Le garanzie comuni alle situazioni soggettive costituzionalmente
rilevanti; la riserva di legge; l'eguaglianza
La classificazione e l'analisi delle situazioni soggettive rilevanti ai
fini del diritto costituzionale debbono essere precedute dell'esame delle
rispettive garanzie. Ed anzi accade che tali precetti diano corpo ad ulteriori
situazioni attive, aventi la natura delle "libertà-garanzie".
In un'accezione assai larga del termine, fra le garanzie delle libertà
fondamentali possono farsi rientrare le riserve di legge. Senonché le molte
riserve risultanti dalla parte prima della costituzione sono pur sempre
contraddistinte dal loro "valore garantista", che consiste nel sottrarre le
libertà fondamentali alle arbitrarie incisioni altrimenti effettuabili dal
potere esecutivo. In altre parole, il potere di comprimere le libertà medesime,
disponendo dei loro limiti nella misura costituzionalmente consentita, può
dirsi così attribuito al solo parlamento. Più volte però la garanzia risulta
accentuata dalla caratteristiche proprie delle singole riserve. È questo il caso
delle cosiddette riserve rinforzate od aggravate, alle quali corrisponde
l'obbligo "di conferire alle leggi un certo contenuto", o di conseguire certi
scopi, appositamente indicati dalla costituzione. In secondo luogo si danno
riserve testualmente informate all'esigenza che il legislatore disponga "in via
generale"; il che vale ad escludere le discipline legislative speciali. Ed in
terzo luogo si aggiungono i casi in cui la legge, nella sua esclusiva
competenza a regolare certe fattispecie, è vincolata al principio
d'irretroattività. Anche la garanzia dell'eguaglianza davanti alla legge, nei
generalissimi termini in cui viene proclamata dall'art. 3 Cost. non va
concepita in funzione della sola tutela dei "diritti inviolabili". È stato
infatti notato che si tratta di un principio dell'intero ordinamento, dal quale
discende il solo limite generale della funzione legislativa. Ma questo non
toglie che l'imperativo del pari trattamento si dimostri molto rigoroso, dal
momento che la proclamazione di ognuno dei diritti in esame può concepirsi
"quale specificazione ulteriore del principio di eguaglianza". Inoltre, alcune
di tali specificazioni si rinvengono all'interno dell'art. 3 là dove si
prescrive l'eguaglianza "senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione,
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Più precisamente quanto
al sesso si afferma "l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi" che equipara
i diritti della "donna lavoratrice" a quelli propri dei lavoratori. Ferma
restando l'assoluta irrilevanza della razza, più complesso è il discorso
concernente la lingua. Per sé considerato l'art. 3 non offre nulla più che una
tutela negativa, garantendo a tutti i cittadini l'eguale "Libertà di lingua" e
dunque escludendo differenziazioni dovute all'uso dell'uno o dell'altro
linguaggio. Ma l'eguaglianza giuridica può risentire assai sensibilmente dei
particolari regimi attribuiti alle singole minoranze linguistiche.
Considerazioni in parte analoghe valgono anche per quanto concerne il
principio dell'eguaglianza sostanziale, come proclamato dal secondo comma
dell'art. 3 Cost. In dottrina si è sostenuto che la rimozione degli "ostacoli
di ordine economico e sociale", limitanti "di fatto" la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, si risolverebbe in una pura e semplice "promessa" senza
contenere alcuna "regola giuridica". Ma questa polemica svalutazione finisce
per eccedere il segno. La proclamata esigenza dell'eguaglianza sostanziale o
materiale rappresenta il titolo giustificativo delle discipline indispensabili
per attuare il programma in questione. L'eguaglianza formale di cui al primo
comma e quella sostanziale non stanno quindi in antitesi reciproca; piuttosto,
"l'eguaglianza sostanziale si aggiunge a quella formale riempiendola di
contenuti più ricchi". Ma ciò non significa che nella meta dell'eguaglianza
sostanziale si debba concretare per intero il "valore di giustizia"
legittimante le discipline legislative differenziate.