapere umano in tutti i suoi aspetti. La separazione e lo sviluppo autonomo delle singole scienze si verificarono solo in epoca relativamente tarda. I primi filosofi greci affrontarono con interesse prevalente (ma non esclusivo) la questione dell'origine e della natura dell'universo. La ricerca di un principio identico e costante sotto le mutevoli apparenze del divenire portò a soluzioni differenti e al formarsi di varie scuole: la ionica, la pitagorica, l'eleatica. Gli ionici credettero di trovare il principio delle cose in una “materia animata”, capace di trasformarsi nell'infinita varietà del molteplice: per Talete (fiorito fra la fine del VII e il principio del VI sec. a.C.) tale materia è l'acqua, per Anassimandro l'indeterminato (in gr. ápeiron), per Anassimene l'aria, per Eraclito, particolarmente sensibile all'incessante movimento della realtà, il fuoco. Anassagora pensò a una molteplicità infinita di elementi originari e ritenne anche che fosse necessario presupporre l'azione di una mente (in gr. nûs) ordinatrice. Il pitagorismo, che alle sue origini fiorì nella Magna Grecia (VI sec. a.C.), affermò che la realtà è numero, forse movendo dalla constatazione che intendere le cose equivale a numerarle e a misurarle. L'organizzazione della scuola ebbe il carattere di una comunità sacerdotale e le dottrine morali e religiose seguite dagli adepti risentirono dell'influenza del culto dei misteri. La scuola eleatica accentuò l'opposizione fra l'apparenza colta dai sensi e la realtà individuata dalla ragione, affermò con Parmenide l'unicità e l'immutabilità dell'Essere e mise in luce con i celebri paradossi di Zenone le difficoltà intrinseche alle nozioni di molteplicità e di movimento. E, proprio dall'approfondimento degli argomenti di Zenone, Leucippo sarebbe stato condotto, secondo una tradizione, a formulare la teoria atomistica, sviluppata poi da Democrito: il movimento nel vuoto di particelle elementari indivisibili è principio di spiegazione sufficiente di tutta la realtà.

Tra la fine delle guerre persiane (478-477 a.C.) e l'inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.) si ebbe in Atene uno straordinario fervore di vita politica e intellettuale e si diffuse una curiosità aperta e spregiudicata per i problemi dell'uomo e per le tecniche della convivenza. La sofistica (seconda metà del Vsec. a.C.) fu espressione di questi nuovi interessi, ma parve che le sue conclusioni negative minassero le basi di ogni certezza. Movendo dalla stessa problematica dei sofisti Socrate pervenne invece ad ancorare alla persuasione razionale i valori necessari alla vita dell'individuo e della città. Da Socrate derivarono le cosiddette scuole socratiche minori: quella di Megara, fondata da Euclide, che cercò di conciliare l'etica socratica con l'eleatismo e amò le argomentazioni paradossali e le dispute sottili; quella di Elide, fondata da Fedone e trasferita a Eretria da Menedemo (IIIsec. a.C.); quella di Cirene, legata all'esperienza di vita di Aristippo e caratterizzata dall'identificazione del bene col piacere; quella cinica infine, che derivò dall'insegnamento di Antistene e perseguì l'ideale di una saggezza autosufficiente e di una limitazione rigorosa dei bisogni (Diogene di Sinope). Ma il vero erede dell'insegnamento socratico fu Platone, che seppe rivivere con adeguata intensità l'impegno morale e politico del maestro e dette vita, con la sua teoria delle Idee, a un indirizzo filosofico destinato a straordinaria fortuna. Dopo la morte del fondatore guidarono la scuola platonica (Accademia) prima il nipote Speusippo, poi Senocrate, Polemone, Cratete e Crantore, che svuotarono il platonismo del suo contenuto etico-politico e affrontarono problemi scientifici particolari, soprattutto di matematica e di astronomia. Ma la figura di gran lunga più importante della filosofia greca dopo Platone è quella di Aristotele, fondatore del Liceo e della scuola peripatetica, creatore di una vasta enciclopedia del sapere, alla quale la civiltà occidentale guardò per molti secoli come a una conquista definitiva. Teofrasto, l'autore dei Caratteri, Eudemo e Stratone furono i peripatetici più notevoli, inclini tutti e tre più alle indagini particolari che alla trattazione di questioni metafisiche. La preoccupazione di aiutare l'uomo a liberarsi dalle angustie di una vita che appariva sempre più precaria caratterizza le nuove scuole filosofiche dell'età ellenistica. Epicuro riprese l'atomismo di Democrito e fondò su di esso un'etica edonistica, che suggeriva però una ricerca moderata e prudente del piacere. Da Zenone di Cizio ebbe origine la scuola stoica, con la sua morale aristocratica del dominio delle passioni e dell'accettazione virile della necessaria razionalità del tutto. Da Pirrone derivò l'atteggiamento, che sarà più tardi chiamato scettico: il saggio non ha opinioni, preferisce mantenere il silenzio e acquista così il bene supremo dell'imperturbabilità. Arcesilao fondò la Seconda o Media accademia, che ebbe come tema dominante la polemica contro il dogmatismo stoico. Con Carneade ebbe inizio la Terza o Nuova accademia, che alla certezza stoica sostituiva il più cauto criterio del probabile (in gr. pithanón).

Le dispute fra tutte queste scuole e i tentativi di combinare variamente motivi tratti dalle singole dottrine (eclettismo) si protrassero per tutto il I sec. a.C. e giunsero fino agli inizi dell'era cristiana. Nel mondo romano lo stoicismo conobbe un nuovo splendore con Seneca, Epitteto e Marco Aurelio; l'epicureismo fu cantato come dottrina liberatrice nell'alta poesia di Lucrezio; Enesidemo riprese a propagare da Alessandria i temi dello scetticismo di Pirrone. L'ultima manifestazione della grande tradizione filosofica greca fu la scuola neoplatonica, che ebbe origine in Alessandria con Ammonio Sacca, raggiunse il suo vertice a Roma con l'insegnamento di Plotino, riebbe il suo centro in Alessandria con Porfirio e Giamblico e infine conchiuse la sua vita in Atene con Proclo. Il neoplatonismo, sintesi originale di motivi platonici, pitagorici, stoici e aristotelici, influenzò direttamente il pensiero cristiano e indirettamente molti orientamenti della filosofia moderna.

Nel 529 un editto di Giustiniano ordinò la chiusura di tutte le scuole pagane. Gli ultimi maestri della scuola d'Atene si rifugiarono per qualche tempo in Persia, dove però non trovarono fortuna. La storia della filosofia greca antica era così conclusa.


Letteratura greca moderna

La storia della letteratura neoellenica, il cui inizio si fa coincidere per convenzione con la caduta di Costantinopoli e la fine dell'Impero bizantino (1453), si può suddividere in tre grandi periodi: il primo (1453-1820), caratterizzato da manifestazioni regionali; il secondo (1820-1920), da una produzione a carattere nazionale; il terzo (dal 1920), dal rinnovamento delle tecniche.

1. Durante il primo periodo si distinguono due indirizzi in stretto rapporto con gli avvenimenti politici. I territori greci, caduti sotto la dominazione turca, vennero a trovarsi in una situazione sfavorevole allo sviluppo delle lettere, che, per contro, ebbero una rigogliosa fioritura dove, come nelle isole, l'ellenismo non rientrava ancora nella sfera ottomana. Questa produzione insulare, che corrisponde alla prima tendenza, si ebbe, per due secoli e mezzo, soprattutto in cinque centri: Rodi (con i canti popolari e l'opera poetica di Georgilla), Chio (che, sotto i Genovesi, fu sede di attività poetica), Cipro (dove con i sonetti e le poesie d'amore perdurò il petrarchismo, mentre le cronache preannunziarono la prosa popolare), le isole Ionie (con poemi didattici o storici) e soprattutto Creta. Centro di un'intensa vita intellettuale, l'isola diede una produzione letteraria di carattere sia realista sia idealista, nella quale emergono opere come il poemetto La pastorella e il poema epico-romanzesco Il tormentato d'amore. Anche il teatro, dopo un lungo periodo di decadenza, ebbe a Creta, durante il XVII sec., una reale fioritura con il dramma (Il sacrificio d'Abramo, mistero in due atti; Erofile, cupa tragedia) e con la commedia (Ghipars, tragicommedia pastorale; Stathis, commedia di costume). Frattanto, a Costantinopoli si era prodotta una profonda frattura con l'Occidente soprattutto dopo l'esodo degli eruditi e degli uomini di lettere. La produzione letteraria è costituita quasi esclusivamente da trattati di teologia e da scritti di carattere educativo a opera di membri del clero ortodosso, unici continuatori della cultura ellenica. Già nel XVII sec., i Fanarioti, membri di antiche e nobili famiglie, raccolte intorno al patriarca di Costantinopoli, cominciarono a interessarsi dei valori intellettuali e perseguirono il compito del clero. Inoltre i contatti che dal XVIII sec. si ristabilirono con l'Occidente servirono a conservare e a rafforzare i valori della grecità. La letteratura assunse un carattere più erudito che creativo, servita da una lingua artificiosa, dotta. Frattanto si era andata sviluppando una corrente popolare derivata da canzoni di varia ispirazione. Nel tentativo di dare alla Grecia una lingua ufficiale atta a soddisfare le esigenze dell'ellenismo, si scatenarono accanite polemiche tra i sostenitori del purismo di Kodricas e quelli del volgare più pretto di Vilaras, mentre una posizione più moderata fu quella assunta dai seguaci di Adamandios Korais (1748-1833) il quale, oltre che per i suoi sforzi diretti a una riforma della lingua, esercitò una notevole influenza sui contemporanei pubblicando i classici greci con prefazioni che risvegliarono il sopito patriottismo del suo popolo.

