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Paleolitico
Per molto tempo si è creduto che l'Egitto non avesse conosciuto 'l'età della pietra'; invece, non soltanto è esistito il Neolitico egiziano, ma anche il Paleolitico, anche se è impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, vedere qualche legame tra gli occupanti della valle del Nilo durante questo periodo e quelli delle epoche successive. Le condizioni di vita, d'altronde, erano totalmente differenti, il clima non era lo stesso, era più umido e, senza dubbio, più vicino all'attuale clima equatoriale; il Nilo copriva tutta la valle, che ora occupa soltanto a metà, permettendo così di vivere anche nelle zone che adesso sono desertiche. Solo alla fine del Paleolitico il clima ha subito quella degradazione progressiva che ha portato, nel Neolitico, a condizioni di vita molto simili a quelle dell'epoca moderna. Ci sono prove che la valle del Nilo è stata sempre abitata dall'uomo e alcuni studi tenderebbero a dimostrare che gli antenati di questo popolo, in anticipo rispetto agli altri popoli mediterranei, avrebbero coltivato nell'Alto Egitto orzo e grano sin dall'epoca paleolitica (13000 a.C. circa). Questa ipotesi è stata scartata ma sembra comunque sicuro che l'orzo era consumato, se non coltivato, a ovest della valle del Nilo sin dall'VIII millennio a.C.
Neolitico
Gli scavi hanno provato l'esistenza dì un Neolitico egiziano; l'arte della pietra lavorata e della ceramica, come l'agricoltura e l'allevamento, vi erano conosciuti già molto tempo prima che fosse utilizzato il rame. Durante il Neolitico l'aspetto della valle cambia completamente: il clima diventa sempre più simile a quello attuale, il Nilo si restringe e non occupa più tutta la valle, l'Egitto si popola stabilmente poiché l'inaridimento dei territori limitrofi e la loro trasformazione in deserto fa si che la popolazione si concentri sulla stretta striscia di terra resa fertile dal Nilo. Queste popolazioni neolitiche si possono a tutti gli effetti considerare gli antenati diretti degli egiziani di epoca dinastica. Essi non appartenevano a un'unica razza, erano già il risultato di una mescolanza tra individui di tipo mediterraneo (i Cusciti-Camiti) e il tipo negroide, che proveniva anch'esso dalle razze del Paleolitico recente. Il primo nucleo dell'Egitto è costituito da contadini, ed è interessante notare che questo nucleo, alla base di tutto, era già presente in epoca neolitica, cioè intorno al VI millennio a.C.. Queste date servono solo a dare un'idea di massima, le uniche precise sono quelle fornite dal carbonio 14 per la cultura di el-Fayum (5500-5000 a.C.), e di el-Omari (4000 a.C.). Gli strumenti di questi primi egiziani erano in pietra, la selce si distingue per la precisione con cui è lavorata, e questo è un tratto che caratterizzerà sempre la lavorazione della pietra in Egitto. La maestria degli artigiani delle epoche successive può essere spiegata soltanto attraverso una lunga tradizione di tagliatori di selce di cui erano i continuatori, per non dire i discendenti, al punto che continuarono a creare le stesse forme. Questi primi abitanti della valle vivevano in capanne collettive, allevavano animali domestici (tra essi il bue, il montone e la capra) e avevano addomesticato il cane, che probabilmente li aiutava nel controllo del gregge e nella caccia, attività che, assieme alla pesca, dava un apporto non secondario all'alimentazione della comunità. Essi sapevano anche coltivare, conoscevano il grano e l'orzo e abbiamo anche ritrovato alcuni dei loro strumenti, zappe a pietra e falcetti di selce. Il grano era conservato in silos d'argilla e veniva frantumato con macine piatte, molto simili, come del resto i falcetti, a quelle che si useranno in epoca storica. Infine, già in questo periodo, si conciavano le pelli, si tessevano stuoie o stoffe, si cuciva, si intrecciavano cesti e panieri. Si fabbricava anche una ceramica molto grossolana e si facevano arpioni, braccialetti e aghi d'osso. C'era già un culto dei morti, che venivano interrati nelle vicinanze del villaggio, in fosse ovali, su un fianco e in posizione fetale. La cultura neolitica, insomma, pone le basi, fornendo tutti gli elementi materiali, alla civiltà egiziana vera e propria, e delinea il paesaggio umano della valle del Nilo, fondandovi i primi siti permanenti e dissodando i terreni di coltura. Si conoscono tre tipi di culture neolitiche in Egitto, due al nord, ai confini del delta, vicino al Fayum e nel Medio Egitto, il terzo a sud, nell'Alto Egitto. E importante notare che, già in questo periodo, il paese presentava due focolari di culture differenti, uno al nord e uno al sud, e questo potrebbe spiegare perché gli egiziani sono rimasti fedeli cosi a lungo alla divisione in due parti del loro paese, anche se, geograficamente, non si tratta di due zone nettamente distinte; tra l'altro, la zona marittima del delta, caratterizzata da un clima mediterraneo, probabilmente non era nemmeno abitata in quest'epoca, quindi la distinzione fra nord e sud era ancora meno giustificata, e si può perciò supporre che abbia avuto origini etniche o semplicemente storiche.
Periodo predinastico (4500-3000 a.C. circa)
In Europa si distingue molto nettamente il periodo neolitico, in cui l'uomo usa soltanto strumenti di pietra, dall'Eneolitico, che è caratterizzato dall'apparizione del metallo, prima l'oro, poi il rame, e infine il bronzo. In Oriente, e soprattutto in Egitto, la distinzione è spesso delicata, in molti siti eneolitici non c'è traccia di metallo. Non per questo ci si deve immaginare un avvenimento traumatico (per esempio un'orda di invasori che mettano a ferro e fuoco il paese e assoggettino la popolazione locale forti del loro armamento di metallo, per spiegare il passaggio da un periodo all'altro. La transizione, infatti, è stata 'dolce' e, anche se è possibile che il metallo sia stato portato dall'esterno, niente fa supporre che ciò sia avvenuto tramite un'invasione. L'apparizione del rame, d'altronde, non cambia in nulla la tecnica del taglio della selce, che rimane lo strumento principe, e tutto lascia supporre che l'uso del metallo si sia diffuso pacificamente: la civiltà eneolitica continua l'opera di quella neolitica. Ma, se il Neolitico egiziano aveva dei punti di contatto con il Neolitico in generale, nel periodo eneolitico l'Egitto si trova in una posizione diversa e si distingue sempre più dalle culture che lo circondano perché, nel momento del suo maggior sviluppo, l'Eneolitico si confonde con la civiltà 'storica' che ne è il compimento. Il periodo eneolitico è la continuazione del Neolitico, e perciò presenta inizialmente due culture diverse, una a nord e l'altra a sud, ma la caratteristica dell'Eneolitico sta nel fatto che, dopo un certo tempo, queste due culture si fondono e da esse nasce la lunga civiltà Faraonica. Per quanto riguarda il periodo anteriore alla fusione, l'Eneolitico è conosciuto soltanto grazie ai siti dell'Alto Egitto, di cui il più antico è Badari. Le capanne sono ovali e di materiale leggero, l'arredamento costituito da stuoie, cuscini in cuoio, letti di legno. La necropoli, come quelle del Neolitico, è situata un po' discosto dal villaggio, le fosse sono ovali, come le case, e i morti vi sono posti in posizione fetale, circondati da vasi che contenevano sicuramente delle offerte. Le novità sono costituite dalla presenza di figurine femminili nude, in avorio o argilla, e dalla presenza di un'intelaiatura di vimini che isola il cadavere dal riempimento della fossa. L'industria badariana resta caratterizzata dall'impiego della selce, il rame è presente ma soltanto in piccoli pezzi ottenuti per martellamento, mentre per i tessuti viene impiegato il lino, ma anche il cuoio continua a essere utilizzato. Sanno lavorare il legno, la ceramica è in netto progresso rispetto al periodo precedente e, anche se le forme sono meno numerose di quelle che si trovano nel nord del paese, sono molto più belle: è l'epoca della ceramica egiziana. All'inizio dell'Eneolitico appare per la prima volta lo smalto verde-blu che sarà una delle caratteristiche dell'arte egiziana, anche se, in questo primo periodo il suo impiego è limitato. È interessante notare che a Badari non si trovano i vasi in pietra dura presenti, già nel Neolitico, nel Basso Egitto, mentre le palette di scisto sono già presenti e le vedremo evolversi fino in epoca storica. Infine, si sono trovati a Badari alcuni animali seppelliti avvolti in stuoie o stoffe, sciacalli, tori, montoni, gazzelle e ciò potrebbe prefigurare un culto di alcuni animali considerati sacri, che si ritroverà alla base della religione egiziana in epoca storica. A partire dal V millennio iniziano ad apparire una serie di cambiamenti: le capanne diventano rettangolari e anche le tombe, facendo così intendere chiaramente che venivano considerate come dimore, concezione che rimarrà nell'arco di tutta la civiltà egiziana. La lavorazione del rame, che fino ad allora era stato impiegato poco, si sviluppa: appaiono i vasi in pietra; la ceramica, che prima era a tinta unita, ora imita i vasi in pietra oppure ha decorazioni di tipo naturalistico. Queste modifiche sono frutto dell'unione delle due culture di cui abbiamo parlato; in effetti tutti gli elementi di novità che appaiono nell'Alto Egitto, preesistevano al nord. Le mazze a forma di pera, presenti nel nord sin dal Neolitico, si trovano anche a sud a partire dal V millennio, e soppiantano la forma a disco, e anche i vasi in pietra, sconosciuti a Badari, sono invece conosciuti al nord sin dal Neolitico. Ci sono quindi gli elementi per dire che le novità che si notano nella cultura meridionale provengono dal nord, ma ciò che ci preme far notare è che, anche se le due civiltà prima della fusione erano differenti, questo non vuol dire che fossero estranee. Entrambe sono a pieno titolo africane, ma quella situata a nord è avvantaggiata negli scambi, a ovest, tramite l'oasi di Siua, e a est tramite il Sinai, ed è probabilmente da lì che è giunto in Egitto il rame. Per spiegare la fusione tra nord e sud si è parlato di un'invasione e si è creduto di riconoscere individui stranieri nelle tombe dell'Alto Egitto databili a un periodo successivo, ma non è affatto sicuro che questi individui caratterizzati da teste piccole (brachicefali), non siano mediterranei e inoltre, anche se fossero stranieri, non sarebbero così numerosi da legittimare l'ipotesi di un'invasione o di una conquista.
