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Durante l'impero di Nerone si ha una rigogliosa fioritura letteraria. Nascono gran parte delle opere di Seneca, il poema epico di Lucano, le satire di Persio, il romanzo di Petronio. Si ha inoltre una ripresa del genere bucolico. Una parte di questa ricca produzione letteraria si pone sotto il seno dell'imitazione virgiliana. La poesia dell'età di Nerone presenta anche spiccati caratteri di novità e di originalità. E' legittimo dunque domandarsi se questa fioritura letteraria e l'alto valore artistico di alcune delle sue manifestazioni si debbano collegare con la politica di Nerone. Fra gli imperatori giulio-claudi N. fu il più interessato ad appassionato alle lettere e l'unico che abbia tentato di seguire l'esempio di Augusto, raccogliendo intorno a sé un gruppo di intellettuali e di poeti e stimolando la loro attività anche a fini celebrativi e propagandistici.
Fornito di un'ottima preparazione letteraria, N dimostrò una passione per la poesia, per la musica e per gli spettacoli teatrali. Scriveva assiduamente carmi, servendosi anche della collaborazione di giovani poeti che lo aiutavano a completarsi e perfezionarli. Si cimentò in vari generi. Nel campo dell'etica ad esempio composte un poema mitologico dal titolo TROICA, di cui era protagonista Paride, l'eroe bellissimo, amante di Elena, che egli raffigurava in contrasto con la tradizione mitica, come guerriero valorosissimo.
E' evidente nelle iniziative assunte da N. in campo artistico, la tendenza alla ellenizzazione della cultura e del costume. Egli infatti istituì nuovi ludi di tipo greco: i Neronia, fondati nel 60 e ripetuti nel 65, essi comprendevano oltre a gare sportive anche concorsi di musica, canto, eloquenza e poesia. Tali iniziativa suscitarono il malcontento e le critiche dei tradizionalisti, in quanto era disonorevole per un cittadino romano, e tanto più per un membro della classe equestre o senatoria, calcare le scene N. stesso dava l'esempio intervenendo e partecipando di persona ai concorsi, naturalmente vincendo.
N. amava esibirsi come musico e come cantore, interpretando brani di tragedie in occasione di recitationes tenute a corte o di fronte al pubblico dei teatri. Compì anche una specie di tournée in Grecia, partecipando trionfante a concorsi sportivi, poetici e musicali appositamente indetti in suo onore da numerose città.
Il suo vivissimo interesse per le arti stimolarono e favorirono quella ripresa delle lettere che caratterizzò il suo principato. E' probabile che lo straordinario romanzo di Petronio, il Satyricon, si fa specchio del dibattito culturale contemporaneo, probabilmente anche in polemica con le posizioni di letterati orientati in tutt'altra direzione, come Seneca e il nipote Lucano. Del resto lo stesso Seneca, aveva dato un esempio di gioco letterario in chiave comica, satirica e grottesca; inoltre come si è visto è probabile che le sue tragedie siano nate, almeno in parte per assecondare l'interesse di Nerone per il teatro. Quest'azione di promozione culturale non mancò tuttavia di suscitare resistenze ed opposizioni. Proprio due scrittori originali come Lucano e Persio, che pure furono certamente stimolati dal fervore di iniziative suscitate dal principe, rivelano, in modi e con motivazioni diverse, chiari segni di insofferenza e di rifiuto.
Lo stoicismo diveniva un polo di attrazione per l'aristocrazia senatoria che si opponeva alla politica del principe, ma anche per quella cultura che non si riconosceva negli atteggiamenti e nei gusti artistici di N. Dallo stoicismo furono influenzati in misura determinante Lucano e Persio, che operarono il aperto contrasto con gli orientamenti artistici del principe.
La politica di N. non fu in grado di esercitare un'influenza egemonica sulla letteratura contemporanea, seppe tuttavia suscitare, spesso per reazione, un grande fervore di opere, che resero ricca e vitale l'arte di questa età.
Nasce a Cordova nel 39dc. Era il nipote di Seneca il Filosofo. Educato a Roma e allievo del filosofo stoico Anneo Cornuto. Completò l'istruzione ad Atene. Vi richiamato a Roma, da Nerone stesso, che lo fece entrare nella proprio cohors amicorum e gli conferì l'onore della questura.
