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Nazionalismo e Fascismo
Il Nazionalismo e il Fascismo si possono considerare due dottrine che contrastarono notevolmente le idee Illuministe e le idee della Rivoluzione Francese; esse furono sostenitrici del fatto che l' uomo moderno non abbia avuto la capacità di pensare e agire razionalmente cioè non sia stato capace di far prevalere la ragione sulle passioni e sul sentimento e quindi abbia avuto la necessità di avere una guida.
In esse si proclama l' esigenza di rivolgersi a cose concrete che potevano essere l' amore per la propria terra, l' attaccamento alle usanze connesso con il culto delle proprie origini, l' attaccamento alla famiglia e alla propria patria.
I sostenitori di queste ideologie erano consapevoli della funzione da dare a questi temi passati in quanto per il reazionario l' unica autentica verità consiste nell' azione politica che quindi in queste ideologie viene ad avere un ruolo dominante e ne deriva una regressione ed un' esaltazione smisurata della difesa ad oltranza della propria comunità, l' esaltazione di tutto ciò che appartiene alla comunità.
I teorici del così detto Nazionalismo si rivolgono subito alla loro prima realtà concreta che è la nazione che in quanto operante nella coscienza è concreta testimonianza dell' evolversi della democrazia, ma la cultura nazionalista non ha nulla di democratico in quanto mira esclusivamente agli interessi e al potenziamento della propria nazione.
Anche per il Fascismo la nazione è un costante punto di riferimento e mira ad espandersi e a costituire un forte Stato centralizzato. Alla base della sua politica c'è il rischio, l'attivismo, l'esaltazione della giovinezza, l' eroismo e l' entusiasmo. Quindi implicitamente mira all' ordine costituito e contiene in sé delle ideologie rivoluzionarie.
Il Nazismo va oltre perché con il suo ottimismo esalta la razza ed il sangue, l'individuo si annulla nella totalità della nazione, totalità che ha il suo punto di riferimento nel Capo.
Gli eventi politici come l' affermazione della potenza Germanica sono alla base del Nazionalismo tedesco, l'affare Dreyfus ha alimentato il Nazionalismo Francese mentre il Nazionalismo Italiano ha ispirato la guerra di Libia.
Altra cosa appare l' imperialismo britannico in cui le guerre coloniali sono rappresentate come una missione civilizzatrice della Gran Bretagna ma in realtà non è affatto vero in quanto per esercitare il loro dominio anche gli Inglesi spesso si servirono delle teorie evoluzioniste e quindi esercitarono un Razzismo umanitario non meno brutale del Razzismo nazista.
Nazionalismo francese: Barrès, Maurras
BARRES
La polemica antirazionalistica è al centro del pensiero politico di Barrès. Sul piano politico le due maggiori incarnazioni dell'astratto sono il capitale specialmente finanziario e lo stato accentratore: una realtà economica e una realtà politica, entrambe lesive della "naturale" libertà degli individui.
Il concreto per Barrès è la Francia con le istituzioni e il decentramento amministrativo prenapoleonico. Il modello a cui fa riferimento Barrès è un ordinamento federale concepito come ordinamento democratico: Barrès vorrebbe una serie di piccoli parlamenti che eviterebbero il parlamentarismo; auspica quindi ad un governo diretto.
Sul piano economico si ha una sorta di socialismo corporativo: proprietà collettiva e lavoratore come socio e non più come salariato. Questa economia corporativa è nazionale ed è protetta. In sostanza Barrès riconosce il carattere popolare e patriottico della rivoluzione. Il suo nazionalismo è repubblicano infatti manca in questo periodo un'aristocrazia e una famiglia in grado di gestire il potere.