Nel predinastico recente, la fusione è ormai avvenuta e questa civiltà è molto più evoluta rispetto a quella che esisteva in Alto Egitto all'inizio dell'Eneolitico. Per le costruzioni vengono usati i mattoni crudi, i silos sono in terracotta, e quindi meno umidi, nelle necropoli le fosse sono rettangolari, a imitazione delle case, e testimoniano l'inizio di una vera e propria architettura funeraria: la tomba è costituita da una muratura in terra sormontata da un tetto e vi sono delle stanzette laterali che fungono da magazzini per le provviste del morto. Il defunto in un primo periodo fu chiuso in una cesta di vimini, poi in un vaso di terracotta e, da ultimo fu seppellito in una bara di legno. Sembra che le necropoli fossero situate soprattutto sulla riva occidentale del Nilo e che il morto avesse la testa rivolta a nord e il corpo a est; insomma, si assiste, almeno sul piano puramente materiale, alla creazione della religione funeraria egiziana. Un'industria lirica si perfeziona ulteriormente e la figura umana appare per la prima volta, sia sulla ceramica con il fondo marrone chiaro, sia in figurine d'avorio o d'argilla, sui manici di certi coltelli e anche su un affresco. Sui monumenti figurati e sulle palette di scisto, vediamo spesso apparire edifici o personaggi che portano delle aste sormontate da un animale o un oggetto, le stesse insegne che si ritroveranno in epoca storica come simboli dei Nomi. Sembra legittimo dedurne che, già alla fine dell'Eneolitico, l'Egitto conoscesse un'organizzazione sociale e inoltre la frequente presenza del falco e del bucranio sulle palette sembra indicare che la religione si è già costituita: culto di Horus per il falco e di Hathor per il bucranio. Gli abitanti della valle del Nilo hanno quindi in mano tutti gli elementi di quella civiltà che ora inizierà a svilupparsi a un ritmo molto più rapido.
Per delineare la storia di questi secoli oscuri si può usare anche un altro tipo di fonti, meno precise e più difficili da interpretare; la continuità della civiltà egizia, non essendo mai stata interrotta bruscamente, potrebbe conservare, nei testi redatti in epoca storica, le tracce di tradizioni che risalgono a molto prima dell'unificazione avvenuta nel 3100. Questi testi, chiamati testi delle Piramidi, non si trovano nelle grandi piramidi di Giza, ma sulle pareti interne di piramidi molto più modeste appartenenti a re della V e VI dinastia (tra il 2350 e il 2200) e si è pensato che potessero riferirsi ad avvenimenti accaduti all inizio dell'Eneolitico nella zona nord (della quale non abbiamo alcuna testimonianza archeologica). Secondo questi testi l'Alto Egitto sarebbe stato il regno di Seth, mentre il delta sarebbe stato diviso in due gruppi di Nomi (in greco nomoi) contrapposti, uno a est e l'altro a ovest. Osiride, re del nord, li avrebbe unificati e poi Horus, il suo successore, avrebbe attaccato il regno di Seth, creando cosi una monarchia unificata che avrebbe regnato su tutto l'Egitto già prima del 3100. Questo stato di cose, però, non sarebbe durato a lungo, e presto si sarebbero creati due regni, uno con capitale nell'Alto Egitto, a el-Kab, e uno con capitale nel Basso Egitto, a Buto. L'egittologo tedesco Kurt Sedie, autore di quest'ipotesi, riteneva che il calendario solare fosse stato adottato durante il primo periodo d'unificazione, nel 4200 circa, e che la capitale dovesse trovarsi a Eliopoli (vicino al Cairo). Se questa ipotesi si rivelasse esatta, la storia della civiltà egizia si potrebbe cosi riassumere:
1) dal 5000 al 3800 circa - periodo neolitico e inizio dell'eneolitico, l'Egitto ha due focolari di cultura, uno al nord, l'altro al sud;
2) verso il 3700 - apparizione del metallo, il nord si unifica e, all'inizio del IV millennio conquista il sud;
3) verso il 3600 - una monarchia venuta dal nord governa tutto l'Egitto, con capitale a Eliopoli, ma, ben presto, il paese si divide un'altra volta in due parti, una con capitale a sud, a el-Kab, una con capitale a nord, a Buto;
4) intorno al 3000 - i re del sud assoggettano quelli del nord e Menes, re del sud, governa tutto l'Egitto.
Questa ricostruzione degli avvenimenti è affascinante, ma sono in molti a sottolineare la fragilità degli argomenti in suo favore. Si pensa invece che l'unificazione sia stata compiuta dal sud, mentre il regno eliopolitano unito in epoca preistorica non sarebbe mai esistito. Tuttavia, poco prima del 3100, ci sono stati sette faraoni che hanno governato tutto l'Egitto e che costituiscono quella che oggi viene chiamata la 'dinastia zero'. A Ieracompoli, che sembra fosse la capitale del sud in quel periodo, si sono trovati monumenti che raffigurano un re, chiamato il re Scorpione, che combatte gli egiziani. Sembra che il potere del re Scorpione si sia esteso fino a nord di Menfi, mentre il re che unificò l'Egitto sarebbe stato Narmer, il suo successore. Questo re è rappresentato su una paletta mentre combatte contro gli egiziani, ma, in questo caso, già indossa le insegne di re del sud e del nord e quindi riassume nella sua persona l'unità del paese: lo Scorpione e Narmer sarebbero gli ultimi faraoni della 'dinastia zero'.
Età Thinita (3000-2700 a.C. circa)
Non si sono trovate testimonianze certe dell'esistenza del famoso Menes, presunto fondatore della regalità faraonica, ed è anche possibile che il suo nome nasconda diversi re ma, per contro, esistono dei documenti che riguardano il periodo immediatamente precedente l'unificazione del paese. A Ieracompoli, che sembra fosse la capitale del sud in quel periodo, si sono trovati monumenti che raffigurano un re, chiamato il re Scorpione, che combatte gli egiziani. Sembra che il potere del re Scorpione si sia esteso fino a nord di Menfi, mentre il re che unificò l'Egitto sarebbe stato Narmer, il suo successore. Questo re è rappresentato su una paletta mentre combatte contro gli egiziani, ma, in questo caso, già indossa le insegne di re del sud e del nord e quindi riassume nella sua persona l'unità del paese: lo Scorpione e Narmer sarebbero gli ultimi faraoni della 'dinastia zero'. Dei cinque secoli in cui avrebbero regnato le prime due dinastie sappiamo poco. La capitale era Thinis, presso Abido, dove sono state trovate le tombe dei faraoni della prima dinastia, mentre le grandi sepolture di Saqqara, che si credeva fossero sepolture reali, appartengono agli alti funzionari che erano imparentati ai faraoni.
L'evoluzione storica dell'Egitto è la medesima sotto le due dinastie, ed è caratterizzata dallo sviluppo della scrittura e dall'organizzazione dell'apparato reale, fatti che sono collegati, poiché lo sviluppo della scrittura è stato favorito dall'estensione dei poteri reali e viceversa. I re sono adesso abbastanza forti da inviare delle spedizioni fuori dall'Egitto, nel Sinai, a cercare delle pietre preziose, o in Nubia e nel deserto arabico. La monarchia si rafforza a poco a poco, ma non ci è dato di sapere se, in questo periodo, è già cosi 'assoluta' come nell'Antico Regno. Un fatto però è certo, lo stesso che caratterizzerà la regalità egiziana fino alla conquista greca: la sua natura religiosa, poiché il faraone è un 'dio in terra'. Sia la cerimonia d'incoronazione che le feste religiose hanno un duplice valore, amministrativo e religioso, il sacro non è separato dal civile e il funzionario può anche essere, come del resto il faraone, un sacerdote. Sembra che la burocrazia si sviluppi in questo periodo ma anche se si sa che è organizzata in maniera fortemente gerarchica, non si sa quanto sia specializzata. Prosegue lo sviluppo economico del paese e in un paio di occasioni è certo che fu lo stesso faraone a occuparsi della creazione dei canali per l'irrigazione, della cui manutenzione si occupava uno dei funzionari più importanti, il nomarca (dal greco nomòs e archéo, 'governo'), il governatore provinciale cui faceva capo tutta l'amministrazione locale. Queste prime dinastie rappresentano quindi l'epoca in cui la civiltà egiziana si dà la sua forma definitiva, mentre, nelle epoche precedenti, si erano raggiunti gli obiettivi materiali indispensabili al suo sviluppo: la conquista agricola del paese, l'elaborazione delle concezioni religiose, della lingua e della scrittura, l'apprendimento delle tecniche di lavorazione del metallo, della tessitura e della ceramica, ecc. In questo periodo la civiltà egizia si trasforma in un regno politicamente unito. L'archeologia e i testi religiosi permettono di ricostruire grosso modo la storia dell'unificazione sia del paese che dei due gruppi antagonisti che si sono poi fusi in un unico regno, ma né l'una né gli altri danno chiarimenti circa la nascita dello Stato faraonico cosi come appare nelle epoche successive. Si sa che, fin dalle prime dinastie, c'era un solo re, e che il paese era diviso in province con a capo un alto funzionario, ma questo è un risultato a cui non si conosce come gli egiziani siano arrivati.
L'antico Regno (2700-2200 a.C. circa)
Come non c'è stato un taglio netto fra l'epoca eneolitica e le prime dinastie, non c'è neanche una netta separazione tra queste e l'inizio dell'Antico Regno, il cui fondatore, Djoser, secondo re della III dinastia, era figlio di Khasekhemuy, ultimo re della seconda; sono i perfezionamenti tecnici raggiunti, soprattutto nell'architettura, che permettono di parlare di una nuova dinastia. L'avvenimento più importante del regno di Djoser, quello che giustifica la classificazione dell'Antico Regno in un periodo diverso dai precedenti, è lo spostamento della capitale dalla zona di Abido a Menfi (l'Antico Regno viene a volte chiamato menfita). È durante il suo regno, probabilmente, che l'amministrazione reale si complica ed egli si fa perciò affiancare da un aiutante, un primo ministro di nome Imhotep Da diversi indizi, si sa che Djoser ha continuato l'opera dei re della prima dinastia, promuovendo azioni militari verso la Nubia e proseguendo una politica che sarà poi quella di tutti i re dell'Antico Regno, visto che gli egiziani di questo periodo sembrano essere più preoccupati dai loro confinanti a sud che da quelli a nord-est. Un testo di epoca tarda fa risalire a lui la prima penetrazione egiziana in Nubia, ma sembra che già il re Djer (I dinastia) era arrivato fino alla seconda cataratta e quindi il testo si riferisce probabilmente all'annessione della Nubia più che a una sortita militare. Un'altra zona molto frequentata dagli egiziani in cui si recò anche Djoser, come è testimoniato da un'incisione rupestre, era il Sinai, dove c'erano miniere di pietre preziose, e forse anche di rame, indispensabili all'artigianato e alla religione egizia.