Dopo 2 anni di amicizia, a causa dell'invidia del principe, gli fu imposto di non recitare le sue opere in pubblico, così nei 4 anni seguenti divenne l'esponente di spicco della congiura di Pisone, che, una volta scoperta, costrinse Lucano a darsi la morte. Muore dunque suicida nel 65dc, ancora venticinquenne.
Abbiamo notizia dai biografi di numerose opere perdute:
Medea (tragedia)
Orpheus (epillio)
Iliacon sulla guerra di Troia
Silvae (raccolta di carmi lirici)
Fabulae Salticae (libretti per rappresentazioni pantomimiche)
Il più antico poema epico-storico che si sia conservato non frammentariamente e il Bellum Civile, che presenta un carattere innovativo rispetto al precedente virgiliano.
IL BELLUM CIVILE o PHARSALIA
Scrive un poema epico, Il Bellum Civile, noto anche con il titolo di Pharsalia, derivato da un passo. Argomento dell'opera è la guerra civile tra Cesare e Pompeo. I 10 libri narrano gli avvenimenti dallo scoppio della ostilità fino ai fatti immediatamente successivi alla morte di Pompeo in Egitto. Il poema è pero rimasto incompiuto. L'opera è dedicata a Nerone.
Le fonti storiche Tito Livio e Asinio Pollione e Seneca il Retore (suo nonno). Sono facilmente individuabili le modifiche ai fatti storici per le sue esigenze ideologiche ed artistiche.
Manca l'appartato divino(interventi delle divinità come nei poemi epico-storici) e si ha inoltre l'abolizione dell'apparato mitologico a favore dell'elemento meraviglioso o soprannaturale (sogni, profezie, riti magici.)
Pharsalia è atipica per la scelta del tema, singolare rispetto alla tradizione che celebrava ed esaltava la grandezze di Roma. Lucano al contrario narra la caduta rovinosa della libertas repubblicana che coincide con la fine della grandezza di Roma. Il tema centrale è dunque una sconfitta quindi non esalta gli eventi ma li biasima e li deplora, evidente sin dal proemio. Netta condanna di una guerra scellerata e fratricida poiché avviene tra concittadini.
Colorito tragico dovuto al fatto che i 2 protagonisti sono uniti da un legame di parentela tipico della tragedia è il dissidio all'interno della stessa famiglia.
L'ostentata negatività del tema incide sull'idea di sublimità (carattere richiesto nel genere epico) che viene ricercata nella grandiosità e nell'eccesso dal momento che gli è impossibile esaltare la grandezza di Roma. L'eccesso investe sia i personaggi che le vicende; vengono privilegiati i momenti eccezionali, le circostanza fuori della norma e ricche si tensione, accentuazione della commozione che conferisce una dimensione patetica o tragica. Singolare importanza assume il motivo della morte, per il suo carattere drammatico e spettacolare gusto per il macabro e il truculento.
Narrazione selettiva e asimmetrica: dedica meno spazio ad alcuni avvenimenti storici per ampliare i fatti ricchi di intensità drammatica serie di rapidi scorci , episodi e amplissime digressioni i cui l'autore fa sfoggio della sua erudizione. struttura statica: sviluppo dell'elemento descrittivo e drammatico. I discorsi sono molto dilatati per accrescere la tensione e il pathos.
L'impostazione fortemente soggettiva forte esigenza di commentare con enfasi e gravità tono oratorio e magniloquente.
Anche i personaggi appaiono influenzati dal concetto di sublimità proprio di Lucano, che identifica il sublime con il grandioso e l'eccezionale. Non è quindi un caso che i due personaggi principali siano spesso designati come Caesar = titolo che designa l'imperatore e Magnus = allude a un destino di grandezza. I personaggi hanno degli atteggiamenti estremi ed eccessivi linguaggio magniloquente ed enfatico. Il poema è senza eroe, cioè senza un personaggio positivo che sostenga la vicenda dall'inizio alla fine.