2. Il periodo nazionale della letteratura greca, legato al grande movimento dell'indipendenza ellenica, si compì in due tempi con una duplice rivoluzione nella poesia e nella prosa. All'inizio del XIX sec., nelle isole Ionie, Dionisios Solomos (1798-1857) attinse alle fonti popolari per creare una lingua poetica, e la sua opera costituisce, nella Grecia moderna, la prima espressione di una concezione filosofica mediante la letteratura. Grande poeta accanto a Solomos, ma isolato e fondamentalmente diverso per la sua opera arcaizzante nel metro e nella lingua, fu Andreas Kalvos (1792-1867). Nell'ambito della scuola ionica, la poesia raggiunse il livello delle letterature europee. I generi poetici si differenziarono: l'ispirazione, liberata dalla tradizione arcaizzante, diede la lirica e l'epopea, preparando così la via alla poesia ateniese. Verso la fine del secolo, infatti, Atene divenne la capitale delle lettere greche, allorquando la poesia e la prosa si liberarono quasi definitivamente dalla tradizione dotta le cui tracce si erano conservate anche dopo la scomparsa dei Fanarioti. Dopo la pubblicazione, nel 1888, dell'opera di Janis Psicharis (1854-1929), intitolata Il mio viaggio, specie di manifesto della nuova scuola che si proponeva di elevare la lingua del popolo (dimotiki) a livello d'arte, la prosa si orientò decisamente verso la lingua volgare. I prosatori cercarono di estendere alla lingua scritta l'uso della lingua parlata, di darle delle norme e di arricchirla per adeguarla alle esigenze dell'espressione. Al racconto, primo prodotto della prosa, seguì il romanzo, di cui furono definite le basi tecniche. Gli autori trassero la loro ispirazione dalla realtà della Grecia moderna: il colore locale, lo studio degli ambienti e dei costumi delle campagne e poi della vita cittadina. Fra i più importanti scrittori ricordiamo: A. Eftaliotis (1849-1923), A. Karkavitzas (1866-1922), G. Xenopulos (1867-1950), P. Nirvanas (1866- 1937) e K. Theotokis (1872-1923). Contemporaneamente la poesia rinnovò le sue forme e si arricchì nei motivi d'ispirazione. Dominato dalla forte personalità di K. Palamas (1859-1943), questo periodo ebbe una fioritura di poeti fra i quali si affermarono soprattutto: G. Drosinis (1859-1951), L. Porfiras (1879-1932), S. Skipis (1881- 1952). Formatosi al di fuori di ogni tradizione e autonomo dagli influssi delle correnti del suo tempo fu K. Kavafis (1863-1933), che seppe fondere con arte raffinata motivi alessandrini e bizantini in una delusa e scettica modernità. L'evoluzione del teatro fu pari a quella della prosa: K. Christomanos (1867-1911) fondò, nel 1901, la Nuova Scena per reagire al purismo; l'anno stesso fu fondato il Teatro Reale, ove furono rappresentate traduzioni e opere originali di ogni genere, dalla tragedia al dramma storico o sociale, alla commedia di costume e al vaudeville.

3. La generazione succeduta a quella dei “demoticisti” deve confrontarsi con un problema insieme nazionale e letterario: da una parte il disastro dell'offensiva condotta in Asia Minore (1922) distrugge le speranze nazionaliste suscitate da Venizelos e porta i giovani di questa generazione a vivere in una Grecia “ristretta” alle dimensioni di un piccolo Stato balcanico; dall'altra essi prendono coscienza del fatto che i loro padri avevano creduto che il ricorso alla lingua del popolo bastasse da solo a fare di un testo scritto in questa lingua un testo di valore letterario. Ed ecco la disillusione cinica dei poemi di un Karyotakis (1896-1928) e le esigenze di G. Theotokas (1906-1966) in Spirito libero (1929). La nuova generazione degli anni Trenta, tanto in prosa quanto in poesia, porta la Grecia sulla via della modernità; mentre l'ombra di Palamas si fa pesante e il lirismo impetuoso di A. Sikelianos (1884-1951) scuote un poco questa gioventù che ricerca la sobrietà, una sobrietà portata alla perfezione dal citato Kavafis, Ghiorgos Seferis (1900-1971, premio Nobel per la letteratura nel 1963), con Leggenda (1935) e altre opere dà alla poesia contemporanea una veste di antica classicità su temi di attualità. Attorno alla rivista Lettere nuove si raggruppano, tra gli altri, A. Embirikos (1901-1975) e N. Engonópulos (n. 1910), che praticano un surrealismo di impronta francese, mentre O. Elytis (n. 1911), partito dall'esperienza surrealista, si orienta poi verso forme più indipendenti e nel 1979 viene insignito del premio Nobel. Tra le voci poetiche si ricordano ancora A. Melachrinos (1880-1952), K. Varnalis (1884-1974) e R. Gholfis (1886-1958).

La prosa, se si eccettua l'opera multiforme di N. Kazantzakis (1885-1957), cerca di superare il racconto regionalistico che aveva caratterizzato le opere di A. Papadhiamandis e di A. Eftaliotis, o il romanzo di colore locale, al quale non sfugge neppure Kazantzakis, per tentare, sulla scia di G. Xenopulos e di K. Theotokis, di creare un autentico romanzo moderno, che affronti i problemi psicologici e sociali dell'uomo contemporaneo nell'universo urbano. Da questo punto di vista la generazione del 1930 non risponde alle speranze riposte in essa: i romanzi di J. Theotokas (1906-1966), fra cui si ricordano Argo (1933) e Leonis (1940), come quelli di A. Terzakis (1909-1979) sono grandi affreschi storici, mentre alla letteratura di guerra si ispirano I. Venezis (1904-1973), S. Myrivilis (1892-1969), T. Kastanakis (1901- 1967) e altri. Fotis Kondoglu (1896-1966) crea un mondo poetico evocando la perduta Asia Minore, come pure il suo compagno K. Politis (1894-1974).


La letteratura contemporanea

Le promesse parzialmente non mantenute della generazione del 1930 furono invece raggiunte dopo la seconda guerra mondiale, sia in prosa sia in poesia, tanto da alcuni scrittori di questa generazione pervenuti a piena maturità, ma soprattutto dalla generazione seguente, quella del 1950, detta “la generazione della disfatta”. Dopo la dittatura fascista (1936-1941) e l'occupazione tedesca, che fu di eccezionale durezza, la Grecia dovette subire altre due prove assai dure: la guerra civile, che dal 1946 al 1950 esaurì le forze più vive del paese e si concluse con la sconfitta della sinistra, e la dittatura dei colonnelli (1967-1974), che soffocò ogni democrazia.

