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Origini di roma: la citta' stato




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ORIGINI DI ROMA: LA CITTA' STATO


Roma, all'origine, era una città stato come le molte dell'epoca, ma la sua posizione, in un punto facilmente transitabile del Tevere e lungo la via Salaria, ne favorirono lo sviluppo. Gli abitanti erano di stirpe latina e gli antenati più lontani provenivano dal territorio danubiano dell'Ungheria meridionale emigrati in età preistorica, la lingua era del gruppo indogermanico.

Il passaggio da città-stato a dimensioni maggiori si verificò tra il quarto e il terzo secolo A.C. coprendo quasi tutta l'Italia meridionale e fu decisivo per l'evoluzione del diritto, ponendo l'ordinamento giuridico di fronte a problemi nuovi grazie al mutamento delle condizioni economiche e sociali.

Gli Etruschi esercitarono una certa influenza sullo sviluppo culturale romano ma del loro ordinamento giuridico non sappiamo nulla; la loro funzione principale fu quella di ponte tra romani e greci i quali influenzarono le dodici tavole.

L'esercito era basato sui cavalieri, i quali erano di estrazione patrizia, classe che possedeva la maggior parte del suolo. I grandi proprietari terrieri, anche con l'aiuto di figli e servi, non riuscivano a lavorare tutta la loro terra ed erano, quindi, costretti a concederla in precariato a plebei che diventavano così loro protetti o clienti. Il patrizio era obbligato a proteggere i propri clienti.

La nobiltà patrizia era organizzata in gentes e questi gruppi gentilizi, con il seguito di clienti, costituivano unità molto potenti e compatte ed arano uniti da un nome comune e da un culto.

Il passaggio alla tattica oplitica, di origine greca, che prevedeva l'uso di unità di fanteria il cui nucleo era composto da plebei benestanti, diede inizio alle lotte tra le due classi per il potere (quinto-quarto secolo A.C.). Queste lotte, che si trascinarono per circa un secolo, non ebbero grandi esiti, se non, per alcune famiglie plebee, l'accesso a determinate cariche.

La schiavitù non era molto praticata.

Lo straniero, in principio, non aveva diritti e gli occorreva la protezione di un romano, sempreché non appartenesse alla stirpe latina o ad una comunità che avesse il commercium con Roma ossia l'equiparazione dei rapporti giuridici privati con i romani.

I romani non concepivano lo Stato come un potere astratto che permette o ordina ma come l'insieme dei cittadini; la comunità degli abitanti era anche l'organo supremo dello Stato. In assemblea si decideva la pace o la guerra, si eleggevano i magistrati e si votavano le leggi; essa era sempre ordinata in gruppi definiti.

Durante l'età regia, l'assemblea delle curie (comitia curiata) era la più antica forma di assemblea.

Le curie erano associazioni di carattere sacrale, con un proprio culto; erano trenta riunite in gruppi di dieci ognuno dei quali costituiva un terzo della comunità.

In età repubblicana la competenza era esclusivamente religiosa e siccome le curie, politicamente, non esistevano più, le assemblee si tenevano senza l'effettiva partecipazione dei cittadini.

Carattere esclusivamente politico ebbero i comizi centuriati, di origine militare, nei quali ci si riuniva divisi in centurie: vengono menzionati nelle dodici tavole. In seguito persero il carattere militare, divenendo un mero sistema dei ripetizione delle imposte e i cittadini venivano divisi in classi con un numero fisso di centurie stabilito indipendentemente dalla consistenza numerica delle stesse, così le classi più ricche prevalevano nelle votazioni.

I comizi centuriati erano competenti per processi politici nei quali si decideva della vita dell'accusato.

I comizi tributi furono esclusivamente civili: in essi i cittadini erano divisi per tribus (circoscrizioni) in quanto la maggioranza era attribuita al voto delle tribù e non a quello dei cittadini.

Le tribù extraurbane comprendevano i patrizi terrieri ed erano, all'inizio, sedici contro le quattro urbane: il potere era nelle mani dei patrizi.

I cittadini, in ogni ordinamento, si riunivano su convocazione e potevano solo accettare o respingere le proposte; non potevano formularle. Al cittadino comune interessava più l'essere protetto da un patrizio che non l'effettivo diritto di voto.

I prevalenti modi di acquisto della cittadinanza erano la nascita e il matrimonium iustum, tra romani: la si poteva avere concessa dalle comunità e i cittadini delle comunità latine la ottenevano con il semplice trasferimento in città.

La cittadinanza era perduta se ci si faceva accogliere come cittadino altrove: i nuovi cittadini non potevano votare. A Roma non esistevano imposte ordinarie.

Durante l'età regia c'era un re, condottiero militare e politico, che rappresentava la comunità davanti agli Dei. Egli non era eletto ma rivelato dagli Dei per mezzo di segni. In età repubblicana la carica sacra del re fu assunta da un rex sacrorum: non fu una carica nuova ma la vecchia monarchia che sopravviveva in questa forma, fino a che vi fu un culto statale romano.

I due magistrati annuali che  governarono lo stato dopo la cacciata dell'ultimo re etrusco avevano poteri politici e militari: la sfera sacrale passò al collegio dei pontefici, il cui presidente era superiore al re. Si poteva nominare per sei mesi un dittatore, che aveva un aiutante, dotato di poteri straordinari.

I magistrati erano eletti dai pretori, potevano proporre leggi e convocare assemblee. Al loro potere coercitivo poteva porre il veto un altro magistrato dotato di imperium: la carica scadeva dopo un anno.

Fu istituito un terzo pretore, con poteri inferiori ma che poteva essere autorizzato a svolgere le stesse funzioni dei primi due.

Verso la metà del 5°secolo A.C. fu istituita la censura, tenuta da due censori eletti ogni cinque anni per diciotto mesi: tenevano aggiornata la lista dei cittadini e ammettevano al Senato gli ex magistrati.

Nessuna carica era retribuita, esclusi gli inservienti di polizia, i messaggeri e gli scribi, scelti tra i liberti. Il magistrato esercitava la sua funzione a voce e solo con il principato nascerà una vera burocrazia.


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