Personaggi sono:
Cesare => promotore e vincitore della guerra, visto in luce negativa dall'autore, uomo senza scrupoli che è capace di tutto pur di inseguire i suoi scopi criminosi. Crudele, superbo ed arrogante, impone la sua volontà facendo leva sul terrore: ha i tratti del tiranno, è un genio del male; un altro tratto importante è la sua empietà verso la patria e gli dei antitesi rispetto al pius Aeneas.
Pompeo => portavoce di valori positivi e difensore della legalità repubblicana. Appare l'ombra di un grande nome, guerriero in declino, un debole, passivo, incerto, timoroso, privo di fiducia in sé e nei suoi soldati, destinato alla sconfitta. Nel corso del poema la sua statura morale cresce fino alla tragica fine, infatti sembra acquistare progressivamente, attraverso la sofferenza, la consapevolezza del suo destino sventurato (per questo è simile a un eroe tragico.
Catone => vero personaggio positivo, campione della legalità repubblicana e incarnazione del sapiente stoico poiché sa di combattere per una giusta causa e per questa potrebbe addirittura sacrificare la sua vita. Imputa agli dei la sconfitta dei giusti valori politici che egli stesso rappresenta è moralmente superiore agli dei che vogliono la vittoria del male.
Gusto per le sententiae (frasi ad effetto per colpire il lettore) e concettosità (massime basate sulla trovata sorprendente, paradossale che mirano ad intensificare il pathos). Gusto per la forma carica, energica e appassionata con effetti molto forti ottenuti con contrasti violenti, immagini insolite tono alto e teso, pieno di magniloquenza ed enfasi, con l'adozione dei procedimenti proprio dello stile patetico e moduli tipici della tragedia. => si avvicina allo stile di Seneca tragico (anche per il gusto per l'orrido, il macabro e il raccapricciante).
L'amaro pessimismo del poeta che contraddice il tradizionale trionfalismo del filone epico storico, contrasta anche, sul piano logico, con l'adesione allo stoicismo evidente dai numerosi motivi stoici:
ideale della virtus,
celebrazione di Catone (sapiente stoico),
esaltazione del suicidio come sfida contro la sorte avversa e come affermazione di libertà.
L. afferma il dominio del fato sul mondo e sugli uomini, ma non giunge all'accettazione di esso. Verso il destino ha un atteggiamento di ribellione e protesta poiché questo ha voluto la fine della libertas. Inoltre l'invidia del fato per la grandezza di Roma, che dopo il culmine doveva necessariamente iniziare il suo declino, è da considerarsi tra le cause della guerra. Questa attribuzione al fato di un atteggiamento malevole e ostile agli uomini, deriva dal luogo comune letterario dell' invidia degli dei, ed è in contrasto con la visione stoica di provvidenza negazione della provvidenza divina: la fortuna e gli dei aiutano i colpevoli e si accaniscono contro gli infelici. => L. è considerato "uno stoico che ha perso la fede" in quanto secondo lui il destino è crudele e gli dei sono ingiusti.
Si ha una contrapposizione al modello virgiliano sia per contenuti tematicamente opposti sia per la diversa posizione ideologica. L. si rifà a Virgilio, ma allo stesso tempo cerca di rinnovarne alcuni aspetti. Riprese e innovazioni:
la parte finale del I libro è dedicata alle funeste profezie. Anche il I libro dell' Eneide contiene una profezia, ma l'annuncio di un impero senza fine in L. si rovescia nella predizione di sventure atroci e irrimediabili, che sfoceranno nella perdita definitiva della libertà.
Nel VI libro del Bellum Civile troviamo un'altra profezia ottenuta resuscitando dalla morte un soldato che svela i misteri dell'oltretomba. Tale episodio riprende l'episodio della discesa agli inferi di Enea, che nel corrispondente libro del poema virgiliano contiene la profezia di Anchise ad Enea. Anche in questo caso il modello è stato rovesciato: alla solenne rassegna degli eroi e delle glorie future di Roma si sostituisce la predizione cupa e sinistra delle sue prossime sventure.
Nacque a Volterra nel 34 dC e morì prematuramente nei pressi di Roma nel 62. Di ricca famiglia equestre, studiò a Roma da Cornuto. Condusse una vita ritirata, dedita agli studi e alle lettere. Pubblicazione postuma delle Satire, apparse poco dopo il 62.
