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AUTISMO
La parola Autismo deriva dal greco "autòs" che significa "se stesso" proprio perché, come modello particolare di struttura psichica si evidenzia drammaticamente per l'isolamento, l'anestesia affettiva, la scomparsa dell'iniziativa, le difficoltà psico-motorie, il mancato sviluppo del linguaggio.
L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo che interessa la funzione cerebrale. Normalmente i sintomi sono rilevabili entro il secondo/terzo anno di età e si manifestano con gravi alterazioni nelle aree della comunicazione verbale e non verbale, dell'interazione sociale e dell'immaginazione o repertorio di interessi. Le persone con autismo presentano spesso problemi comportamentali che nei casi più gravi possono esplicitarsi in atti ripetitivi (rituali, stereotipie ecc.), anomali, auto o etero-aggressivi.
L'autismo si trova a volte associato ad altri disturbi che alterano in qualche modo la normale funzionalità del Sistema Nervoso Centrale: epilessia, sclerosi tuberosa, sindrome di Rett, sindrome di Down, sindrome di Landau-Klefner, fenilchetonuria, sindrome dell'X fragile, rosolia congenita. L'incidenza varia da 2 a 20 persone su 10.000, a seconda dei criteri diagnostici impiegati e colpisce i maschi 4 volte di più che le femmine in tutte le popolazioni del mondo di ogni razza o ambiente sociale.
L'autismo fu descritto come quadro clinico per la prima nel 1943 da Leo Kanner.
I sintomi
Nel disturbo autistico sono particolarmente compromesse:
l'area del linguaggio e della comunicazione in generale e l'area dell'interazione sociale,
ma sono presenti sintomi appartenenti ad altre aree, che si manifestano in misura variabile a seconda del livello di sviluppo e dell'età del soggetto.
A livello linguistico vi può essere assenza totale di linguaggio oppure questo può essere usato in modo anomalo (per esempio il bambino non usa il pronome Io, ma parla di se stesso in terza persona singolare). Possono essere presenti verbalizzazioni incongrue, giochi di parole ripetitivi e stereotipati, ripetizione ecolalica delle parole degli altri.
Nell'area della comunicazione comportamentale i primi sintomi di allarme sono rappresentati da un rapporto evitante di sguardo, una gestualità non finalizzata al rapporto con l'altro, l'apparente indifferenza per le richieste dell'ambiente (sembrano bambini sordi), l'assenza di un gioco simbolico, il disinteresse per le persone accompagnato ad uno spiccato interesse per meccanismi, specie se in movimento.
Gli interessi e le attività sono limitate, focalizzate in maniera ossessiva su pochi oggetti o parti di oggetti o su pochi argomenti di cui vengono trattati solo aspetti classificativi. Anche il gioco è povero e ripetitivo, senza rappresentazioni simboliche né gioco imitativo ed i bambini mostrano un elevato livello di angoscia se vengono distolti dalla loro ritualità ossessiva.
A livello motorio possono mostrare anomalie o bizzarrie (camminare sulle punte dei piedi, sfarfallamento delle mani, posture corporee bizzarre). Spesso hanno un comportamento motorio ipercinetico, ma afinalistico.
Il livello intellettivo può essere modicamente compromesso, ma più spesso il profilo cognitivo è caratterizzato da una disarmonia, con profonde disabilità in alcuni settori e performance eccezionali in altri (per es. può presentare memoria prodigiosa per i numeri, ma non saper leggere).
Altri sintomi associati possono essere:
un alta soglia per il dolore con fenomeni autolesivi,
ipersensibilità ai suoni,
aggressività improvvisa per minime frustrazioni,
anomalie dell'alimentazione,
disturbi del sonno,
mancata percezione dei pericoli.
Possibili cause
Per quanto riguarda le cause eziopatogenetiche l'Autismo infantile rappresenta ancora un'incognita.Esistono forme primarie in cui non si riesce a evidenziare alcuna anomalia ed esistono forme secondarie ad altre affezioni.
Si tratta comunque di una malattia a genesi multifattoriale a cui concorrono cause:
- neurologiche (malformazioni, sclerosi tuberosa, encefaliti ecc.),
- psichiche (psicosi in fase iniziale),
- metaboliche (fenilchetonuria),
- genetiche (sindrome dell'X-fragile, anomalie del cromosoma 22 ecc.),
- sensoriali (sordità)
- mediche generali (intolleranze alimentari).
Profilo cognitivo delle persone autistiche
Sommario:
- La correlazione con il ritardo mentale
- Le abilità eccezionali
- Le componenti del linguaggio
- Le componenti sensomotorie
- Le capacità cognitive elementari
- Le abilità visuo-spaziali
- Il pensiero astratto/concreto
- Il pensiero analitico/olistico
- La tolleranza/intolleranza dell'ambiguità
- Le componenti cognitive della socializzazione
- Risultati di una ricerca sul profilo cognitivo nell'autismo
Il concetto di profilo cognitivo, in questo contesto, viene utilizzato per significare l'insieme delle capacità generali (memoria a breve termine, velocità mentale, etc.), delle capacità periferiche (abilità visiva, abilità di programmazione motoria, etc.) e delle particolari modalità di raccolta ed elaborazione delle informazioni (stili cognitivi).
La correlazione con il ritardo mentale
La relazione tra ritardo mentale ed Autismo è stata ed è causa di accesi dibattiti. In passato, una fonte di confusione è stata la tendenza a ritenere l'Autismo un disturbo 'puro', ossia che non si riscontra in presenza di altre sindromi, quali appunto il ritardo mentale. Tager-Flusberg e Baron-Choen ritengono che la categoria di Autismo ad alto funzionamento sia usata per distinguere questa forma 'pura' di Autismo da quella legata al ritardo mentale (Tager-Flusberg e Baron-Choen, 1993).
Attualmente è accertata l'esistenza di ritardo mentale in circa il 70 % delle persone autistiche (Gillberg e Coleman, 1992: 32-33).
Peeters mette in guardia da pericolose semplificazioni relative a questo dato: il rendimento cognitivo di persone con Autismo non può essere compreso correttamente se non alla luce delle peculiarità del suo profilo cognitivo. In altri termini, Peeters si chiede fino a che punto l'apparente ritardo mentale non è conseguenza di una incompresa diversità nella raccolta ed elaborazione delle informazioni (Peeters, 1994: 31-32).
Andando oltre l'informazione sul QI delle persone con Autismo si scopre una interessante caratteristica: il rendimento nelle diverse abilità è disomogeneo (mentre le persone con ritardo mentale rendono allo stesso livello nelle diverse aree) (Peeters, 1994: 32-33).
In un recente saggio di Francesca Happé (1999 cfr. sito A-99) viene sottolineato come sia maggiormente produttivo evidenziare le potenzialità piuttosto che i limiti delle caratteristiche cognitive delle persone con Autismo.
Le abilità eccezionali
Alcune persone autistiche presentano aree di abilità più sviluppate della norma. L'incidenza nell'Autismo di queste abilità eccezionali è del 10%, mentre nella popolazione generale è di 1%. Le aree in cui vengono abitualmente espresse le savant abilities sono: calcolo, prove di memoria (soprattutto memoria di date e calendari), abilità artistiche e musicali (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Per spiegare il fenomeno delle 'savant abilities', Rimland (cit. in Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH) ipotizza una straordinaria capacità di focalizzare l'attenzione su una specifica e circoscritta area d'interesse.
In alcuni casi di diminuzione dei sintomi autistici si è riscontrato una parallela diminuzione nelle isole di abilità.
Le componenti cognitive del linguaggio
Lo sviluppo del linguaggio sembra essere intimamente legato allo sviluppo della teoria della mente del bambino: è stato ipotizzato che funzionalmente il linguaggio sia espressione, così come lo è la comprensione degli stati mentali altrui, della capacità metarappresentativa (Tager-Flusberg, 1993).
Il linguaggio si sviluppa normalmente intorno al nono mese di vita. Non compare però improvvisamente: sono stati individuati alcuni atti comunicativi che precedono e fondano lo sviluppo della comunicazione verbale. Tager-Flusberg (1993) elenca tre comunicazioni intenzionali di tipo prelinguistico: routine sociali (come dire ciao o arrivederci), protoimperativi (atti usati per ottenere qualcosa) e protodeclarativi (atti usati per indicare un oggetto interessante). Proprio quest'ultimo tipo di comportamenti comunicativi sembra essere assente nelle persone con Autismo.
Alcuni Autori leggono questo dato attraverso l'ipotesi di deficit nella joint-attention (Tager-Flusberg, 1993; Mundy e Kasari, 1993): le persone con Autismo non sono in grado di utilizzare uno 'scambio triadico', ossia una relazione a tre fra un osservatore interessato, una persona da coinvolgere nell'osservazione e l'oggetto dell'attenzione.
In modo simile, i bambini autistici hanno problemi notevoli anche nel seguire lo sguardo di un'altra persona, anche quando questo è accompagnato da indicazione.
E' stato ipotizzato che a fondamento di questa mancanza vi fosse un deficit relativo al contatto oculare, oppure connesso con l'indicazione. Quest'ipotesi è stata esclusa dall'osservazione di un pressoché normale sviluppo di atti protoimperativi: contatto oculare e indicazione sono efficienti quando sono usati per ottenere un oggetto desiderato (Mundy et al., 1993).
Vi sono altri aspetti significativi sul joint-attention deficit nell'Autismo. In primo luogo v'è la sua alta incidenza rispetto a questa sindrome: 94% per gli autistici low-functioning (Mundy et al., 1986 cit. in Mundy et al., 1993).
Al contempo, è importante sottolineare che il joint-attention deficit è modificabile tramite opportuni contesti o stimoli sociali. Conseguentemente, gli Autori suggeriscono l'importanza di un intervento precoce di questo tipo (Lewy e Dawson, 1991 cit. in Mundy et al., 1993).