MAURRAS
La polemica di Maurras è più radicale. Maurras considera la rivoluzione francese una deviazione dai valori tradizionali della Francia. La polemica contro Rousseau è anche polemica antiromantica, contro l'individualismo romantico di cui Rousseau è l'iniziatore. Questo individualismo romantico significa per Maurras la consacrazione del capriccio individuale, che viene nobilitato come voce del cuore, della coscienza di Dio stesso. La decadenza dello spirito francese che può farsi iniziare all'incirca col 1750, è anche decadenza della ragione a vantaggio delle facoltà extrarazionali, il che significa disordine interiore e incapacità di giudicare e di generalizzare. A tutto questo Maurras contrappone il classicismo, ossia il razionalismo che è pensiero definito, ordine, sistema. La civiltà esige un Uno , distinto dalle forze su cui deve esercitare il suo potere; e questo potere giudica la qualità. La monarchia non ha però da fare con individui bensì con gruppi. Abbiamo dunque un regime a suo modo democratico, poliassembleare, ma con un metodo elettorale non "astratto" bensì per gruppi (si vota cioè non in quanto cittadini, ma in quanto appartenenti a un gruppo). Anche dal punto di vista economico abbiamo strutture corporative, facendo riferimento a istituti preborghesi, alla fruizione collettiva di beni e quindi di un socialismo non egualitario, ma rispettoso della dignità e del valore dell'individuo. Maurras presenta una grande stima nei confronti del fascismo italiano:
che cos'è in effetti il fascismo?- si domanda- un socialismo affrancato della democrazia. Un sindacalismo liberato dagli intralci a cui la lotta di classe aveva costretto il lavoro italiano. Una volontà metodica di unire in uno stesso "fascio" tutti i fattori umani della produzione nazionale: padroni, impiegati,tecnici,operai
Anche il nazionalismo italiano è caratterizzato dall'esaltazione di alcuni valori, considerati positivi, come la nazione, l'eroismo, la guerra, la giovinezza.
Nello stesso tempo, però, ritroviamo la polemica antilluministica e antidemocratica. Il nazionalismo è definito da Corradini come il nemico-amico del socialismo. Il nazionalismo, infatti traendo spunto dall'azione del nazionalismo si prefiggerà come obiettivo quello di rendere solidali i lavoratori con i loro padroni e con la loro nazione.
Inoltre, per Corradini, il nazionalismo è costituito da un aspetto essenziale: lo spiritualismo nazionalista consiste nel superamento dell'egoistico, del quantitativo e dell'affermazione di un ideale nazionale che cela, tuttavia, la volontà di potenza e di sovranità.
Analizzando il nazionalismo italiano, Corradini giunse ad evidenziare un ulteriore aspetto significativo di tale ideologia. Il nazionalismo risente indubbiamente della teoria darwiniana. Per tale ragione, i nazionalisti credono che il potere dello stato non debba essere detenuto dal popolo ma "dal governo dei più capaci", ossia di coloro che per tradizione, per cultura, posizione sociale sono in grado di elevarsi al di sopra degli interessi contingenti e cogliere il bene della nazione.
Per questo, non esistono altri aggettivi, se non quello di aristocratico, che meglio identificano lo stato nazionalista. Le idee nazionalistiche, in Italia, ebbero il loro campo di applicazione nel fascismo. L'ideologia nazionalista consentì al fascismo di adottare un nuovo atteggiamento in politica estera. La classe dirigente italiana favorì la formazione di una politica di espansione coloniale, volta non ad affermare la supremazia italiana, ma a conquistare colonie per risolvere questioni politiche, sociali quali l'emigrazione del Mezzogiorno.
Inoltre in Italia, la religione, con il fascismo, torna ad essere un fattore di unità nazionale.
ROCCO
Fu lo stesso Mussolini a definire Rocco come l'uomo a cui "si deve in massima parte lo sviluppo legislativo fascista".
Per Rocco il fascismo non è altro che l'attuazione di principi nazionalistici: riaffermazione dell'autorità dello stato contro l'individualismo dissolvitore. Rocco traccia una sorta di filosofia della storia, secondo la quale nella storia agiscono due principi: quello dell'organizzazione (proprio delle civiltà progredite) e quello dell'individualismo(proprio delle civiltà primitive).
Il liberalismo e la democrazia prevalsero dopo l'unità d'Italia, causando mediocrità e decadenza, in quanto, anche se il fine era nazionale, quindi unitario e organizzato, fu possibile realizzarlo solo attraverso il liberalismo e la democrazia. Solo con la guerra, da cui nacque il fascismo, si è tornati allo "spirito sociale" e alla missione di civiltà e organizzazione dell'Italia nel mondo. Il fascismo riprende il principio romano della gerarchia e della disciplina. Tutto viene e deve venire dall'alto, la rivoluzione fascista fu una rivoluzione dall'alto. Per Rocco ciò che appare essenziale è il ruolo della monarchia, ruolo di arbitro della vita nazionale, ruolo voluto dai nazionalisti. Rocco ribadisce il concetto della rappresentanza parlamentare come falsa rappresentanza perché numerica e quantitativa. La valutazione della situazione del paese non può essere fatta che dal Capo dello Stato, posto per la sua stessa situazione al di sopra di tutte le forze contrastanti, e perciò più di ogni altro in grado di valutarle.