La IV dinastia è quella dei costruttori delle grandi piramidi e dovrebbe essere tra quelle su cui si hanno maggiori informazioni e invece l'unico re di cui si conosce qualcosa e il fondatore, Snofru, figlio di Unis. I monumenti ci sono, perfetti, testimonianza irrefutabile di una civiltà molto avanzata sia sul piano tecnico che amministrativo, ma prove certe, su questi aspetti, non esistono.
Un racconto egiziano del Medio Regno svela le origini leggendarie della V dinastia. Vi si narra che la moglie di un sacerdote di Ra avrebbe concepito con il dio i primi tre faraoni. È certo che il culto del dio solare Ra aveva, in quest'epoca, un importanza primaria, non solo a causa delle origini della dinastia, che proveniva da Eliopoli dove il dio era adorato, ma anche perché il clero di questa città contribuì alla presa del potere da parte della stessa dinastia. Comunque sia, da quel momento in poi i faraoni assunsero il titolo di figlio di Ra e l'impronta della religione sulla vita regale si evidenzia già dai nomi dei faraoni, in cui Ra appare quasi sempre. La religione solare apporta delle modifiche all'architettura dei numerosi templi che ed è in quest'epoca che furono compilati (se non proprio composti) i Testi delle Piramidi. Sembra che la V dinastia, per quanto riguarda la politica estera, fosse più interessata all'Asia, non si sa se perché di lì attaccata o semplicemente perché voleva estendere la propria influenza in quelle zone. Alcune spedizioni militari furono condotte nel Sinai, in Asia e in Libia.
Per la VI dinastia si hanno numerose testimonianze dell'attività di Pepi I, soprattutto decreti per la fondazione di opere pie, molto importanti per studiare il diritto egiziano in un'epoca cosi antica. Come i suoi predecessori, Pepi sorveglia la Nubia e ordina numerose spedizioni contro gli asiatici, anche se sembra che il paese nemico non fu mai occupato, e che l'esercito egiziano vi compisse soltanto delle incursioni. Durante questo periodo continuò la pacificazione della Nubia e vennero inviate spedizioni commerciali a Biblo e nel paese di Punt, cioè lungo la costa africana del Mar Rosso, nella zona dell'attuale Eritrea. Con Pepi II inizia la decadenza dell'Antico Regno forse perché in vecchiaia (regnò oltre novant'anni!) egli non è più stato in grado di mantenere l'unità del paese, che, in effetti, si fondava soltanto sulla sua persona.
L'Antico Regno, che termina con la VI dinastia, fu un periodo di grande prosperità per l'Egitto. Fu l'apogeo della regalità faraonica. Il re viene considerato a tutti gli effetti dio in terra, per cui lo si teme e gli si obbedisce, e sotto la sua guida sicura, l'Egitto conosce una prosperità economica che ritroverà solo difficilmente e a intervalli irregolari. Non esistono molte informazioni circa i contatti esterni che l'Egitto ebbe in questo periodo, ma il fatto che a Biblo vi fosse un tempio dedicato a divinità egiziane, indica che i contatti non si sono limitati alla conquista della Nubia, che resta pur sempre la grande impresa dell'epoca.
Primo Periodo Intermedio (2200-2050 a.C. circa)
A partire dal regno di Pepi II cominciarono a manifestarsi fermenti sociali e, per più di un secolo, l'Egitto fu preda di disordini, di anarchia a livello provinciale e, forse, anche di invasioni straniere. Questo periodo è molto oscuro, ed è caratterizzato dalla decadenza del potere centrale di Menfi e da rivolgimenti sociali. Mentre la prima si intravede nei documenti di cui disponiamo, gli altri cambiamenti ci sono noti soltanto tramite testi di epoche successive.
Della decadenza del potere reale è, per alcuni, evidente fatto che, a partire dalla V dinastia, la carica di governatore del nomo diviene ereditaria, riducendo cosi l'influenza regale. Ma la ragione vera di questa decadenza potrebbe essere legata a fattori fisici: il clima, che prima era umido, verso il 2300 si inaridisce, e ciò comporta la diminuzione delle risorse alimentari egiziane mentre, allo stesso tempo, obbliga le popolazioni insediate nella steppa a rifugiarsi nella valle, determinando cosi un cambiamento economico-sociale.
La decadenza della regalità, forse accelerata dalle incursioni dei beduini che il potere centrale non aveva più la forza di respingere, sembra essere stata alla base dei disordini sociali, che noi conosciamo tramite alcuni testi molto interessanti, anche se redatti in epoche successive da scribi incaricati dai sovrani della XII dinastia di celebrare la restaurazione dell'ordine e della stabilità. Essi avevano perciò tutto l'interesse a esagerare la gravità della situazione per mettere in evidenza l'opera pacificatrice dei re del Medio Regno; in realtà non si sa neppure se questa rivoluzione ha interessato tutto l'Egitto o se è rimasta localizzata soltanto nella zona di Menfi. Non si conosce quasi nulla degli altri avvenimenti dell'epoca.
Le liste dei re e Manetone dividono i regnanti, di cui conosciamo soltanto il nome, in due dinastie, la VII e l'VIII. La prima avrebbe contato settanta re di Menfi che regnarono per settanta giorni; la seconda, conosciuta soltanto dalle liste reali, avrebbe avuto dai 18 ai 32 faraoni, di cui alcuni avrebbero regnato contemporaneamente con un governo di tipo oligarchico. Per lungo tempo si è creduto che, all'inizio dell'VIII dinastia, i nomarchi del sud dell'Alto Egitto, si fossero uniti fondando un regno indipendente, governato dal nomarca di Copto, che sarebbe durato una quarantina d'anni; ma nel 1946 W.C. Hayes ha dimostrato che questa dinastia copta non è mai esistita.
Quando l'VIII dinastia termina, intorno al 2220, l'Egitto è diviso in tre parti: al nord c'è una forte presenza di invasori asiatici, al centro, a Menfi, resiste la vecchia monarchia centralizzata ma, nel Medio Egitto, Kheti, nomarca di Eracleopoli, prende il titolo di re dell'Alto e del Basso Egitto e ben presto controlla sia la zona di Menfi che il Fayum. Nel sud invece i re menfiti sono stati soppiantati dai nomarchi di Tebe, che hanno raggruppato intorno a sé i nomi (distretti) meridionali. Sembra che questa situazione sia durata abbastanza ed è interessante notare come, se non si tiene conto del delta, l'Egitto sembra essere tornato all'epoca preistorica, con un raggruppamento di nomi al nord, nel Medio Egitto (dinastia eracleopolitana), di cui conosciamo alcuni re (Kheti I, II e III e Merikara}, e uno a sud, a Tebe, con a capo gli Antef o i Mentuhotep. Si giunse presto a uno scontro e la situazione rimase a lungo confusa tra alterne vicende di vittorie e sconfitte da entrambe le parti, fino a quando, nel 2060, troviamo l'Egitto nuovamente unito sotto Mentuhotep, discendente dei governatori tebani che governavano i nomi del sud; da questa data si fa iniziare il Medio Regno.
Malgrado tutti i suoi difetti, Manetone fornisce un'intelaiatura entro la quale s'inquadrano abbastanza bene i risultati delle ricerche; si possono elencare cinque fasi storiche che si sovrappongono l'una all'altra:
rapida disintegrazione dell'antico regime menfitico seguita al lunghissimo regno di Pepi II;
stragi e anarchia conseguenti allo sfacelo della monarchia e alla rivalità tra i feudatari provinciali, o 'nomarchi', probabilmente fomentate anche da infiltrazioni asiatiche nel delta;
formazione di una nuova linea dinastica di faraoni fondata da Akhtoy (l'Achthoes di Manetone) in testa e Eracleopoli come capitale;
sempre crescente importanza di Tebe sotto il dominio di una ancora più energica famiglia di principi guerrieri, dei quali i primi quattro portano il nome di Inyotef (Antef, nei vecchi testi di storia egizia), gli ultimi tre quello di Menthotpe (Mentuhotep);
guerra civile tra i principi tebani e la dinastia di Eracleopoli, e vittoria finale di Menthotpe I che riunisce i due paesi preparando l'avvento del Medio Regno, di cui Ammenemes I (XII dinastia), uno dei più grandi sovrani dell'Egitto, sarà l'iniziatore.
Con Menthotpe I si può considerare concluso il I periodo intermedio. In che misura si sovrappongano le cinque fasi e quale ne sia la rispettiva durata è ignoto; a questa incertezza è dovuta l'impossibilità di ricavarne un quadro coerente. Il vero nodo della questione sta nella cronologia, e anche se i più recenti studi autorevoli in materia sono d'accordo nel valutare da duecento a duecentocinquanta anni la durata del periodo intercorso da Nitocris alla fine del regno di Menthotpe, la loro opinione è poco più di una congettura. Il Canone di Torino non offre aiuto essendo andata persa la cifra totale degli anni di regno dei sovrani eracleopolitani e dei loro successori, e la possibilità di una sovrapposizione con l'XI dinastia vi appare del tutto ignorata.