Sono state date differenti interpretazioni della mancanza di atti protodeclarativi nell'Autismo.
Hobson (1993) ha ipotizzato che le anomalie linguistiche delle persone con Autismo siano una diretta controparte dei disturbi nella socializzazione. Egli legge pertanto questo dato in connessione alle componenti affettive che contraddistinguono questa sindrome. Egli ritiene che i disturbi nell'area della comunicazione siano causati, nell'Autismo, dall'assenza di una propensione affettiva e relazionale verso le persone. In quest'ottica, la mancanza di comportamenti volti ad attirare l'attenzione , e più in generale l'assenza di una teoria della mente, costituirebbero una conseguenza dello scarso interesse emotivo verso le persone.
Questa interpretazione ha ricevuto delle critiche basate sull'osservazione che normalmente i comportamenti volti al coinvolgimento dell'attenzione di altre persone è legato ad affetti positivi. Di contro, quando tali comportamenti sono messi in atto da persone con Autismo, è molto improbabile riscontrare un'affettività positiva, mentre nella prevalenza dei casi non si riscontra alcun tipo di affettività (Tager-Flusberg, 1993).
Particolarmente significativo è che i comportamenti volti alla joint-attention sono un predittore del grado di sviluppo del linguaggio (Lewy e Dawson, 1991 cit. in Mundy et al., 1993). E' inoltre rilevante che l'indicare sia ritenuto da Vigotskji (cit. in Hobson, 1993) un presupposto base della maturazione del linguaggio.
Già dalle prime osservazioni di Kanner (1943) emerse una peculiarità del linguaggio nell'Autismo: l'inversione pronominale.
All'interno dell'ipotesi sulla teoria della mente nell'Autismo, viene offerta una lettura di questo fenomeno. In linea con questo modello teorico, le affermazioni fatte dalle persone con Autismo sono distorte dalla incomprensione del duplice ruolo di parlante/ascoltatore. Da ciò deriva la tendenza a riprodurre le affermazioni del colloquiante: 'vuoi mangiare?' al posto di 'voglio mangiare' (Tager-Flusberg, 1993).
Loveland e Tunali (1993), a seguito di una rassegna sugli stili narrativi, indicano le principali particolarità che ci si può attendere in narrazioni di individui autistici:
a) scarsa comprensione dello stato di conoscenze dell'ascoltatore (parlare di cose a lui sconosciute come se egli ne fosse al corrente);
b) mancanza di descrizione di pensieri, emozioni e motivazioni dei personaggi;
c) scarsa attenzione al contesto sociale e culturale degli eventi.
Del linguaggio, ed in particolare delle narrazioni, delle persone con Autismo si sono interessati anche Bruner e Feldman (1993). Questi Autori attribuiscono alle capacità di organizzare strutture narrative un ruolo fondamentale nella genesi delle anomalie sociali e relazionali delle persone autistiche sia low- che high-functioning. La loro ipotesi è che gli individui affetti da Autismo non riescono o non vogliono organizzare le informazioni sul mondo in schemi di narrazione, che seppur con diversità, universalmente sono utilizzate per la comprensione della realtà sociale (dal sé al riconoscimento delle emozioni altrui).
Nel Disturbo di Asperger, differentemente che nell'Autismo tipo Kanner, le abilità verbali sono nettamente superiori alle abilità di performance (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH). Anche in questi casi, però, il linguaggio ha delle peculiarità significative: è difficile conversare, mentre è molto più probabile che lo scambio si trasformi in un monologo; si può dialogare prevalentemente su alcuni argomenti cui la persona con Autismo è particolarmente interessata (Tager-Flusberg, 1993).
Per queste persone, secondo Bruner e Feldman, l'ipotesi di un disturbo nell'organizzazione narrativa degli eventi è ancor più evidente che nell'Autismo 'classico'. Le loro abilità sono particolarmente significative in aree come problemi aritmetici e problemi fondati su ragionamenti causa-effetto; quando si tratta di dar conto degli eventi relazionali in contesti sociali, senza il supporto di competenze narrative, il risultato previsto è inadeguato o bizzarro.
Le componenti senso-motorie
Diversi Autori sostengono che la 'comprensione' si fonda strutturalmente sulla 'percezione': è attraverso la raccolta ed elaborazione dei dati percettivi che viene conosciuta la realtà (White, 1989; Manning, 1989; Peeters, 1994: 31).
Stankov et al. (1995), riprendendo la teoria di Cattell, sostengono che il rendimento cognitivo dipende non solo da intelligenza fluida (Gf) e cristallizzata (Gc), ma anche dalle cosiddette 'provincial capacities' che implicano le potenzialità percettivo-motorie indispensabili all'esecuzione di una prova.
La constatazione delle anormalità sensoriali delle persone autistiche è quindi il presupposto per una diversità nello stile cognitivo: 'ascoltano, sentono e vedono, ma il loro cervello tratta le informazioni diversamente' (Peeters, 1994: 31).
In particolare Groden e Le Vasseur (1999 cfr. sito A-99) ritengono che il particolare funzionamento dei canali sensoriali contribuisca in modo determinante al quadro della Sindrome Autistica. Suoni, stimoli visivi e contatto fisico possono avere effetti paradossali per individui affetti da Autismo.
Le capacità cognitive elementari
In questa sindrome sembrano esservi anche dei problemi strettamente connessi con l'attenzione.
In una recente conferenza indetta dalla National Autistic Society britannica, Philip Graves (cfr. sito A-99) riporta una serie di ricerche da cui si evince che la relazione fra Autismo e deficit dell'attenzione è stata trascurata o riportata marginalmente, senza un approfondimento del ruolo svolto dal deficit attentivo nell'eziologia e nella patogenesi della Sindrome Autistica.
Grandin cita un esperimento da cui risulta che le persone con Autismo hanno una notevole difficoltà a spostare l'attenzione tra stimoli uditivi e visivi (Courchesne et al., 1989 cit. in Grandin, 1996 cfr. sito CSA). Questo scarso controllo dei processi attentivi è probabilmente alla base dei comportamenti stereotipati tipici di questa sindrome.
Murray e Lesser (1999 cfr. sito A-99) affermano che il computer costituisce l'ambiente ideale per promuovere comunicazione, socializzazione e creatività nelle persone con Autismo. Infatti, una problematica dell'Autismo è di dover fronteggiare diversi stimoli e canali percettivi contemporaneamente: l'uso di computer, invece, non richiede spostamenti dell'attenzione.
La relazione fra intelligenza e memoria è stata studiata da molti Autori. In particolare, nell'Autismo, sono stati riscontrati dei deficit della memoria per eventi recenti (Boucher, 1981 cit. in Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Le abilità visuo-spaziali
Nelle prove della WISC, le persone affette da Autismo, mostrano una serie di notevoli sbalzi fra prestazioni ottime e scadenti. Ottengono risultati elevati in prove visuo-spaziali, mentre in test associati al linguaggio ed in quelli relativi a intuizione/empatia le loro prestazioni sono estremamente basse (Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Lovett, (1998 cfr. sito SFTAH) riferisce di una ricerca da cui risulta che l'informazione visiva sia più facilmente elaborata dalle persone autistiche.
Tale peculiarità prende il nome di pensiero visivo, ed è posta in contrapposizione al pensiero verbale, che utilizza prevalentemente le parole.
Il pensiero astratto/concreto
A parità di Età Mentale, rispetto a bambini normali o con ritardo, ottengono migliori risultati nella discriminazione concreta. Di contro, nella discriminazione formale, le loro performance sono scadenti (Gillberg e Coleman, 1992: 31).
Questa caratteristica è stata anche definita come difficoltà a riassumere le informazioni complesse deducendone gli aspetti salienti e le regole che le sottendono.
A parità di EM, persone autistiche e non-autistiche ottenevano analoghi risultati in prove di memoria di parole non collegate fra loro: cane, mamma, albero, divano, libro, piatto. Un risultato differente era ottenuto con parole collegate fra di loro: mela, uva, pompelmo, aereo, bicicletta, automobile (ossia parole appartenenti a due categorie).Le persone con Autismo non traggono vantaggio, a differenza dei non-autistici, dalla possibilità di organizzare in categorie gli elementi da ricordare (Peeters, 1994: 37-39).
Questo non andare oltre le informazioni immagazzinate, individuando regole e ridondanze che le sottendono, è alla base del cosiddetto 'vivere alla lettera' (Peeters, 1994: 37-39).
Anche nel gioco è possibile rintracciare questi aspetti del profilo cognitivo nell'Autismo. Nello sviluppo del gioco è possibile distinguere tre fasi: g. sensomotorio (basato sulla manipolazione, sulla conoscenza percettiva), gioco funzionale (utilizzo degli oggetti in base a ciò che per essi viene previsto) e gioco simbolico (un oggetto può essere usato per rappresentarne un altro qualsiasi).
Il gioco dei soggetti autistici non raggiunge mai il terzo livello, appunto quello del gioco simbolico (Baron-Choen, 1993).
Una ripercussione di questa particolarità sono alcune incomprensioni sociali, in particolare riguardo al non-verbale. E' possibile distinguere gesti strumentali e gesti espressivi: i primi sono direttamente connessi con il significato: spingere via una persona vuol dire che non se ne gradisce la compagnia. Invece, i gesti espressivi, come la pacca sulla spalla, non contengono in sé il significato di cui sono portatori, ma sono maggiormente dipendenti dall'apprendimento sociale (Peeters, 1994: 40-43).
Inoltre, a questa inflessibilità del pensiero si possono collegare altre caratteristiche del comportamento autistico come la difficoltà nell'uso di parole relazionali (alto/basso, grande/piccolo,etc.) e l'incomprensione delle metafore (Peeters, 1994: 72-79; Volkmar e Klin, 1993).
