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Diritto divino e diritto umano




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Diritto divino e diritto umano


Le fonti del diritto canonico

Con il termine fonti si possono indicare varie realtà: fonti di produzione, fonti di cognizione, fonti storiche.

Le fonti di produzione, o "fontes existendi", sono sia gli organi e le procedure attraverso le quali vengono prodotte le norme canoniche, sia le forme che tali norme assumono. Quindi la posizione di assoluta preminenza è tenuta dalle leggi, che possono distinguersi:

a)     per autore: pontificie (Papa), conciliari (concilio ecumenico), sinodali, episcopali (vescovo), capitolari;

b)     per tipologia: universali (dirette a tutti i fedeli cattolici) e particolari (dirette ad una categoria di persone o ad un luogo), generali (norme per tutti) e speciali (riguardano una materia nello specifico), territoriali (le circostanze territoriali sono le diocesi con a capo il vescovo) e personali (nella Chiesa esistono delle situazioni particolari di cui l'ordinamento deve tener conto, ad esempio tra cattolici di rito diverso che vivono nella stesso territorio la legge si applica in base al rito di appartenenza).

Alla legge si aggiunge la consuetudine (diritto oggettivo non scritto), è prodotta da una determinata comunità organizzata attraverso la perenne osservanza (elemento oggettivo), rafforzata dal convincimento generale della sua giuridicità e della sua necessità, "opinio iuris ac necessitatis" (elemento soggettivo). Si concede ampio spazio alla consuetudine che non deve essere contro il diritto divino ma "secundum legem" o "praeter legem" cioè al di là del diritto se il diritto non c'è.

Tra le fonti si aggiunge anche la giurisprudenza, cioè le sentenza pronunciate dai competenti organi giudiziari della Chiesa ovvero la Segnatura Apostolica, la Rota romana, i Tribunali ecclesiastici diocesani e metropolitani. Il giudice è chiamato ad applicare la legge, non potendo creare nuove norme, ma opera in un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo, quindi il giudice ecclesiastico non è legato solo al diritto formalmente prodotto dal legislatore ma è tenuto ad applicare nel proprio giudizio il diritto divino. Questo può condurre fino alla disapplicazione di una norma di diritto positivo, il caso della "aequitas canonica", istituto che ha una funzione correttiva della legge quando la sua applicazione in casi concreti è produttrice di ingiustizia o contrasta con lo spirito di carità e le esigenze spirituali dell'ordinamento canonico. Quindi la giurisprudenza, intesa come interpretare ed applicare la legge canonica ai casi concreti, ha una certa rilevanza normativa; infatti il diritto canonico si avvicina molto alla regola giurisprudenziale tipica degli ordinamenti giuridici di common law. In particolare sono i tribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rota romana ad avere questa rilevanza normativa.

Anche la dottrina canonistica può diventare fonte normativa sussidiaria, nel caso di lacune dell'ordinamento il parere costante e comune dei canonisti (insieme all'analogia, ai principi generali del diritto, alla giurisprudenza, alla prassi della Curia romana) può costituire criterio per decidere una causa purché non sia un giudizio penale.

Le fonti di cognizione, invece, sono le raccolte e i documenti nei quali sono contenute le norme canoniche; le raccolte più importanti sono il codice di diritto canonico ed il codice dei canoni delle Chiese orientali.

Le fonti storiche sono le raccolte nelle quali sono contenute le norme canoniche prodotte via via nel corso del tempo ma non più in vigore (ius vetus); le raccolte più importanti sono il Corpus Iuris Canonici e il codice di diritto canonico del 1917. Nel diritto canonico le leggi previgenti sono molto importanti perché l'ordinamento giuridico della Chiesa si è venuto evolvendo senza soluzione di continuità e molto spesso per interpretare correttamente una disposizione risulta utile conoscerne le ragioni originarie.


Il diritto divino naturale e positivo

La particolarità dell'ordinamento giuridico della Chiesa è che ha alla sua base il diritto divino, cioè un complesso di norme che non sono state poste dal legislatore ecclesiastico, cioè da un'autorità umana, ma da questa sono fatte valere. In ragione delle modalità con le quali queste norme sono state prodotte e dei destinatari, le possiamo distinguere in diritto divino naturale, o diritto naturale, e diritto divino positivo, o diritto divino rivelato.