Medio Regno (2050-1786 a.C. circa)
All'indomani del lungo periodo di sconvolgimenti che termina intorno al 2000 a.C., l'unità del potere in Egitto viene restaurata grazie ai nomarchi di Tebe. Cominciata dai governatori sin dai tempi in cui a nord c'era ancora la monarchia, questa restaurazione non fu opera di un solo faraone, ma di tutta l'XI dinastia, contemporanea della X (eracleopolitana), che era succeduta alla IX, sempre di Eracleopoli, instaurata da Kheti I. Mentre i sovrani si occupano soprattutto della zona del delta e riescono a cacciare i beduini, i governanti tebani rivolgono la loro attenzione alla Nubia. Cosi, grazie a queste due azioni parallele a nord e a sud, si gettano le basi per l'unità dell'Egitto, che verrà portata a termine dall'XI dinastia. L'impresa principale dell'XI dinastia fu l'unificazione del paese, ma la sua azione non finì lì. Venne limitata l'autonomia provinciale che si era sviluppata nel Primo periodo intermedio e fu restaurata l'autorità centrale mentre, all'esterno, ricominciavano le campagne contro la Nubia, dove gli egiziani penetrarono fino alla seconda cataratta e migliorarono la strada dell'Wadi Hammamat, che collegava l'Egitto al Mar Rosso e serviva da punto di partenza per le spedizioni in Sinai e nei paesi del Punt. Questa strada passava per il deserto arabico, dove i re dell'XI dinastia intrapresero campagne militari contro i nomadi che attraversavano il paese e controllavano i luoghi di approvvigionamento dell'acqua. Non si sa come avvenne il passaggio dall'XI alla XII dinastia, ma il fatto che, durante il regno degli ultimi faraoni dell'XI si trovi un visir di nome Amenemhat, lo stesso nome del fondatore della nuova dinastia, fa pensare che ci sia stata un'usurpazione del potere. La XII dinastia, che sale al trono intorno al 2000, è stata una delle più gloriose dell'antico Egitto. Sotto la sua amministrazione, non soltanto il paese mantenne la stabilità interna, ma si espanse anche all'esterno come non aveva mai fatto neanche ai tempi dei grandi faraoni della IV dinastia. Anche se questa dinastia è di origine tebana, la capitale viene posta nella zona di Menfi, da dove è più facile governare il paese. Amenemhat I (il fondatore della dinastia) si occupò soprattutto, sembra, dell'amministrazione. Per prendere il potere dovette probabilmente fare affidamento sulla nobiltà provinciale, che ebbe il vantaggio di una certa autonomia dal potere centrale. Forse si occupò della protezione della frontiera orientale dell'Egitto, ma questo sarà piuttosto un interesse dei suoi successori, in Nubia giunse fino a Korosko. Fu una cospirazione a mettere fine al suo regno, ma suo figlio, che in quel momento si trovava in Libia, riuscì a tornare in tempo per prendere il potere. Sesostri I proseguì in Nubia la politica di suo padre, giunse fino alla terza cataratta e prese possesso delle miniere d'oro di questa regione. Per raggiungere queste miniere dovette partire da Wadi Halfa e, per assicurare la sicurezza dell'impresa, fece costruire una fortezza a Buhen. Per evitare il ripetersi degli eventi sanguinosi che avevano funestato la fine del regno di suo padre, Sesostri associò al trono, lui vivente, il figlio maggiore, e così fecero i suoi successori. Non abbiamo informazioni circa i regni di Amenemhat II e Sesostri II. Sappiamo invece che Sesostri III fu uno dei grandi faraoni dell'Egitto. Il ricordo delle sue gesta, abbellito dal tempo trascorso, è alla base di molte delle leggende raccolte dagli storici greci. Grande conquistatore, giunse fino in Palestina, mentre, in Nubia, riprese l'opera di Amenemhat I e Sesostri I riuscendo con quattro campagne a riprendere il controllo della situazione: per difendere le sue conquiste, fece costruire diverse fortezze. Amenemhat III, approfittando della tranquillità assicurata dalle campagne militari paterne, si occupò soprattutto dello sviluppo agricolo ed economico dell'Egitto. La XII dinastia termina con i regni senza gloria di un re e di una regina, Amenemhat IV e Sebeknofru, di cui non sappiamo altro se non che la decadenza della dinastia, durante il loro regno, fu repentina. Il rapido riassunto delle gesta di questi faraoni non rende onore alla potenza della XII dinastia, all'interno come all'esterno, e alla prosperità che ne derivò per l'Egitto. Se Amenemhat I aveva dovuto allentare i legami della nobiltà, sotto Sesostri III la monarchia ha di nuovo un potere assoluto, tanto che la carica di nomarca è abolita. Una volta restaurata la propria potenza, i faraoni si occuparono della valorizzazione del suolo, e soprattutto del Fayum, dove crearono un'oasi ai cui confini edificarono le loro residenze. Furono grandi costruttori, e si devono a loro le fortezze che protessero i confini meridionali e orientali del paese; il palazzo di Amenemhat III a Hawara diede origine alla leggenda greca del labirinto. Per quanto riguarda i rapporti con gli altri paesi, i legami con la Siria e Biblo sembrano amichevoli e ci si può domandare, con una certa ragionevolezza, se la Fenicia, sotto la XII dinastia, non fosse amministrata da un governatore egiziano. Continuarono le spedizioni nel Sinai per reperire le materie prime, e ci furono anche delle spedizioni commerciali verso i paesi del Punt. A sud l'Egitto estese il suo territorio fino ad arrivare a Semna (70 km a sud di Wadi Halfa), dove un'ampia zona fortificata difendeva l'ingresso al paese dalle turbolente tribù sudanesi, e da dove potevano partire le spedizioni commerciali dirette nel cuore del Sudan, contatti testimoniati dai livelli archeologici più antichi delle costruzioni di Kerma, a sud della terza cataratta. I rapporti con Creta, che si ritenevano certi già da quest'epoca, sono ancora poco conosciuti perché si possano tenere in conto; si potrebbe pensare che la Fenicia abbia fatto da intermediaria.
Il secondo periodo intermedio (1786-1567 a.C. circa)
Poiché il corso del tempo non rivela soluzioni di continuità, solo qualche avvenimento importante o una serie di avvenimenti giustificano il fatto che un dato regno sia considerato l'inizio di una nuova era. Non si saprà mai perché Sebeknofru (o Sebeknofrura, come viene chiamata nei testi di data posteriore) sia stata considerata l'ultima sovrana della XII dinastia, ma il Canone di Torino, l'elenco dei re di Saqqara e Manetone sono tutti d'accordo su questo punto, mentre l'elenco di Abido salta a piè pari da Ammenemes IV al primo re della XVIII dinastia. Essendosi stabilita con una certa esattezza la data della fondazione della XVIII dinastia ad opera di Amosis I, dobbiamo accettare l'intervallo dal 1786 al 1567 a. C. come durata del II periodo intermedio, età ricca di problemi anche più astrusi di quelli del I.
Si può osservare che il disegno generale di queste due epoche oscure è più o meno lo stesso. Entrambe iniziano con un caotico susseguirsi d'insignificanti reggenti locali; in entrambe, le invasioni dalla Palestina gettano la loro ombra sul delta e anche sulla valle del Nilo; e per entrambe la salvezza giunge infine da una rude stirpe di principi tebani che, dopo aver soffocato i dissidi interni, scacciano lo straniero e aprono una nuova epoca di grande potenza e prosperità.
Secondo Manetone, la XIII dinastia era diospolita (tebana) e comprese sessanta re che regnarono complessivamente per 453 anni; la XIV dinastia conta a sua volta settantasei re originari di Xois, l'odierna Sakha al centro del delta, per complessivi 184 anni di regno o, secondo un'altra interpretazione, 484. Per quanto riguarda il periodo dalla XV alla XVII dinastia ci sono divergenze nelle opere di Eusebio e Sesto Africano, mentre dallo storico ebreo Giuseppe Flavio se ne ha un resoconto assai più semplice presentato come un estratto letterale dell'opera di Manetone. Esaminando i dati forniti da Sesto Africano si vede che la sua XV dinastia è costituita da sei monarchi stranieri, i cosiddetti re pastori o Hyksos, la cui dominazione durò 284 anni. Anche nella XVI dinastia si ritrovano i re pastori, trentadue di numero per un totale di 518 anni. Per finire, durante la XVII dinastia, re pastori e re tebani regnarono contemporaneamente in antagonismo, 43 per ciascuna stirpe e 151 anni complessivi. Addizionando queste cifre (e per la XIV dinastia attenendosi a quella minore), si ottengono 217 re per un periodo di 1590 anni, superiore di ben sette volte alla durata dello stesso periodo, accertata dalla data sotiaca fornita dal papiro di El-Lahun.
Il Canone di Torino, malgrado il suo stato frammentario, è una fonte d'inestimabile valore. Secondo la ricostruzione di Ibscher, i re, iniziando dalla XII dinastia e scendendo verso la XVIII, sono distribuiti su non meno di sei colonne che contengono ciascuna fino a trenta nomi. Sarebbe imprudente tuttavia desumerne che il manoscritto originario elencasse 180 re perché la decima e l'undicesima colonna sono in certo modo dubbie; qualcuno dei nomi qui citati, come pure quelli della nona colonna, hanno un'apparenza assai sospetta. Non più di una sessantina sono in uno stato di conservazione tale da essere leggibili e, fra questi, solo di in terzo si è potuto verificare l'autenticità in base a prove esterne. La cifra degli anni è conservata per ventinove di essi, in totale 153 anni trascurando le frazioni di mesi e giorni. Compresi in questa somma sono i regni di sei re ognuno dei quali supera i dieci anni di regno (in tutto 101 anni), ma l'interpretazione delle cifre non ha sempre l'attendibilità che si vorrebbe. Questo calcolo non lascia che 52 anni per gli altri ventitre re, con una media di poco più di due anni a testa. E' da notarsi che, nel raro caso in cui i monumenti sono datati, questa data si riferisce per lo più al primo, al secondo o al terzo anno di regno.
Nella storia egizia la lunga durata di un regno è indice sicuro della prosperità del paese, si può quindi inversamente dedurne che, durante il periodo corrispondente nel Canone di Torino alle dinastie XIII e XIV di Manetone, il paese attraversava anni turbolenti e confusi e i suoi sovrani si assassinavano a vicenda e si succedevano con estrema rapidità. Il Canone cita anche in due, se non in tre casi, periodi d'interregno, uno dei quali della durata di sei anni. Sempre nel Canone di Torino, immediatamente dopo una riga che può esser ricostruita cosi ' [Capo di un paese straniero] Khamudy', ne segue un'altra che dice: '[Totale capi di] un paese straniero 6, uguale a 108 anni ' Si tratta ovviamente degli usurpatori stranieri citati da Sesto Africano in corrispondenza alle dinastie XV, XVI e XVII di Manetone. La frase appena citata porta a concludere che il Canone abbraccia dinastie diverse che regnarono contemporaneamente in diverse regioni dell'Egitto, anche se questo era ignoto al compilatore. Sottraendo infatti 108 anni ai 211 che si possono al massimo concedere per il II periodo intermedio, si trovano un centinaio di re ammassati in poco più di un secolo, cosa evidentemente assurda, tanto più tenendo conto dei sopra citati 108 anni assegnati a sei regni. Ne consegue che i 108 anni dei re Hyksos non possono esser sottratti in questo modo e devono riferirsi a una dominazione che interessò solo una qualche regione del delta.
L'alternativa più recente, accettata da tutti gli egittologi, è che il Canone comprendesse nel proprio elenco molti sovrani che regnarono nello stesso periodo ma presumibilmente in regioni del paese assai distanti l'una dall'altra. Ai dominatori Hyksos viene comunemente associata la XV dinastia. La XVI dinastia di Manetone pare interamente fittizia, e la XVII può servire solo per classificare i principi tebani in essa compresi. I Tebani che salvarono l'Egitto appartenevano a una famiglia strettamente unita nella quale le donne ebbero una parte straordinariamente importante, fosse per il fascino personale o perché considerate veicoli del sangue regale.