Anche Harris (1993) ipotizza l'esistenza di una difficoltà cognitiva nel ragionamento ipotetico, soprattutto quando questo va contro i dati immediatamente disponibili: l'assenza di gioco simbolico deriverebbe dal non riuscire a fare come se il tavolo fosse una tenda, visto che è 'così evidente' che esso è un tavolo.
Il pensiero analitico/olistico
Come discusso precedentemente, la letteratura concernente lo stile cognitivo propone nomenclature distinte per modelli teorici parzialmente sovrapponibili (Furnham, 1995; Riding e Sadler-Smith, 1992).
Nel presente lavoro si fà riferimento alla definizione dello stile olistico/analitico proposta da Riding e Sandler-Smith (1992). A questo stile cognitivo sono però accostabili il modello di McKenny e Keen (1974 cit. in Furnham, 1995), la dimensione narrow/extensive scanner di Gardner e Long (1962, cit. in Furnham, 1995), la distinzione tra strategie algoritmiche/euristiche proposta da Miller, Galanter e Pribram (1960 cit. in Shouksmith, 1970: 95-97).
Una interessante analogia è quella proposta da Silverman (1989) tra lo stile olistico/analitico e la dipendenza/indipendenza dal campo. Non vi è un completo accordo sull'appropriatezza di questo collegamento (Kaplan, 1989).
La modalità di ragionamento comporta l'elaborazione logico-sequenziale delle informazioni. Essa è connessa con l'impiego di procedure algoritmiche nella risoluzione dei problemi: vengono cioè prese in considerazioni tutte le possibili soluzioni prima di scegliere quella da impiegare. L'efficacia di questa strategia si contrappone, nei casi più complessi, alla sua efficienza: non sempre è economico analizzare tutte le alternative che si hanno a disposizione.
Differentemente, l'elaborazione di tipo olistico delle informazioni, più legata ad una visione sintetica e unitaria piuttosto che dettagliata ed analitica, utilizza modalità euristiche per la soluzione di problemi: non vengono prese in considerazioni tutte le alternative, ma un ristratto numero scelto in base a colleagamenti con precedenti esperienze simili.
Frith (1996 cfr. sito VCAE) sostiene che le persone con Autismo utilizzino più agevolmente il pensiero olistico.
La tolleranza/intolleranza dell'ambiguità
Come è stato sottolineato da Furnham (1995), la tolleranza/intolleranza dell'ambiguità, oltre ad essere rilevante per lo studio della personalità, ha importanti implicazioni sul profilo cognitivo. Difatti, secondo questo Autore, la tolleranza per l'ambiguità implica una maggiore disponibilità ad analizzare stimoli e problemi nuovi.
Di contro, l'intolleranza per l'ambiguità comporta maggiori difficoltà nell'affrontare compiti cui non si è abituati.
Coerentemente con queste osservazioni, una delle note distintive dell'Autismo è la tendenza a preservare l'identità degli ambienti e la difficoltà ad affrontarne di nuovi (vedi per esempio Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
Le componenti cognitive della socializzazione
Quello delle competenze sociali è senz'altro uno degli ambiti più deficitari all'interno della Sindrome Autistica (Wellman, 1993).
E' stato constatato che con la crescita vi è generalmente un progresso nelle abilità sociali, sebbene la vita sociale di queste persone rimane contraddistinta da profonde difficoltà ed anormalità relazionali (Volkmar e Klin, 1993).
Gli individui con sindrome di Asperger sono più consapevoli della realtà sociale rispetto a quelli con Autismo classico. D'altro canto, i loro comportamenti sono molto spesso inappropriati (Lovett, 1998 cfr. sito SFTAH).
In passato le abilità sociali erano ritenute una diretta espressione dell' EM: le competenze relazionali erano in teoria espressione delle abilità cognitive generali.
Attualmente, secondo Volkmar e Klin (1993), vi è accordo nel considerare queste abilità relativamente indipendenti.
Merita attenzione anche il ruolo che le diversità cognitive giocano nello sviluppo dei disturbi della socializzazione (Grandin, 1996 cfr. sito CSA).
Risultati di una ricerca sul profilo cognitivo nell'autismo
.L'analisi dei testi ha mostrato una caratterizzazione particolare del profilo cognitivo delle persone con Autismo.
Le anomale capacità cognitive elementari (durata, controllo e spostamento dell'attenzione, capacità della memoria a breve termine), insieme ai disturbi percettivo-motori sono riconducibili, in una causalità circolare, ad un particolare profilo cognitivo.
Coerentemente con queste caratteristiche, infatti, sono evidenziabili la preferenza per modalità visive di raccolta ed elaborazione delle informazioni: il pensiero visivo non richiede ampio utilizzo di memoria a breve termine, che risulta indispensabile per il pensiero verbale.
La preferenza per il pensiero concreto risulta essere espressione di una difficoltà a generalizzare e ad astrarre. Entrambe queste capacità dipendono dalla possibilità di organizzare il pensiero in modo sequenziale piuttosto che associativo (tipico del pensiero per immagini).
Inoltre, gli aspetti sopra evidenziati sono parte integrante dello stile olistico di raccolta ed elaborazione delle informazioni, pure questo correlato con la difficoltà nella sequenzialità e con la preferenza per una visione d'insieme.
L'intolleranza dell'ambiguità e le difficoltà nella socializzazione, ad un livello logico superiore, potrebbero essere una conseguenza delle difficoltà ad astrarre le regole a partire dalle proprie esperienze.
Modello cognitivo e teoria della mente
La mente è ciò che è posto tra cervello e comportamento, ed è a questo che fa riferimento il termine 'cognitivo'.
Secondo una teoria di Benda (1960 cit. in Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 406), l'apparente mancanza di affettività dei bambini con autismo sarebbe piuttosto da attribuire ad un'incapacità di astrazione da cui deriverebbero le difficoltà di contatto con l'ambiente e nella manipolazione di simboli.
Più recentemente, a suscitare un certo interesse nel mondo accademico, è stata la teoria della mente che le persone con autismo si costruiscono riguardo gli altri, ossia il loro modo di immaginare cosa essi pensano, proposta da Frith (1995), secondo la quale un malfunzionamento del cervello si rispecchia in un malfunzionamento della mente, da esso prodotta e produttrice a sua volta del comportamento.
L'Autrice ricorda quanto sia difficile stabilire se a cambiamenti nei comportamenti osservabili in base ai quali si definisce l'autismo corrispondano poi effettivamente cambiamenti nella sfera cognitiva o neurologica, pertanto risulta ardua la determinazione di un comune denominatore di tutti i casi di autismo, obiettivo che invece si pone lo studio della teoria della mente in persone affette (Frith, 1995).
L'approccio si fonda sull'ipotesi di un'incapacità, negli individui con autismo, di attribuire correttamente all'altro stati mentali come conoscenze o credenze, probabilmente a causa di un danno della facoltà metarappresentazionale, con una conseguente compromissione dei processi di mentalizzazione, forse innati, da cui risulta un pensiero concreto, basato esclusivamente su eventi della realtà direttamente osservabili (Frith, 1995; Happé, 1994: 38-39; Baron-Coen et al., 1993: 112-121).
Quest'ipotesi risale ad un'iniziale proposta di Leslie (1987, cit. in Frith 1995) di considerare il gioco di ruolo nei bambini in generale come se fosse basato su un meccanismo cognitivo che permettesse loro di immagazzinare separatamente eventi fisici (reali) e mentali (di ruolo).
Visto che nei bambini affetti da autismo il gioco di ruolo appare in effetti molto più povero, in confronto a bambini con handicap differenti, Baron-Coen, Leslie e Frith (1985 cit. in Frith 1995), indagarono la possibilità dell'esistenza di una reale incapacità dei bambini con autismo di registrare gli stati mentali separatamente da quelli fisici.
La ricerca si svolgeva sotto forma di gioco in cui ai soggetti erano presentate due bambole, una, Sally, portava un cestino e l'altra, Ann, aveva una scatola. Sally usciva a passeggio dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto Ann prendeva la biglia dal cestino e la nascondeva nella propria scatola. A questo punto Sally tornava, con l'intenzione di giocare con la biglia e le domande che venivano poste erano: 1) dove avrebbe guardato Sally per prendere la biglia? 2) dove avrebbe creduto di trovarla? L'elemento fondamentale di cui avrebbero dovuto tener conto i soggetti era che Sally non poteva essere a conoscenza di quanto Ann aveva fatto in sua assenza.
Erano in grado di rispondere al quesito sia bambini normali di quattro anni che bambini affetti da sindrome di Down, i quali, su richiesta, erano anche in grado di spiegare che Sally era ignara delle azioni di Ann durante la sua assenza, dimostrando così, grazie alla comprensione che qualcuno può avere una 'credenza errata' (false belief) su una situazione, d'essere capaci di attribuire uno stato mentale ad un altro, in modo da aver maggiori possibilità di prevederne il comportamento: nella storia proposta è plausibile aspettarsi che Sally, dopo aver inizialmente cercato la biglia nel cestino non la trovi (Frith, 1995).
Secondo gli Autori dalla comprensione di un'errata credenza deriva quella di una 'credenza vera' (true belief), ossia è possibile capire emozioni sentimenti e desideri dell'altro (Frith, 1995).
Bambini affetti da autismo, di età anche molto superiore ai 4 anni, incorsero invece in grosse difficoltà nel tentativo di rispondere alla domanda, affermando per esempio, nonostante il ricordo corretto della sequenza degli eventi, che Sally avrebbe cercato nella scatola di Ann, così da dimostrare quindi di non riuscire a cogliere il senso di quanto accaduto e comprendere che Sally ha una falsa credenza. Il comportamento di Sally diventa imprevedibile se non vi è comprensione dei suoi pensieri poiché, secondo gli Autori, il non inferire una falsa credenza significa non essere in grado di conoscere gli stati mentali altrui: nell'esempio sarebbe inspiegabile che Sally vada a cercare la biglia nel posto sbagliato, cosa che invece accade nelle persone con autismo, proprio perché potrebbe mancare in loro una teoria della mante (Frith, 1995).
