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Mahmud Ahmadinejad e l'avvento dei pasdaran (2005-2013)
Mahmud Ahmadinejad rappresentò un nuovo sconvolgimento della politica iraniana sotto molteplici punti di vista. Egli non proveniva né dai ranghi del clero, né dalla vecchia élite politica rivoluzionaria, anche se vedremo che non ne fu comunque estraneo.
A differenza di tutti i suoi predecessori Ahmadinejad non è un religioso, bensì un ingegnere civile. Fu proprio durante la sua carriera universitaria a Narmak (nei pressi di Teheran) che si ritrovò travolto dalla rivoluzione e decise di prenderne parte. Entrò a far parte sia dei pasdaran che di un gruppo studentesco noto come Daftar-e Tahkim-e Vahdat (Ufficio per la Regolamentazione dell'Unità), di cui fu leader e che gli permise
di incontrare 'Alì Khamene'i quando questi era ancora il luogotenente di Khomeyni58.
L'appartenenza a un gruppo studentesco ai tempi della presa degli ostaggi all'ambasciata statunitense ha generato dubbi su un eventuale coinvolgimento di Ahmadinejad nella questione, ipotesi mai confermata. E' più probabile che il Daftar-e Tahkim-e Vahdat, decisamente avverso al comunismo, avrebbe piuttosto preferito colpire l'ambasciata sovietica. Grazie ai contatti instaurati nel 1979, Ahmadinejad esordì un anno dopo nel mondo della politica, divenendo governatore del distretto di Maku, nell'Azerbaigian occidentale, passando poi al distretto di Khoy, dove si trovò ad avere a che fare con popolazioni di etnia azera e a maggioranza sunnita. Dopo aver conseguito la laurea in ingegneria civile, e aver svolto il ruolo di consulente per il governatore di Sanandaj (Kurdistan), decise di prendere parte attivamente alla guerra contro l'Iraq, compiendo il servizio di leva a Kermanshah, nel Kurdistan meridionale, presso il quartier generale dei pasdaran. Ricoprì nuovamente la carica di governatore dal 1993 al 1997, sempre nella provincia dell'Azerbaijan, ma questa volta ad Ardebil. Rimosso dall'incarico in seguito all'arrivo di Khatami alla presidenza, ritornò a Narmak in cui insegnò, allo stesso politecnico dove si era laureato, fino al 1999 quando, in occasione delle elezioni municipali, riprese la carriera politica. Era però il periodo dell'ondata riformista e in quegli anni incassò numerose sconfitte. Dovette aspettare il 2003 per ottenere il successo che avrebbe poi favorito la sua ascesa. Il 28 febbraio di quell'anno, in occasione delle elezioni municipali, gli ultraconservatori trionfarono a Teheran e scelsero Mahmud Ahmadinejad per ricoprire la carica di sindaco della capitale. Da tale posizione riuscì a mettere in atto una serie di politiche di stampo propagandistico, dirette perlopiù verso le fasce povere della capitale, affidando i lavori a imprese sotto il controllo dei pasdaran stringendo così stretti legami con tale fazione.
L'ascesa al potere di Ahmadinejad si compì con le elezioni presidenziali del 17 giugno 2005. Al di fuori della capitale e delle province in cui fu governatore durante gli anni Ottanta e Novanta Ahmadinejad non era molto conosciuto. Ad aiutarlo in campagna elettorale furono i pasdaran, cui aveva concesso numerosi appalti, e il grande ayatollah Mesbah Yazdi. Questi contribuì molto alla causa, arrivando perfino a sospendere i suoi insegnamenti per mandare gli allievi a fare propaganda al suo favorito59.
Alle elezioni si registrò così un risultato non previsto. Con i riformisti sconfitti in
partenza, un Rafsanjani tornato in scena pensò di poter avere la meglio, ma il 17 giugno l'ex-presidente ottenne solo il 21% dei voti dovendo così andare al ballottaggio con un inaspettato Ahmadinejad, secondo con il 19.4%. Al secondo turno, che si tenne il 24 giugno, fu chiaro che gli iraniani non volevano nuovamente un individuo immerso nel vecchio sistema e preferirono la novità ultraconservatrice rappresentata dal sindaco di Teheran. Con il 61.7% dei voti Ahmadinejad umiliò Rafsanjani e divenne il sesto Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran60.
