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Pompei, Ercolano ed il Vesuvio




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Pompei, Ercolano ed il Vesuvio


Gli abitanti dei villaggi, terrorizzati dalla gigantesca colonna di fumo avvolta da lampi che sfrecciavano al cielo, dai bagliori intorno al cratere del vulcano e dai boati assordanti, erano del tutto disorientati dal cielo oscurato come a notte fonda. Un uomo e una donna, sopraffatti dalla stanchezza per il fuggifuggi interrotto da continue cadute sulla spessa coltre di pomici nella quale sprofondavano ad ogni passo, si adagiarono al suolo. Invano tentarono di proteggersi con le mani sul volto dal violento bombardamento di pomici e frammenti lavici.


I loro corpi, come quelli degli altri abitanti del villaggio, furono seppelliti in poche ore da circa 70 cm. di lapilli. Così sarebbe apparsa a un ipotetico osservatore la catastrofica eruzione detta delle Pomici di Avellino, la penultima di sei eruzioni pliniane prodotte dal Somma-Vesuvio in circa 25.000 anni, che, un giorno tra il 1880 e il 1680 a.C., pose fine alla cultura degli abitanti di Palma Campania.

L'eruzione vesuviana di 4000 anni fa è degna di attenzione perché si erge come una vera e propria linea di confine tra le fasi prime e intermedie dell'età del bronzo in Campania e per l'impatto che ha avuto sull'ambiente. Nella mostra sono accuratamente illustrate le varie fasi dell'eruzione, da quando la gigantesca colonna di gas e di particelle vulcaniche si stabilizzò nella stratosfera a 36 Km di quota fin quando precipitò, sotto forma di cenere, lapilli e flussi piroclastici, nel Nolano, tra Avellino e Benevento. Una simile ricostruzione coordinata dei reperti archeologici, storia vulcanica e mutamenti paleo-ambientali in un paesaggio fortemente esposto a rischi naturali rappresenta uno dei più interessanti risultati della ricerca recente nell'Italia meridionale, soprattutto per la comprensione dell'età del bronzo. La donna ritrovata, di cui sono esposti un calco dello scheletro, il cranio, l'incudine e il martello, l'osso iliaco e gli ossicini volitivi, robusta e non molto alta, aveva circa 21 anni e aveva messo al mondo un bel numero di figli, come si rileva dagli indicatori sul bacino. L'uomo, di cui sono in mostra i denti, la tibia sinistra e un dito del piede, era robusto e muscoloso, alto un metro e settanta, di età compresa tra i 40 e i 50 anni. I loro frammenti ossei hanno rivelato particolari importanti, presentati alla mostra, sulle abitudini alimentari, le attività artigianali, la condizione emotiva, i caratteri genetici (evidenziati dalle analisi del DNA), le abitudini fisiologiche, le malattie, e altro ancora, delle due vittime. Si sa, per esempio, che l'uomo soffriva di artrite al ginocchio e al piede e di rachitismo, e che entrambi gli individui avevano evidentemente attraversato periodi di stress più o meno acuto durante i primi anni di vita fino all'adolescenza. I frammenti di vasi di terracotta della merce comune di Palma Campania e di manufatti di ceramica, esposti alla mostra, suggeriscono che nelle vicinanze del ritrovamento esisteva un insediamento della cultura di quel posto, sulla quale si è saputo molto di più in seguito ai recenti scavi, presso Palma Campania, di una superficie di 4500 metri quadrati, con campi arati, impronte animali e tracce del passaggio di veicoli muniti di ruote. Attualmente si conoscono circa quaranta siti di questa cultura nella regione, sebbene finora non sia stato ancora portato alla luce nessun villaggio e le testimonianze dei riti funebri siano ancora molto scarse. Tuttavia, in base alle testimonianze disponibili, la mostra fornisce mediante schede e didascalie illuminanti informazioni dettagliate sull'economia di Palma Campania nel II millennio a.C. e sui metodi di scavo e conservazione dei reperti.