Implicazioni biologiche
Da una ricerca di Flechter et al. (1995, cit. in Frith 1995) su volontari, risultò un'intensa attività di una zona posta nella corteccia mediale frontale sinistra, l'area 8 di Brodmann, solamente durante l'esecuzione di prove che richiedevano l'uso di abilità concernenti la teoria della mente. L'area non era attiva nella condizione di controllo, dove si richiedeva l'esecuzione di un compito che implicava la comprensione di stati fisici, piuttosto che mentali.
Da una ricerca successiva degli stessi Autori emerge l'ipotesi di una disfunzione cerebrale localizzata e specifica che spiegherebbe come mai nei volontari con sindrome di Asperger, l'attività dell'area 8 di Brodmann risultasse, rispetto al gruppo dei non affetti, significativamente minore (Frith, 1995).
Limiti della teoria della mente
Il fatto che pazienti con sindrome di Asperger, compresa nell'ampio spettro dei disordini autistici, siano in grado spesso di rispondere esattamente al quesito di Sally e Ann impone una revisione della teoria della mente, visto che per queste persone non sembra si possa parlare di. 'cecità alla mente', ma piuttosto di una 'miopia' perché, nonostante la loro abilità nelle prove sperimentali e il loro elevato QI verbale rispetto a soggetti con autismo grazie al quale già a 4 o 5 anni sono in grado di riconoscere un 'false belief', incorrono comunque in molte difficoltà nella vita quotidiana perché la loro abilità, anche se presente, risulta impacciata e lenta, come se la comprensione dello stato mentale altrui fosse stata raggiunta mediante un percorso diverso e inusuale (Frith, 1995).
Frith (1995) ricorda come questo aggiustamento non sia tuttavia sufficiente a superare i seguenti limiti:
1. mancata spiegazione della diversa gravità dei sintomi dell'autismo;
2. nessuna spiegazione circa la prevalenza del ritardo mentale nell'autismo;
3. nessuna chiarezza riguardo l'apparente anaffettività e le altre difficoltà nella socializzazione;
4. alcuni aspetti caratteristici del disturbo come stereotipie e perseverazioni non vengono spiegati;
5. mancanza di una spiegazione in relazione al profilo irregolare del QI nei test di performance e alle isole di abilità.
Visto che il superamento delle prove che implicano la teoria della mente non dipende da nessuno degli elementi sopra elencati, sono state proposte due teorie cognitive che li prendono in considerazione.
Teoria dei disturbi delle funzioni esecutive
La categoria comprende memoria procedurale, capacità di pianificazione e controllo dell'impulso. La somiglianza dei disturbi autistici per questi aspetti con quelli causati da lesioni dei lobi frontali, ha portato all'ipotesi di un possibile legame tra una disfunzione di tali strutture e l'autismo.
Per spiegare come mai non tutte le persone con lesione dei lobi frontali risultino poi affette anche da autismo, Frith (1995) propone un modello complementare alla teoria della mente, e non alternativo, secondo cui quanto più è precoce l'età in cui si subisce la lesione, tanto più pervasivi si rivelano gli effetti sullo sviluppo di chi ne è colpito.
Teoria della coerenza centrale debole
Frith e Happé (1995) ipotizzarono che le persone con autismo possedessero uno stile cognitivo particolare orientato verso i processi olistici a cui si sarebbe potuta attribuire l'irregolarità del QI di performance di diversi test.
Chi non è affetto da autismo ottiene risultati migliori con materiale coerente e organizzabile (è più facile ripetere a memoria frasi che costituiscono una storia, piuttosto che frasi casuali), mentre per chi ne è affetto sembra non aver importanza se stia eseguendo un compito dotato di senso o no (Frith, 1995).
E' probabile che i punteggi più alti degli individui con autismo nell'area visuo-spaziale al sub test Disegno con i Blocchi delle scale Wechsler, siano da attribuire alla modalità più adatta alla ricostruzione dell'intero disegno che sembra consistere nel dividere le figure in unità minori prive di significato.
Secondo la teoria della coerenza centrale debole una certa indipendenza dal contesto e più numerosi errori di pronuncia nelle parole omografe potrebbe spiegare perché nelle prove di linguaggio, le persone affette da autismo tendono ad associare le parole più per somiglianza di suono che per significati, come risulterebbe confermato, secondo Frith (1995), dai test sia verbali che di performance.
Nell'autismo sembrerebbe perciò essere assente proprio quella tendenza alla coerenza caratteristica del modo di elaborare le informazioni delle persone in generale (Frith, 1995).
Diagnosi
Evidentemente per formulare la diagnosi d'autismo occorre accertare che vi sia un disturbo nelle seguenti tre aree: comunicazione, socializzazione e ristretti interessi (immaginazione). Ciò che rende difficile l'individuazione della sindrome autistica è la molteplicità dei sintomi che si possono presentare, e la loro disparità da un caso all'altro; è perciò difficile che un professionista sia davvero esperto d'autismo se non vede che pochi casi.
Bisogna fare il bilancio iniziale se si vuole ottenere un quadro completo ed oggettivo d'ogni bambino/a. Quando si valuta un bambino/a autistico soltanto da una parte in relazione al linguaggio o all'assenza di linguaggio, e dall'altro rispetto ad un comportamento sociale adeguato o no, si ottiene un quadro troppo frammentario che non consente di aiutare il bambino/a.
Pertanto,bisognerebbe cercare di fare un bilancio tenendo conto di tutti i dati: motricità del bambino/a, percezione (vede e sente bene), capacità di associare un suono con una percezione visiva, lateralizzazione, processi cognitivi (memoria, elaborazione, ecc.). Per quanto riguarda i processi cognitivi, si è studiato lo stadio cui si trovavano i bambini dal punto di vista della memoria e dell'attenzione. E' molto importante appurare il livello cognitivo del bambino/a e il suo stadio di sviluppo (Vineland adaptive behavior scales, P.E.P., ecc.). Ora, ci si è resi conto che nei bambini autistici ci sono gravi problemi di memoria (hanno soltanto una memoria automatica, di routine - Schopler, Wing, Gillberg, Peeters, ecc.). La memoria del nuovo, di ciò che va aggiunto al passato, non esiste. Ed è per questo che si riscontra in loro questa ricerca di immutabilità, perché ogni nuovo apprendimento è sconvolgente rispetto alle loro strutture di funzionamento. E' evidente che la motricità interviene anch'essa nei processi cognitivi e in quelli di comunicazione. Bisogna avere la corretta condotta motoria per parlare, utilizzando la gola, la lingua, la bocca per formare dei suoni che diventeranno parole. Allo stesso modo se il bambino/a non ha una buona motricità avrà delle difficoltà per apprendere a comunicare con i gesti, per imparare a scrivere, e anche per imparare ciò che fa parte dell'autonomia quotidiana. (tagliare una fetta di carne, vestirsi, chiudere un lampo o allacciare le scarpe, ecc.). Bisogna quindi valutare tutto questo, perché tutto ha peso, e tutto è collegato.
Ma bisogna anche studiare i deficit neurologici che presenta il bambino/a: quando s'inviano due informazioni a un bambino/a autistico (un clic sonoro e uno stimolo visivo) il bambino/a non le analizza come un bambino della sua età cronologica. Bisognerà tenere conto di questo nei processi educativi, tenendo presente il fatto che il bambino/a autistico tratta e analizza l'informazione tal e quale noi gliela diamo. Se gli si mostra l'immagine di una macchina e gli si dice 'macchina' non collegherà il suono macchina all'immagine che ha visto. E tutto procede da questa mancanza di analisi.
Noi sappiamo che i bambini/e autistici hanno delle percezioni diverse dalle nostre. Tutti conosciamo dei bambini/e ipersensibili al freddo, al caldo, ai rumori, o che hanno delle remore a toccare certe superfici, ecc. Come per tutte le forme di apprendimento, tutto quello che si può frequentare nella scuola materna per dei bambini senza problemi, sarà difficile nel caso di bambini/e autistici. Bisogna anche esaminare bene quest'aspetto delle relazioni sociali e vedere come entra in relazione con gli altri.In genere si dice,erratamente, che i bambini/e autistici vivono chiusi in se stessi, nel loro mondo, senza entrare in relazione e senza comunicare ma, piuttosto,si dovrebbe dire che il bambino/a autistico entra in relazione e comunica, ma in modo deviante; questo modo deviante è perturbante per tutti gli altri, e fa sì che egli non sia bene accetto socialmente. Quindi, un'analisi precisa del suo modo di relazionarsi, del suo modo di comunicare, permette di aiutarlo e di fare dei progressi.
Alla base di tutto questo i dati neurobiologici, i processi cognitivi, la psicologia individuale, tutti i dati relazionali, rituali e culturali determineranno quella che possiamo chiamare la 'pragmatica', cioè l'aspetto pratico della comunicazione e del linguaggio.occorre cercare di far comunicare il bambino/a autistico con un qualunque mezzo possibile, che si tratti di lettura, immagini, linguaggio gestuale, o i cubi utilizzati da Premack. Non ha importanza il mezzo, bisogna però fornirgli uno strumento di comunicazione, per evitare di lasciarlo nel mondo dell'aggressività, della mutilazione e della violenza, perché allora saranno questi i suoi soli mezzi per esprimersi. Non riuscire a dargli uno strumento di comunicazione abbastanza presto, è uno scacco in partenza per la socializzazione.
