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Le vicende e la crisi parlamentare in Italia
Il regno d'Italia non rappresenta, giuridicamente, uno Stato nuovo rispetto al precedente; ma va considerato come una continuazione del Regno di Sardegna, estesosi per via di successive annessioni. Contro questa tesi, dominante nella letteratura giuridica, si è cercato a suo tempo di affermare che il Regno d'Italia sarebbe in realtà derivato da una serie di fusioni operatesi fra il Regno di Sardegna e gli altri staterelli in cui si divideva il nostro Paese; alle quali questi ordinamenti avrebbero concorso mediante i plebisciti.
Nel sistema però i plebisciti non costituivano altro che un'apparente ed effimera nota di democraticità: poiché la forma di Stato continuò per alcuni decenni a risolversi, in effetti, entro quel ricordato modello dello Stato liberale di diritto, che da una parte assicurava a tutti i cittadini la titolarità della fondamentali libertà civili, ma dalla parte opposta limitava la spettanza dei diritti politici.
E' proprio dell'età giolittiana lo sforzo di attribuire allo stato responsabilità dirette nel campo dei rapporti economici e sociali: da una disciplina apposita in tema di diritto del lavoro e della previdenza sociale, all'assunzione di compiti imprenditoriali da parte della mano pubblica, fino alla costituzione dei primi enti pubblici strumentali, sul tipo di quello dell'Istituto nazionale delle assicurazioni. Ma la riforma certamente più notevole fu quella che investì l'ordinamento delle elezioni politiche, allargando l'elettorato attivo a tutti i cittadini di maggiore età e di sesso maschile. Le elezioni del '13 sembrano dunque completare il processo di perfezionamento interno dello Stato di diritto; ma nel tempo stesso costituiscono il principio della fine dell'ordinamento statuario, le cui strutture non si dimostrano idonee ad assorbire le spinte antitetiche e difficilmente componibili dei partiti di massa che si affacciano sulla scena politica, profittando del suffragio universale.
Il problema della continuità dello Stato nella transizione dal regime statuario al regime fascista
Resta da vedere se nel trapasso dell'ordinamento della forma fascista lo Stato italiano abbia mantenuto o meno la sua primitiva identità. Per la dottrina normativistica non si può parlare di frattura o di estinzione dell'ordinamento statuario, poiché tutte le leggi che consentirono il consolidamento del regime fascista vennero approvate a larga maggioranza da entrambe le camere del parlamento; e le stesse Camere accordarono fin dall'inizio la loro fiducia al Governo Mussolini, dopo la marcia su Roma del 1922, sebbene il re non avesse seguito la prassi delle consultazioni. Inversamente, secondo le concezioni istituzionistiche che fanno leva sulla decisione politica fondamentale, è manifesto che negli anni in questione la continuità dell'ordinamento statale s'interruppe, in quanto mutarono le forme di Stato e di governo e si modificarono radicalmente le forze politiche di maggioranza con l'avvento di quel nuovo ceto borghese che s'era identificato nel partito fascista.
Uno Stato cessa unicamente per il congiunto venir meno di tre elementi: il popolo, il territorio ed il governo; questo accade nei casi di suddivisione d'uno o più stati o dalla fusione di stati dapprima indipendenti.
Si pensi alle recenti vicende della Cambogia: a quanto sembra in quell'ambito territoriale la caduta del governo filoamericano non ha comportato soltanto l'instaurarsi di nuove forme di governo e di Stato o ad una revisione delle leggi già vigenti: al contrario tutta l'istituzione precedente è stata spazzata via, senza lasciare più tracce di sé; ed in sua vece si è dunque inserito uno Stato non solo politicamente ma giuridicamente nuovo. Tale non è stato invece il caso della sovrapposizione dell'ordinamento fascista all'ordinamento statuario: poiché le leggi prima, e principalmente lo statuto, hanno continuato a vigere dopo la marcia su Roma, venendo soltanto gradualmente sostituite in questa o in quella parte; l'apparato amministrativo ha continuato a funzionare; lo stesso Stato-persona ha mantenuto al suo vertice il Re.
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