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GLI ATTI DEL CONCILIO
Un rilevante problema è quello sul valore giuridico degli atti del Concilio; c'è chi nega questo valore e c'è chi lo attribuisce alla totalità degli atti. Il canonista può stabilire solo in astratto se gli atti del Concilio hanno valore giuridico, se non c'è alcun elemento ostativo che si opponga a questa virtualità; se poi una singola disposizione del Concilio abbia o meno carattere giuridico, questo è un giudizio da dare in concreto, con un'indagine di carattere analitico che tenga conto della varietà dei dati e delle situazioni. L'unico modo per dire se un atto del Concilio ha valore giuridico, è analizzare ogni singola proposizione e definirne di volta in volta la natura giuridica o meno. Un primo accertamento è quello di verificare se gli atti del Concilio presentino le note distintive formali che, nell'ordinamento canonico, possano fungere da indici sintomatici del loro carattere normativo. È concepibile che un atto conciliare che presenti le caratteristiche formali proprie dell'atto legislativo, si riveli poi, sotto il profilo sostanziale, dotato di diversa natura. È necessaria quindi una successiva indagine sostanziale. Il primo indice formale è dato dall'intitolazione dell'atto conciliare: il primo in ordine di tempo, ma anche il più labile fra tutti perché gli intitolati legislativi non vincolano l'interprete. Inoltre, perché vi sia un atto legislativo, in qualsiasi ordinamento, occorre:
che sia emanato da un soggetto competente;
che sia promulgato dall'organo che ha il potere di promulgazione;
che sia pubblicato a cura di quest'ultimo.
Non vi è dubbio che questi indici formali siano presenti negli atti conciliari: infatti provengono dal Concilio, che ha giurisdizione suprema, cioè potestà legislativa suprema sulla Chiesa universale; inoltre sono approvati e promulgati dal Papa con una formula che non ammette equivoci; infine sono pubblicati, come tutti gli atti legislativi della Chiesa aventi portata universale, negli "Acta Apostolicae Sedis".
L'analisi successiva è quella sostanziale. La Chiesa ha diverse potestà (giurisdizione, ordine.) e quindi diversi possono essere, nella sostanza, gli atti che promanano dalla suprema potestà del Concilio. Inoltre un Concilio non sempre e non solo disciplina sul piano giuridico i rapporti tra i fedeli, ma più spesso detta delle direttive di carattere pastorale, si limita a fare delle esortazioni di carattere morale.
La dottrina post-conciliare si è poi posta il problema della ricezione degli atti conciliari. È indubbio che un gruppo di atti siano immediatamente applicabili: si tratta delle norme di diritto divino, positivo o naturale, proclamate dal Concilio, che sono irrefragabili. Per le proposizioni normative del Concilio che derivano dallo jus humanae constitutionis, si è aperto un dibattito sulla loro qualificazione e sul grado di precettività. Il primo orientamento è stato quello di distinguere tra norme precettive e norme programmatiche: sarebbero precettive le norme d'immediata applicazione rivolte a tutti i consociati; sarebbero programmatiche le norme contenenti un programma la cui applicazione sarebbe a carico del legislatore futuro. La conclusione cui si è giunti è stata l'affermare che le norme di diritto umano del Concilio sarebbero norme programmatiche, la cui attuazione sarebbe rimessa al legislatore futuro. Il legislatore ordinario, il Papa, potrebbe discostarsi da una norma programmatica del Concilio, senza che ciò comporti l'invalidità della norma d'attuazione. Più congruo sarebbe stato il ricorso alle norme direttive, quelle norme che il Papa è tenuto a rispettare e a tenere in considerazione senza discostarsene. La nostra dottrina costituzionalistica, la teoria del diritto in generale, distingue solo tra norme-principio, qualificatrici dell'intero ordinamento, e norme di struttura, che dettano regole di organizzazione o disciplinano attività e rapporti concreti. Queste norme principio saranno desunte non solo dalle singole proposizioni prescrittive contenute nei documenti conciliari, ma anche dallo "spirito del Concilio" che si coglie attraverso la lettura del Magistero conciliare. Anche il Papa deve osservare una serie di regole e non è soggetto solo a Dio.
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