A spiegare la deriva in direzione ultraconservatrice degli iraniani si presentarono diversi fattori. Oltre ai due già citati precedentemente, riguardo il disinteresse riformista per le fasce povere e la politica aggressiva statunitense, se andarono a sommare altri che fanno capire il perché di uno spostamento così radicale. Per quanto riguarda i riformisti, il pessimo risultato si spiega con il boicottaggio della competizione elettorale da parte di un buon numero di loro esponenti. A ciò si aggiunse inoltre la partecipazione di due personalità di rilievo, Mehdi Karroubi e Mostafa Mo'in, che ebbe come risultato la dispersione dei voti diretti al fronte riformista impedendo a entrambi di arrivare al secondo turno61. La bassa affluenza, 62.84% e 59,76%62 rispettivamente al primo e secondo turno, fanno capire che, come già avvenuto nei due anni precedenti, gli iraniani schierati con i riformisti si erano rassegnati e quindi si astennero. A giocare a sfavore di Rafsanjani fu, come già detto, la sua immagine caratterizzata da ricchezza personale e cambi di fronte. L'ex-presidente era un individuo immerso da anni nella politica, mentre gli iraniani desideravano qualcuno di nuovo, come Ahmadinejad per l'appunto, il quale in realtà militava in politica già da decenni, ma non apparteneva alla élite di religiosi al potere ormai invisa alla popolazione. Le politiche e la campagna elettorale populiste messe in atto da Ahmadinejad fecero la loro parte ma il suo vero punto di forza consistette nell'impopolarità dei suoi avversari.
Il neo-presidente si trovò dinanzi un percorso tortuoso, poiché parte dei conservatori tradizionali non vedevano di buon occhio la corrente più estremista, la quale non godeva ancora di una consistente rappresentanza all'interno del Majlis. Insediatosi al governo il 3 agosto, il suo primo compito fu la nomina dei ministri, e proprio in tale circostanza si verificarono i primi attriti tra il presidente e i conservatori appartenenti alla vecchia generazione. Questi ultimi votarono la fiducia a tutti i ministri proposti da Ahmadinejad, poiché in fin dei conti risultavano prossimi alla loro linea, eccetto che al ministro a capo del Ministero del Petrolio. Egli desiderava porvi un individuo di fiducia, esterno al meccanismo al fine di combattere quella che definiva la "mafia" del petrolio63. Su questa nomina il Majlis oppose una strenua resistenza, bocciando ben tre candidati e costringendo il capo del governo a dover proporre Qazem Vaziri-Hamaneh, già vice nel medesimo ministero. La nomina di quest'ultimo venne finalmente approvata dall'assemblea legislativa, ma tale imposizione, effettuata alle spese del presidente, finì per sfociare in un conflitto serrato tra la vecchia e la nuova generazione di politici64.
Il periodo iniziato con l'arrivo alla presidenza di Ahmadinejad è stato definito come la "consolidazione conservatrice"65, durante la quale tutte le forze avverse ai riformisti, ormai detronizzati, lavorarono insieme per cancellare i pochi risultati ottenuti dai rivali durante l'era Khatami. Tale definizione però non è del tutto appropriata, poiché già dalla questione della nomina del ministro del Petrolio si manifestarono le prime avvisaglie di scontro in seno allo schieramento conservatore. Il vero mutamento fu rappresentato invece dal progressivo ingresso in politica dei militari. Lo stesso Ahmadinejad, contrariamente ai suoi predecessori, non proviene dai ranghi clericali, bensì da quelli
dei pasdaran. Fu durante i due mandati della sua presidenza che le guardie rivoluzionarie ebbero l'opportunità di estendere la propria influenza dalla sfera economica a quella politica. Infatti, così come fece a suo tempo Khatami (a spese dello stesso Ahmadinejad), il nuovo presidente operò una sostituzione di funzionari, posizionando, dove possibile, uomini legati ai pasdaran, cui era legato a doppio filo, e molti altri personaggi a lui connessi. Questi sono stati classificati in tre gruppi principali. Il primo costituito dalla cosiddetta "cerchia del nord-ovest" o "cerchia di Ardebil", composta di quegli individui che avevano collaborato con lui durante i governatorati degli anni Ottanta e Novanta, tra questi spiccano Mojtaba Samareh Hashemi ed Esfandiar Rahim-Mashaei, facenti parte dello staff del presidente, ma anche altri esponenti di questa cerchia hanno ottenuto incarichi di rilievo. Il secondo gruppo fu la "cerchia dell'università Elm-o Sanat", formata dai compagni di studi del presidente cui si unirono, durante il dottorato e il breve periodo d'insegnamento, molti ex-
componenti del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iscritti per ottenere conoscenze e titoli che ne permettessero il reimpiego nelle strutture pubbliche. Infine vi fu la "cerchia di Teheran", all'interno di questa rientrano tutti quei collaboratori avvicinatisi ad Ahmadinejad ai tempi in cui era sindaco di Teheran.