Il nuovo regno (1567-1080 a.C: circa)
Con il Nuovo Regno termina la storia classica dell'Egitto, che non avrà più la potenza né la magnificenza delle epoche precedenti, e comincerà un lungo declino, una sorta di Terzo periodo intermedio all'infinito. Ma, prima dell'inizio di questa lunga agonia, ci fu un periodo molto interessante e ricco di avvenimenti, il Nuovo Regno, che presenta diversi elementi di novità rispetto alle epoche precedenti. La regione tebana, raccogliendo l'eredità di una lunga resistenza contro gli oppressori, diviene il centro amministrativo, mentre, fino ad allora, la zona prediletta era stata quella di Menfi e del Medio Egitto. Lo spostamento della capitale risponde a una necessità geografica; l'espansione verso sud è giunta fino alla quarta cataratta, presso Napata, e l'Egitto si estende ormai dal diciassettesimo parallelo fino al Mediterraneo, su una lunghezza di più di 2260 Km. Per controllare e sfruttare un territorio cosi vasto, è normale che la capitale si insedi al centro, e ciò e ancora più necessario poiché, data la situazione attuale, l'Egitto reperisce la maggior parte delle risorse proprio dal suo impero africano: oro, materie prime (legno, pelli, avorio, gomma, pietre dure, ecc.), bestiame e, soprattutto, uomini per il suo esercito. Senza l'apporto africano la penetrazione egiziana in Asia sarebbe stata impensabile. Il Nuovo Regno differisce dagli altri periodi anche per la politica estera. Mentre la politica militare del Medio e soprattutto dell'Antico Regno era caratterizzata da una tattica difensiva (che non escludeva incursioni in territorio nemico), nel Nuovo Regno viene inaugurata una politica di conquista, o, per dirla con un altro termine, imperialista. Questo atteggiamento è una novità per l'Egitto. Dopo due secoli di invasioni da parte di popolazioni asiatiche, gli egiziani cercano di evitare questo pericolo estendendosi il più possibile a est; cercano di porre quanto più spazio possibile tra loro e i turbolenti nomadi asiatici, più o meno confederati, che sono a loro volta pressati dal regno di Mitanni, fondato da conquistatori ariani, posto tra l'Oronte e l'alto Eufrate. Questa nuova politica segna profondamente la civiltà egizia che, fino ad allora, nonostante le invasioni e le penetrazioni straniere, era sempre vissuta nello stesso luogo. Ora, penetrando profondamente in Oriente, viene a contatto con le grandi civiltà orientali e, pur restando se stessa, subisce modifiche. Gli usi, gli armamenti, persino la vita di tutti i giorni, cambiano. L'Egitto, che aveva sino ad allora manifestato un gusto molto sobrio, adotta un lusso tipicamente orientale, come ci testimonia la ricchezza inattesa, a volte fin troppo pesante, della tomba di Tutankhamon. Non ce ne lamentiamo troppo: l'arte di questo periodo guadagna in grazia e fascino ciò che perde in potenza, e questo è un altro aspetto del genio egiziano.
Il terzo Periodo Intermedio
Alla morte di Ramses XI, l'Egitto era nuovamente diviso in due: al nord il visir Smendes, a cui la moglie, probabilmente, aveva portato in dote il diritto al trono, al sud l'anziano Hrihor. I due poteri non erano ostili, sembra anzi che Hrihor si dichiarasse vassallo di Smendes. Ma è un vassallaggio a parole, visto che, come re dell'Alto Egitto e soprattutto in quanto vero capo del clero di Amon (alla cui testa aveva messo suo figlio Piankhi) Hrihor era il padrone assoluto della Tebaide e del sud del paese.
Hrihor era già anziano quando prese il potere nel sud, perciò, se anche avesse avuto l'intenzione di occupare il nord, non ne ebbe il tempo. Alla sua morte, il paese risultava diviso tra un potere di fatto in Alto Egitto con a capo Piankhi, il figlio di Hrihor, e un re legittimo al nord, Smendes, capostipite della XXI dinastia, con capitale a Tanis, nel delta orientale del Nilo. Anche alla morte di Smendes, come a quella di Hrihor, nulla cambiò in Egitto; egli lasciò il suo potere a Psusennes I, il quale, non avendo figli, diede in sposa sua figlia Makare, che, secondo l'uso egiziano, deteneva il diritto al trono, al figlio di Piankhi, che era sempre grande sacerdote di Amon e manteneva il potere in Alto Egitto. Il figlio di Piankhi, Pinegem I, ereditò dunque il potere al sud grazie a suo padre, e al nord grazie a sua moglie e, quando salì al trono, sembrò che l'unità egiziana potesse essere nuovamente assicurata: le forze disgregatrici però, erano troppo potenti per essere contrastate così facilmente. Pinegem tentò, resistendo al nord, di mantenere la sua autorità al sud nominando il suo figlio maggiore grande sacerdote di Amon ma, alla morte del figlio, scoppiò la rivolta a Tebe. Il faraone nominò allora il suo secondo figlio alla testa del clero a Tebe, ma questi, Menkheperra, si impadronì del potere per i suoi fini, facendo cosi naufragare una volta per tutte i sogni paterni. Menkheperra, grande sacerdote di Amon, diventò re e così malgrado gli sforzi di Pinegem, l'Egitto fu di nuovo diviso, e questo andò a discapito di tutto il paese, poiché anche il clero di Amon non ebbe più il potere che aveva sotto la XVIII-XIX dinastia. Il tesoro si era impoverito, non potendo più disporre dei tributi stranieri che le guerre incessanti dei grandi faraoni dell'antichità, in altri tempi, portavano ai suoi magazzini, e quindi si dovette far conto solo sulle rendite dei terreni del tempio, che erano in gran parte assorbiti dallo stesso clero,
Dopo la morte di Pinegem, la dinastia continuò ad essere divisa; mentre a Tanis, nel nord, regnò prima Amenemope e poi i suoi successori Siamon e Psusennes II, a Tebe succedettero a Menkheperra i suoi figli. Essi portarono gli stessi nomi dei re che regnarono nel nord, e si conosce, a sud, un Psusennes con un regno molto breve e un Pinegem contemporaneo di Siamon. Una particolarità dominò durante tutta la XXI dinastia: la divisione dell'Egitto, che esisteva di fatto, non fu mai dichiarata ufficialmente. I re taniti furono i sovrani legittimi dell'Egitto mentre, a Tebe, i discendenti di Menkheperra, a differenza del padre, non si fregiarono del titolo reale. La scissione virtuale tra nord e sud non fu la sola crepa nell'edificio politico: nel Medio Egitto, a Eracleopoli, una famiglia libica prese il potere localmente e acquistò sempre più importanza fino a soppiantare i re taniti e a instaurare la XXII dinastia.
Questa dinastia, d'origine libica, costituì una sorta di dittatura militare. Essendosi sempre più ridotto il numero di soldati egiziani, i mercenari libici, i mashauash, formarono, da soli, l'esercito egiziano e i loro capi disposero di un potere sempre più grande dato che il paese, diviso, era sempre più debole; rappresentavano la forza armata e ne approfittarono per usurpare l'autorità suprema. Ci si poteva attendere, durante il loro governo, una restaurazione dell'unità politica, come succede generalmente quando una minoranza armata prende il potere, ma cosi non fu. La XXII dinastia era divisa e debole come la XXI, e ciò per diverse ragioni; tanto per cominciare i libici si erano installati in Egitto sin dalla XX dinastia e, nel corso dei secoli, si erano assimilati, perdendo cosi, attraverso i ripetuti matrimoni misti, i caratteri razziali che costituivano parte della loro forza. In seguito, meno evoluti degli egiziani, adottarono la loro civiltà, e quindi non ebbero più quelle tradizioni proprie che, distinguendoli e isolandoli dai locali, gli avrebbero permesso di dominarli: erano egiziani di origine straniera, non stranieri. Inoltre la rottura fra nord e sud aveva cause troppo profonde perché vi potesse porre rimedio un potere usurpato come quello della XXII dinastia. La famiglia dei Sheshonq, alla quale appartenevano i re di questa dinastia, fornisce un eccellente esempio di questo processo di assimilazione. Stabilitisi nella regione di Eracleopoli, da sempre zona libica per eccellenza, i Sheshonq, il cui nome non è egiziano, dovevano essere, all'origine, puramente libici, ma diventarono egiziani ancora prima di salire al potere. Dopo essere stati capi militari, divennero sacerdoti e, a questo titolo, pretesero di essere sepolti a Abido come gli egiziani. Il potere della famiglia si estese fino a Bubastis, nel delta. Alla morte di Psusennes II, Sheshonq I diventò re e, per legittimare la sua dinastia, fece sposare suo figlio Osorkon con la figlia di Psusennes. La dittatura militare libica fu anche causa di disordini nel paese, soprattutto nella zona di Tebe, ed è persino possibile, anche se non se ne hanno le prove, che parte del clero di Amon si sia volontariamente esiliato nel Sudan.
Inevitabilmente attirati verso il nord, vero centro di gravità dell'Egitto, i libici abbandonarono Eracleopoli e si installarono nel delta, da lì Sheshonq I organizzò una spedizione in Palestina e prese Gerusalemme, saccheggiandone il tempio. In questo modo ristabilì momentaneamente un certo prestigio egiziano in Asia, ma non si trattò di una conquista vera e propria, e il solo risultato pratico furono i proventi di un ricco bottino per i templi egiziani. La successione di Sheshonq I fu una faccenda molto ingarbugliata; la presa di potere dei libici non aveva cambiato in nulla la divisione virtuale del paese tra nord e sud e Sheshonq I, riprendendo la politica dei suoi predecessori, tentò soltanto di usare a suo favore l'influenza del clero di Amon, alla cui testa mise suo figlio. Anche i suoi successori tentarono di imitarlo ma, come per i re della XXI dinastia, i loro sforzi furono vani, e i figli che essi nominarono alla testa del clero di Tebe costituirono sempre delle dinastie parallele al sud. Per contrastare questa tendenza, i faraoni cercarono di diminuire l'influenza della casta sacerdotale di Amon, creando un nuovo titolo religioso, quello di «Sposa del dio» o di «Divina adoratrice di Amon», che veniva dato sempre e soltanto alle principesse; il risultato però, fu che esse acquisirono altrettanto potere di quello dei grandi sacerdoti, senza peraltro essere più fedeli al re. L'Egitto quindi restò diviso e, alla fine della XXII dinastia, Tebe si ribellò apertamente per ben due volte al re del nord: questo fatto fa supporre una crescente indipendenza dei re tebani nei riguardi della regalità.