La guerriglia 1946-1949, finita con la disfatta delle forze comuniste, ha contribuito ad accentuare il disagio morale, come si può constatare soprattutto nei rappresentanti della generazione maturata durante la guerra e la Resistenza. Accanto a G. Ritsos (1909- 1990), coerente con il suo atteggiamento di perseguitato politico (Quarta dimensione, 1972), altri poeti, come M. Anagnostakis (n. 1926), esprimono il fallimento degli ideali comunisti, ripiegando su toni dialogici, quotidiani (Poesie 1941-1971, 1972). Anche poeti non impegnati politicamente risentono della crisi: M. Sachturis (n. 1919) popola il suo isolamento di mostri surreali; T. Sinopulos (1917-1981) cerca invano la stabilità stilistica adeguata alla sua ansia; Elena Vakalo (n. 1921) respinge il mondo lirico recuperando zone oscure della coscienza; A. Dikteos (n. 1919) cerca una risposta alla sua angoscia esistenziale nell'esasperazione erotica; N. Karusos (1926-1990) rinuncia alla ricerca del divino; D. Papaditsas (n. 1924) aspira a una sicurezza fuori delle ideologie. I narratori del dopoguerra, tra i quali non mancano vocazioni tardive, esprimono in modo più suggestivo e compiuto la nuova realtà, insistendo sulla crisi dei rapporti umani. Con la diserzione delle campagne, i romanzieri abbandonano la tematica regionale contadina; questa, se mai, costituisce per essi un'esperienza iniziale. D'altra parte la famiglia non rappresenta più per loro un punto di osservazione, come era avvenuto per gli scrittori dell'anteguerra; essi si volgono a una letteratura di “testimonianza”, come Stratos Tsirkas (1911-1980); N. Kasdaglis (n. 1928), dopo aver studiato alcuni adolescenti impegnati nella Resistenza, tagliati fuori dalla famiglia, descrive un campo militare dove conta solo la violenza; V. Vassilikos (n. 1933) analizza il problema dei giovani incapaci di integrarsi nella società (La foglia; Il pozzo; Angelicazione, 1961) o denuncia le atrocità della repressione (L'autodistruzione e Z, 1966, da cui è stato tratto il film Z, l'orgia del potere, di Costa-Gavras). Altri narratori rivelano aspetti della paura attuale: S. Plaskovitis (n. 1917) vive l'angoscia di un villaggio minacciato dal crollo di una diga (La diga, 1960); A. Samarakis (n. 1919) esprime la paura del totalitarismo (Lo sbaglio, 1965), mentre R. Rufos (n. 1924), nel romanzo storico Greculi (1967), vede la Grecia schiacciata tra i blocchi d'Oriente e dell'Occidente. La crisi culturale giunge al suo culmine col regime dei colonnelli. Del clima di repressione instaurato all'interno del paese sono sofferta testimonianza alcuni testi pubblicati all'estero, come la raccolta collettiva Voix grecques (uscita in Francia nel 1973), e le poesie di A. Panagulis (Vi scrivo da un carcere in Grecia, 1974), edite in Italia.

La letteratura della Grecia moderna si è imposta nuovamente all'attenzione di critici e lettori del mondo intero quando, come s'è detto, nel 1979 il premio Nobel è stato assegnato per la seconda volta a un poeta neogreco, Odysseus Elitis (o Elytis, m. 1996), attento e sensibile interprete delle esigenze culturali e spirituali della nostra epoca inquieta attraverso le sue raccolte Tre poemetti sotto bandiera ombra, 1982; Diario di un invisibile aprile, 1984; Il piccolo marinaio, 1985, La stanza con le icone, 1986. Negli ultimi anni il moltiplicarsi di riviste letterarie d'avanguardia, che pubblicano testi sobri e responsabili, testimonia le linee della generazione degli anni Ottanta, che appare molto sensibile e attenta ai problemi che agitano il mondo contemporaneo. Non ha rotto con il suo glorioso passato, ma la continuità del genos (la stirpe) è avvertita ora non più con sterili nostalgie o impossibili ritorni, ma in modo utile e fecondo per meglio affrontare il futuro. La produzione di opere in prosa e in versi è, infatti, in costante crescita. Nella poesia il discorso “ermetico” si è andato man mano risolvendo in una composizione tra riflessiva e narrativa. Fra i giovani autori che prendono le distanze dai maestri che li hanno preceduti sono da segnalare: K. Dimulà (n. 1931), fra i più validi rappresentanti della poesia greca del dopoguerra con le sue raccolte Poesie (1956), Il poco del mondo (1971), Il mio ultimo corpo (1981), Addio mai (1988) e Disertore (1991), K. Ghimosulis, J. Kakulidis, J. Varvellis. T. Livaditis, figura di spicco tra i poeti “politici” del dopoguerra, perseguitato e mandato al confino tra il 1948 e il 1952, insieme con altri intellettuali della sinistra, resta anche dopo la sua morte (1988), una voce lirica di molta influenza sulla produzione degli anni Novanta attraverso le sue raccolte: Poesia I (1952-1956), II (1972-1977) e III (1979-1987). Quanto alla prosa, significativa è la presenza in essa dell'elemento fantastico; tra gli scrittori più recenti il fenomeno si evidenzia nel compiacimento della componente favolistica e onirica pur mantenendo la narrazione in ambito reale. Parecchi giovani hanno dimostrato il loro talento: Duka Maro (n. 1947; La prima città, 1983, In fondo all'immagine, 1990; Un berretto di porpora, 1995), Raftòpulos, Sfakianakis, Dimitriu, Mitsu. In crescita anche la critica che, coltivata da studiosi ormai noti (Savvidis, Asterghiòpulos, Maronitis, Arghiriu, Ziras), guarda con occhio sempre più attento i fatti letterari della propria cultura.


Arte

Antichità

Oscuro appare il problema delle origini dell'arte greca, in quanto l'arte micenea, che pure la precedette in territorio greco, si connette più intimamente con l'arte cretese. (V. MINOICO.) Si è convenuto pertanto di porre l'inizio dell'arte greca alla fine dell'età micenea, cioè intorno al 1000 a.C. Una divisione sommaria in periodi, che ha valore di riferimento, è la seguente:

periodo geometrico……1000-700 a.C.

arcaico……………….….700-480 a.C.

severo o di transizione…..480-450 a.C.

classico………………….450-323 a.C.

ellenistico……………….323-30 a.C.

La conquista romana, diffondendo l'influenza greca nell'arte religiosa e civile dell'Impero d'Occidente e di quello d'Oriente, contribuì a conservarne, secondo moduli divenuti classici, forme ed espressioni d'arte. Nella storia della civiltà europea, l'arte greca ha una posizione altissima; svincolandosi, in modo assolutamente autonomo, dall'impenetrabilità e astrazione orientale, realizzò per la prima volta una concezione umanistica della vita, con il creare immagini di vitalità contenuta e pur vibrante. L'uomo fu posto al centro e fatto misura dell'universo, in perfetta coerenza con ogni altro aspetto del pensiero greco, volto a indagare con lucidità la natura umana e il suo destino. Di qui l'alto contenuto etico della produzione ellenica, volta a realizzare un equilibrio armonioso tra fantasia, passione e razionalità, armonia che pervenne alla sua migliore espressione nell'età detta classica.

Nel realizzare questa sua originale intuizione, l'arte greca si valse di scoperte destinate a restare fondamentali nello sviluppo artistico europeo, quali la prospettiva, il colore tonale e il conseguente volume in pittura, lo studio anatomico e la formulazione di un canone di proporzioni, mezzi questi che appaiono intelligentemente perseguiti per rendere ogni vitalità della forma in natura; il che avviene senza limitazione di temi, ivi compresa l'immagine antropomorfica del divino.


Architettura

Un autentico inizio dell'architettura greca si delinea nell'VIII sec. a.C. in alcuni edifici, ancora assai primitivi, costruiti in materiali poveri, di aspetto rozzo e poco elegante. In questo periodo nacque il tempio come dimora della divinità, secondo uno schema ignoto alle civiltà egee, che praticavano il culto all'aperto o in sacelli annessi ai palazzi. Si tratta di ambienti modesti, rettangolari, con il basamento in pietra e l'elevato in mattoni crudi e legno; di essi possiamo avere un'idea solo attraverso modelli coevi in terracotta, rinvenuti negli scavi. In età arcaica, già nel corso del VII sec. a.C., l'edificio sacro veniva costruito interamente in pietra, solitamente in calcare locale con ricopertura in stucco, mentre si definiva la pianta del tempio dorico, destinata a perpetuarsi nei secoli successivi (tempio di Era a Olimpia, fine del VII sec. a.C.). Gli architetti di questo periodo introdussero particolari accorgimenti e modificazioni rispetto alle costruzioni precedenti, specie nelle dimensioni delle colonne e nello spazio tra di esse, per offrire idoneo sostegno all'edificio.

L'architettura ionica apparve in Asia Minore verso il 550 a.C. con il tempio di Artemide in Efeso, che presenta una pianta rettangolare molto allungata, con un doppio giro di colonne marmoree scolpite nella parte inferiore. I primi edifici in stile ionico nel continente greco sono i cosiddetti “tesori” (tempietti per doni votivi) nel recinto sacro di Apollo a Delfi (tesoro dei Sifni, 525 circa a.C.), ove appaiono il fregio scolpito a rilievo e il frontone ornato con sculture. Notevoli modificazioni si verificavano intanto nell'ordine dorico, con un progressivo snellimento delle colonne (tempio di Atena Afaia a Egina).