A partire da tutto questo, si deve definire un programma educativo, che non si deve intendere per educazione l'educazione classica, quella fornita dallo stato, cioè imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Il punto è piuttosto lo sviluppo del bambino/a sul piano dell'autonomia, delle relazioni, delle capacità di comunicazione, in breve di tutto ciò che costituisce lo sviluppo di un bambino/a della sua età cronologica. Evidentemente, sarà un bambino handicappato, ma si potrà cercare di aiutarlo ad integrarsi nella società. Le famiglie devono poter vivere con questi bambini/e, e la società deve poterli accettare. Per esempio, i nostri bambini sono capaci di andare in un bar e mangiare, o di fare degli acquisti. Gli si insegna i gesti essenziali della vita: traversare la strada, prendere un autobus, vestirsi, spogliarsi. E' questa l'educazione. Il punto di partenza, però, è valutazione iniziale. Un programma educativo individualizzato significa sapere ciò che è prioritario. La maggior parte dei bambini/e autistici presenta un problema di attenzione: la loro attenzione è labile, sono iperattivi o indifferenti, e in ogni modo non si riesce a farli concentrare su un compito per trenta secondi. Se un bambino/a è incapace di un po' di attenzione, è inutile mettere in pratica un programma educativo.
Dunque, se si vuole aiutare un bambino/a, si deve partire con la cognizione di tutto ciò che è negativo, tutto ciò che è corretto, e stabilire ciò che va sviluppato e ciò che va soppresso.La maggior parte dei comportamenti perturbanti (a differenza di ciò che si fa in alcuni centri) possono ricevere un trattamento. Bisogna aiutare i genitori perché, quando il bambino/a è piccolo, il suo posto non è certamente in un centro, è evidente. E' necessario che un'équipe aiuti immediatamente la famiglia a trattare questi comportamenti perturbanti. E' qui che i test, i bilanci e le valutazioni intervengono: si deve osservare ciò che accade nel comportamento del bambino/a; quando questo comportamento specifico appare? Perché, come? Ogni volta ci si rende conto che il comportamento perturbante del bambino/a corrisponde a un rifiuto, a un desiderio (ha qualcosa da esprimere, ma siccome non possiede né il linguaggio né altro strumento per esprimerla, la esprime con il corpo, con delle grida, con il rompere degli oggetti in casa). Se non ci si occupa immediatamente di tutto questo, è ancora una volta inutile pensare in termini di educazione.
Quindi, si devono prendere in carico questi fattori immediatamente e con un'azione coordinata con i genitori; non soltanto gli si sottopone il questionario all'inizio, ma si dovrà sempre avere con essi un'interazione e una retroazione.
E' accertato a livello internazionale che la sindrome autistica è una patologia che dura per tutta la vita. Al di là delle caratteristiche comuni le persone affette da autismo costituiscono un gruppo eterogeneo e possiamo suddividere bambini/e diagnosticati come autistici sulla base della triade sintomatologica secondo il livello più o meno grave di problemi di linguaggio e di comprensione generale; ogni elemento dev'essere visto dal punto di vista delle peculiarità di ogni singolo bambino/a, perché ogni bambino/a autistico è diverso dall'altro.
L'intervento dovrà prevedere due elementi chiave: il primo è insegnare loro in una maniera concreta le abilità di comunicazione, la capacità di interazione, e tutte le competenze di base della vita; il secondo è di adattare il proprio comportamento sociale in modo da aiutare il bambino/a autistico a capire la situazione. La chiave di un intervento specifico è un'istruzione chiara e completa, molta pazienza e la consapevolezza che dobbiamo adattare il nostro comportamento.
Se pensiamo, nella nostra vita, alle nostre relazioni sociali, ci rendiamo conto che la relazione sociale non ha una struttura come i numeri, non ha regole evidenti, non ha un ordine fisso, non è prevedibile. La relazione sociale cambia continuamente, non è mai la stessa. La relazione sociale insomma presenta tutte le caratteristiche che sono incomprensibili per molti bambini/e autistici, perché per loro è molto più comprensibile un mondo dove le cose sono ordinate, possono essere previste, organizzate, e sono sempre le stesse. Se pensate ai propri figli/e, vi rendete conto che guardano sempre gli stessi libri, gli stessi video, vogliono sempre giocare nella stessa maniera, con gli stessi giocattoli, ancora e ancora. Questo accade perché la ripetitività li aiuta a capire cosa stanno facendo in quel momento; le cose che sono più complicate per loro sono quelle in continuo cambiamento, come ad esempio le relazioni sociali e il linguaggio parlato.
Le difficoltà fondamentali che i bambini/e autistici devono affrontare innanzi tutto sono una lotta per comprendere la loro interazione con le persone che li circondano. Uno degli strumenti principali attraverso i quali socializziamo è la comunicazione. I bambini/e autistici devono lottare con entrambi questi deficit, sia la difficoltà a interpretare il linguaggio verbale che l'incapacità di comprendere il significato del nostro comportamento. Il loro comportamento rappresenta uno sforzo per far fronte all'ambiente che li circonda, un ambiente che è imprevedibile, e che un autistico/a adulto molto dotato ha definito 'caos sociale'. 'Caos sociale' vuole dire sentirsi socialmente disorganizzati, vivere in un mondo dove le cose sono completamente imprevedibili: questa è la sfida fondamentale che i bambini/e autistici si trovano a dover fronteggiare.
Un intervento efficace deve quindi essere incentrato su strategie atte a supportare la loro comprensione in un modo veramente concreto. Osservando i risultati di anni di ricerca condotti sotto il profilo dell'apprendimento con studenti affetti da autismo, vediamo che questi individui hanno grandi capacità ma anche grandi difficoltà. Per esempio, sono estremamente concreti: potreste avere un bambino/a che non comprende il significato di una parola, ad esempio, 'acqua', ma che capirebbe mostrandogli un'immagine dell'acqua, perché il linguaggio è più astratto rispetto alle immagini.
Un'altra cosa che sappiamo di questi bambini/e è che hanno un'immaginazione, un modo di pensare, dell'insieme, nel senso che quello ricordano ciò che sentono nell'insieme e non sanno interpretare i singoli eventi. Un'altra caratteristica tipica dei bambini/e autistici è che possiedono un'ottima capacità visiva di conoscere le cose, e interagiscono molto bene con gli oggetti che non si muovono. Ciò che si muove invece, come le persone, è molto più difficile da capire: tutto ciò che può essere analizzato attraverso la vista, come le parole scritte, le immagini, gli oggetti, è molto più comprensibile. Sappiamo inoltre che cercano di immaginare con molto sforzo che cos'è la comunicazione, che cosa implichi, e che riescono a imparare solamente i fondamenti principali; il loro comportamento di conseguenza è basato sulle vostre reazioni, sulla vostra risposta. Si tratta quindi di uno scambio molto concreto, e la comunicazione che i bambini/e autistici riescono ad apprendere è molto concreta: anche nel caso di bambini/e colpiti in modo più lieve, che usano il linguaggio per parlare, le conversazioni sono scambi memorizzati.
L'Insegnamento della comunicazione e delle capacità sociali a questi bambini/e è una forma d'istruzione più concreta e diretta: sarà insegnata una sola capacità alla volta, mai più capacità contemporaneamente. Quando consideriamo il problema dell'autismo, è altrettanto importante operare una distinzione tra il linguaggio e la comunicazione, che spesso tendiamo a considerare come sinonimi. I bambini/e affetti da autismo sono in continua lotta per interpretare sia il significato delle parole in se stesse, sia il significato del messaggio sociale dato dal contesto. La qualità del linguaggio del bambino/a autistico, vediamo che un numero molto alto di bambini/e non sviluppano assolutamente la capacità di parlare. Pensate semplicemente a quanto questo possa essere frustrante: avere dei bisogni, delle esigenze, dei desideri, volere qualcosa e non avere un mezzo per poterlo dire.
L'intervento per i bambini/e che non hanno capacità di comunicazione verbale, che non sanno parlare, consiste nell'utilizzare quella che noi definiamo una comunicazione aumentativa, cioè una comunicazione attraverso le immagini, o la scrittura, o, per alcuni bambini/e, anche attraverso il linguaggio dei segni, che utilizziamo anche nel caso delle persone non udenti, in modo che possano comunicare i loro bisogni, i loro pensieri, e riescono così ad esercitare un controllo sulla propria vita (Schopler, Peeters, Quill, ecc.).
Cercare di spiegarci nel modo più concreto possibile, dare alla parola il significato così come il bambino/a autistico la sente, costituisce un'esigenza fondamentale nel corso di un trattamento mirato; è necessario inoltre utilizzare una forma di comunicazione aumentativa.
Quando valutiamo le abilità sociali dei bambini/e autistici, troviamo che nessun bambino è uguale all'altro: alcuni hanno eccellenti capacità di imitazione, altri no. Per i bambini/e che hanno questo problema a livello sociale e non imitano quello che facciamo, le nostre azioni sono molto più confuse e incomprensibili. Questi bambini/e possono comprendere solo attraverso le dimostrazioni: dobbiamo dimostrare sempre in una maniera 'aumentativa' tutto quello che noi facciamo.
Il bambino/a autistico non ha nessuna comprensione delle situazioni sociali, perciò non le imita, e può comportarsi secondo due modalità: può evitarle, e fare tutto da solo, oppure, se ha una personalità più attiva, può addirittura arrabbiarsi, perché con il suo modo di essere vuole dire di non capire. Bambini/e diversi presentano comportamenti diversi ma con lo stesso problema di fondo: alcuni sono frustrati ed evitano le situazioni; altri sono frustrati e reagiscono di conseguenza con crisi di comportamento.
