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Il bilancio materiale dei primi due piani quinquennali si può riassumere anche in un solo dato: nel 1938 i quattro quinti della produzione industriale russa uscivano da impianti costruiti nel precedente decennio, e l'eredità del passato era ridotta a ben poca cosa.
Ma quale fu il bilancio politico dell'impresa? che parte vi ebbe il consenso e che parte la costrizione?
La pianificazione ottenne certamente il consenso di larghe masse: ogni progresso compiuto, ogni meta raggiunta furono vissuti dalla grande maggioranza come un successo collettivo che coinvolgeva tutti.
E d'altra parte l'impegno del regime per diffondere servizi assistenziali e sanitari, ignoti alla Russia degli zar, era sotto gli occhi di tutti; come tutti potevano costatare lo sforzo gigantesco messo in atto per promuovere l'istruzione delle masse, necessaria per preparare i quadri tecnici e politici: la scolarizzazione, che nel aveva raggiunto 12 milioni di fanciulli e di giovani, alla vigilia della seconda guerra mondiale era salita oltre i milioni.
Né si poteva dar torto a Stalin quando affermava: «La Russia è sempre stata battuta a causa della sua arretratezza Siamo da cinquanta a cento anni indietro rispetto ai paesi più progrediti. Dobbiamo colmare questa differenza. O lo facciamo o ci schiacceranno». La validità del dilemma sarebbe infatti stata dimostrata puntualmente dall'aggressione hitleriana del
La contropartita della lotta contro l'arretratezza fu lo stalinismo
I sindacati, a partire dal cessarono di essere i difensori dei lavoratori e si trasformarono in strumenti del regime per organizzare il consenso e per mobilitare e qualificare la mano d'opera. La competizione socialista, rivolta a stimolare la produttività, si congiunse strettamente con gli incentivi materiali, distribuiti secondo criteri di efficienza e di merito.
Nel il minatore Aleksej Stakhanov, capace di estrarre in un turno di lavoro quantità di carbone sette volte superiori alla media, fu assunto a simbolo esemplare delle virtù dell'uomo sovietico. Lo stakhanovismo e la celebrazione degli eroi del lavoro divennero i miti energetici della patria socialista. Ma anche le retribuzioni dei lavoratori, proporzionate alle loro capacità e al loro impegno, servivano da incentivo, tanto che potevano variare da a oltre 1600 rubli mensili: una differenza di salario superiore a quelle in uso negli stessi paesi capitalisti.
La centralizzazione burocratica e la ferrea disciplina, necessarie per l'attuazione dei piani, fecero perdere di vista le aspirazioni libertarie cui la rivoluzione si era originariamente ispirata
Già nel periodo del «comunismo di guerra», SR e menscevichi, compromessi con la controrivoluzione, erano spariti come partiti autonomi, e la somma del potere si era concentrata nel Partito comunista.
Nel la citata deliberazione contro il frazionismo aveva notevolmente ridotto la libertà di dibattito all'interno dello stesso Partito comunista.
Le forti tensioni determinate dalle drastiche direttive dei piani quinquennali accelerarono la «degenerazione autoritaria». Il confine fra dissenso e tradimento, fra opposizione e sabotaggio divenne evanescente. Contrastare la concezione staliniana del progresso a tappe forzate significò essere «nemici del popolo» o addirittura «agenti al servizio dei capitalisti stranieri».
Da queste premesse derivarono le purghe e i processi sommari che fra il 1934 e il 1938 comportarono la fucilazione o la deportazione nei campi di lavoro non solo dei leader più prestigiosi della vecchia guardia bolscevica, ma anche di centinaia di migliaia di quadri intermedi o inferiori del Partito e dell'Armata Rossa.
In un clima di terrore sistematico Stalin s'affermò come interprete indiscutibile dell'ortodossia marxista-leninista contro ogni deviazionismo; il culto della personalità si manifestò in liturgie deliranti; l'arte, la letteratura, la scienza stessa dovettero uniformarsi, con risultati spesso disastrosi, alle direttive del regime e del capo carismatico che lo rappresentava[1].