Nell'età detta dello stile severo sorge il monumentale tempio di Zeus a Olimpia (tra il 471 e il 456 a.C.), dorico; a esso si ispirano per equilibrio e proporzioni numerosi edifici religiosi della Sicilia e della Magna Grecia (tempio detto di Posidone a Paestum).

Tra le imprese edilizie dell'età classica, l'opera maggiormente significativa del genio architettonico greco, per imponenza e raffinatezza, è il Partenone, edificio principe dell'Acropoli di Atene, interamente in marmo pentelico (447-432 a.C.). Il tempio è dorico, ma con fregio ionico all'esterno della cella, secondo una commistione ormai frequente. Lo stile corinzio fece la sua comparsa in una colonna con capitello a calice e foglie d'acanto, nel tempio di Apollo a Basse, in un esemplare che trovò la sua forma canonica nel IV sec. Sempre in età periclea furono costruiti i Propilei, ingresso monumentale all'Acropoli di Atene (iniziati nel 437 a.C.), l'Eretteo, che supera la simmetria dominante nell'architettura greca per risolvere problemi di dislivello, e si orna della loggia delle Cariatidi (420 a.C.), e il tempietto di Atena Nike, di ordine ionico (420 a.C.). Di minor splendore, anche per il materiale calcareo usato, appaiono alcuni templi della Sicilia, ancor oggi assai ben conservati (Agrigento). I primi esempi di edifici destinati a pubbliche riunioni appartengono al V sec., come l'Odeon di Atene e il Telesterio di Eleusi.

Nel IV sec. l'architettura dorica segna il suo massimo sviluppo nel Peloponneso, in virtù di grandi templi marmorei, ivi innalzati (tempio di Tegea). In Asia Minore domina invece l'ordine ionico (tempio di Atena a Priene), che si afferma anche nel Mausoleo monumentale di Alicarnasso. A quest'epoca appartengono i teatri di Dioniso ad Atene e di Epidauro, che ne rappresentano la forma definitiva, e le tholoi (sing. tholos) di Epidauro e di Delfi.

In età ellenistica, l'architettura si manifestò principalmente con caratteri di grandiosità e complessità. Nell'edilizia sacra, accanto a persistenti forme doriche (tempio di Dioniso a Pergamo), sorsero costruzioni colossali di ordine ionico (tempio di Artemide a Magnesia, di Apollo a Didime) e di ordine corinzio (tempio di Zeus ad Atene). Il più antico esempio di altare monumentale fu eretto a Pergamo in onore di Zeus, al principio del II sec. a.C., con alto zoccolo adorno di fregio, colonnato ionico e architrave. Numerosi gli edifici di carattere civile: portici, fontane, porte monumentali, biblioteche, ginnasi, stadi, sale ipostile. Non mancano buoni esempi di fortificazioni. Anche l'urbanistica raggiunse un grande sviluppo, valendosi nella costruzione delle città dei canoni di un piano regolare, secondo la teoria già fissata fin dal V sec. a.C. da Ippodamo di Mileto. In età ellenistica infine troviamo le prime applicazioni dell'arco e della volta, benché usate solamente in funzione tecnica.


Scultura

La scultura greca rivela agli inizi, come ogni manifestazione d'arte dell'epoca, un carattere sacro e rappresenta sotto l'aspetto umano le varie divinità. Gli artigiani rielaborarono, con un'osservazione sempre più razionale della natura e con rinnovata freschezza, il tema trasmesso da generazioni, fissando tipi iconografici e regole d'arte. Il materiale impiegato era prevalentemente la pietra. La produzione plastica è documentata nel VII sec. a.C. con l'affermarsi della scultura detta dedalica, tesa a evidenziare il valore e la forza dei volumi, e di cui il tipo del curos costituisce la principale creazione. Intensi scambi tra l'elemento dorico, ionico e attico conferirono una fisionomia unitaria alla statuaria dell'epoca, in cui però risultano sempre riconoscibili influenze peculiari di alcuni centri, come Argo, Sicione, Corinto, Efeso, Mileto, Rodi, Samo e Chio. Accanto a strutture a massa compatta, si affiancano opere dai contorni più sinuosi e di un'eleganza che fu detta ionica (Era da Samo, VI sec. a.C., Louvre). Per tutto il periodo arcaico i due temi principali, il curos e, in misura minore, la core (Cleobi e Bitone di Polimede; serie di corai del Museo dell'Acropoli di Atene), assieme con pochi altri costituirono elementi di tenace e persistente ricerca, ove la resa dei volumi andò con il tempo attenuandosi in una minore rigidità e in una più viva e intensa cura del particolare. Accanto alla scultura a tutto tondo, numerosi sono i rilievi, lavorati in calcare, appartenenti a fregi e frontoni di templi (sculture del tesoro dei Sifni, 525 circa a.C.).

Dopo il 480 a.C., anno della colmata persiana, la scuola attica, che si impose per una produzione qualitativamente più alta, determinò, con nuovi problemi di contenuto e di forma, un deciso superamento dell'arcaismo, con il trapasso a un nuovo stile, detto severo, permeato di slancio, di forza e di rude semplicità (Tirannicidi di Crizio e Nesiote, 477 a.C.). Si venne affermando l'uso del bronzo per la statuaria isolata, che permise soluzioni di più ardito dinamismo e di maggiori dimensioni (Zeus o Posidone dell'Artemisio, Atene, Museo nazionale), mentre il marmo, poi dipinto, veniva impiegato nella scultura decorativa e templare (sculture del tempio di Zeus a Olimpia, 456 a.C.). In quest'epoca Mirone tentò di fissare nell'opera l'atteggiamento istantaneo (Discobolo, 460 a.C.).

L'età classica, nel suo periodo aureo (450-400 a.C.), si fregia di personalità artistiche quali Fidia e Policleto. È il momento in cui la forma raggiunge la più alta espressione di armoniosa ricchezza, in un felice equilibrio estetico tra ragione e fantasia.

Fidia, nella figura stante, lasciò intuire la possibilità del moto e il riflesso del sentimento (sculture del Partenone); mentre Policleto ricercò geometricamente il canone della proporzione umana (Doriforo). Nel IV sec. la statuaria, che non trovava più il suo centro in Atene, nelle nuove condizioni politiche, pur continuando sostanzialmente l'indirizzo precedente, fu pervasa da elementi passionali e patetici, che improntarono espressioni e ritmo delle figure. Cefisodoto il Vecchio velò la maestosità fidiaca di uno spirito di più affettuosa umanità (gruppo di Irene e Pluto); in Prassitele la bellezza corporea acquistò accenti di molle grazia attraverso un attento gioco chiaroscurale (Ermete e Dioniso), mentre nell'Afrodite venne affrontata per la prima volta la rappresentazione della dea nella sua nudità (Afrodite Cnidia). Un profondo pathos caratterizza invece le figure di Scopa, nell'intensa espressione dei volti e dei gesti (Meleagro). L'influenza di Prassitele e Scopa si rivela manifesta in alcune stele funerarie attiche (stele dell'Ilisso, Atene, Museo nazionale). Con Lisippo, ritrattista ufficiale di Alessandro, si avverte un deciso rivolgimento nell'indirizzo artistico, con l'esaltazione delle divinità e degli eroi dai corpi forti e possenti, autorevolmente inseriti nello spazio (Apoxyomenos). Si delinea con l'età ellenistica una produzione plastica molto complessa (Nike di Samotracia), dominata nei primi scultori dalla forte personalità lisippea (Eutichide di Sicione), e successivamente sempre più ricca di influenze orientali, caratterizzata da naturalismo sensuale, patetismo violento ed elaborato preziosismo (il cosiddetto “barocco” ellenistico), accanto a intenti caricaturali e scene di genere (Vecchia ebbra del Museo capitolino). Una insistita ricerca coloristica e un violento atteggiarsi delle masse corporee si affermarono nella scuola di Pergamo del III sec. a.C. (Gallo morente, fregio della Gigantomachia dell'altare di Pergamo, gruppo del Toro Farnese) e successivamente nella scuola rodiota (gruppo del Laocoonte). Verso la metà del II sec. un deciso ritorno ai moduli dell'età classica, e talvolta di quella arcaica, segna nel periodo detto “neoattico” o “del classicismo” un ibridismo di forme e di ispirazioni (torso del Belvedere), che si fonde progressivamente con l'arte del Mediterraneo romano.