Oltre a questi tre gruppi vanno considerate, come accennato, le guardie della rivoluzione. Molti degli individui provenienti da questo corpo e istallatisi nei gangli dell'apparato statale non furono conoscenti del presidente, bensì uomini scelti dalle alte sfere e fatti insediare dal capo del governo in tributo allo stretto legame e ai servigi che
condivideva con i pasdaran.66
Con uomini legati agli ambienti militari e paramilitari disseminati all'interno dell'amministrazione pubblica, si assistette a una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei giornali riformisti che quasi portò alla completa scomparsa di questi. La repressione colpì numerosi intellettuali, sia direttamente, che attraverso attacchi verbali e diffamatori diffusi su rete televisiva. Stesso destino incontrarono gli studenti accusati di attività sovversiva che finirono espulsi dalle università e in molti casi vittime di percosse. Si scatenò poi una campagna portata avanti dalla polizia nei confronti delle "mal velate", le donne che usano in maniera impropria il velo, con numerose sanzioni. Fu l'ennesimo passo indietro se si pensa che negli anni Novanta tali misure furono applicate in maniera molto blanda proprio a causa della loro impopolarità. A quanto pare tali provvedimenti estremi, specialmente quelli diretti contro la popolazione e non tanto quelli ai giornali e agli intellettuali, non furono molto graditi ad Ahmadinejad. Questi fu consapevole che avrebbero finito col minare l'immagine di leader difficilmente guadagnata a suon di propaganda, ma non poté fare altro che subirne le ricadute poiché si trattava di un effetto collaterale legato all'aver posto in uffici di rilievo elementi estremisti a lui collegati. Tutte queste misure restrittive costituivano un tentativo d'istallazione di un regime totalitario sostenuto dai pasdaran e dalle milizie basij.
Manovra inedita del governo ultraconservatore furono le elezioni del 15 dicembre 2006. Nello stesso giorno si tennero le elezioni per le amministrazioni locali e quelle per l'Assemblea degli Esperti, due apparati di natura molto differente, considerato che il secondo si può definire democratico solo in maniera azzardata. L'Assemblea degli
Esperti (che sarà analizzata più approfonditamente nel prossimo capitolo) è un corpo che ha tra le sue funzioni principali quelle di eleggere e supervisionare la Guida Suprema. Avvenimento piuttosto anomalo fu la buona affluenza alle urne, specialmente per quanto riguarda l'Assemblea degli Esperti (61%) considerato che nelle due tornate precedenti fu molto bassa (46.29% nel 199867 e 37.09% nel 199068). Tali elezioni costituirono sia un successo delle forze ultraconservatrici che una sconfitta. Il successo si presentò poiché la leadership voleva dimostrare di essere legittimata dal popolo
iraniano, in particolar modo sulla questione del nucleare. Considerato che Khamane'i appoggiava le iniziative di Ahmadinejad riguardo all'arricchimento dell'uranio, mostrare che il popolo partecipava all'elezione di un organo che elegge e supervisiona la Guida Suprema voleva implicitamente far apparire questa come eletta dal popolo. Di conseguenza intendeva dimostrare all'esterno l'appoggio degli iraniani alle politiche sul nucleare. Affiancando le due elezioni, gli ultraconservatori riuscirono a far mostra del loro sostegno ma registrarono anche una sconfitta. Questi desideravano fa arrivare al vertice dell'Assemblea degli Esperti l'ayatollah Mesbah Yazdi, con il chiaro scopo di avere un punto di forza nei rapporti con Khamene'i. Il loro prescelto non riuscì però a vincere. Numerosi religiosi si mossero prima delle elezioni spinti dal timore nei confronti di questa nuova generazione di politici militari. Lo stesso Rahbar, nonostante l'appoggio che offriva loro, sapeva di non dovergli concedere troppo o si sarebbe ritrovato all'angolo. Così, a ottenere il posto al vertice dell'assemblea fu Rafsanjani, il
quale si stava muovendo in opposizione agli ultraconservatori69.