Rocco rivendica a sé l'idea e l'uso del termine "corporazione", come organo che comprende tutti i partecipanti della produzione affratellati in una vera, opportuna e feconda fraternità di classe. Le corporazioni sono organi di collegamento fra le associazioni sindacali e uniscono perciò lavoratori e datori di lavoro di uno stesso ramo produttivo. La corporazione non ha personalità giuridica ma è un organo dello stato: le forze produttive sono così organizzate entro lo stato.
Il riconoscimento giuridico veniva dato ai soli sindacati fascisti, e Rocco spiega che questo avviene perché i sindacati fascisti accettano la disciplina nazionale e la collaborazione di classe, e questo non è un programma di partito, ma un dovere nazionale. In queste ultime parole traspare la più profonda tendenza di Rocco, cioè di svuotare lo stesso partito fascista riassorbendolo nello stato organico.
Per analizzare una realtà come quella fascista va innanzitutto fatta una distinzione tra il fascismo originario o "diciannovista" da quello che si manifestò nella concretezza della sua politica.
Il movimento si originò in un'atmosfera di reazione antipositivistica; infatti, dal 1870 al 1915 il liberalismo era in declino, vivamente combattuto dal decadentismo letterario e dall'attivismo, vale a dire dal nazionalismo, dal futurismo e dal fascismo. L'attivismo è uno dei caratteri della prima fase, poiché questa non fu la conseguenza di una dottrina elaborata in precedenza ma "nacque da un bisogno d'azione e fu azione". Gli altri caratteri del primo periodo sono individuabili dal Programma dei fasci di combattimento (giugno 1919). Le richieste dal punto di vista politico: suffragio universale a scrutinio di lista regionale, rappresentanza proporzionale, voto ed eleggibilità per le donne, riduzione dell'età minima degli elettori a diciotto anni, dei deputati a venticinque; abolizione del senato, convocazione di un'assemblea nazionale (il cui primo compito fosse quello di stabilire la forma costituzionale dello stato); rappresentanza degli interessi, con elezione da parte delle collettività professionali o di mestiere, con poteri legislativi e col diritto di eleggere un commissario generale con poteri di ministro.
Dal punto di vista militare chiedeva l'istituzione di una milizia nazionale con brevi periodi d'istruzione e scopi solo difensivi.
Dal punto di vista sociale si chiedevano le otto ore, i minimi di paga, la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell'industria, l'affidamento alle organizzazioni proletarie della gestione d'industrie e servizi pubblici.
Sul piano finanziario si chiedeva una forte imposta progressiva sul capitale, la revisione dei contratti di forniture di guerra, il sequestro dell'85% dei profitti di guerra.
Si deduce da questo programma che la prima fase si caratterizza per la presenza di una forma progressista, democratica (presupposto che il potere deve sorgere dal basso e avere la più larga base possibile), antimonarchica (convocazione assemblea nazionale e abolizione senato) del fascismo.
Tutto ciò fu abbandonato nella seconda fase (tranne le istanze sociali che rimasero come obiettivo astratto), com'è deducibile dalla "Dottrina del fascismo" un opera scritta da Mussolini. Infatti, sono negati il principio democratico e la milizia a scopo difensivo, per l'esistenza di una diseguaglianza e perché la guerra, ponendo l'uomo nell'alternativa della vita o della morte, lo nobilita e lo rende più consapevole (positività della guerra). Viene negata inoltre l'idea antimonarchica poiché irrilevante, ed è definito lo stato fascista etico in quanto educa i cittadini alle virtù civili ed alle patrie memorie poiché incarna quello che è lo spirito del popolo. Nonostante avvenga uno stretto controllo nel campo politico, economico e della spiritualità, vengono concesse delle libertà al cittadino e poiché la base popolare su cui lo stato si fonda è larghissima si può anche definire come una "democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria".
Compiti del fascista: l'impero e la rivoluzione. Il primo è la politica di potenza che può essere politica, economica e spirituale. La seconda come superamento del liberalismo politico ed economico, della formazione di un italiano nuovo, disciplinato, eroico, entusiasta e ipernazionale e come accorciamento delle distanze sociali e affermazione del primato del lavoro.
GENTILE
Anche Giovanni Gentile sostiene che il fascismo deve collegarsi alla reazione antipositivistica del Novecento: esso riprende tematiche idealistiche, quali l'antimaterialismo, il risorgere del sentimento religioso e la guerra. Gentile va oltre queste convinzioni, affermando che il fascismo è un attualismo vissuto: infatti, l'attualismo sviluppò motivi che erano propri del fascismo, come la fede, la religiosità e la rivalutazione dell'uso della forza. Tuttavia esso ha un duplice aspetto, perché da un lato esalta l'attivismo, dall'altro ripropone componenti restauratrici.