Sotto gli ultimi re della XXII dinastia, Sheshonq III, Pami e Sheshonq IV, l'anarchia continuò a crescere e l'Egitto mostrò una tendenza sempre maggiore al frazionamento, soprattutto nella zona del delta. La XXIII dinastia venne fondata prima che la XXII si fosse estinta, e le due dinastie furono in parte parallele. È possibile anche, a giudicare dai nomi portati dai faraoni della XXIII dinastia (Pedubast, Sheshonq V, Osorkon III, Takelot III) che fossero imparentati con quelli della XXII. La capitale della nuova dinastia fu Bubastis, dove la famiglia dei Sheshonq si era installata molto prima di prendere il potere, e così la divisione nord-sud si complicò ulteriormente, creando una nuova frammentazione est-ovest nel delta. Ma le divisioni non finirono lì; a fianco delle due dinastie parallele, sembra che le dinastie locali si siano moltiplicate, al nord, fino all'avvento della XXIV. Anche se questi piccoli re non erano ostili gli uni agli altri, il frazionamento del potere era pericoloso per l'Egitto, che si trovava nell'impossibilità di creare un esercito potente, e di assicurare i contributi economici e i lavori di manutenzione generale indispensabili alla prosperità del paese. Verso il 730 a.C., la situazione era molto confusa: nel delta il potere era diviso, da una parte tra i faraoni della XXII e quelli della XXIII dinastia, e dall'altra fra usurpatori per lo più libici che avevano preso il potere localmente. Nel Medio Egitto è praticamente impossibile capire chi faceva capo ai faraoni della XXII e chi a quelli della XXIII dinastia, e comunque, tra le due fazioni, non c'era nessuna ostilità. In Alto Egitto, infine, il grande sacerdote e la divina adoratrice di Amon, parenti dei faraoni del nord, regnavano autonomamente a Tebe, mentre si suppone che, in Sudan, i componenti del clero di Amon che si erano rifugiati lì, si fossero costituiti in principato autonomo con capitale a Napata, anche se è più verosimile che i sovrani di questo nuovo regno fossero sudanesi. L'Egitto era quindi più diviso che mai, ma presto si farà sentire una forte (e duplice) tendenza alla centralizzazione. Nel 751 circa Piankhy, un re dal nome egiziano (il che non vuol dire che avesse origini egiziane) salì al trono a Napata, in Sudan. Gli egiziani non erano mai stati molto numerosi in Nubia, e si erano completamente mescolati alla popolazione locale, per cui Piankhy governava un popolo di sudanesi, e sembrava non dovere nulla all'Egitto (da cui il nome di «etiope» dato alla sua dinastia). Mentre lui cercò di unificare l'Egitto partendo da sud, a Sais, nel delta, il re locale, Tefnakht, cominciò a ricostruire intorno a sé l'unità del paese. Sembra che abbia proceduto con la persuasione, più che con la conquista armata: fece riconoscere la sua autorità ai governanti locali e li confermò nei propri poteri come vassalli. Una volta unificato il nord, Tefnakht penetrò in Medio Egitto, dove si scontrò con Piankhy che era partito dal sud. Si conoscono le vicende di questa lotta tramite un solo documento, la stele di Piankhy, che dà una visione «sudista» dell'avvenimento, ed è una fonte molto partigiana. In questo documento il re si vantò di aver completamente sconfitto Tefnakht e di aver conquistato l'Egitto fino ai confini marittimi del delta. In effetti, se è possibile che abbia respinto Tefnakht e i suoi vassalli del Medio Egitto, è piuttosto improbabile che sia andato più lontano poiché, subito dopo la sua pretesa vittoria, non solo Piankhy tornò a Napata, ma esiste anche la prova che Tefnakht governò il delta ancora per qualche anno dopo la tanto vantata conquista etiope. Comunque sia, Tefnakht fu il fondatore della XXIV dinastia, che fu formata da due soli re: Tefnakht e Boccoris. Questa dinastia regnò nel nord mentre Piankhy, con la XXV dinastia etiope governò parallelamente al sud, estendendo forse il suo potere fino a Menti: l'unificazione era fallita.
Nel nord, Boccoris succedette a suo padre Tefnakht. Egli passò per essere stato un legislatore, ma si sa ben poco su di lui, se non che sollevò una rivolta in Palestina contro gli assiri, che l'appoggiò con un distaccamento egiziano, e che fu sconfitto. Morì durante i combattimenti per la conquista del delta da parte di Shabaka. Nel sud, Shabaka, successore di Piankhy, governava fino a Tebe, e, forse, fino a Menfi. Egli abbandonò Napata per stabilirsi a Menfi, dove la sacerdotessa divina adoratrice di Amon era ormai di discendenza sudanese. Da lì partì alla conquista del Basso Egitto, a cui il padre Piankhy aveva rinunciato, e sembra che quest'impresa gli riescì, anche se non si ha nessun dettaglio circa questa conquista, nel corso della quale fu ucciso Boccoris. Shabaka si trasferì poi al nord e, al contrario di Tefnakht e Boccoris, non si oppose agli assiri. Scomparsa la XXIV dinastia, la XXV regnò in Egitto solo nominalmente, perché sembra che il paese non sia mai stato, in realtà, totalmente pacificato. I successori di Shabaka furono Shebitku e Taharqa. I due intrapresero una politica attiva in Asia e favorirono le rivolte palestinesi contro gli assiri, ma non furono più fortunati di Boccoris, e fu per pura fortuna che l'esercito assiro, vinta la coalizione palestinese, non distrusse Gerusalemme e l'esercito egiziano (sembra che un'epidemia di peste abbia dissuaso gli assiri dal combattere). Per poter sorvegliare la situazione nel Mediterraneo, Taharqa fu obbligato, come i suoi predecessori, a installarsi nel Basso Egitto, e risiedette a Tanis. Era perciò troppo lontano dall'Alto Egitto per poterlo governare efficacemente, ma fece uno sforzo per assicurarsene almeno la fedeltà. Rompendo con la tradizione non lasciò più tutti i poteri al clero di Amon, ma ne conferì una parte al «governatore del sud», Montuemhat; cosi separò deliberatamente il potere spirituale da quello temporale, per motivi politici.
La Bassa Epoca o Epoca Tarda
Da lungo tempo si sentiva la necessità di unificare un mondo lacerato da continui conflitti e questa unificazione doveva ora esser tentata su vasta scala. L'iniziativa venne dalla parte più inattesa, la Persia.
La Persia è il paese situato sul lato orientale del Golfo Persico ed estendentesi per lungo tratto nell'entroterra con Persepoli e Pasargade come capitali. Di questa regione montuosa e in parte inospitale era originaria la famiglia ariana degli Achemenidi dalla quale uscì il grande conquistatore Ciro II (558-529 a.C. circa). Il primo paese a essere invaso dai Persiani fu la Media dove Astiage, figlio di Ciassare, non poté opporre che una debole resistenza prima di esser cacciato dalla propria capitale, Ecbatana, a metà strada fra Susa e il mar Caspio. Fu poi la volta della Lidia. Prevedendo ciò che stava per accadere il suo re, Creso, aveva cercato di allearsi con l'Egitto, Babilonia e Sparta, ma prima che giungesse il loro aiuto, Sardi fu catturata (546 a.C.) e la Lidia cessò di esistere come regno indipendente. Le città della costa ionica rimasero alla mercè del sovrano persiano che le affidò ai suoi generali per esser libero di volgere altrove le proprie forze. Naturalmente il prossimo obiettivo era Babilonia, ma Ciro non aveva alcuna fretta di affrontarla. Vi regnava allora Nabonido, dotto sovrano e studioso di archeologia, dopo un esilio di dieci anni a Taima nell'Arabia dal quale era tornato nel 546 a.C. su invito dei propri sudditi che prima erano stati in dissenso con lui. Nel 539 a.C. Ciro occupò Babilonia risparmiando, con tipica saggezza, la vita del re e confinandolo nella lontana Carmania come governatore o esule. Un impero tanto vasto richiedeva naturalmente un'opera di consolidamento e per qualche anno si hanno scarse notizie di imprese militari di Ciro. Egli si rendeva però conto della necessità di conquistare l'Egitto, e affidò questo compito al figlio Cambise. Quanto a Ciro stesso, perì nel 529 a.C. combattendo per respingere un attacco di orde turaniche sulla frontiera settentrionale; in trent'anni si era elevato dai suoi umili inizi fino a divenire il più potente monarca che il mondo di allora avesse mai conosciuto.
Le difficoltà connesse con la successione tennero impegnato Cambise per i tre anni successivi, ma l'assassinio del fratello Smerdi lo lasciò libero di proseguire l'impresa affidatagli dal padre. La Fenicia si era sottomessa spontaneamente, fornendogli una flotta preziosa per le future operazioni. Cambise mosse allora contro l'Egitto, da pochi mesi governato dal faraone Psammetico III.
La battaglia di Pelusio fu combattuta con disperata tenacia (525 a.C.), ma alla fine gli Egizi ripiegarono in disordine a Menfi che si arrese solo dopo un lungo assedio. L'Egitto passò così in mano ai Persiani (XXVII dinastia di Manetone).
In questo periodo sopravvenne un notevole cambiamento nella civiltà della terra dei faraoni fino allora rimasta più o meno uniforme. Come prima la popolazione indigena usava nel disbrigo dei propri affari la lingua d'origine, scritta in una forma estremamente corsiva, nota ai Greci come encoriale o demotica. Ma per quanto concerneva il governo l'Egitto era ormai la più remota provincia di un grande impero straniero. Il re persiano, suo supremo signore, risiedeva a Susa o Babilonia e lasciava l'amministrazione vera e propria in mano a un governatore locale, detto satrapo. Per tutti gli scopi burocratici veniva impiegata la lingua aramaica, idioma semitico del Nord che, dopo essersi diffuso in Mesopotamia a opera dei popoli ivi deportati, si era in seguito propagato al Sud grazie fra gli altri agli esuli Ebrei cui Ciro aveva concesso di tornare nella patria d'origine; in Palestina questa lingua aveva finito per sostituire completamente l'ebraico. Non si deve credere che in Egitto l'uso dell'aramaico fosse limitato agli Ebrei anche se si sarebbe portati a dedurlo dalle numerose e sensazionali scoperte di papiri scritti in questa lingua nell'isola di Elefantina, subito a nord della prima cateratta. Anche se le persone di cui questi papiri rivelano i molteplici e svariati interessi erano tutte o in massima parte Ebrei si dovrà osservare che esse appartenevano a una guarnigione di frontiera ed erano perciò al servizio del regime persiano.
Comunque la prova più convincente che l'aramaico era la lingua ufficiale dell'amministrazione persiana è fornita da un gruppo di lettere per lo più dirette ai suoi subalterni in Egitto dal satrapo Arsame che rimase in carica per tutto l'ultimo venticinquennio del secolo V. Queste lettere provenivano senza dubbio dalla cancelleria del satrapo, con sede probabilmente a Menfi.
Con il passare degli anni, lotte intestine, legate alla successione al trono, indebolirono il grande impero Persiano. Ne approfittò l'Egitto che, con Amirteos (XXVIII dinastia) riottenne l'indipendenza.
Da questo momento fino alla conquista di Alessandro Magno nel 332 a.C., la politica estera dell'Egitto non mirò che a difendere la propria indipendenza da un impero ostinato a considerarla una semplice provincia ribelle. L'Egitto riuscì nel suo scopo, tranne che per il breve lasso di un decennio proprio alla fine di questo periodo. Un continuo ostacolo era comunque la rivalità fra le varie famiglie principesche del delta.