Il diritto naturale è dato dall'insieme di principi non scritti che sono stati impressi da Dio nella coscienza dell'uomo e che hanno valore universale. Questo diritto è caratterizzato dalla meta-positività, cioè la sussistenza prima ed a prescindere da qualsiasi legislatore positivo, dalla intrinseca validità, vige a prescindere da tutto, dalla assiologia superiorità rispetto al diritto positivo, da una superiore obbligatorietà derivante dalla sua origine divina e non umana. Il diritto naturale non può non riguardare anche quella società di uomini costituita dai battezzati nella Chiesa cattolica, chiamata necessariamente a vivere secondo le regole naturali d'ogni formazione sociale. La Chiesa quindi è realtà spirituale che si incarna in un organismo sociale e non è sottratta alle norme che per natura caratterizzano la vita dei corpi sociali. Un esempio di diritto naturale sono sicuramente i diritti umani, cioè le spettanze che ad ogni uomo vanno riconosciute in ragione della dignità della persona umana, come il diritto ad essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita o dal diritto al buon nome e alla salvaguardia della vita privata (can. 219 e can. 220), altro caso è quello del riconoscimento dello "ius connubii" cioè diritto di contrarre matrimonio (can. 1058).

Il diritto divino positivo è costituito dalle norme che sono state manifestate dalla Rivelazione divina e sono quindi ricavabili dall'Antico e dal Nuovo Testamento, nonché dalla Tradizione Apostolica. Tra diritto naturale e diritto divino positivo può esserci un nesso poiché il secondo ribadisce ed esplicita precetti che sono propri del primo, come ad esempio l'indissolubilità del matrimonio è un precetto di diritto naturale ma nel matrimonio-sacramento l'indissolubilità diviene assoluta per un precetto di diritto divino positivo. Questo è un insegnamento tratto direttamente dal racconto della creazione contenuto nell'Antico Testamento nel libro della Genesi, qui la parola della fede illumina la realtà naturale, sottolinea la valenza unitiva del matrimonio e ne evidenzia le essenziali proprietà dell'unità e dell'indissolubilità. Nell'Antico Testamento la previsione della legislazione mosaica, che ammetteva in alcuni casi il ripudio, risulta un parziale abbandono del rigore del progetto originario causato dalla durezza del cuore. Dal complesso dei testi che toccano la questione emerge la coscienza nel popolo ebraico della mancata fede al progetto originario e una sensibilità per il divorzio che viene avvertito come un male tollerato. Tutto il contesto è dominato dall'idea dell'una caro contenuta nel racconto biblico che offre il senso della struttura esistenziale del matrimonio. I Vangeli invece sono categorici nella condanna del divorzio, ma è bene notare che la predicazione di Gesù non era volta ad affermare una normativa più rigorosa in materia, in realtà tende a riaffermare l'originale progetto del Creatore sul matrimonio, cioè restaurare il precetto di diritto naturale sull'indissolubilità del matrimonio (lettere di Paolo). Tra diritto naturale e diritto divino positivo possono anche non esserci nessi nel senso che il diritto divino positivo non vuole innovare il diritto naturale ma porre principi che vanno al di là di questo. Un caso sono le norme che riguardano la Chiesa e la conformano secondo la volontà del suo Divino Fondatore, come ad esempio il carattere gerarchico che vede due soggetti di suprema autorità congiunti in un'unità organica: il Romano Pontefice e il Collegio episcopale (composto dai Vescovi) il cui capo è il Pontefice (cann. 330, 331, 336). Al diritto divino positivo attiene anche la missione della Chiesa cioè annunciare la verità rivelata (can. 747), ovvero i mezzi con cui la Chiesa è chiamata ad operare cioè i sacramenti che sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita. Al diritto divino positivo si riconducono il complesso di diritti e doveri soprannaturali che si riferiscono non alla persona in quanto tale ma in quanto incorporata a Cristo mediante il battesimo (can. 96). Dunque il diritto divino positivo è dato dall'insieme di principi che sono intimamente e strutturalmente connessi con la Chiesa in quanto entità fondata da Cristo, il quale ha dato precise finalità da perseguire nel tempo, i mezzi da utilizzare, le regole fondamentali di governo ed i criteri di appartenenza. Questi principi sono essenziali perché determinano la struttura e il funzionamento della costituzione della Chiesa, irriformabili perché posti dal legislatore divino.