Gentile si definisce liberale, ma il liberalismo che sostiene non è quello individualistico e antistatalista di Locke e Constant, che conduce all'anarchia. Egli ritiene che la libertà abbia valore solo in un contesto (lo stato) che educhi la libertà stessa e limiti l'azione politica degli individui. Il fascismo è dunque un ritorno al risorgimento liberale e spiritualistico, ossia antifrancese, antilluministico e antidemocratico. Gentile afferma che per rompere definitivamente con la democrazia, responsabile della tremenda crisi del dopoguerra, era necessario il ricorso all'illegalità e alla violenza che in un primo tempo caratterizzarono la politica fascista. La violenza fascista ha una duplice giustificazione: è rivoluzionaria, perché apportatrice di novità storiche, e statale, perché si sostituisce alle carenze dello stato. Egli insiste sul carattere di assoluta novità dell'azione politica fascista, soprattutto per la dedizione degli aderenti e la presenza di un autentico capo. Distingue due fasi del fascismo: quella rivoluzionaria, che ha termine con la marcia su Roma, e quella costruttiva, che è allo stesso temo innovatrice e restauratrice. In questa seconda fase, l'obiettivo è di dar vita all'uomo nuovo, che è antigiolittiano e mazziniano: è uomo di fede, patriota, sente in sommo grado la sua appartenenza alla comunità nazionale. Il massimo elemento di restaurazione è il ritorno della monarchia al suo ufficio originario, mentre sono elementi di innovazione sia la politica estera di "grandezza" nazionale, sia l'emanazione di nuovi istituti rivoluzionari.
Dal punto di vista della politica sociale, l'istituto originale del fascismo è la corporazione, che ha lo scopo di conciliare gli interessi di lavoratori e imprenditori e di superare la lotta di classe. Con il corporativismo si affermano l'autogoverno e il vero comunismo, perché si realizza pienamente il bene della collettività e perché, essendoci identità tra individuo e stato, la proprietà stessa viene pubblicizzata.
SPIRITO
Spirito identifica nel capitalismo e nella conseguente economia liberale il vero 'nemico' dell'idea
fascista. La sua polemica è condotta su due fronti:contro il capitalismo-liberalismo e contro il
socialismo. Mentre il socialismo è visto come male minore in quanto appare una teoria
inaccettabile, il capitalismo liberale è una realtà affermata difficile da contrastare.
Questa teoria economica prevede infatti una categoria di individui in reciproca concorrenza in cui lo
Stato è il garante di questa situazione in una posizione quasi completamente esterna.
Gli inconvenienti deducibili sono sicuramente l'anarchia economica nel suddetto caso, e burocrazia
e tirannia nello stato ad economia socialista nella quale, nonostante questo abbia il compito della
produzione, di fatto resta distinto dall'individuo.
Il fascismo invece prevede la piena coesione tra individuo e Stato nella realizzazione di un
autogoverno economico, come se la nazione fosse un unico organismo che provvede ai suoi bisogni.
Affinché questo si concretizzi, l'ordinamento economico deve essere comunistico.
Si parla dunque di una nuova 'scienza dell'economia' il cui presupposto deve essere appunto una
visione organica e non atomistica dell'individuo.
La proprietà cessa di essere privata e diventa corporativa unificando capitale e lavoro, l'azienda è
sostituita dalla corporazione, associazione tra imprenditori e lavoratori col fine di superare le lotte
classiste e gli interessi privati e realizzare il bene della nazione.
Nella graduale attuazione di questo programma, Spirito suggerisce la direzione di tali corporazioni a
rappresentanti dello Stato che avrebbero partecipato al consiglio di amministrazione delle società, e
una partecipazione degli operai mediante propri rappresentanti.
La vita economica deve fondarsi dunque sull' associazionismo ma non presuppone la lotta di classe,
non un ruolo al proletariato, non un partito comunista.
Non si parla di un comunismo egualitario ma gerarchico: 'A ciascuno secondo la propria
competenza', non ci si fonda su una maggioranza ma sull'unanimità.
A Spirito naturalmente non sfuggiva che il suo comunismo era assai lontano dall'effettiva politica
fascista, di fatto l'ordinamento corporativo fu poco efficace, limitato a una funzione consultiva nei
confronti degli organi burocratici tradizionali.
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