Se nei primi mesi di presidenza il rapporto fra Khamene'i e Ahmadinejad fu da molti analisti interpretato come una subordinazione del secondo alla Guida Suprema, durante il 2007 fu sempre più chiaro il crescente conflitto tra i due. Il presidente ultraconservatore sostituì nell'agosto 2007 il ministro del Petrolio, a lui imposto due anni prima, Qazem Vaziri-Hamaneh, uomo di fiducia di Khamene'i, con Gholam Hossein Nozari, più vicino alle posizioni ultraconservatrici. Questo cambiamento fu segno che Ahmadinejad intendeva via via sostituire gli elementi prossimi al Rahbar e alla vecchia élite con suoi uomini. Questo tipo di azione fu ripetuta, come per esempio
successe nel dicembre 2010 in occasione della sostituzione di Manouchehr Mottaki, ministro degli Esteri, con Alì Akbar Salehi, mentre si trovava in missione diplomatica70. Anche in tal caso si trattò di una sfida palese all'autorità del Rahbar.
Tuttavia il cambio operato nel 2007 aveva altre spiegazioni, oltre all'attrito tra la Guida Suprema e il presidente. Quest'ultimo si liberò del precedente ministro anche per distogliere dalla propria persona le critiche legate a misure economiche impopolari, come quella introdotta da Qazem Vaziri-Hamaneh due mesi prima delle sue dimissioni forzate, riguardante il razionamento della benzina. Si trattò di politiche introdotte per fronteggiare la crisi cui l'Iran stava andando incontro. Ahmadinejad fu costretto a doverle attuare e, poiché dannose per il suo populismo, ne scaricò la responsabilità sui ministri, così come fece per la condizione di crisi stessa e l'impossibilità di mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale. Furono però proprio quelle promesse in campo economico a causare la crisi. Ahmadinejad sfruttò i guadagni del petrolio accumulati dal precedente governo per finanziare i suoi programmi di assistenzialismo alle fasce deboli della società. L'economia iraniana già offriva sostanziosi sussidi ai cittadini, ma Ahmadinejad, per rispettare le proprie promesse, ha immesso nel mercato tramite la creazione di nuovi sussidi grandi quantità di moneta provocando un innalzamento dell'inflazione e sortendo così l'effetto, contrario a quello sperato, di diminuire il potere d'acquisto dei più poveri.
Per avere un'idea, nel 2004 l'amministrazione Khatami lasciò nel fondo creato 14 miliardi di dollari e, secondo il piano economico quinquennale approvato dal parlamento, Ahmadinejad avrebbe dovuto versarne altri 15 nel 2005. Invece esaurì l'intero fondo e vi aggiunse una consistente parte dei proventi del petrolio in politiche di sussidi per un totale di circa 40 miliardi di dollari. Fu stimato che l'economia iraniana poteva assorbire circa 25 miliardi di dollari senza rischio inflazione, quindi, mentre già nel 2005 tale quota fu ampiamente superata, nel 2006 vennero iniettati altri 35 miliardi di dollari in sussidi. In tal modo l'importazione di beni di consumo crebbe da 18 a 45 miliardi di dollari dando un'idea di crescita che però fu solo apparente, dato che
mancava una corrispettiva crescita del PIL71. In realtà ciò che crebbe fu l'inflazione. Tali manovre combinate con le sanzioni, imposte all'Iran per via della questione concernente il nucleare, e quindi la mancanza di capitali esteri, portarono il paese a una stagnazione
economica, interrotta solo da un picco di crescita nel 2007 che andrà però nuovamente peggiorando nel 200872.