Spesso i bambini/e autistici evitano di guardarci negli occhi; se non capiscono il significato dell'espressione del nostro viso; e se non capiscono il nostro comportamento è abbastanza naturale che evitino lo sguardo. Se noi non capiamo perché un bambino/a si comporta in un certo modo non possiamo individuare la giusta strategia di intervento. Gli elementi alla base di un trattamento educativo adeguato per un bambino/a autistico sono due: il primo, che dovrebbe risultare abbastanza ovvio da quanto abbiamo detto, è la strutturazione dell'ambiente, l'altro è un intervento adattato alle caratteristiche di ogni singola persona autistica.
Cosa vuol dire strutturare? Significa che gli avvenimenti che accadono nella vita del bambino/a devono essere prevedibili, che deve essere chiaro al bambino/a, per esempio, che cosa dovrà fare in un certo momento, come, per quanto tempo e quando qualcosa finirà. L'informazione visiva è molto più concreta dei messaggi verbali: dà un'organizzazione e una struttura, chiarifica il linguaggio che il bambino/a può capire o no, aumenta l'abilità del bambino/a a completare un determinato programma con successo. Questo è il vero elemento chiave: i bambini/e cercano quella prevedibilità, quella chiarezza, che l'ambiente sociale di solito non può dare.
E' quindi indispensabile far sì che le nostre relazioni coi bambini/e autistici siano molto più prevedibili: dare lo stesso messaggio nella stessa situazione, collegare i messaggi verbali con immagini che possono vedere e capire, rivolgersi al bambino/a nello stesso modo, essere consapevoli che i bambini/e autistici sono attenti e rilassati quando capiscono, e diventano ansiosi quando non capiscono. Soltanto attraverso la comprensione del bambino/a e del suo punto di vista, di come vede e percepisce il mondo che lo circonda, possiamo capire e rispettare le sue esigenze.
Il concetto di autismo in Bleuler, Kanner e Aspeger
Il termine 'autismo' si incontra per la prima volta nella definizione di Eugen Bleuer (1857-1939), psichiatra svizzero che fu tra i primi ad accettare le sconcertanti innovazioni introdotte dalla neo-nata teoria psicoanalitica. Egli modificò il concetto di schizofrenia individuandone un importante sintomo nel ritiro dalla vita sociale strutturata nel sé, come egli osservava negli adulti schizofrenici.
Secondo Bleuer (1908), l'autismo (dal greco 'autos' = sé) doveva descrivere il restringimento delle relazioni con le persone e il mondo esterno, così estremo da escludere qualsiasi cosa eccetto il sé proprio della persona. Così incomincia a delinearsi l'idea di una particolare manifestazione sintomatica che accompagnava le più gravi patologie psicologiche.
Autismo Infantile
Riferendosi proprio a quella caratteristica il dottor Leo Kanner (psichiatra infantile) così scrisse parlando di autismo infantile: 'Fin dal 1938, è giunto alla nostra attenzione un numero di bambini le cui condizioni differiscono così marcatamente e unicamente da qualsiasi altra riportata finora, che ogni caso merita - e, spero, eventualmente riceverà - una dettagliata considerazione delle sue affascinanti particolarità' (Trad. da L. Kanner, 1943).
In questo modo, per la prima volta, venne definito un gruppo particolare di soggetti, affetti da una sindrome particolare.
I casi di Kanner presentavano, nei primi anni di vita, disturbi che erano caratterizzati da :
1) 'an extreme autistic aloneness', nel senso di un rimanere mentalmente soli ('Potevo lasciarlo solo che egli si divertiva davvero felicemente Non l'ho mai visto piangere per richiamare l'attenzione'- descrizione del caso 2 di Kanner, Frederick-; 'Non riesco a 'raggiungere' il mio bambino Non mi presta attenzione o mostra di non riconoscermi quando entro nella stanza La cosa più impressionante è il suo distacco e la sua inaccessibilità '- commenti della madre di Charles, caso 9-);
2) 'an anxious obsessive desire for the preservation of sameness', osservata nella ripetizione di semplici movimenti, espressioni, pensieri; in elaborate routine; in una limitatezza di interessi estrema ('Fino a un certo punto, diceva sua madre, gli piace rimanere attaccato alle stesse cose. Su una delle librerie di casa si trovavano tre pezzi in un certo ordine. Ogni volta che questo veniva cambiato, sempre lo riportava al vecchio ordine. Dall'età di sei anni riesce a contare fino alle centinaia e a leggere i numeri, ma non ha alcun interesse nei numeri se sono applicati agli oggetti '- caso 2, Frederik-; 'La bambina si divertiva per ore mettendo insieme le figure dei puzzle, unendoli fino a comporli '- caso 6, Virginia- ; 'Gradualmente ha mostrato una marcata tendenza verso lo sviluppo di uno speciale interesse che ha completamente dominato le sue attività quotidiane '- caso 8, la madre di Alfred- ; 'Da quando aveva un anno e mezzo, ha iniziato a impiegare ore a far ruotare giocattoli e i tappi delle bottiglie e barattoli '- caso 9, Charles-) ;
3) la presenza di 'islets of hability' quali una memoria meccanica eccellente, la capacità di ricordare strutture e sequenze complesse, un vocabolario stupefacente, fuorché per l'uso dei pronomi ('Era stato incoraggiato dalla famiglia a imparare e recitare poesie corte, e aveva imparato anche i Ventitré Salmi e le venticinque domande e risposte del Catechismo Presbiteriano '- caso 1, Donald-; 'Poteva distinguere diciotto sinfonie. Riconosceva il compositore non appena iniziava il primo movimento '- caso 9, Charles-; 'Leggeva molto bene, ma leggeva velocemente, mescolando le parole, non pronunciando chiaramente, e non dando l'enfasi giusta. La quantità di informazioni che possedeva era davvero vasta e la sua memoria pressoché infallibile '- caso 11, Elaine-).
Diversamente da Bleuer, il suggerimento di Kanner era 'di assumere che questi bambini siano giunti nel mondo con una innata incapacità di formare il tipico contatto affettivo biologicamente determinato con le persone, proprio come altri bambini presentano innati handicap fisici o intellettuali' (come sopra).
Psicopatologia Autistica
Curiosamente, anche un altro medico, Hans Asperger (pediatra), quasi nello stesso tempo, nel 1944, indipendentemente da Kanner, descrisse e tentò di fornire i primi approcci teorici per spiegare un disordine dello stesso tipo, che chiamò 'autistichen psychopathen' (Asperger, 1944).
Entrambi utilizzarono espressioni equivalenti (autismo infantile e psicopatologia autistica) per definire un disturbo che interessava una determinata popolazione infantile.
Anche Asperger suggeriva che ci fosse un disturbo nel contatto allo stesso profondo livello dell'affetto e/o dell'istinto.
Egli, come Kanner, sottolineò le difficoltà nell'adattamento sociale e annotò gli interessi isolati, spesso in oggetti bizzarri o idiosincratici. Entrambi porsero particolare attenzione a stereotipie di movimenti o parole così come alla marcata resistenza al cambiamento; ed entrambi furono impressionati da come questi bambini fossero in grado di occasionali prestazioni di capacità intellettuali in aree ristrette (si è parlato di intelligenza 'senza anima' : una delle metafore usate per il bambino autistico è il computer!), così come dal loro apparire decisamente molto 'attraenti' .
Confrontando
Rimangono, tra i due autori, tre aree di disaccordo, che riguardano:
* le abilità linguistiche (nei soggetti di Kanner non si aveva linguaggio o esso non era usato in maniera 'comunicativa' - spesso infatti era presente il sospetto di sordità -; Asperger osservò invece che l'eloquio era scorrevole );
* le abilità motorie (nella opinione di Kanner, i bambini risultavano 'impacciati' solo rispetto a compiti di motricità grossa; secondo Asperger essi lo erano in entrambi, motricità grossolana e fine);
* la capacità ad apprendere (Kanner pensava che i bambini mostrassero prestazioni più elevate quando apprendevano in maniera meccanica, quasi automatica; Asperger li descriveva invece come 'pensatori astratti' ).
Kanner postulava che i bambini con autismo presentassero uno specifico indebolimento nella
comprensione sociale, per cui la relazione con un oggetto risultava migliore che quella con le persone; Asperger pensava che i suoi soggetti presentassero disturbi in entrambe le aree.
In ogni caso, nell'idea di Asperger e Kanner ci si trovava di fronte fin dalla nascita a un disturbo importante che implicava problemi estremamente caratteristici.
Così, l'handicap sociale era innato, o 'costituzionale', e persisteva dall'infanzia all'età adulta. La descrizione fatta da Kanner era piuttosto lucida e ateoretica (e si dimostrò essere decisamente duratura !).
Il concetto di autismo in Bettelheim, Mahler, Winnicott, Meltzer, Tustin
Bettelheim
Nel suo libro 'la fortezza vuota', Bettelheim mette a confronto il comportamento di persone affette da autismo con quello dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti (esperienza, questa, vissuta in prima persona per due volte), notando che vi sono delle somiglianze (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 15-17). Secondo quest'ipotesi l'autismo, attraverso un processo di 'disumanizzazione' si configurerebbe come la reazione ad una 'situazione estrema', caratterizzata da una prolungata consapevolezza dell'imminenza della morte (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 42-50).
L'Autore, confrontando i vissuti dei prigionieri nei lager, con quelli di chi è affetto da autismo, ipotizza che alla base di quest'ultimo vi sia la percezione, nel neonato, di ostilità con un'intenzione distruttiva nei suoi confronti da parte della madre (che per lui rappresenta il mondo). Sebbene tali percezioni possano inizialmente non rispecchiare la realtà, il neonato interpreta il risentimento della madre per il rifiuto incomprensibile di suo figlio verso di lei, come conferme delle sue sensazioni. In questo modo sarebbe il desiderio di annullamento del proprio figlio la causa principale dell'autismo che egli manifesterà successivamente (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 126).