La Chiesa non è inquadrabile nelle due grandi configurazioni in cui la dottrina giuridica riconduce la realtà artificiale delle persone morali, associazione e fondazione, ma partecipa sia ad una sia all'altra senza essere né l'una né l'altra. In parte è riconducibile alla figura dell'associazione perché sociologicamente è costituita da un gruppo organizzato di persone ma la sua esistenza, le sue finalità, i mezzi, le condizioni per farne parte, le regole di organizzazione, non sono determinate dalla volontà degli associati; è in parte una fondazione perché è un ente che ha finalità e mezzi determinati dalla figura del Fondatore ma è caratterizzata da una base personale e non patrimoniale.

Il diritto divino positivo è immodificabile, ma ciò non significa che non possa essere oggetto di approfondimenti, compito che spetta al Magistero ecclesiastico (can. 750) che segue la Tradizione apostolica e tiene conto della prassi secolare della Chiesa, dello stesso convincimento diffuso nella comunità ecclesiale (sensus fidei). Il problema si pone quando il diritto divino (naturale e rivelato) viene ad avere vigenza nell'ordinamento canonico. In passato con la concezione positivistica si riteneva che i principi e le disposizioni di diritto divino entrassero a far parte dell'ordinamento tramite un atto di volontà del legislatore ecclesiastico (canonizzazione). Questa concezione è in realtà infondata perché il diritto divino vige in quanto tale a prescindere da qualsivoglia volontà di legislatore umano. Il diritto divino e il diritto umano non devono essere inquadrati come due ordini giuridici distinti ma in termini di esplicitazione sul piano del diritto umano dei principi di diritto divino, cioè il diritto umano è una sorta di trasposizione dei principi del diritto divino, il quale è vigente, sovraordinato al diritto umano e dotato di una superiore obbligatorietà. Il Concilio Vaticano II esprime un ripensamento delle tradizionali teoriche dottrinali dando vita a due fondamentali orientamenti: la scuola canonistica di ispirazione teologica e la scuola spagnola di Navarra. La prima pone una netta separazione tra diritto divino e diritto umano ecclesiastico ma in direzione opposta rispetto alla tesi della canonizzazione, assorbendo interamente il diritto divino nella teologia. La seconda pone una teoria che prospetta il rapporto tra diritto divino e diritto umano come un processo di progressivo approfondimento e recezione dei contenuti del primo delle norme positive attraverso il passaggio da una prima fase (positivazione) caratterizzata dalla presa di coscienza ecclesiale dei contenuti del diritto divino, ad una successiva in cui tali contenuti vengono formalmente inseriti nell'ordinamento giuridico (formalizzazione).

Il diritto umano rappresentata nel divenire della storia la perenne tensione del legislatore ecclesiastico ad uniformarsi "modello", cioè il costante tentativo di realizzare modalità di esercizio dei diritti e dei doveri che da esso derivano.