L'opera di P. comprende sei satire, per un totale di 650 esametri in cui P. parla della propria poesia. Prende come esempio le affermazioni teoriche e la prassi letteraria delle satire di Orazio e ne fa il proprio punto di partenza. Polemica contro la cultura contemporanea:
inattendibilità dei giudizi critici sulle opere di poema di generi alti (giudizi dettati dalla convenienza)
la recitationes è ridicola.
La poesia è effeminata, come lo scrittore che legge in pubblico la sua ultima composizione, ed è bassamente edonistica, cioè allo stesso livello del godimento sessuale. L'arte è dunque priva di consistenza morale, ma solo oggetto di piacere e di intrattenimento. Buono lo stile ma scarso e privo di qualsiasi consistenza morale il contenuto. Necessità quindi non di curare lo stile (come affermava Orazio) ma il contenuto. Bisogna evitare il rischio di una raffinatezza fine a se stessa raffinatezza dello stile + consistenza morale. Egli colloca la propria produzione sotto il segno del verum, concetto già presente in Lucilio. Si pone sulla linea di Orazio poeta repressivo e Lucilio poeta dal sorridente e ironico moralismo.
Cura l'elaborazione formale legata a contenuti adeguati. Lo stile non è elevato, utilizza infatti la lingua dei cittadini romani (la conversazione urbana).
La realtà oggetto della satira sono i mores, cioè dai comportamenti umani. L'adesione al reale si configura come scelta di una tematica quotidiana. Caratteristico è il tema della cena (già presente in Orazio e Lucilio), come rifiuto degli inverosimili eccessi della tragedia. I mores sono presi in considerazione in quanto corrotti. Il satirico è come un medico che cura le malattie morali, e lo strumento utilizzato è l'ingenius ludus (lo scherzo non volgare).
Vengono fissati due punti rilevanti:
l'impostazione moralistica della satira
l'importanza dello spirito, elemento essenziale del meccanismo satirico.
Il programma che P. ci presenta un'idea di poesia che abbraccia contenuti e forma, viene tenuto in contro del modello ma con grande autonomia e disinvoltura.
Uno degli aspetti fondamentali dell'opera di P. è la forte tensione morale che la sostiene. Lo scopo di P. è diverso da quello di Lucilio e Orazio: è un fine didascalico ed etico. P. è come un direttore di coscienza che intende correggere e guarire i vizi degli interlocutori.
II preghiere agli dei oneste e pie;
III importanza degli studi filosofici: virtus - il malato che si crede guarito;
IV conosci te stesso;
V Cornuto: la libertas stoica;
VI il poeta è a Luni: metriotes = senso della misura
Nelle satire confluiscono temi diatribici, dottrina stoica e spunti tratti dalla tradizione satirica romana. Il personaggio del satirico è impreziosito da alcuni tratti autobiografici, non ha però la dimensione soggettiva. La figura del satirico mostra piuttosto una certa affinità col tipo del filosofo o del predicatore diatribico. P. si schiera con la filosofia senza riserve nella sua fedeltà assoluta a una scelta di vita votata alla ricerca della sapientia. Atteggiamento fortemente critico dovuto al forte impegno morale.
FORMA E STILE
Sul piano formale ripresa di diversi moduli della satura oraziana e luciliana: la satira a tema, la satira rivolta a un destinatario, l'epistola poetica. In sostanza tutti i componimenti tendono ad atteggiarsi come trattazioni non sistematiche di un argomento, con abbondante impiego di esempi di scenette, aneddoti, e con frequenti interventi, a movimentare il testo di interlocutori anonimi o di altre comparse. P. dissolve il tessuto argomentativo dei suoi componimenti, lasciando impliciti e sottintesi i nessi logici che costituiscono il filo del ragionamento e affidando al lettore il compito di ricostruirli. Trapassi bruschi e improvvisi. Questa tecnica compositiva trova perfetta rispondenza nella lingua e nello stile. L'impasto linguistico delle satire mostra, rispetto al modello oraziano, un maggior apertura non solo verso vocaboli ed espressioni colloquiali, ma anche verso termini volgari e gergali, verso grecismi e barbarismi, neologismi, persino parole infantili o onomatopeiche. L'adesione al sermo significa anche la completa accettazione dell'esperienza di Orazio, un vero e proprio repertorio per P.