Per notizie meno vaghe dobbiamo basarci interamente sugli autori greci. Da Senofonte si apprende che la Persia aveva radunato nella Fenicia un forte esercito destinato senza dubbio a sottomettere l'Egitto. Di conseguenza le città greche dell'Asia Minore, che si erano schierate al fianco dell'Egitto, si trovarono anch'esse in grave pericolo. Per soccorrerle Sparta, malgrado i forti obblighi verso Ciro, entrò in guerra contro la Persia, la cui potenza era ancora assai temibile (400 a.C.). Il conflitto durò vari anni. Nel 396 a.C. Sparta cercò di stringere con l'Egitto un'alleanza che le venne prontamente accordata.
Non molto tempo dopo, nel 393 a.C., salì al trono Achoris, e poiché l'alleanza con Sparta si era dimostrata svantaggiosa, si affrettò a cercare aiuto altrove, e lo trovò per mezzo di un trattato con Evagora, l'abile e ambizioso re di Salamina di Cipro, che aveva già imposto la sua signoria a varie altre città dell'isola. L'amicizia di Evagora con Conone portò di conseguenza gli Egizi a una stretta collaborazione con Atene. Ma intanto sia la Persia che Sparta si erano stancate della guerra, e nel 386 a.C. fu conclusa la pace di Antalcida, che lasciava alla Persia mano libera in tutte le città greche dell'Asia Minore in cambio dell'autonomia di tutti gli altri stati ellenici.
Così Achoris ed Evagora rimasero soli e Artaserse fu libero di affrontare l'avversario che preferiva. Per primo attaccò l'Egitto, che aveva avuto il tempo di tornare a essere un paese ricco e forte; Cabria, uno dei migliori generali dell'epoca, lasciò Atene per mettersi al servizio di Achoris. Su questa guerra si hanno scarse notizie, salvo il fatto che si protrasse fino al 383 a.C. e che il polemico oratore ateniese Isocrate ne diede un giudizio sprezzante. Evagora si dimostrò di grande aiuto spingendosi con le sue truppe entro il campo nemico e catturando Tiro e altre città della Fenicia; ma in seguito la fortuna l'abbandonò e, dopo aver perso una importante battaglia navale, fu assediato nella sua città di Salamina. Aveva tenuto in scacco la Persia per più di dieci anni, al termine dei quali i dissensi scoppiati fra i capi persiani li indussero ad accettare la sua resa a condizioni onorevoli (380 a.C.).
Dopo esser rimasto a lungo fedele vassallo del re di Persia, Evagora cadde vittima di una cospirazione. L'Egitto si trovò così ancora una volta da solo contro la Grande Persia.
Con la XXX Dinastia ebbe inizio l'ultima dinastia indipendente dell'Egitto.
Il numero di monumenti lasciati dai sovrani della XXX Dinastia potrebbe dare l'impressione di un periodo d'ininterrotta pace e prosperità. Ma dagli storici greci, dei quali Diodoro è ancora una volta il principale esponente, viene alla luce una storia ben diversa. In Persia regnava ancora Artaserse II (404-358 a.C.) più deciso che mai a umiliare l'Egitto e a ricondurlo alla precedente sottomissione. Ma i preparativi per l'invasione procedevano con grande lentezza. Per prima cosa il Gran Re fece pressioni su Atene perché richiamasse dall'Egitto il valente generale Cabria, che dovette accontentarsi di un incarico militare in patria. Il grande esercito persiano, guidato dal satrapo Farnabazo e dal comandante dei mercenari greci Ificrate, non partì da Acre che nel 373 a.C.. Raggiunta Pelusio, fu chiaro che un attacco da quel lato era impossibile, ma che l'una o l'altra delle foci del Nilo meno fortificate offriva migliori speranze di successo. E fu proprio così; la barriera del ramo di Mendes venne forzata e molti egizi furono uccisi o catturati. Contro il volere di Farnabazo, Ificrate tentò di spingersi fino a Menfi, e mentre l'antagonismo fra i due comandanti ritardava l'azione persiana, le truppe di Nekhtnebef ripresero forza e circondarono gli invasori da tutti i lati. In buon punto sopraggiunse in aiuto degli Egizi la piena del Nilo; le parti del delta non completamente sommerse dalle acque si trasformarono in palude e i Persiani furono costretti a battere in ritirata. Per la seconda volta l'Egitto fu salvo.
Il figlio di Nekhtnebef, Teos, giunse a tentare un attacco diretto contro la Persia. Alleatosi ad Agesilao e al generale Ateniese Cabria mosse contro la Fenicia. Durante questa campagna però Agesilao diede il suo appoggio ad Nekhtharehbe che diventò faraone, mentre Teos fu costretto all'esilio in Persia. La spedizione fallì.
Nel 358 a.C. l'ascesa al trono di Artaserse III Oco infuse nuova vita al vacillante Impero persiano. Fu ristabilito l'ordine fra i satrapi dell'Asia Minore, ma lo sforzo richiesto fu tale da precludere ogni velleità di aggressione contro l'Egitto. Nondimeno verso il 350 a.C. Artaserse era pronto alla guerra. Non se ne conoscono i particolari, ma il fallimento fu completo col risultato che ovunque scoppiarono rivolte contro la dominazione persiana, con la Fenicia e Cipro in prima linea.
L'obiettivo più importante rimaneva l'Egitto, essendo questo l'unico paese che poteva fornire in abbondanza oro e grano, e la sua riconquista era indispensabile. Prima però si dovevano fare i conti con la Fenicia e la Palestina. Sidone, al centro della rivolta, si era attirata le rappresaglie persiane con un violento e rovinoso colpo di mano contro gli occupanti. Temendone le conseguenze, si era rivolta per aiuto all'Egitto, ma Nekhtharehbe si era limitato a inviarle un piccolo contingente di mercenari greci comandati da Mentore di Rodi. Diodoro narra la storia dei pochi anni successivi con grande abbondanza di particolari. I preparativi di Artaserse furono imponenti e ancor prima dell'arrivo di massicci rinforzi dalle città della Grecia continentale e dell'Asia Minore egli riuscì a infliggere un terribile castigo a Sidone; il suo re, Tenne, si accordò proditoriamente con Mentore per consegnare la città al nemico, e di conseguenza gli abitanti incendiarono le navi e molti di essi cercarono volontariamente la morte tra le fiamme delle proprie case.
Nell'autunno del 343 a.C., l'esercito persiano, con a capo il Gran Re in persona, partì per la sua memorabile campagna contro l'Egitto. Il primo assalto fu sferrato contro la città di Pelusio che oppose una tenace resistenza. La straripante potenza Persiana ebbe però la meglio e una dopo l'altra tutte le città del delta capitolarono.
Nekhtharehbe, resosi conto che la situazione era disperata, fuggì in volontario esilio in Etiopia. L'Egitto era di nuovo una provincia persiana.
Questa seconda dominazione non durò che una decina di anni, ma con essa era terminata la storia delle dinastie Egiziane. Dopo più di 4000 anni di storia l'Egitto aveva terminato di essere un paese indipendente con una propria stirpe regnante. Dario III, ultimo re persiano, nominalmente regnò in Egitto quattro anni, ma già prima di questo termine l'impero persiano aveva cessato di esistere e il mondo antico aveva iniziato una nuova era.
Fra la XXXI e la XXXII Dinastia si colloca un poco conosciuto Khababash che assunse il ruolo di faraone. Un sarcofago di Api reca la data del suo secondo anno di regno, e il contratto nuziale di un sacerdote subalterno è datato nel primo anno. Maggiore interesse però offre una notizia ricavata da una stele del 311 a.C., quando il futuro Tolomeo I Sotere non era che satrapo d'Egitto. Nella forma questa lunga epigrafe è un'esaltazione delle grandi imprese di Tolomeo, ma ne è evidente il vero scopo a ricordare la restituzione di un tratto di terreno appartenuto da tempi immemorabili ai sacerdoti di Buto e confiscato da Serse, qui descritto come nemico e criminale. Khababash, dopo avere ascoltato le lagnanze dei sacerdoti che gli ricordarono come il dio Horo avesse per punizione scacciato dall'Egitto Serse e suo figlio, concedette quanto chiedevano, concessione riconfermata più tardi da Tolomeo. Ci sono due indizi per collocare storicamente Khababash: in primo luogo egli era evidentemente posteriore a Serse, e, secondariamente, pare che questa decisione fosse stata presa dopo avere esplorato le foci del Nilo attraverso le quali si poteva temere un'aggressione degli Asiatici, vale a dire dei Persiani. Un terzo indizio è dato dal fatto che il contratto nuziale era stato firmato dallo stesso notaio di cui si ha la firma sopra un altro documento del 324 a.C.. Da qui varie ipotesi, ma di certo si può dire soltanto che Khababash fu uno degli ultimi, se non proprio l'ultimo governante non persiano né greco che osò assumere il complesso dei titoli del faraone nato in Egitto, sebbene il suo nome sia decisamente straniero.
Il grande evento che determinò il destino dell'Egitto e la sua forma di governo per i tre secoli successivi fu la conquista di Alessandro il Grande nel 332 a.C..
L'ascesa della Macedonia a potenza mondiale era incominciata ad apparire possibile fin dal 338 a.C., quando Filippo II (greco per modo di dire), dopo aver soffocato ogni resistenza con la sconfitta di Atene e Tebe a Cheronea, aveva fondato una Lega ellenica che doveva alleare tutta la Grecia sotto la sua egida. Ma nessuno avrebbe allora potuto prevedere le brillanti vittorie che, nello spazio di dieci anni, fecero del suo giovane figlio Alessandro l'indiscusso padrone di tutto il mondo orientale. E' probabile che neppure Alessandro sapesse bene che cosa si proponeva finchè non ebbe conquistato l'Asia Minore e costretto alla fuga Dario nella battaglia di Isso, una ventina di chilometri a nord dell'odierna Alessandretta (333 a.C.). E anche allora il suo primo pensiero non fu quello d'inseguire il monarca persiano, ma di assoggettare la Siria e l'Egitto. L'assedio di Tiro fu lungo e tedioso, ma, superato questo ostacolo, niente più gli intralciò il cammino fino a Gaza, che gli oppose una disperata resistenza. Nel 332 a.C. Alessandro raggiunse l'Egitto, il cui satrapo persiano si arrese senza colpo ferire.
Periodo tolemaico
Nel 332 a.C. Alessandro Magno, re di Macedonia, decise di penetrare in Egitto con il suo esercito.
La popolazione egiziana, per un lungo periodo sottomessa al dominio degli odiati Persiani, accolse Alessandro con entusiasmo.