Da ciò deriverebbero vissuti di impotenza, e la sensazione di non poter né agire né fare previsioni sulla realtà esterna. Il bambino utilizzerebbe perciò delle difese, la preservazione dell'identità (sameness) e la creazione di confini (boundary), adatte a tenersi fuori dal mondo e i suoi pericoli, al prezzo però di un progressivo svuotamento della fortezza eretta a difesa di un Io che si ritrova così sempre più indebolito e impoverito (Bettelheim, 1967 ed. it. 1990: 27).
Mahler
Secondo l'Autrice il bambino giunge a quella che ha definito come 'nascita psicologica' attraverso un processo di graduale differenziazione tra Sé e non-Sé che culmina nella percezione della propria madre come oggetto separato da sé.
Mahler sostiene che 'l'isolamento e le altre manifestazioni della sindrome psicotica autistica richiamano alla mente quello stato di completa non differenziazione tra l'Io e l'Es, tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante nel neonato fino alla fine del secondo mese di vita' (Mahler, Pine, Bergman, 1975 cit. in Soriente, 1994).
A questa descrizione corrisponde secondo l'Autrice la cosiddetta fase autistica normale, caratterizzata da una mancanza di consapevolezza dell'agente delle cure materne nel bambino, con una conseguente incapacità di utilizzare l'oggetto d'amore primario vivente.
In seguito tuttavia il bambino si comporta con la propria madre come se fosse un tutt'uno con lei stabilendo in questo modo una relazione simbiotica.
Secondo la Mahler quindi autismo infantile e psicosi simbiotiche, riferendosi a differenti momenti del processo evolutivo, sarebbero da considerare entità distinte.
Un bambino con autismo infantile appare infatti 'organizzato per mantenere e consolidare la barriera allucinatoria negativa che caratterizza la prima settimana di vita, quando si deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva' (Soriente, 1994). Egli non sembra vedere nella madre 'un faro vivente di orientamento nel mondo della realtà' (Mahler, 1968 cit. in Soriente, 1994).
La psicosi simbiotica, sarebbe d'altro canto caratterizzata da una separazione reale (viaggio, ricovero, ecc.) che metterebbe in discussione il rapporto madre-bambino in una fase troppo precoce, favorendo così da parte di quest'ultimo, meccanismi di difesa che lo proteggano dalle proprie ansie di annientamento. (introiezione, proiezione, negazione), mantenendolo perciò in un illusorio legame simbiotico con sentimenti d'onnipotenza (Mahler, 1968 cit. in Soriente, 1994).
Winnicott
Focalizzando l'attenzione sul deterioramento del funzionamento del Sé come conseguenza dell'inadeguatezza dei genitori, l'Autore descrisse la psicosi come 'un disturbo da deficienza ambientale' (1958 cit. in Soriente, 1994).
Lo psicoanalista inglese descrisse pertanto una fase transizionale, collocata fra il termine della fase nella quale il bambino, per le sue ansie d'annientamento, non riesce ancora ad accettare il mondo esterno e la realtà e l'inizio di quella in cui appare in grado di utilizzare questa abilità.
Analizzando più a fondo i processi di separazione durante i primi mesi di vita, Winnicott descrisse un primo momento durante il quale la madre, adattandosi ai bisogni del figlio per mezzo della 'preoccupazione materna primaria', fornisce a quest'ultimo il 'sentimento della continuità dell'essere', la cui rottura sarebbe però in seguito inevitabile a causa della normale discontinuità delle cure materne. Se ciò non sarà vissuto dal bambino come annullamento del Sé, gli consentirà di affrontare la disillusione e la separazione dalla propria madre, per merito della quale egli potrà giungere alla coscienza del 'Sé emergente' e l'altro da Sé.
Se però la madre fosse carente nelle sue funzioni, il rischio di una psicosi infantile sarebbe, in questo delicato 'momento di transizione', molto alto, a causa di una minaccia d'annientamento percepita dal bambino, che potrebbe anche mostrarsi non in grado d'instaurare una relazione col mondo esterno (Winnicott, 1965 cit. in Soriente, 1994).
Meltzer
L'Autore, in linea con la scuola kleiniana, mette in evidenza per i bambini 'aspetti quali l'essere 'gettati' in uno spazio non proprio e alieno, l'estraneità, la vacuità, il dolore. Entro questo singolare spazio-tempo e quale perpetuazione, i bambini con autismo vivono quel fenomeno che Meltzer ha definito come 'smantellamento', in virtù del quale un bambino incapace di contenimento, perché mai contenuto, realizza una condizione in cui il suo desiderio si traduce nella scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità smantellata del bambino' (Soriente, 1994).
Come conseguenza di un fallimento nella funzione primaria di contenimento, si hanno quindi nell'autismo, a causa di un'incapacità di filtrare i dati sensoriali e della mancanza di uno spazio interno del Sé e dell'oggetto, problemi di differenziazione di uno spazio dentro e fuori dal Sé e dagli oggetti, e una tendenza a fondersi con singole parti di essi.
Meltzer sostiene che il più grande ostacolo per instaurare una relazione con pazienti affetti da autismo è costituito dalla difficoltà incontrata dal terapeuta di entrare in contatto con il mondo unidimensionale privo di mente del proprio paziente, egli si trova cioè 'ad affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni, di spogliarsi della propria esperienza per entrare in un mondo privo di significato e di processi mentali' (Meltzer, 1977 cit. in Soriente, 1994).
Tustin
Secondo l'Autore, appartenente alla Scuola Psicoanalitica Inglese, le psicosi infantili come l'autismo sono da ricollegarsi sia all'incapacità del figlio di utilizzare la figura materna, sia nella carenza di cure da parte di quest'ultima (Tustin, 1990 cit. in Soriente, 1994). La rottura del legame viene vissuta dal bambino come perdita di una parte del proprio corpo, poiché avvenuta troppo precocemente, in una fase in cui egli ancora non è pronto ad affrontare una separazione. A protezione di se stesso il bambino costruisce un bozzolo composto da quelli che Tustin definisce 'oggetti autistici', ossia protezioni manipolatorie e reattive, non concettualizzate e basate su sensazioni provenienti dal proprio corpo (Tustin, 1981 cit. in Soriente, 1994).
A causa dell'interruzione dell'holding, il bambino, nell'inutile tentativo di trovare protezione in una continuità illusoria e di sfuggire ad ansie per lui insostenibili, resta fuso con sua madre poiché non fa distinzione fra l'utilizzo del corpo di lei o del proprio (Tustin, 1972 cit. in Soriente, 1994).
Secondo un'ipotesi di Soriente (1994) la mancanza di linguaggio in alcune psicosi precoci sarebbe da ricercare nella compromissione o nell'assenza di alcuni prerequisiti rilevanti per lo sviluppo del linguaggio preverbale: il pointing e la lallazione.
Pointing significa indicare, gesto che, con intenzionalità comunicativa, si può riscontrare nel bambino tra i 12 e i 18 mesi. Il puntare il dito è di notevole importanza, non solo per l'acquisizione futura del linguaggio verbale, ma anche per lo sviluppo del Sé in quanto, grazie al riconoscimento e all'accettazione della distanza tra sé e l'oggetto desiderato, implica una diminuzione dell'onnipotenza, tanto più se esso, accompagnato da verbalizzazione, dà conto della capacità di distinguere tra sé e non sé.
Nel bambino con autismo, al posto del pointing, si può rilevare l'utilizzo della mano dell'altro come fosse la propria. Il motivo, secondo Tustin, sarebbe da ricercarsi nel rifiuto o nella mancanza di separazione tra il corpo del bambino e quello della madre, del quale utilizza parti come fossero proprie, quasi fosse 'incollato' all'altro, considerato come appendice di sé (Soriente, 1994).
L'acquisizione delle capacità attentive e di comprensione del discorso altrui si estrinseca soprattutto dopo i 7-9 mesi, quando diviene manifesta nel bambino l'appartenenza al sistema fonologico della propria lingua di riferimento dei suoni da lui prodotti con la lallazione.
Tustin sostiene che nei bambini psicotici questo 'gioco' avviene con suoni idiosincratici, creati dai bambini stessi e privi di un significato comprensibile, piuttosto che con quelli che normalmente ci si aspetta dalle predisposizioni innate (Soriente, 1994).
Modelli alternativi
Bick ha recentemente osservato direttamente le interazioni madre-bambino grazie al metodo dell'infant observation, rilevando nel neonato un iniziale stadio di non-integrazione, con vissuti di pervasiva impotenza e processi di scissione a difesa del proprio sviluppo, come fosse in cerca di un oggetto 'che possa svolgere la funzione di mantenere unite le componenti della personalità non ancora differenziate dal corpo' (Soriente, 1994).
In una prospettiva kleiniana, l'oggetto si configurerebbe come una 'pelle' necessaria allo sviluppo dei processi di identificazione e successivamente di scissione primaria e idealizzazione di Sé e dell'oggetto.
La 'pelle' svolge perciò un'azione contenitiva della capacità di gestire uno spazio interno al Sé differenziato dal resto del mondo esterno, pertanto risulta importante che né carenze materne reali né attacchi fantasmatici ad essa (che ne impediscono l'introiezione) ne mettano a repentaglio un adeguato sviluppo, con conseguenze negative sull'evoluzione della personalità e confusione d'identità fino a giungere, come in alcuni casi di bambini psicotici, allo sviluppo di una 'seconda pelle' in cui una falsa dipendenza si sostituirebbe a quella dall'oggetto a causa di un inadeguato uso delle funzioni mentali quali sostituti della 'pelle' (Bick, 1968 cit. in Soriente, 1994).