A rimaneggiare il linguaggio è la ricerca di effetti nuovi e inconsueti, il ricorso a metafore ardite, il rinnovamento di frasi fatte, la simpatia per formulazioni dense e preganti e per costruzioni inusuali. I procedimenti principali sono la la "sartago loquendi"(frittura di parole) e la "iunctura acris", ed anche qui il punto di partenza è Orazio. Essa è un'associazione di parole imprevista, capace di colpire il lettore, unendo termini usati in senso proprio con altri usati in senso figurato. stile impervio e personalissimo, in cui coesistono inclinazioni apparentemente divergenti: l'adesione al parlar comune e la volontà e la capacità di manipolare la lingua, creando relazioni inedite fra le parole. Tale stile risulta attuale proponendo una visione insolita, provocatoria, spesso urtante della vita. Esso risulta, in ultima analisi, un'arma potente per smascherare ipocrisia e corruzione in nome del verum.
Una serie di codici ha tramandato degli estratti di un'opera narrativa, mista di prosa e versi, intitolata Satyricon e attribuita ad un autore chiamato Petronio Arbitro.
Il problema dell'identificazione di tale personaggio e della datazione dell'opera ha dato luogo a un vivace e complesso dibattito critico. Oggi la stragrande maggioranza degli studiosi concorda nel collocare il Satyricon nel I secolo d.C. e nel riconoscere nel suo autore il Petronio di cui parla Tacito, presentandolo come un personaggio molto in vista alla corte di Nerone, che nel 66 fu condannato a morte dal principe.
Tacito prosegue affermando che questa posizione di favore e di privilegio suscitò la gelosia e l'odio di Tigellino (il prefetto del pretorio dal 62), il quale vedeva in Petronio "un rivale + esperto di lui nella scienza dei piaceri". Tigellino lo accusò dunque di essere amico di uno dei promotori della congiura pisoniana, che nel 65 era stata stroncata da Nerone nel sangue, e Petronio fu costretto a darsi alla morte.
L'identificazione dell'autore del Satyricon con il Petronio tacitiano appare molto probabile non solo perché il ritratto tracciato dallo storico sembra corrispondere sostanzialmente agli orientamenti e ai gusti dello scrittore, ma anche e soprattutto perché alcuni dati ed elementi precisi contenuti nell'opera riportano all'età di Nerone:
in vari passi del Satyricon vengono citati nomi di cantanti, attori e gladiatori celebri ai tempi di Caligola e di Nerone;
nel Satyricon un personaggio polemizza in modo velato ma inequivocabile con l'epos di Lucano;
un altro inserto poetico è costituito da una Troiae halosis (La presa di Troia): un poemetto dello stesso titolo aveva scritto Nerone;
si colgono nel Satyricon analogie, di forma e linguaggio, con l'Apokolokyntosis di Seneca, e probabili riferimenti ed allusioni parodistiche ai temi e allo stile di Seneca filosofo.
In generale si può dire che i temi e i problemi culturali e letterari dibattuti nel Satyricon (oltre a quelli già ricordati, si può citare quello delle cause della decadenza dell'oratoria) riportano alle temperie culturale del I secolo.
Il Satyricon ci è pervenuto in forma frammentaria e lacunosa, in quanto i codici ne tramandano solo alcune parti. Probabilmente l'opera originariamente doveva essere molto estesa. La materia è stata ordinata dagli editori in 141 capitoli e cui si aggiungono alcuni frammenti minori.
La vicenda è narrata in prima persona da un giovane di nome Encolpio, che rievoca le avventure e le peripezie di un viaggio compiuto in compagnia di un bellissimo giovinetto, Gitone, di cui è innamorato.
All'inizio del primo frammento troviamo E. alle prese con un retore, di nome Agamennone, che disserta sulla decadenza dell'eloquenza (tema topico nei testi del I sec.). Una parte della declamazione di A. è in versi e ci offre un primo esempio di quella commistione di prosa e poesia che caratterizza il Satyricon, facendolo rientrare, almeno entro certi limiti, nel genere della satira menippea .