Pittura e disegno

Perduta interamente la grande pittura greca, a noi nota soltanto attraverso le fonti letterarie e le riproduzioni di mosaici ellenistici, è possibile invece seguire con grande precisione l'arte delle varie epoche nella ceramica dipinta, ove né le convenzioni grafiche né le varie tecniche disturbano o legano l'ispirazione degli artisti, in cui si riconosce, in centinaia di vasi, lo stile personale e, nel momento del maggior splendore, il tratto semplice e vigoroso.

Nel IX sec. a.C. la ceramica greca, scostandosi decisamente dagli ormai imbarbariti elementi dell'industria cretese-micenea, affermava una sua cosciente visione artistica, attraverso una produzione in cui si palesano concetti di bellezza e di ordine razionale, fondamentali di tutta l'arte ellenica.

La decorazione vede l'assoluto predominio di elementi geometrici, che marcano con perfetta aderenza la struttura del vaso (riquadri, svastiche, meandri).

Solo nella fase più matura di questo periodo, che è detto appunto geometrico, comparvero, nella più semplice e astratta espressione, animali dalle sagome angolose e infine figure umane, legate con vivacità a scene mitiche o reali. La produzione più alta di questo stile si manifestò ad Atene, nella fase detta del primo stite del Dipylon, con vasi di ampie proporzioni, dalle forme nitide e chiare, dominate da equilibrio compositivo (IX sec. - 750 circa a.C.). Successivamente, esauritosi lo schematismo dell'arte geometrica, comparvero nelle ceramiche elementi orientalizzanti, improntati a mollezza e abbandono fantastico, attraverso linee curve, intrecciate o serpeggianti, che permisero un repertorio più ricco di scene figurate (Creta, Rodi, Cipro, Corinto).

In età arcaica, già nel corso del VII sec. a.C., a Corinto, o nella vicina Sicione, fioriva, come attestano le fonti letterarie, una grande scuola pittorica, le cui opere sono scompar

se, ma che influenzarono, secondo un costante parallelismo, la decorazione vascolare. Nello stesso secolo infatti sorse a Corinto una fabbrica di eleganti vasi di modeste dimensioni (ceramica protocorinzia), e già al principio del VI sec. la città, appoggiandosi a un'ottima base commerciale, esportava largamente in tutto il Mediterraneo una produzione di crateri (ceramica corinzia) con ornamentazione divisa in zone ed effetti di vivace contrasto coloristico.

Verso la metà del VI sec. a.C., si impose per lo splendore della decorazione e per la perfezione tecnica raggiunta, la ceramica attica; pittori e vasai firmavano le loro opere, solitamente dipinte a figure nere su fondo rosso (vaso François, di Clizia ed Ergotimo; anfora con Achille e Aiace, di Exechia). Verso il 530 si inizia l'impiego di una nuova tecnica, detta a figure rosse, in cui il procedimento cromatico si invertiva, permettendo di segnare con pennellate e tratti le figure emergenti dalla superficie del vaso verniciato in nero. La pittura vascolare realizzò in quest'epoca una straordinaria essenzialità espressiva, con personalità quali Eufronio, Macrone, Duride. Nel periodo dello stile severo si sviluppò in Atene la grande pittura murale, sulle pareti dei portici o di edifici pubblici, con Polignoto e Micone, ricordati dalla tradizione letteraria. La conquista della dimensione spaziale e l'ampiezza delle figure, attestata dalle fonti, si riflette in una serie di vasi, detti appunto polignotei (cratere di Orvieto al Louvre). Ancora più vicina alla grande pittura appare un'altra classe di vasi, solitamente nella forma della lekythos, con il fondo coperto da uno strato di ingubbiatura bianca; la decorazione è attuata spesso con vivace policromia, mentre si tentano le prime soluzioni dei problemi connessi con il gioco delle luci e delle ombre.

L'età classica aduna i nomi più famosi della pittura: Apollodoro e Zeusi, le cui opere pare conseguissero potenti effetti chiaroscurali; Agatarco, esaltato per le soluzioni prospettiche; e Parrasio che raggiunse la fusione tra le figure e l'ambiente con lo sfumato della linea di contorno. Si verificava intanto un accentuato divario fra l'arte pittorica e quella vascolare: in quest'ultima la linea acquistava andamenti sinuosi in uno stile di elaborata eleganza (Pittore di Midia). Già al principio del IV sec. si avvertono segni di rapida decadenza: il disegno diventa banale e corrente, come nei vasi del cosiddetto stile di Kerc. Mentre verso la fine del secolo la produzione attica dipinta decadeva e scompariva quasi completamente, nello stesso periodo la ceramica italiota veniva definendosi in gruppi di vasi regionali dalle caratteristiche stilistiche ben determinate; tra essi si segnala con vasi di proporzioni grandiose la produzione apula (anfora dei Persiani, Museo nazionale di Napoli).

L'arte ellenistica continua a perseguire effetti di spazialità; le figure sono evanescenti su uno sfondo ora idillico, ora realistico. Esempi di pitture parietali sono stati rinvenuti a Roma, Ercolano e Pompei, così che si parla di primo e secondo stile pompeiano per indicare tecniche decorative impiegate anche in palazzi di ambiente greco e dell'Asia Minore. Talora sono rappresentati soggetti dionisiaci o cerimonie mistico-religiose (fregio della villa dei Misteri di Pompei). Visioni di paesaggio, dipinte con tratti rapidi e sommari, appaiono in una pittura di tipo impressionistico, che gli antichi indicavano forse con il nome di pictura compendiaria (Ulisse fra i Lestrigoni, casa dell'Esquilino). Conosciamo riproduzioni del I sec. a.C. e del Isec. d.C. di pitture scomparse del IV sec.; di un quadro di Nicia appaiono repliche nella casa di Livia sul Palatino e in affreschi di Pompei. Il dipinto della Battaglia di Alessandro e Dario di Filosseno sembra ripetuto nel mosaico della casa del Fauno a Pompei.


Arti minori

Dall'epoca arcaica, le varie serie monetali d'oro, argento, elettro e bronzo costituiscono un documento di straordinaria importanza storica, artistica ed economica; marcate con l'emblema della città o della confederazione (animali, figure divine o mitiche, ritratti di principi o di uomini di Stato, statue che ripetono la grande plastica cultuale), sono molto spesso vere opere d'arte (monete di Atene, di Siracusa, di Catania, di Alessandro Magno e dei suoi successori). I gioielli (anelli, orecchini, collane, corone, diademi) sono generalmente d'oro fuso, ribattuto o ritagliato, con filigrana o granulazione e talvolta con effetti di discreta policromia, ottenuta mediante vetri e smalti. Ne esistono esempi notevoli dall'alto arcaismo fino a tutta l'epoca classica ed ellenistica. Interessanti le pietre incise specie di età ellenistica.

L'impiego dell'avorio è documentato in ogni epoca, sia per statuette (Efeso, Sparta, Atene), sia per la tecnica criselefantina, sia per gli oggetti minuti o di corredo. Pezzi di oreficeria (oro e argento) e in bronzo valgono per la semplice bellezza della loro decorazione: i temi figurati riproducono e completano quelli della scultura e della pittura. Le suppellettili sono relativamente rare; si conoscono attraverso le loro rappresentazioni sui rilievi o sui vasi, e da qualche scavo urbano (Olinto, Delo): le linee appaiono rette e armoniose, la decorazione semplice e stilizzata. Vanno segnalate infine, tra i prodotti delle arti minori, le statuette in terracotta, di cui i più celebri esempi sono i complessi di Mirina e di Tanagra. L'arte del tessuto non ci è nota, almeno in maniera diretta.


Medioevo

Nel periodo paleocristiano e nel medioevo l'arte ebbe in Grecia manifestazioni notevolissime e originali, strettamente congiunte alle vicende della civiltà artistica bizantina. Importanti sono le numerose chiese sorte a Salonicco, divenuta nel IVsec. la città più importante dell'Impero. Ispirata allo schema della basilica ellenistica è la chiesa di San Demetrio, a cinque navate con transetto rialzato e nartece, tanto sontuosa internamente quanto esternamente semplice. Le sue chiare caratteristiche strutturali si ritrovano in numerose costruzioni sacre dei secc. V-VII. Accanto alle basiliche, si svilupparono originalmente edifici a pianta quadrata. Uno degli esempi più antichi è l'oratorio del monastero di Latomos, detto di Hosios David, adorno di un mosaico absidale in cui l'immagine del Cristo adolescente ricorda, anche per altezza di stile, il Buon Pastore del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Nei secc. VIII e IX gli architetti bizantini realizzarono la fusione tra i due schemi costruttivi sopra ricordati, quello basilicale e quello a cupola. Una fase intermedia verso questo importante raggiungimento, che porterà alla chiesa a croce greca, si osserva nella cattedrale di Salonicco, dedicata a santa Sofia, oggi quasi concordemente ascritta all'VIII sec. Logico e organico è il gioco spaziale delle masse nella chiesa della Theotokos, pure a Salonicco (secc. IX- X), a croce greca, la cui struttura fu d'esempio alle chiese dei secoli successivi in tutta la Grecia.