Il diritto umano o ecclesiastico

Altra fonte del diritto canonico è il diritto umano o ecclesiastico, cioè il diritto posto dai soggetti competenti nella Chiesa. In quanto posto dall'autorità umana è storicamente contingente e mutevole; è sempre perfettibile ma risulta vincolato al rispetto assoluto del diritto divino naturale e positivo, infatti nel caso in cui lo contraddice sarebbe una disposizione illegittima, da far venir meno. Solo alle disposizioni di diritto umano si applicano gli istituti che rendono elastico il diritto canonico, cioè la grazia, la dispensa, la tolleranza, l'equità canonica. Se il diritto umano di produzione umana dovesse divenire nel caso concreto impedimento al bene spirituale o addirittura occasione di peccato, l'autorità che ha posto la norma non solo può ma deve disapplicarla perché ci sarebbe la violazione da parte del diritto canonico della finalità suprema della Chiesa (salus animarum). Quindi gli istituti che danno elasticità al diritto canonico non potranno mai trovare applicazione nel diritto divino. Il diritto umano o ecclesiastico è posto ordinariamente nelle leggi ecclesiastiche (can. 7 ss) anche con altri atti come i decreti generali legislativi (can. 29). Queste leggi si distinguono in leggi generali, universali e quindi comuni a tutti, e leggi particolari o speciali. Le prime sono poste dal supremo legislatore nella Chiesa; le seconde sono ordinariamente poste dal Vescovo diocesano, dalla Conferenza episcopale o dal Concilio particolare, infatti la loro efficacia è limitata ad un territorio o ad una specifica comunità di persone. Ma anche il supremo legislatore può emanare leggi particolari, come per disciplinare una specifica materia con delle norme speciali: ad esempio i processi di beatificazione e canonizzazione, che non sono disciplinati dalle norme generali ma da una legge pontificia particolare (can. 1403). Il rapporto tra leggi universali e leggi particolari è regolato secondo un rigoroso principio di gerarchia: se le leggi particolari sono poste dal supremo legislatore ecclesiastico, esse prevalgono; se invece la legge particolare è posta dal legislatore inferiore, non può abrogare né derogare la legge universale che prevale. Nel can. 135 infatti si precisa che da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore. Per quanto riguarda le leggi gerarchicamente pariordinate vale il principio secondo cui la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima (can. 20). Le leggi canoniche normalmente sono territoriali, cioè i destinatari vengono ordinariamente individuati secondo il criterio territoriale (secondo i canoni 12 - 13 le norme universali sono rivolte a tutti, le norme particolari sono rivolte in un determinato territorio), tuttavia esistono leggi personali i cui destinatari sono individuati con il criterio personale. Le leggi canoniche devono essere promulgate (rese pubbliche) ed entrano in vigore dopo un periodo di tempo detto vacatio legis; le leggi universali, cioè poste dal Pontefice, sono pubblicate sul bollettino ufficiale denominato Acta Apostolicae Sedis e dopo un periodo di vacatio legis di tre mesi entrano in vigore. La consuetudine può avere forza di legge ma è necessario che la condotta in cui si attualizza sia stata osservata da una comunità capace almeno di ricevere una legge (can. 25), che sia ragionevole e non in contrasto con il diritto divino (can. 24), che non sia stata espressamente approvata dal legislatore (can. 23) e che il comportamento, ritenuto giusto e dovuto, sia osservato per tempo stabilito (can. 26). Inoltre la consuetudine ha forza di legge quando è "praeter legem", cioè quando disciplina una materia non normata dal legislatore, infatti la consuetudine "contra legem" è considerata illegittima mentre la consuetudine "secundum legem" è considerata come il migliore interprete della legge (can. 27).


Se la Chiesa abbia una Costituzione

A livello giuridico le costituzioni sono ciò che attiene alle grandi rivoluzioni (americana e francese) che segnano la reazione allo Stato assoluto, cioè lo Stato nella figura del re (l'état c'est moi) al di sopra della legge (legibus solutus) senza divisione dei poteri. Nell'antichità non era così poiché si riconoscevano dei limiti alla legge (es. Antigone). A livello di pensiero invece la società reagisce in due modi diversi: con il giusnaturalismo, cioè l'esistenza del diritto naturale come diritto razionale, a prescindere dall'esistenza di Dio (ragionare come se Dio non fosse), e con l'illuminismo giuridico, nato con l'idea del contratto sociale di Rousseau secondo cui l'autorità ha il potere che il popolo - sovrano gli delega. In questo secondo orientamento troviamo un autore molto importante, Cesare Beccaria che scrisse "Dei delitti e delle pene" in cui vuole arrivare al diritto penale moderno per cui la legge predetermina i reati e la rispettiva sanzione; inoltre parla della pena di morte e si pone contro poiché lo Stato non ha il diritto di uccidere perché il popolo non gli ha concesso questo diritto e lo Stato non ha più potere assoluto. Abbiamo detto invece che a livello giuridico appaiono le costituzioni con l'idea di una legge fondamentale nella quale sono garantiti i diritti della persona e sono delineati i termini della procedura, cioè la divisione dei tre poteri. Tutto questo per costituire un limite al potere dello Stato, ora diventato persona giuridica.