Il Geografo Strabone, che parlava del monte all'inizio del primo secolo d.C., non aveva mai sentito narrare di eruzioni avvenute nel corso della storia precedente, ma, avendo notato l'aspetto delle rocce che sembravano bruciate dal fuoco, giustamente ne sosteneva l'origine vulcanica. La sommità che egli vide era una depressione ampia, piatta e sterile, circondata da pareti dirupate. Virgilio ricorda come i fianchi digradanti del monte fossero abbelliti dalla vite e dall'olivo, mentre in parte erano lasciati a terra arabile e a pascoli.

Il dipinto che vedete in alto, ritrovata nella casa del Centenario a Pompei, probabilmente riproduce quello che doveva essere l'aspetto della montagna verso la metà del primo secolo d.C. Questo dipinto sembra mostrare chiaramente che in quell'epoca il monte aveva una sola cima (il monte Somma), e non due come oggi. Il 5 febbraio del 62 d.C., una giornata di sole, la regione fu sconvolta da un violento terremoto. Si ebbero danni a Nuceria, e a Neapolis alcuni edifici crollarono; ma i danni furono maggiori ad Ercolano, che venne quasi completamente distrutta, e a Pompei dove le devastazioni furono egualmente gravi. Ma le città erano così

prospere e avevano una tale capacità di recupero che la ricostruzione fece rapidi progressi. Tuttavia il terremoto costituiva un cattivo presagio per il futuro, perché non era altro che un tentativo abortito del Vesuvio di scaricare la propria energia attraverso una fenditura. Dopo 17 anni, il 24 agosto del 79 d.C., lo sbarramento fu sfondato e il monte cominciò a eruttare.
Da alcuni giorni erano in corso i festeggiamenti del divino Augusto. Il giorno prima, per una sinistra coincidenza, era stata celebrata la festa annuale di Vulcano. A Pompei e nelle località circostanti la terra aveva tremato per quattro giorni, poi avvenne l'eruzione.
Un racconto impressionante del disastro è giunto fino a noi e ne siamo debitori a Plinio il Giovane che si trovava a Miseno, all'estremità nord-occidentale del golfo di Napoli. Egli era ospite nella casa di suo zio Plinio il Vecchio, storico scienziato e uomo dal sapere enciclopedico, che era il comandante della base navale di Miseno. In seguito un altro grande scrittore di storia, Tacito, chiese a Plinio il Giovane di fargli sapere quello che era successo; e questo fu il racconto.
Il Vesuvio, è un raro esempio di 'vulcano a recinto': il cono è circondato da un cratere molto più antico che aveva una circonferenza lunga circa 11 km.

Nell'Eocene il monte era un'isola circondata dal mare, solo nel Pliocene si saldò alla terra ferma e si stima che allora raggiungesse l'altezza di ben 2300 m; attualmente il Gran Cono, la sua cima, è alto 1277 m e il cratere misura circa 1500 m di circonferenza.

Il 24 agosto del 79 d.C. è la data della sua prima eruzione in epoca storica. Abbiamo il resoconto di quei terribili giorni nella lettera che Plinio il Giovane scrisse a Tacito.
Pompei e Stabia furono distrutte e sepolte sotto un manto di lapilli e cenere, Ercolano fu sommersa da un fiume di fango. Nei dodici secoli che seguirono la distruzione di Pompei il Vesuvio ha avuto altre undici eruzioni. L'eruzione del 1139 fu particolarmente violenta. Seguì un lungo periodo di stasi durante il quale il vulcano si ricoprì di vegetazione fino alla cima. Il Vesuvio rientrò in attività nel 1631: morirono oltre 3000 persone e il fumo oscurò il cielo fino al golfo di Taranto per diversi giorni. Da allora si susseguirono numerose eruzioni, tra le più significative ricordiamo quelle del 1694, 1767, 1794 (che rase al suolo Torre del Greco), 1872 e 1906. L'ultima eruzione è stata nel 1944.

Il vulcano attualmente è in stato di quiete.







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