I Macedoni conquistarono l'intero Egitto in breve tempo e diedero un impostazione greca alle varie amministrazioni, seppur rispettando quelle egizie.
Il governo di Alessandro fu caratterizzato dalla fondazione di Alessandria, che ben presto divenne non solo la capitale d'Egitto ma anche dell'intero Mediterraneo, e dalla visita all'oasi di Siwa dove ricevette il riconoscimento del dio Amon a regnare come gli antichi faraoni.
Così, Alessandro, ricevette probabilmente un'incoronazione solenne a Menfi come tradizionalmente accadeva ai faraoni.
Nel 331 a.C. Alessandro partì per l'oriente affidando l'Egitto ad un vicerè. Nel 323 a.C., mentre stava preparando una spedizione in Arabia, morì di febbre a 33 anni. Il suo corpo venne riportato ad Alessandria dove venne sepolto.
Dopo la morte di Alessandro l'Egitto fu affidato a Tolomeo, figlio di Lago. All'inizio egli si accontentò della carica di vicerè occupando il potere prima per conto di Filippo Arrideo, fratello di Alessandro, e poi per conto di Alessadro IV, figlio del Grande Alessandro, ma, nel 305 a.C. si proclamò sovrano di un regno indipendente assumendo il nome di Tolomeo I Soter (il 'salvatore', 322-282 a.C.). Durante il suo regno diede all'Egitto un notevole impulso all'organizzazione amministrativa e istituì il culto di Serapis.
I successori di Tolomeo continuarono a presentarsi come i continuatori dei faraoni, adottandone le caratteristiche e costruendo monumenti simili a quelli antichi. La dinastia tolemaica cercò sempre di dare l'idea di un'armonia interna alla loro famiglia e di benevolenza verso i sudditi. Ciò venne riflesso nei nome assunti dai vari regnanti: Filadelfo ('che ama il fratello/sorella', Tolomeo II), Filopatore ('che ama il padre', Tolomeo IV e VII), Filometore ('che ama la madre', Tolomeo VI), Evergete ('benefattore', Tolomeo III e VIII) e Epifane ('manifestazione divina'). I vari Tolomeo che si succedettero al trono cercarono di evitare traumi nel passaggio di potere facendo in modo di associare, per un certo periodo, il sovrano regnante con il suo successore. Per garantire stabilità si introdussero i matrimoni in famiglia, così Tolomeo II potè sposare sua sorella Arsinoe II che ne influenzò notevolmente il governo. Arsinoe II era una donna molto potente e ambiziosa tanto da riuscire a convincere il fratello a separasi della sua prima moglie (Arsinoe I, figlia del generale di Alessandro Lisimaco) e a sposarla. Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.), durante il suo regno, organizzò un rigoroso sistema di amministrazione finanziaria, istituì il culto dinastico e stabilì alcune colonie greche nel Fayyum. Inoltre fece erigere il famoso Faro, il Museo e la Biblioteca di Alessandria. Organizzò anche dei giochi in onore del padre che avrebbero dovuto competere con i giochi olimpici.
Durante i regni successivi, Tolomeo III Evergete (246-221 a.C.) e Tolomeo IV Filopatore (221-203 a.C.) ebbero alcuni successi militari e diplomatici in Cirenaica e in Siria.
Tuttavia, nel 208 a.C., Tolomeo V Epifane (203-181 a.C.) riuscì a sedare alcune rivolte. Alcune terre dell'Asia Minore, Palestina e Mar Egeo furono definitivamente perdute. Alla fine del III secolo il regno dei Tolomei si ridusse al solo Egitto, all'isola di Cipro e alla città di Cirene. Gli intrighi di corte divennero sempre più gravi e ciò indebolì notevolmento il governo tolemaico. Uno di questi intrighi portò Tolomeo V Epifane al potere affiancato da due cortigiani, Agatocle e Sosibio, che uccisero la madre Arsinoe III e si presentarono a Tolomeo V, come da tradizione, con due urna d'argento contenenti le ossa di Tolomeo IV e Arsinoe III ed un testamento che li designava tutori del futuro sovrano.
Durante il regno di Tolomeo VI Filometore l'Egitto venne invaso due volte dal re Antioco V sovrano di Siria. Nel 168 a.C. Popilio Lenate, ambasciatore di Roma, ordinò ad Antioco di lasciare l'Egitto. Antioco disse di doversi consultare con i propri consiglieri prima di decidere. A questo punto Popilio Lenate tracciò con un bastone un cerchio attorno al re di Siria dicendo che avrebbe dovuto prendere una decisione prima di uscire da quel cerchio. Antioco, messo alle strette, non potè fare a meno di ritirare l'esercito dall'Egitto. La dominazione dei Tolomei dipendeva ora solo dal volere di Roma.
La dinastia tolemaica, da Tolomeo VI a Tolomeo X Alessandro I, fu contrassegnata da una serie di lotte interne. La lotta tra Tolomeo VI e suo fratello Tolomeo VII Evergete II (145-116 a.C.) finì con l'assegnazione della città di Cirene a quest'ultimo. In seguito Tolomeo VIII divenne re d'Egitto facendo assassinare il legittimo erede al trono Tolomeo VII Neofilipatore, figlio di Tolomeo VI e di sua sorella Cleopatra II. Tolomeo VIII, detto anche 'fiscone' (pancione), era un uomo pieno di debolezze e senza scrupoli, ma anche molto colto e con innate qualità politiche. Dal 142 a.C. visse da bigamo visto che aveva sposato prima Cleopatra II (vedova di Tolomeo VI) e poi Cleopatra III, figlia di TolomeoVI e Cleopatra II. Giustino, uno storico romano, racconta come Cleopatra II accolse nel proprio letto Tolomeo VIII con le mani ancora sporche di sangue dopo che lo stesso Tolomeo VIII aveva fatto uccidere il figlio Tolomeo VII. Questo illustra bene quale ambiente si era creato nella famiglia regnante. Le lotte tra le due mogli di Tolomeo VIII erano molto frequenti: nel 131 a.C. Cleopatra II fomentò una rivolta ad Alessandria che obbligò il marito ad abbandonare l'Egitto per poi ritornarvi nel 124 a.C. riconquistando Alessandria. Nel frattempo Cleopatra II fuggì in Siria, ma anch'ella fece ritorno in Egitto nel 124 a.C. ripristinando il governo a tre: Tolomeo VIII, Cleopatra II e Cleopatra III.
Tolomeo VIII e Cleopatra III ebbero due figli: Tolomeo IX Soter II (116-107 e 88-80 a.C.) e Tolomeo X Alessandro I (107-88 a.C.) che si combatterono anni per la conquista del potere. Dopo la morte di Tolomeo VIII, nel 116 a.C., iniziò il governo di Cleopatra III e Tolomeo IX che durò fino a quando Cleopatra III decise di cacciare Tolomeo IX per sostituirlo con Tolomeo X forse perchè più disposto a piegarsi alla sua volontà. Tolomeo X, nel 101 a.C., fece uccidere la madre per regnare insieme alla moglie Berenice III, figlia di Tolomeo IX. Nell'88 a.C., con la morte di Tolomeo X, tornò a governare Tolomeo IX.
Dopo Tolomeo IX salì al potere Tolomeo XI Alessandro II (80 a.C.), figlio di Tolomeo X e protetto dal dittatore romano Silla che lo costrinse a sposare Berenice III che, nel frattempo, aveva continuato a regnare. Tolomeo IX, come riconoscimento, scrisse un testamento nel quale concedeva a Roma il diritto di annettersi in qualunque momento a Cipro e all'Egitto. Berenice III fu presto assassinata dal marito che, dopo 19 giorni di governo, venne trascinato fuori dal Palazzo e ucciso dagli Alessandrini inferociti per il suo comportamento.
Il trono passò perciò nelle mani di Tolomeo XII Neodioniso (80-51 a.C.) detto 'Aulete' (il 'flautista'), figlio di Tolomeo IX e Berenice III, amante del vino e della musica. Tolomeo XII, che dovette attendere una ventina d'anni prima di avere il riconoscimento di re d'Egitto dai Romani, sposò la sorella Cleopatra V dalla quale ebbe due figlie, Cleopatra VI e Berenice IV. Tolomeo XII si sposò una seconda volta avendo altri tre figli: Arsinoe, Tolomeo XIII e Tolomeo XIV. Il suo regno fu contraddistinto dall'aumento delle tasse che mirava ad assicurare a se stesso il trono. Ciò provocò la rivolta del 58 a.C. che costrinse Tolomeo XII a rifugiarsi a Roma. Il trono fu occupato dalle figlie Berenice IV e Cleopatra VI, che morì quello stesso anno. Nel 55 a.C. Roma ristabilì Tolomeo XII sul trono. Qualche anno dopo associò al potere i figli Tolomeo XIII e Cleopatra VII.(non è ancora certo da quale dei due matrimoni nacque).
Dopo la morte del sovrano, il romano Pompeo venne nominato tutore di Tolomeo XIII e Cleopatra VII venne espulsa dal regno. Cleopatra VII si rifugiò in Siria fino a quando venne convocata a palazzo da Cesare che, nel frattempo, si era insediato ad Alessandria. L'incontro terminò con la riconciliazione tra Tolomeo XIII e Cleopatra VII. Il governo dell'Egitto sarebbe stato, in realtà, nelle mani di Cleopatra che, inoltre, aspettava un figlio da Cesare. Il figlio venne chiamato Tolomeo XV Cesarione. Cleopatra fu per l'Egitto una grande regina, il suo governo fu il migliore tra quelli stranieri anche perchè fu l'unica ad imparare la lingua locale. Ella condivise molte credenze del Paese e questo contribuì molto a renderla popolare. Alla morte di Cesare, Cleopatra si legò a Marco Antonio, nuovo re di Roma. Nel 37 a.C. ebbe luogo il matrimonio tra Marco Antonio e Cleopatra. Dal rapporto nacquero dei figli a cui vennero assegnati dei territori da governare in modo da ricomporre l'antico impero tolemaico. Nel frattempo, a Roma, si scatenò una propaganda contro di loro condotta da Ottaviano che portò ad uno scontro tra le parti. La battaglia di Azio, così venne denominata, si concluse a favore di Ottaviano poichè la flotta di Cleopatra si ritirò improvvisamente dalla lotta, seguita ben presto da quella di Marco Antonio. I due si rifugiarono ad Alessandria che fu conquistata da Ottaviano qualche mese dopo. Nel 30 a.C., Cleopatra si suicidò facendosi mordere da un serpente piuttosto che subire l'umiliazione della conquista romana. Tolomeo XV, in quanto figlio di Cesare, venne ucciso, mentre i figli di Marco Antonio e Cleopatra furono risparmiati. L'Egitto divenne una provincia romana e Ottaviano fu proclamato imperatore di Roma.
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