Il diritto canonico è caratterizzato da un lato dalla rigidità del "corpus legum", la meta finale determina e condiziona l'ordinamento giuridico, dall'altro dall'estrema adattabilità alle esigenze di tempo e luogo. Potrebbe apparire come un contrasto insanabile tra "l'immobilità statuaria della meta e la voluta mobilità delle forme della carovana" (Le Bras) ma se osserviamo con attenzione svela la singolare economia fra divino ed umano che tutto pervade. Il passaggio dalla piccola comunità di Gerusalemme delle origini all'immensa congregatio fidelium e communio ecclesiarum che compongono oggi la Chiesa avviene nel tempo attraverso complessi sviluppi giuridici che non possono sfuggire all'attenzione del canonista e dello storico, chiamati a cogliere i punti di equilibrio tra l'immobilità statuaria della meta e la mobilità delle forme della carovana. A questo punto si pone il quesito se la Chiesa abbia o meno una Costituzione. Se per Costituzione si intende, in una prospettiva ideologico - politica, la legge fondamentale che ha tra i suoi caratteri la partecipazione popolare alla sua formazione, allora la risposta sarà negativa. Infatti la Chiesa è una comunità di fedeli, ma la sua istituzione, le sue finalità e i mezzi non provengono dalla volontà del popolo dei fedeli ma da quella del suo Fondatore. Se invece per Costituzione si intende, dal punto di vista giuridico - formale, l'insieme dei principi che sono al vertice del sistema normativo di un ordinamento primario, allora la risposta sarà positiva. Questa Costituzione della Chiesa presenta alcune caratteristiche: innanzitutto è non scritta o materiale. Infatti le fonti del diritto canonico positivo sono numerose, ma il loro nucleo essenziale è dato dalle norme di diritto divino positivo contenute nella Rivelazione. Questo carattere però è assolutamente originale perché attualmente la maggior parte delle Costituzioni sono scritte, il caso più celebre di Costituzione non scritta è quello dell'Inghilterra. Durante il Concilio Vaticano II nasce il problema di una formalizzazione della Costituzione promossa da Paolo VI nel 1965 richiamando la singolarità dell'ordinamento giuridico della Chiesa data la sussistenza di due codici: quello latino e quello orientale. Si pensò quindi di elaborare un testo comune e fondamentale ma la preoccupazione era quella di garantire una cornice giuridica unitaria. Vennero elaborati una serie di progetti di legge fondamentale della Chiesa, Lex Ecclesiae fundamentalis, che però ricevettero molte critiche per vari motivi: la possibilità di trasferire al diritto canonico uno strumento ideologicamente caratterizzato come quello della Costituzione, che nasce sul presupposto di una sovranità popolare; la compatibilità del carattere rigido delle costituzioni contemporanee con il peculiare aspetto gerarchico della Chiesa; il fondamento teologico e giuridico della Lex; l'inserimento in essa del solo diritto divino o anche del diritto umano; la configurabilità di diritti e doveri fondamentali dei fedeli. Giovanni Paolo II decise di non proseguire con il progetto ed una parte dei canoni (relativa ai diritti e doveri dei fedeli) furono inseriti nel codice del 1983. Un'altra caratteristica della Costituzione della Chiesa è la sua particolarità sotto il profilo della modificabilità. Le Costituzioni degli Stati possono essere flessibili, cioè modificabili con la legge ordinaria, o rigide, cioè modificabili solo attraverso un procedimento speciale ed aggravato. In altre parole, quando la Costituzione è al vertice nella gerarchia delle fonti e ha una procedura speciale per essere modificata è detta rigida, se invece la Costituzione è sempre al vertice ma ha la stessa forza della norma ordinaria è detta flessibile perché si basa sull'interpretazione di una norma che ad esempio abroga una norma costituzionale. Ad esempio la Costituzione italiana è rigida poiché l'art. 138 dispone per le leggi di revisione costituzionale procedure più complesse. La Costituzione della Chiesa cattolica è in parte rigida e in parte flessibile: è rigida nella parte di principi e norme di diritto divino; è flessibile nella parte di norme poste dal legislatore ecclesiastico. Nella parte rigida troviamo ad esempio le norme che regolano la condizione del Papa come Vescovo della Chiesa di Roma, capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore in terra della Chiesa universale, per cui il Papa in forza del suo ufficio ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa (can. 331). Un altro esempio sono le disposizioni sul collegio episcopale, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi, collegio che è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale (can. 336) che esercita in modo solenne nel Concilio Ecumenico (can. 337). I principi posti dal Divino Fondatore della Chiesa sono irreformabili (non modificabili), da qui l'assoluta diversità della Costituzione della Chiesa rispetto alle costituzioni rigide degli Stati: infatti la rigidità di queste ultime è relativa giacché possono essere modificate attraverso dei procedimenti speciali, viceversa la rigidità della Costituzione ecclesiale è assoluta perché i suoi contenuti fondamentali non possono essere modificati dal legislatore umano. Invece alla parte flessibile appartengono ad esempio le norme riguardanti le Conferenze episcopali, cioè forme di organizzazione dell'episcopato di una nazione, affermatesi tra il XIX ed il XX secolo, aventi la funzione di esercitare congiuntamente alcune funzioni pastorali (can. 447). Un altro esempio sono le norme del Sinodo dei Vescovi, organismo rappresentativo del collegio episcopale creato dopo il Concilio Vaticano II per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi (can. 342). Si tratta quindi di strutture organizzative che sono sorte nel corso della storia per volontà del legislatore umano e possono quindi da questo essere nel tempo modificate o soppresse.