Tuttavia alcune politiche di assistenza come i mutui a tasso zero messi a disposizione dei giovani (circa due terzi della popolazione) e la copertura sanitaria estesa a tutti gli iraniani, pastori nomadi compresi, garantirono ad Ahmadinejad un buon sostegno popolare. Se ne riscontrarono gli effetti alle elezioni parlamentari del 2008.
Nelle elezioni per il rinnovo del Majlis tenutesi il 14 marzo e il 25 aprile del 2008 l'ala conservatrice ottenne il 69% (circa 200 seggi). In realtà, più che le politiche del governo influirono sul risultato l'astensionismo da sfiducia della popolazione a sostegno dei riformisti e il pesante vaglio operato dal Consiglio dei Guardiani, con il quale venne escluso il 40% dei candidati (circa 1.700) dalla competizione, per la maggior parte riformisti73. Tuttavia il successo non si tradusse automaticamente nella vittoria sperata dalle forze legate al presidente poiché molti conservatori che ottennero il seggio non erano connessi a queste, quanto piuttosto lo erano alle forze pragmatiche affiancate a Khamene'i e Rafsanjani, quest'ultimo in riavvicinamento al vecchio rivale Khatami per
creare un fronte moderato-riformista. Un esempio fu Alì Larijani, conservatore tradizionalista dimessosi dal suo incarico di capo negoziatore sul nucleare perché in contrasto con Ahmadinejad, che ottenne una vittoria schiacciante nella città santa di Qom, umiliando i candidati ultra-conservatori favoriti dal grande ayatollah Mesbah Yazdi. Larijani grazie all'altissima percentuale di voti si guadagnò la carica di presidente del Majlis e da tale posizione ostacolò il presidente.
Se le elezioni per il rinnovo del Majlis furono come di consueto manipolate tramite il veto del Consiglio dei Guardiani, le elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 registrarono una vera e propria manomissione dei risultati. Dopo il vaglio dei candidati, i partecipanti furono quattro. Oltre al presidente in carica Mahmud Ahmadinejad, si presentarono: Mir Hoseyn Mousavi, un moderato sostenuto dai riformisti, Mehdi Karroubi, già presidente del Majlis, e Mohsen Rezai, un conservatore tradizionalista ostile alla linea ultraconservatrice. Durante la campagna elettorale Ahmadinejad venne più volte messo all'angolo dagli sfidanti e, considerato che le sue politiche economiche nell'ultimo anno avevano mostrato tutte le loro mancanze, sembrava in notevole
svantaggio74. Il rivale più agguerrito si mostrò Mousavi, il quale riuscì a raccogliere dietro di sé masse di giovani avverse alle rigide imposizioni del governo ultraconservatore, tanto che a pochi giorni dalle elezioni apparve come il favorito. Le elezioni si conclusero però con la riconferma di Ahmadinejad alla presidenza.
Con un'affluenza alle urne dell'85.21% degli aventi diritto, il presidente in carica si aggiudicò il 63.1% dei voti contro il 34.2% di Mousavi (gli altri due candidati insieme presero meno del 3%)75, tali dati furono quelli ufficializzati. L'anomalia fu che i risultati
coincidevano esattamente con un sondaggio di pochi giorni precedente alla votazione76, compresa l'affluenza alle urne. Altre scorrettezze si evincono dal fatto che in alcune province il numero dei votanti superò il 100% e le percentuali di voti assegnate ai candidati furono pressoché identiche da provincia a provincia77. Circostanza decisamente improbabile se si tiene conto della moltitudine di etnie presenti in Iran e delle aree a maggioranza sunnita.
Il 13 giugno milioni di iraniani furono consapevoli che le elezioni erano state truccate, con risultati preparati a tavolino. L'ondata di protesta che ne scaturì non ebbe precedenti nella storia della repubblica e fu paragonabile solo alle manifestazioni avvenute nei giorni della caduta dell'ultimo shah. Nei giorni immediatamente successivi alle elezioni scesero in piazza centinaia di migliaia di iraniani che di giorno manifestavano per le strade e di notte sui tetti dei palazzi. Mentre le manifestazioni si allargarono da Teheran ad altre città, le forze di sicurezza rimasero inizialmente titubanti, poi si scatenò la repressione. Pasdaran e Basij entrarono in azione e gli scontri divennero fatali per molti
manifestanti (oltre cento in quattro settimane78).