Nei secc. X, XI, XII sorsero numerosi conventi e si formarono i “luoghi santi”. Complessi monastici insigni furono costruiti in Macedonia, nella penisola Calcidica divenuta un luogo santo con il nome di Monte Athos. Le chiese conventuali più antiche del Monte Athos hanno raramente forma basilicale, come la chiesa del convento di Protaton del X sec., più frequentemente pianta centrale del tipo a triconco, come le chiese dei conventi della Laura (X sec.) e di Vatopedi (XIsec.), tutte notevoli anche per la ricca decorazione interna. Si ricordano anche i conventi di Chilandar (monaci serbi), degli Amalfitani, di Iviron del XII sec.; i rimanenti quattordici (Athos ne ha, per l'appunto, venti) furono fondati o restaurati nei secoli successivi, ma sempre secondo la tradizione architettonica tipica del Monte Athos. Altro monastero insigne per la sua architettura e i suoi cicli musivi, sorto nella Focide nel X sec., è quello di San Luca eremita, detto di Hosios Lukas, con due chiese: la Theotokos, più piccola, e quella dedicata al santo, con pianta ottagonale e cupola, in cui forma e colore si fondono in perfetta unità. Simili a Hosios Lukas sono la chiesa di Nea Moni, monastero fondato verso la metà dell'XI sec. dall'imperatore Costantino Monomaco, e quella del monastero di Dhafni nell'Attica (XI sec.). Interessanti sono anche alcune chiese della tarda architettura bizantina, quella dei Santi Apostoli a Salonicco, costruita dal 1312 al 1315, con altissimi tamburi e cupole e una lussureggiante decorazione esterna ispirata a motivi islamici, e quella ateniese, nota come la Piccola Metropolitana, con i suggestivi rilievi inseriti nel paramento esterno. Si ricorda, infine, Mistra, città di nuova fondazione, costruita nei pressi di Sparta (secc. XIII e XIV), che ha conservato intatto l'aspetto del suo originario nucleo urbano.

Tutti questi edifici sacri sono internamente decorati di mosaici e affreschi, preziosa testimonianza della pittura bizantina. Centro artistico notevolissimo, Salonicco conserva un grande esempio della più antica pittura monumentale bizantina: il mosaico nella cupola della chiesa di San Giorgio (antico mausoleo dell'imperatore Galeno), della fine del IV sec., con un grandioso sfondo di architetture in cui, entro conche absidali, si dispongono i martiri con una solennità rituale. I mosaici di San Demetrio, pannelli votivi simili a grandi ex voto, ricordano i celebri riquadri musivi con le corti di Giustiniano e Teodora in San Vitale a Ravenna, con le ripetute immagini del santo patrono dai grandissimi occhi. Ciclo musivo grandioso è quello della chiesa di Nea Moni a Chio. Conservato quasi integralmente, si distingue per la profonda originalità e per il ritmo severo e potente delle composizioni, per la raffinatezza del disegno e la vivacità drammatica del colore, che avvicinano l'ignoto mosaicista di Chio ai maestri della scuola costantinopolitana. Un recente restauro ha messo in luce brani stupendi nella Discesa al Limbo e nella Crocifissione. Il ciclo di Hosios Lukas, di poco anteriore (prima metà dell'XI sec.) è, al confronto, più rude, espressionistico, tipica arte monastica e popolare. Infine, nel ciclo di Dhafni, del 1100 circa, le figurazioni creano, con l'armonia dei colori sugli sfondi dorati, raffinati arabeschi decorativi, come nel bellissimo Annuncio a Gioacchino e Anna. La serena, ellenistica bellezza dei mosaici di Dhafni, espressione di un umanesimo cristiano avanti lettera, ricorda il classicismo dei maestri di Costantinopoli in Santa Sofia. Importanti, sebbene meno unitari, sono i cicli di Monte Athos. Nei secoli del cosiddetto “rinascimento paleologo” Salonicco tornò a essere un notevole centro artistico. Si ricordano l'affresco della cappella di Sant'Eufemio in San Demetrio (1303), con violenti toni di colore, e i mosaici della chiesa dei Santi Apostoli, del 1315, con il Pantocratore, le Feste, Santi e Martiri. A Emanuele Pafselinos, che si considera proveniente dalla scuola di Salonicco, si attribuiscono oggi gli affreschi del monastero di Protato (inizi del XIV sec.). Si ricorda, ultima, la scuola di Mistra, colta, ellenistica, raffinata. I più antichi affreschi nelle chiese della Perivleptos e della Pantanassa (XIV sec.) si pongono tra i capolavori della maniera “greca” dell'ultima arte bizantina.


Età moderna

Dopo la caduta di Costantinopoli e di parte della Grecia sotto il dominio turco si attenuarono sempre più i contatti con le civiltà occidentali, parallelamente al crescere dell'influenza musulmana. Creta rimase un centro importante per la pittura religiosa fino alla metà del Seicento e maestri cretesi lavorarono nei monasteri di Monte Athos e delle Meteore. Dopo il 1821, fino ai giorni nostri, nell'arte greca si distinguono due correnti, una tradizionalista, legata alle origini elleniche, bizantine, popolari e orientali, l'altra modernista, che in ogni epoca cerca di integrarsi all'arte occidentale. I primi influssi provengono dalla Germania. Ad Atene edifici pubblici (l'Accademia, l'Università, la Biblioteca nazionale) vengono costruiti in uno stile neoantico, a opera di architetti per lo più bavaresi; artisti greci completano la loro formazione a Monaco, principale polo d'attrazione fino alla prima guerra mondiale; fra di essi si ricordano i pittori Nikiforos Lytras (1832-1904), Konstandinos Volanakis (1837-1907) e Nikolaos Ghyzis (1842-1901). Accanto a quest'arte ufficiale di impronta accademica, l'arte di ispirazione bizantina od orientale vive nell'arte popolare, in un anonimato da cui emerge la personalità di Theofilos (1866-1934), originale figura di pittore vagabondo.

Più tardi si stabilisce un legame tra Atene e Parigi a opera di pittori come Konstandinos Maleas (1879-1928), Odhysseus Fokas (1865-1946) e soprattutto Konstandinos Parthenis (1878-1967), attento agli esempi degli impressionisti e dei fauves, che insegnò alla Scuola di belle arti di Atene, come pure lo scultore Konstandinos Dhimitriadhis (1881-1943), che si ispirò a Rodin.

Negli anni Trenta, anche per il lavoro teorico dello storico dell'arte Christian Zervos (1889-1970), molti artisti portarono tendenze più avanzate nell'arte greca: Gheorghios Buzianis (1885-1959), pittore espressionista; Spyros Papalukas (1892-1957), che si ispirò a Cézanne; Nikos Ghikas (o Ghika) (n. 1906), pittore e pedagogo di tendenza cubista; Nikos Engonopulos (n. 1910), di tendenza surrealista; lo scultore Mikhail Tombros, ecc.

In architettura, in cui predomina l'influenza di Le Corbusier e dei C.I.A.M. (1933), è da ricordare soprattutto Dhimitrios Pikionis (1887-1968). Accanto a queste correnti moderniste, artisti come il pittore e scrittore religioso Fotis Kondoghlu (1896-1965), i pittori Spyros Vassiliu (n. 1902), Ghiannis Tsaruchis (n. 1909), Dhiamandis Dhiamandopulos (n. 1914), e anche, per una parte della sua opera, l'architetto già ricordato D. Pikionis, si richiamano alle origini storiche, bizantine e popolari del paese.