Negli aspetti marginali di questa «degenerazione» la psicologia personale del dittatore ebbe certamente una notevole importanza. Lo stesso Lenin, del resto, in una sorta di Testamento scritto durante i primi mesi della sua malattia, aveva denunciato la soverchia durezza di Stalin e aveva proposto di rimuoverlo dall'incarico di segretario generale del Partito.
Non è però lecito ridurre l'epopea e la tragedia dei piani quinquennali e del congiunto stalinismo alle proporzioni anguste di un problema psicologico individuale, come si tentò di fare nel famoso «rapporto Kruscev»[2].
E anche meno fondati ci sembrano quei giudizi che, per pacificare le coscienze, disgiungono sino ai limiti dell'artificio gli aspetti positivi da quelli negativi dell'opera di Stalin o prescindono dalla «realtà effettuale» nella quale egli si trovò immerso. Mettere a coltura un continente, trasformare milioni di contadini in operai industriali, riscattare la Russia asiatica dall'arretratezza, compiere in pochi anni un progresso produttivo che altrove era maturato attraverso i secoli non erano imprese che si potessero attuare col garbo e con l'eleganza di una discussione fra gentiluomini: e non si rende un buon servizio né alla verità né al dibattito politico e programmatico, se si assumono le proprie aspirazioni (democratiche, libertarie, socialiste o quali si voglia) come basi e criteri immediati di giudizio storico.
Tutta assorbita nel titanico sforzo della propria edificazione interna, la Russia rimase per un certo periodo ai margini della vita internazionale, mentre il Komintern, dominato da Mosca, impegnava i comunisti di ogni paese in una lotta frontale contro tutti i partiti non comunisti, compresi quelli socialisti e decisamente democratici.
Solo con l'avvento di Hitler e con il conseguente intensificarsi del pericolo di guerra, si ebbero l'entrata della Russia nella Società delle Nazioni (settembre 1934) e un avvicinamento franco-russo, di chiaro significato antitedesco (maggio 1935).
Anche l'Internazionale comunista (o Komintern), nel suo VII Congresso svoltosi a Mosca nel 1935, abbandonando le pregiudiziali che ne avevano resa sterile o bloccata l'attività, votò un'importante deliberazione che invitava i comunisti a farsi dovunque promotori di fronti popolari, comprendenti anche i socialisti e i gruppi progressisti in genere e destinati a condurre una lotta unitaria contro il dilagante nazifascismo
Il caso più clamoroso di interferenza ideologica nel campo delle scienze è legato all'opera del biologo e agronomo sovietico Trofim Denisovic Lysenko che - opponendosi ai risultati della «scienza borghese» - affermò che gli organismi viventi possono trasmettere alla propria discendenza anche i caratteri acquisiti. La tesi fu accolta da Stalin ed ebbe il crisma dell'ufficialità, tanto che i genetisti (fedeli all'impostazione di Mendel e Morgan, secondo la quale gli organismi viventi trasmettono alla discendenza solo i caratteri già virtualmente presenti nel loro patrimonio genetico) furono emarginati e sottoposti a una vera e propria persecuzione, benché le loro affermazioni fossero fondate su solidissime basi sperimentali. Il risultato del lysenkismo fu disastroso per la biologia sovietica, che solo in tempi recenti ha potuto rimettersi sulla via della ricerca seria e spregiudicata.
La «degenerazione stalinista» fu denunciata da Kruscev durante il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (febbraio in un rapporto che, comunicato alla stampa occidentale, ebbe diffusione planetaria e fu indubbiamente utile ad aprire un processo di revisione dello stalinismo e ad avviare, in Russia, una molto cauta riforma del regime. Tale rapporto, peraltro, proprio perché centrato soprattutto sulle presunte «malvagità personali» di Stalin, risulta quasi del tutto privo di valore critico-storico.
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