Diritto canonico e "ius civile"

Partendo dal presupposto che gli Stati sovrani negano l'esistenza di un'altra autorità sul popolo e sul territorio, diciamo che ogni ordinamento si costruisce attorno a dei valori che lo tengono insieme e lo rendono chiuso alla penetrazione di valori che vengono dall'esterno, altrimenti si potrebbe creare contrasto nell'ordine pubblico, cioè una norma non segue quei valori. Ad esempio, in passato in Italia non esistevano norme che regolarizzavano il divorzio, introdotte nel 1970, ma bastava andare all'estero per poter ottenere il divorzio ed ecco che si aveva una situazione di contrasto. Infatti esistono diversi modelli di divorzio: divorzio sanzione, lo chiedeva il coniuge incolpevole ed è un modello rigoroso; divorzio per mutuo consenso, i coniugi come hanno espresso insieme la volontà di sposarsi ora insieme esprimono la volontà di separarsi; divorzio rimedio, imposto dal giudice che si rende conto che ricorrono le circostanze previste dalla legge; divorzio ripudio, è un modello repressivo e consiste nell'allontanamento da parte dell'uomo nei confronti della donna, quindi è unilaterale e rientra solo nel diritto ebraico ed islamico. Ma questi modelli possono essere considerati validi (delibati)? L'organo destinato a deliberare le sentenze di divorzio esterne, che ovviamente non devono essere in contrasto con l'ordinamento italiano, è la Corte d'Appello (ad esempio il divorzio ripudio non è considerato valido secondo l'art. 3 della Cost. che sancisce il principio di eguaglianza davanti alla legge).

Anche il diritto canonico è autoreferenziale e chiuso per quanto riguarda le norme, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sono regolati dai concordati, cioè degli accordi, oppure dalle norme di diritto internazionale privato.