Tustin ipotizza che l'incapsulamento autistico potrebbe derivare dallo sviluppo di una 'seconda pelle' in seguito a esperienze di separazione dal corpo della madre tanto forti da far vivere ai bambini come feriti il loro stesso corpo e la pelle che lo avvolge.
La relazione madre-bambino riveste un ruolo centrale anche per Giannotti e De Astis i quali indagano la possibilità di un arresto dello sviluppo prima dell'instaurarsi dell'attaccamento alla figura materna, o in un momento successivo, attraverso una regressione. Gli Autori considerano quanto la nascita possa essere vissuta da entrambi i protagonisti in maniera catastrofica e come in seguito sia di cruciale importanza la modalità di contenimento materno delle primordiali angosce del figlio grazie alla quale le potrà elaborare, riproponendogliele in una forma rassicurante, simile ad uno 'schermo protettivo' tra lui ed un ambiente troppo ricco di stimoli. Qualora ciò non dovesse verificarsi, il bambino si difenderà dal bombardamento di stimoli per lui inaffrontabili con rigidi meccanismi autistici (per es. isolamento, stereotipie ed ecolalia) che non gli consentiranno un ulteriore sviluppo (Giannotti, De Astis, 1990 cit. in Soriente, 1994).
Altri approcci hanno considerato il ruolo centrale giocato dall'intera famiglia del bambino psicotico nell'instaurarsi della sua patologia, in particolare per quanto riguarda le interazioni verbali e non verbali fra genitori e figlio subito dopo la nascita.
Secondo tale prospettiva, Carratelli et al. prestano particolare attenzione al modo in cui il padre partecipa attivamente alla funzione di maternage, nonostante la mancanza per lui di un'esperienza di fusionalità durante la gravidanza paragonabile a quella della madre. In questo modo sarebbe garantita un'unione più sintonica col bambino grazie alla possibilità di 'identificazioni crociate' nella coppia genitoriale.
Sul versante della psicopatologia gli Autori propongono che, oltre che per la madre, anche per il padre si possa parlare dell'insuccesso del maternage come di 'un'analoga esperienza fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in quest'area di funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere regressivamente una condizione in cui l'attrazione e l'angoscia concomitante verso uno stato di indifferenziazione è quanto mai intensa e dolorosa' e sarebbe questo il possibile processo alla base delle psicosi infantili (Carratelli, 1993 cit. in Soriente, 1994).
Ci si troverebbe dunque di fronte ad un sistema triangolare nel quale, in seguito al duplice fallimento di entrambe i genitori, il bambino rischia di reagire ad esso con modalità autistiche (Carratelli, 1993 cit. in Soriente, 1994).
Nota storica sui rapporti fra autismo e psicoanalisi
Fra i primi ad individuare la sindrome autistica, che prima veniva confusa nell'ambito del ritardo mentale o comunque delle demenze precoci e precocissime o addirittura dell'amenza, furono degli psicoanalisti. Prima di Leo Kanner, Melanie Klein descrive negli anni trenta del XX secolo un caso che lei chiama di psicosi infantile e che oggi verrebbe diagnosticato come autistico (tralasciamo il caso del Ragazzo selvaggio dell'Aveyron, descritto da un pedagogista francese nell'800 e oggetto di un film di Truffault). Dopo di lei e dopo Kanner, che dette il nome alla sindrome negli anni quaranta, psicoanalisti come Margaret Mahler e altri (fra cui Bruno Bettelheim) in America, inoltre Frances Tustin, Donald Meltzer e altri in Inghilterra si occuparono di questi bambini negli anni '60-'80. (Vedi anche stati mentali). Con il loro stimolo un crescente interesse veniva rivolto alle particolari anomalie di comportamento, comunicazione e sviluppo in generale dei bambini e delle persone con autismo favorendo un aumento di conoscenze e di interesse nel campo della psicologia dello sviluppo e nella psichiatria dell'infanzia. Dagli anni ottanta trovarono grande sviluppo le ricerche sull'attaccamento, l'infant research sulle interazioni precoci, le ricerche cognitiviste sulla mente e le indagini mediche epidemiologiche, genetiche, neuropsicologiche che hanno preso grande campo attualmente.
La psicoanalisi è stata accusata di colpevolizzare i genitori, e in particolare le madri, attribuendo la causa della sindrome ad un disturbo dei rapporti primari con le figure genitoriali, ed è stata soggetta ad una forma di ostracismo, prima in America e poi anche in Europa. Questo anche nell'ambito di una progressiva maggiore diffusione di teorie biologiche nell'etiopatogenesi dei disturbi mentali rispetto alle teorie psicogene e ambientali che avevano dominato il campo in precedenza. All'accusa e all'ostracismo contribuì anche la questione Bettelheim, che fu oggetto negli USA di una campagna denigratoria feroce, con accuse di violenza e pedofilia che non sembrano essere state provate ma che tuttora influenzano l'opinione dominante in quel paese in questo campo.
In realtà la questione psicoanalisi e autismo sembra diventato quasi un tabù o un sacrilegio. Una quantità di ricerche, almeno da Bowlby in poi, ha mostrato come l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli, malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori figli possano essere soggette a distorsioni e fonte di malesseri e gravi disagi (cfr terapia familiare). Nel caso dell'autismo viene oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle dinamiche familiari, coll'effetto talvolta di impedire interventi potenzialmente utili, se non indispensabili. La diagnosi di autismo sembra allora eliminare d'ufficio ogni coinvolgimento dei genitori, a differenza di quanto accade nel rimanente campo dei disturbi mentali e dell'handicap.
In effetti in tutti i paesi, sia in USA che in Gran Bretagna che in Italia ecc. gli psicoanalisti sono tuttora coinvolti nell'intervento nelle situazioni di autismo: non tanto e non solo per intervento diretto col bambino, ma anche nell'aiuto alla famiglia a diminuire possibili aspetti disfunzionanti, nel lavoro in collaborazione con educatori, riabilitatori, insegnanti per accompagnare bambino e famiglia nello sviluppo possibile, in una situazione che resta tuttora poco conosciuta in tanti aspetti. in italia il dan non ha provato nulla di scientifico e non si ha nessun caso di miglioramento al seguito il protocollo dan è molto costoso e non ha nessun riscontro positivo dalla comunita scientifica italiana il proselitismo spesso conduce le famiglie a spese economice altissime senza ottenere risultati provabili nell ambilto scientifico spesso medici non abilitati nello specifico abbracciano e divulgano questo protocollo senza il benestare della comunita scientifica di riferimento.
Autismo e DAN!
Il movimento DAN! (Defeat Autism Now!) nasce nel 1995 ad opera del Dr. Bernard Rimland - fondatore dell'ASA (Autism Society of America) e dell'ARI (Autism Research Institute) di San Diego - e dei dottori Sidney Baker e Jon Pangborn.
L'ARI, fondato nel 1967, ha come scopo centrale la ricerca di nuove prospettive terapeutiche all'interno della medicina ufficiale, un punto di vista nuovo di trattare l'autismo non più osservato nei suoi sintomi, ma nelle sue cause scatenanti.
L'ARI sostiene la tesi che l'autismo non è una malattia di origine neurologica, ma piuttosto uno scompenso biochimico causato, con molta probabilità, da una fragilità genetica che rende alcuni bambini poco adatti all'eliminazione di agenti chimici e di metalli pesanti, introdotti nei loro corpi attraverso vaccini, farmaci, amalgame dentarie, agenti fortemente inquinanti presenti nell'ambiente, e ancor più pesantemente, l'interazione di alcuni di questi fattori. Queste cause conducono ad uno scompenso biochimico, che a sua volta diviene causa di scompenso neurologico, a sua volta causa della perdita delle abilità. Il Dr. Bernard Rimland sostiene che curare e ripristinare la biochimica del corpo, attraverso la biomedicina, porta al recupero fisico dell'individuo colpito, che a questo punto, si trova nella condizione ottimale per un recupero anche dei deficit mentali e relazionali. I promotori di questo trattamento parlano di risultati positivi di piccoli pazienti, ognuno con il suo personale iter di cura secondo rigorose prassi mediche, a seconda dello specifico grado di danneggiamento, ma non ci sono evidenze e pubblicazioni scientifiche che confermerebbero questi risultati. Al fine di divulgare queste informazioni scientifiche alle famiglie di bambini appartenenti allo spettro autistico, l'Istituto Ricerca sull'Autismo (ARI) convoca la prima conferenza intercontinentale DAN! nel gennaio del 1995 a Dallas. Erano presenti circa 30 relatori, tra medici e scienziati, con specializzazioni nel campo della ricerca e del trattamento della sindrome autistica. Vi erano rappresentate aree di ricerca nell'ambito della biochimica, della psichiatria, della neurologia, dell'immunologia, dell'allergologia, la ricerca genetica e la gastroenterologia.
Trattamenti
Data l'alta variabilità individuale, non esiste un intervento specifico valido per tutti allo stesso modo. Inoltre raramente è possibile ottenere la remissione totale dei sintomi. Per questo sono molti e diversi i trattamenti rivolti all'autismo. Gli unici però supportati da studi scientifici sulla loro validità sono gli interventi di tipo comportamentale e quelli di tipo farmacologico.
Gli interventi educativo-comportamentali risultano tanto più efficaci quanto più i bambino sono piccoli. Gli interventi più efficaci risultano spesso essere quelli effettuati in età precoce. L'intervento si basa su un training altamente strutturato e spesso intensivo adattato individualmente al bambino. I terapisti lavorano sullo sviluppo delle capacità sociali e di linguaggio.
L'impiego dei farmaci è volto alla riduzione o all'estinzione di alcuni comportamenti problematici o di disturbi associati come l'epilessia e i deficit di attenzione, col fine di evitare ulteriori aggravamenti o per migliorare la qualità della vita.
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