Dopo la seconda guerra mondiale si apre un periodo di grandi fermenti, con due correnti principali: da una parte la ricerca della “grecità”, con pittori come Nikos Nikolau (n. 1909), Ghiannis Moralis (n. 1916), Gheorghios Sikeliotis (n. 1917); dall'altra l'avventura sulla strada della ricerca contemporanea, con le esperienze dell'astrazione dei pittori Alexandhros Kondopulos (1905-1975) e Ghiannis Spyropulos (n. 1912), seguiti da molti altri, come Kristos Lefakis (1906-1968), Thanos Tsingos (1914-1965) e Kristos Karas (n. 1930), e degli scultori Gheorghios Zogolopulos (n. 1903), Klearchos Lukopulos (n. 1908), Akilleus Aperghis (n. 1909). Un rinnovamento figurativo si opera in seguito con pittori come Gheorghios Vakirtzis o Ghiannis Ghaitis (nati entrambi nel 1923), che rivolgono alla società uno sguardo critico, impietoso nel primo, amabilmente satirico nel secondo; lo stesso atteggiamento si riscontra negli scultori Ghiannis Parmakelis (n. 1932) e Gheorghios Gheorghiadis (n. 1934). Le ricerche dell'arte greca si assimilano sempre di più alle tendenze generali che si riscontrano nell'arte occidentale e molti artisti vivono all'estero, temporaneamente e no. Per questo hanno lavorato o lavorano ancora in Francia, oltre all'architetto George Candilis (n. 1913), i pittori Mario Prassinos (n. 1906), Costantino Bysantios (n. 1924), Alekos Fassianos (n. 1935), gli scultori Philolaos (n. 1923), Yerassimos Sklavos (1927-1967), Takis (n. 1925), pioniere dell'arte tecnologica, e Theodoros (n. 1931), non solo plastico, ma anche autore di “performances” che sono altrettante messe in discussione dell'arte nella società d'oggi.


Religione

La religione è una delle manifestazioni più caratteristiche dello spirito creatore del popolo greco, anche se non può essere paragonata per pienezza di valori alle sue splendide creazioni nel campo dell'arte e della filosofia. Si è sviluppata via via nel tempo in un lungo processo di formazione, in cui divinità del substrato preellenico, di origine mediterranea od orientale e, per lo più, di natura ctonia (Gran Madre Cibele, Era, Artemide, ecc.) si congiunsero con le divinità degli Indoeuropei invasori (IImillennio a.C.), personificanti le forze del cielo e della luce. Ne uscì una religione composita, che rifletteva il particolarismo politico delle genti greche e le loro differenti condizioni economiche e sociali, per cui gli dei del gruppo etnico dominante o aristocratico prevalevano nel culto su quelli del gruppo etnico sottomesso o inferiore. Così i numi dell'Olimpo, propri di una società guerriera e feudale, ponevano nell'ombra Demetra e Dioniso, protettori dell'umile gente dei campi. Nei secc. IX- VIII a.C. l'epopea esercitò un influsso decisivo sulla religione, così da fissare sia nella concezione generale sia nel culto e nell'iconografia caratteri fondamentali che si conservarono poi pressoché inalterati nelle età seguenti. L'ambiente di siffatta innovazione fu la Ionia, colonizzata da genti venute dal continente greco e che avevano lasciato alle spalle ogni particolarismo locale o cantonale per aprirsi a visuali più ampie e libere, in ogni campo, compreso quello religioso. Con gli immaginosi poeti dell'epica la religione divenne panellenica, cioè di tutto il popolo greco sentito quale entità nazionale, convalidò il politeismo in un ordine gerarchico che poneva alla sommità un dio supremo (Zeus), accolse la raffigurazione antropomorfica della divinità e con essa un mito, cioè una storia fantastica, che attribuendole una miracolosa genealogia la faceva protagonista di vicende svolgentisi su di un piano sovrannaturale, ma determinate dagli stessi sentimenti dei mortali. Fu questa la cosiddetta religione olimpica che, trascurando le diverse origini, le primitive prerogative e le specifiche derivazioni dai fenomeni naturali, riunì gli innumeri dei, remoti e recenti, sotterranei e celesti, in un'unica “sacra stirpe (hieròn génos) degli Immortali sempre viventi” e assegnò loro una dimora comune sulla vetta luminosa dell'Olimpo e sedi particolari in determinate località in mezzo agli uomini, tra i quali vivevano felicemente, splendidi di bellezza e di eterna giovinezza. Ne era a capo Zeus, cui seguivano undici divinità maggiori (Apollo, Atena, Posidone, Demetra, Ade, Artemide, Era, Ermes, Ares, Afrodite, Efesto) e altre in sottordine (Estia, Dioniso, Pane, ecc.), nonché un numero infinito di dei minori che popolavano le acque, i boschi, i monti e le campagne. Nati dalla natura, ne conservavano la spontaneità, l'irruenza e anche il capriccio, che trovavano moderazione solo nella legge suprema della Moira (il Fato, il Destino), alla quale tutto si piegava. Nel tempo, con l'affermarsi del progresso civile e l'affinarsi delle concezioni morali, la religione acquistò prerogative sempre più definite nella vita dello Stato e delle sue istituzioni, comprendenti gli aspetti più diversi delle attività dei singoli e dell'intera collettività greca. Gli dei divennero protettori della polis e dei suoi organismi basilari e custodi dei vincoli che assicurano il consorzio umano (Zeus, Atena, Era, ecc.); assunsero la tutela delle manifestazioni intellettuali e artistiche (Apollo), delle attività mercantili (Ermete) e artigiane (Efesto), del lavoro dei campi (Demetra), di ogni insediamento della patria in una colonia (Estia), ecc. L'esigenza poi di una giustizia al di sopra di quella terrena, della sopravvivenza dopo la morte e di una divinità meno estranea e indifferente di quella olimpica e intimamente vicina all'uomo e alle sue ansie, favorì, al cominciare del V sec., la diffusione della religione dei misteri. Derivata dai culti di divinità sotterranee e agrarie, indigene o provenienti dall'Asia Minore e fino allora venerate da popolazioni in condizioni di vita primitiva, essa offrì alla Grecia nel pieno rigoglio della sua civiltà la possibilità di una vivificante esperienza spirituale, fondata sulla fede nella redenzione dal peccato, nell'immortalità e nella comunione col dio. Esaltata dai contrasti e dalle persecuzioni, la religione misterica conquistò le anime di ogni ceto, da quello servile a quello elevato. Con la varietà dei suoi culti (dionisiaco e orfico, di Demetra e Core, di Cibele e Attis) soddisfece ad aspirazioni per lunghi secoli sopite nel profondo dell'animo umano.

Nel mondo religioso greco ebbe pure notevole importanza il culto degli eroi o semidei, creati con un duplice procedimento, per cui si ridussero al livello di personalità umane, divinità secondarie e pur benefiche come Eracle, o si divinizzarono uomini resisi benemeriti di una collettività come gli ecisti. Vivo e scrupolosamente praticato il culto dei morti, ai quali nell'aldilà era riservata nella concezione comune un'esistenza grigia e triste; solo per pochi privilegiati, rapiti ancora vivi dal consorzio degli uomini, era concepita una sopravvivenza felice ed eterna in terre lontane, come nelle isole dei Beati e nel paese degli Iperborei. Sede della divinità era il tempio, considerato la sua dimora e non luogo di riunione dei fedeli. Quivi con la mediazione di esperti sacerdoti si compivano riti catartici e propiziatori, si chiedevano consigli e responsi. Santuari come quelli di Dodona, di Delfi, di Mileto e di Epidauro furono per molti secoli, e ancora in età cristiana, meta di pellegrinaggi, non solo dalla Grecia, ma anche da ogni paese del mondo antico.