Nel diritto canonico sono frequenti i richiamo allo ius civile o lex civilis, insomma allo ius saeculare, cioè il diritto posto dall'autorità secolare, in particolare da parte dello Stato. Le ragioni di questi richiami sono diverse. La prima riguarda il problema nei rapporti tra ordinamenti giuridici primari, cioè la disciplina da parte di un ordinamento di rapporti che presentano un elemento di estraneità: ad esempio, il caso dei rapporti tra privati che presentano un elemento di estraneità perché intercorrono tra stranieri sul territorio statale o perché hanno ad oggetto beni situati all'estero. Si tratta perciò dei rapporti che sono oggetto di disciplina del diritto internazionale privato. Anche nei rapporti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali si possono porre problemi di questo tipo, quando non sono risolti in via bilaterale convenzionale, il diritto canonico dispone unilateralmente le modalità con cui disciplinare quel determinato rapporto e nel far questo il legislatore canonico può richiamare una disposizione vigente nell'ordinamento dello Stato e farle avere effetti nell'ordinamento canonico. La seconda ragione del richiamo è data da una differenza: mentre i contatti tra gli ordinamenti statali presuppongono sovranità che insistono su territori diversi e sudditi diversi ma aventi competenza nelle medesime materie, per i contatti tra ordinamento canonico e ordinamenti statali siamo di fronte a due sovranità che si trovano sul medesimo territorio e agiscono su soggetti in parte comuni ma con competenze in materie diverse (materie spirituali per la Chiesa e materie temporali per lo Stato). La Chiesa, società sovrana nel suo ordine, riconosce la sovranità dello Stato nell'ordine che a questo è proprio, infatti non disciplina materie che attengono allo Stato ma rinvia al diritto secolare. Esistono però delle materie che oggettivamente hanno una valenza sia nel piano temporale sia nel piano spirituale, le cosiddette materie miste (res mixtae o res mixti fori); un esempio tipico è dato dal matrimonio, istituto civilmente rilevante ma che se contratto tra battezzati è sacramento. Ultima ragione dei rinvii al diritto statale si trova in alcuni casi in cui il diritto canonico rinuncia a disciplinare con proprie norme per evitare il rischio che tale disciplina non produca effetti anche nell'ordinamento dello Stato sul cui territorio si pone tale situazione. Se la Chiesa avesse interesse che quanto posto nel proprio ordinamento valga anche nell'ordinamento statale e questo problema non si sia risolto con degli accordi, la Chiesa preferisce utilizzare il diritto statale avendo in questo modo la medesima disciplina in entrambi gli ordinamenti. Ad esempio il can. 1290 dispone che le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti e sui pagamenti, siano ugualmente osservate per diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa. In questo modo le norme civili divengono anche norme canoniche. Quando il diritto canonico richiama lo ius civile fa riferimento all'ordinamento giuridico secolare richiamato nella sua totalità, quindi anche norme giuridiche che sono entrate a far parte di questo ordinamento, cioè non sono state poste dal legislatore. Il richiamo delle norme secolari può avvenire con diverse modalità:

a)     rinvio formale o rinvio non ricettizio, si ha nei casi in cui l'ordinamento canonico è incompetente a disciplinare una certa materia di competenza propria dello Stato e riconosce effetti giuridici alle norme poste da questa. Ad esempio il can. 1059 dispone che il matrimonio dei cattolici è retto non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salva la competenza dell'autorità civile circa gli effetti puramente civili del matrimonio.

b)     presupposizione della legge civile da parte del diritto canonico, quando l'ordinamento canonico prende atto di quanto è stato prodotto nell'ordinamento secolare e a questo riconduce effetti giuridici. Ad esempio il can. 1405 sancisce che il Romano Pontefice ha il diritto esclusivo di giudicare nelle cause spirituali o annesse alle spirituali i capi di Stato, ciò significa che il diritto canonico riconosce dalle norme costituzionali chi è il Capo dello Stato.

c)     canonizzazione delle leggi civili, cioè le norme civili richiamate vengono assunte come norme canoniche. A differenza del rinvio formale, questo comporta un rinvio mobile alle norme così che se queste mutano nell'ordinamento originario, muta anche l'ordinamento canonico adeguandosi. Le norme civili canonizzate sono assunte nello stesso significato che hanno nell'ordinamento di origine ma con un preciso limite dettato dal can. 22 secondo cui le leggi civili vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, purché non siamo contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti.

Nel diritto canonico esiste anche la presupposizione, cioè quando il diritto canonico non si ricollega ad una norma ma all'effetto: ad esempio, i figli adottati secondo le norme civili sono riconosciuti anche dal diritto canonico.


Nel caso di richiami tra diversi ordinamenti statali le modalità sono:

a)     rinvio materiale: quando lo Stato A prende le norme di uno stato B e le nazionalizza facendole proprie; si ricorre a questo sistema perché porta una fissità della legge.

b)     rinvio mobile o formale: la norma rimane esterna ma il rinvio alla norma è costante.

c)     presupposizione: fa discendere effetti giuridici nell'ordinamento dello Stato A con la legge dello Stato B.

Il diritto canonico non conosce distinzione tra rinvio materiale e rinvio formale ma le accomuna in un unico istituto detto "canonizzazione".

In passato ci si pose un problema: le norme di diritto divino (naturale o rivelato) come entrano nell'ordinamento? Le norme di diritto divino sono riconosciute vigenti senza essere nell'ordinamento perché non serve che il legislatore le introduca.


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