L'ETA' GIOLITTIANA
Giovanni GIOLITTI nacque a Mondovì (Cuneo) nel 1842 e morì nel 1924. Fu uno
dei più importanti statisti Italiano. Si laureò in Giurisprudenza nel 1860 e
percorse rapidamente una brillante carriera amministrativa. Divenne consigliere
di Stato(1982), ministro del Tesoro nel GABINETTO CRISPI(1989-90), e nel 1892
formò il primo dei suoi cinque ministeri. Lo scandalo della Banca Romana, vide
le sue dimissioni nel 1893.
Il nuovo re d'Italia, Vittorio
Emanuele III, fu costretto a rovesciare la politica che aveva condotto alla
sconfitta dei conservatori e all'uccisione di Umberto I. Nel 1901 chiamò al
governo il giurista Zanardelli, che però due anni dopo dovette ritirarsi perché
vecchio e ammalato. A lui successe Giovanni Giolitti che era stato già primo
ministro nel 1892-93. Egli comprese che l'unico modo per fermare i socialisti e
per placare il malcontento popolare era di permettere ai lavoratori di
conquistarsi migliori condizioni di lavoro e di vita. Non represse quindi gli
scioperi e favorì l'organizzazione di associazioni di lavoratori, allargò il
suffragio e creò anche enti governativi in favore dei lavoratori e degli
emigranti.
Giolitti promosse numerose
riforme in campo sociale, riconoscendo sostanzialmente la validità degli
scioperi per motivi economici, garantendo la libertà di lavoro, tutelando il
lavoro delle donne e dei fanciulli con appositi provvedimenti di legge con
l'istituzione degli uffici del lavoro.
Durante l'epoca giolittiana,
l'Italia cominciò a progredire molto rapidamente, preparando il proprio
avvenire di paese moderno. La rete ferroviaria, che nel 1970 misurava soltanto
6000 km, ne contava 18000 nel 1914; i trafori alpini, lo sviluppo
dell'idroelettricità, le grandi opere di bonifica e d'irrigazione consentirono
un notevole incremento della produzione in tutti i settori. Ebbe inizio
l'esportazione del cotone; a Torino con la FIAT sorse l'industria
automobilistica, la produzione del grano e dei vini raddoppiò. Ma questo era
ancora insufficiente per far sì che il tenore di vita migliorasse rapidamente
tanto più che dal 1870 al 1914 la popolazione era passata da 26 milioni a 36,5
milioni di abitanti. Inoltre, era esploso con violenza il problema del
Mezzogiorno, depresso ed impoverito,
abbandonato ai latifondisti in preda al
fenomeno del clientelismo, il cui squilibrio nei confronti del nord si
aggravava di continuo.
In politica estera Giolitti si
staccò dalla Germania e cercò di riavvicinarsi alla Francia. Nonostante
l'opposizione di parte dell'opinione pubblica, Giolitti volle una ripresa della
politica coloniale allo scopo di includere l'Italia tra le Nazioni che
possedevano colonie sulle coste dell'Africa settentrionale. Gli Italiani
intervennero così in Tripolitania e Cirenaica, regioni che furono strappate
alla Turchia e che ricostruirono la colonia italiana di Libia. Il teatro della
guerra si allargò sino all'Egeo e l'Italia riuscì a conquistare Rodi e le isole
del Dodecaneso .
Frattanto, all'interno del
paese, mentre Giolitti non esitava a ricorrere ai brogli elettorali e alla
corruzione per mantenere il potere, si verificava un avvenimento
importantissimo per il paese: i cattolici tornavano a partecipare alla vita
politica.
Pio X si decise a permettere questo passo in quanto la crescita
dell'elettorato dovuta all'estensione del suffragio realizzata nel 1912,
lasciava prevedere un grande rafforzamento dei socialisti. Il patto Gentiloni
garantì l'appoggio cattolico a quei candidati liberali che avessero accettato
di sostenere alcune rivendicazioni dei cattolici. Di fronte a questo
schieramento conservatore nel Partito Socialista cominciarono a prevalere le
tendenze rivoluzionarie e nel paese tornarono ad accendersi i contrasti
sociali.
Falliva così la politica sociale di Giolitti che nel 1914 lasciava il
governo al conservatore Antonio Salandra.