Musica


La musica greca antica

Le nostre conoscenze sull'antica musica greca si basano principalmente su trattati teorici e su testimonianze di filosofi e di scrittori greci e latini. Scarsi sono i monumenti musicali superstiti, pervenuti per lo più in forme frammentarie e incomplete. I principali sono: 1. un frammento del primo stasimo dell'Oreste di Euripide (408 a.C.); 2. e 3. due inni delfici ad Apollo (138 e 128 a.C.); 4. e 5. due preludi citaredici alla Musa (Isec. circa a.C.); 6. l'epitaffio di Sicilo (I sec. circa d.C.); 7. e 8. l'inno a Elio e l'inno a Nemesi, attribuiti a Mesomede di Soli (II sec. d.C.); 9. e 10. alcuni frammenti vocali e strumentali; 11. l'inno cristiano di Ossirinco (secc. IV e V d.C.). [L'inizio della prima ode pitica di Pindaro, pubblicata per la prima volta dal Kircher nel 1650, è di dubbia autenticità.] La musica dei Greci fu essenzialmente monodica. Il loro sistema musicale, a differenza del nostro fondato sull'ottava, era organizzato su successioni tetracordali discendenti; il tetracordo tipo, il dorico, si componeva di quattro suoni: la, sol, fa, mi. Sovrapponendo a questo un altro tetracordo, si otteneva il sistema dorico, che divenne la scala tipo: mi, re, do, si, la, sol, fa, mi. Con l'aggiunta, all'acuto o al grave di questo sistema, di due tetracordi congiunti (cioè aventi ciascuno una nota comune con questo), e di un suono supplementare (la) al grave, che permetteva la costituzione di una doppia ottava, si giunse al sistema perfetto (non modulante). Infine, si fece ricorso a un quinto tetracordo, nel quale il si era sostituito da un si bemolle per permettere una modulazione alla quinta inferiore e, da quel momento, l'insieme dei cinque tetracordi, più il la supplementare, fu denominato grande sistema perfetto (modulante). Dato che lo stesso nome poteva designare suoni differenti, venne aggiunto un termine che indicava il tetracordo cui il suono apparteneva: hyperboleon (degli acuti), diazeugmenon (dei disgiunti), meson (dei medi), hypaton (dei gravi), synemmenon (dei congiunti). Avendo ciascun tetracordo del sistema due suoni mobili, la progressione melodica, in relazione all'intonazione data a questi suoni, poteva presentarsi sotto tre diversi aspetti (generi): diatonico (con progressione nel dorico, letto in successione discendente di due toni e un semitono); cromatico (terza minore, semitono, semitono); enarmonico (terza maggiore, quarto di tono, quarto di tono). Nella pratica, si ebbero ulteriori modifiche del tetracordo base, legate alla prassi esecutiva e dette chróai (sfumature).

I Greci possedettero sette modi classici o “armonie”: dorico (mi, re, do, si, la, sol, fa, mi); frigio (re, do, si, la, sol, fa, mi, re); lidio (do, si, la, sol, fa, mi, re, do); misolidio (si, la, sol, fa, mi, re, do, si); ipodorico (la, sol, fa, mi, re, do, si, la); ipofrigio (sol, fa, mi, re, do, si, la, sol); ipolidio (fa, mi, re, do, si, la, sol, fa).

Ciascun modo possedeva un suono fondamentale, o tonica, che si situava al centro stesso del sistema perfetto. Attraverso i toni (o tropi) era possibile trasporre ogni armonia su ciascuno dei dodici gradi della scala. La ritmica, per tutto il tempo in cui la musica fu solo vocale, si adattò alle minime sfumature della metrica. In Grecia si ebbe una notevole varietà di strumenti: citara o lira-citara, arpe (psalterion), trigonon e pandura, tutti strumenti a corde pizzicate; aulós, syrinx e salpinx, strumenti a fiato; tamburelli, cimbali, crotali e sistri, strumenti a percussione. I Greci attribuirono alla musica un valore altamente educativo e una funzione morale, istituendo un preciso parallelismo tra i vari modi e il loro significato espressivo (ethos). La notazione di due tipi, uno per la musica vocale, l'altro per quella strumentale, era alfabetica e poteva rappresentare tutti i suoni nei tre generi; alcuni segni speciali posti al di sopra delle lettere indicavano la loro durata.

La storia della musica greca, dall'età omerica al periodo ellenistico, si identifica con quella della poesia, con la quale forma un nesso espressivo inscindibile. I principali generi musicali coltivati nella Grecia classica furono: la citarodia, comprendente monodie vocali accompagnate dalla citara (o dalla lira, assumendo in tal caso il nome di lirodia), elaborate dai compositori attraverso l'ampliamento e la variazione di uno schema melodico fisso (nomos); l'aulodia, comprendente canti monodici accompagnati dall'aulós; l'auletica, consistente in composizioni per aulós solo, talora con carattere imitativo-descrittivo; la citaristica, comprendente musiche per citara sola, di carattere virtuosistico; la lirica corale, la cui esecuzione era affidata a cantori non professionisti, guidati da un maestro e accompagnati dalla citara, dall'aulós o da entrambi gli strumenti; la paracataloghé, una declamazione sullo sfondo di un accompagnamento strumentale. La tragedia presentava grande complessità di stili e di forme musicali: la recitazione degli attori passava dalla semplice declamazione alla declamazione accompagnata (paracataloghé), al canto solistico. A essa si alternavano sia il canto corale, sia interludi strumentali affidati a un auleta o a un citaredo.

La tradizione della musica greca proseguì in epoca romana e nei primi secoli cristiani, confluendo nel canto gregoriano. La teoria e l'estetica musicale greche influenzarono in maniera determinante il pensiero occidentale, ed ebbero talora (come nella nascita del melodramma) diretti riflessi sul concreto atteggiarsi del gusto musicale.


La musica greca moderna

Si distingue in musica folcloristica e musica neoellenica. La prima, le cui origini risalgono all'epoca postclassica e bizantina, comprende due cicli: il ciclo acritico, creato sotto l'influenza delle condizioni in cui si trovavano i guardiani (akritai) dei confini orientali dell'Impero bizantino; e il ciclo cleftico, che comprende canzoni, in particolare dei secc. XVIII e XIX, riferentisi alla vita dei clefti, ribelli greci durante l'occupazione turca. La musica folcloristica si basa sulla scala naturale ed è generalmente monofona. Fanno eccezione alcune canzoni polifoniche dell'Epiro e alcune popolari delle isole Ionie (kantadha), che hanno una semplice armonizzazione. Anche la canzone popolare contemporanea, il rebetiko (diffusa soprattutto nei porti), può avere un accompagnamento armonico. Tra gli strumenti in uso, ve ne sono a corde: la lira (specie di ribeca), il violino, il liuto, il sanduri (tympanon); a fiato: la pipiza (specie di oboe molto acuto), la cornamusa, il clarinetto; flauti di vario tipo; a percussione: la grancassa (dhavli), il tamburello (dhefi), vari tamburi, campane, triangoli.

La musica neoellenica, soffocata nella sua evoluzione da quattro secoli di dominazione turca, si manifestò solo attraverso il canto popolare e la melodia sacra bizantina. Dopo il 1829, si costituirono a Nauplia, quindi ad Atene, alcune “filarmoniche” (bande militari) e, dal 1840, compagnie liriche italiane diffusero in Grecia la musica occidentale. Una forma di scuola musicale avevano le isole Ionie, che annoveravano tra i loro musicisti N. Mantzaros (1795-1873), autore fra l'altro di una cantata da cui fu tratto l'inno nazionale (1823), Paul Carrer (1829- 1896, autore dell'opera Markos Botzaris (1861)), e Spiros Samaras (1863-1917). Dopo la creazione del conservatorio di Atene, nel 1871, si sviluppa la scuola nazionale di musica, con D. Lavrangas (1860-1941), G. Lambelet (1875-1945), E. Riadhis (1880-1935), M. Varvoghlis (1885-1967) e, soprattutto, M. Kalomiris (1883-1962). Questa scuola è caratterizzata dall'utilizzazione di elementi della musica bizantina e popolare. A fianco di questi pionieri, sono da ricordare D. Levidhis (1886-1951), G. Sklavos (1888-1976), A. Kondis (1899-1965), P. Petridhis (1892-1977), G. Poniridhis (n. 1892), D. Mitropoulos (1896-1960), A. Nezeritis (n. 1897) e N. Skalkottas (1904- 1949), formatosi a Berlino, forse il compositore greco moderno più significativo. Sono da ricordare inoltre A. Koundurof (1897-1969), A. Evanghelatos (n. 1903), T. Karyotakis (n. 1903), S. Michaelides (1905- 1979), L. Zoras (n. 1905), K. Kydhoniatis (n. 1908), G. Kazassoglu (n. 1910), G. Platon (n. 1910), G. Georgiadhis (n. 1912), M. Pallantios (n. 1914), D. Dhraghatakis (n. 1914).

Fra i musicisti delle tendenze più recenti sono da ricordare Yanni Papaioannu (n. 1915), A. Logothetis (n. 1921), G. Sissilianos (n. 1922), A. Kunadhis (n. 1924), J. Khistu (1926-1970), M. Adhamis (n. 1929), N. Mamanghakis (n. 1929), N. Rotas (n. 1929), J. Ioannidhis (n. 1930), S. Vassiliadhis (n. 1933), T. Antoní (n. 1935), D. Terzakis (n. 1938). G. Kurupos (n. 1942), G. Aperghis (n. 1945), V. Katsulis (n. 1949), M. Travlos (n. 1950) e infine I. Xenakis (n. 1922), naturalizzato francese, che si è servito di procedimenti desunti dalla logica matematica per creare una musica “cosmica”.




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