Mentre Mousavi e Karroubi cavalcarono quella che prese il nome di "Onda Verde" chiedendo nuove elezioni, la Guida Suprema lanciò un appello per fermare le rivolte. Khamene'i appoggiò così Ahmadinejad, affermando che le elezioni erano state regolari seppur con qualche irregolarità sulle quali stava facendo luce il Consiglio dei Guardiani. Nel suo discorso dipinse poi i manifestanti come delle vittime di un complotto occidentale che li stava strumentalizzando e consigliò ai due candidati riformisti di accettare la sconfitta. Le proteste proseguirono per mesi fino a che la determinazione di
pasdaran e basij non ne piegò lo spirito. Vi furono varie interpretazioni riguardo al sostegno offerto da Khamene'i ad Ahmadinejad. La più attendibile fu probabilmente quella che vide la Guida Suprema effettivamente in difficoltà a contenere l'espansione dei militari in politica ma che avrebbe, comunque, preferito continuare una rischiosa strategia di sfruttamento di questi per contenere quella che sarebbe potuta diventare una nuova ondata riformista79.
Come dimostrato dagli anni seguenti, l'aggressività di Ahmadinejad, il quale vantava la
legittimazione rinnovata dagli oltre ventiquattro milioni di voti80, aumentò a tal punto da arrivare a sfidare apertamente le istituzioni della repubblica, compreso l'ufficio della Guida Suprema. Emblematica fu la nomina di Rahim-Mashaei come vice-presidente a cui Khamene'i si oppose. Il Rahbar inviò una lettera in cui ordinava ad Ahmadinejad di annullare la nomina. Questi, dopo aver ignorato la lettera fino a che non venne resa pubblica, attese e infine revocò la nomina, rispondendo alla Guida Suprema con un'altra lettera di cui si affermava «la vostra lettera del 18 luglio è stata eseguita in conformità all'articolo 57 della Costituzione». Dal linguaggio utilizzato fu chiaro il messaggio del presidente, l'ordine fu eseguito non per via dell'autorità della guida religiosa e politica,
ma perché la Costituzione lo richiedeva81.
I contrasti tra le due figure al vertice contraddistinsero tutto il secondo mandato di Ahmadinejad e, oltre al già citato rimpiazzo del ministro degli Esteri Mottaki, vi furono molti altri tentativi del presidente di estendere il proprio raggio d'azione. Ad esempio, creò quattro nuove figure con la nomina di "incaricato agli affari esteri", cui Khamene'i oppose resistenza. In tale occasione a spuntarla fu Ahmadinjad che, per eludere il Rahbar, non fece altro che cambiare parte del titolo da "incaricato" a "rappresentante"82. Nell'aprile del 2011 le dimissioni del ministro dell'Informazione e della Sicurezza Nazionale Moslehi, richieste dal presidente, furono respinte dal rahbar e dal Majlis. Da quell'avvenimento divenne più stretta l'alleanza tra queste due istituzioni per contrastare l'ultraconservatore.
Tale faccenda mise poi in luce i limiti del potere di Ahmadinejad. L'ala conservatrice che lo appoggiava si era divisa all'interno in differenti correnti, oltre alle ripetute sfide
alle istituzioni teocratiche, altra causa della frammentazione era l'eccessivo rilievo che il presidente dava al suo capo dello staff Rahim-Mashaei, figura sempre più invisa a molti. Altra caratteristica che influì sull'erosione dell'autorità della corrente governativa fu che, nonostante i legami d'interessi nel mondo militare iraniano, mancava dei tradizionali legami familiari, che contraddistinguono invece la prima generazione di politici. Quando le sfide lanciate dagli ultraconservatori a quelle che loro reputavano istituzioni vecchie e corrotte divennero sempre più pressanti, la mancanza di tali legami
si fece sentire83.
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