E. torna poi alla locanda che ospita, insieme a lui e a G., il giovane Ascilto, suo compagno di ribalderie e rivale nell'amore di G. I 3 vivono di espedienti nei bassifondi di una Graeca urbs della Campania (forse Napoli o Pozzuoli). Una donna di nome Quartilla, sacerdotessa di Priapo (dio della fecondità e della sessualità), li accusa di aver violato i sacri misteri del dio e li obbliga, per rimediare al sacrilegio, a partecipare ad un'orgia nel corso della quale vengono sottoposti a una serie di estenuanti sevizie erotiche.
Ha quindi inizio il lungo racconto della cena a cui i 3 partecipano, insieme ad Agamennone e a molti altri convitati, nella casa del ricchissimo liberto Trimalchione. Tale racconto occupa quasi la metà di tutto ciò che si è conservato dell'opera. In una serie di scene che rappresentano i momenti successivi di un interminabile banchetto, il padrone di casa esibisce la sua ricchezza e il suo sfarzo nei modi + spettacolari e grotteschi, sorprendendo i commensali con le trovate + stravaganti, ma disgustando E. con la smaccata ostentazione di un lusso pacchiano, all'insegna del cattivo gusto tipico di un parvenu.
Dopo la cena, riprendendo i litigi fra E. e A. a causa di G., che lascia il primo preferendogli il secondo. Poco dopo il protagonista incontra in una pinacoteca un vecchio letterato ed avventuriero, Eumolpo, il quale, vedendo il giovane intento ad osservare un quadro rappresentante la presa di Troia, gli offre una descrizione in versi: è la cosiddetta Troiae halosis (titolo greco), che costituisce il brano poetico + lungo del Satyricon.
E. ed Eumolpo diventano poi compagni di viaggio, e sono coinvolti, insieme al ritrovato Gitone, in una serie di rocambolesche avventure, complicate dalla gelosia di Encolpio che scopre in Eumolpo un nuovo rivale.
Scampati ad un naufragio, i 3 giungono a Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fanno passare x i suoi servi: in questo modo essi scroccano pranzi e regali ai cacciatori di eredità. Troviamo quindi (in un nuovo frammento) Eumolpo intento ad illustrare i requisiti che deve avere la poesia elevata e ad esemplificare la sua poetica con un vasto brano epico, di ben 295 esametri, sul Bellum civile fra Cesare e Pompeo.
Nell'ultima parte, conservata solo frammentariamente, Encolpio, divenuto impotente x la collera del dio Priapo, è vittima dell'ira di una ricca amante che si crede da lui disprezzata; egli tenta di recuperare la virilità perduta ricorrendo, tra l'altro, anche alla magia.
E' impossibile dire se l'episodio di Crotone fosse l'ultimo, o se seguissero nuove avventure, di cui
non rimane traccia.
Il Satyricon viene abitualmente chiamato "romanzo": tale denominazione richiede qualche precisazione. Nelle letterature classiche non esiste un genere letterario che corrisponda ad esattamente al romanzo moderno. Il nome di romanzo viene attribuito convenzionalmente ad un genere (che nell'antichità non sembra avere avuto un nome preciso) di cui si conservano vari esemplari greci di età imperiale e a cui appartengono, nella letteratura latina, le Metamorfosi di Apuleio.
Il Satyricon ha in comune con i "romanzi" antichi la loro principale caratteristica, che è quella di raccontare vicende complesse e avventurose disposte di regola lungo l'asse narrativo di un viaggio. Formalmente tuttavia si discosta da essi in quanto non è un'opera scritta interamente in prosa, ma alterna alla narrazione prosastica brani in versi. Tale commistione ed alternanza di prosa e di poesia è il tratto distintivo di un altro genere letterario, la satira menippea, a cui il Satyricon del resto fa riferimento fin dal titolo.
Anche la questione del titolo è piuttosto complessa. Esso è da considerare con ogni probabilità il genitivo plurale di una parola greca (Satyricà), sottintendente "libri". Satyricon libri significherebbe pressappoco "Libri di cose satiriche", con riferimento alla satira menippea: dunque anche il titolo confermerebbe il carattere peculiare dell'opera, ossia la fusione di 2 generi letterari, con la creazione di un romanzo in forma di satira menippea.
SATYRICON = ROMANZO + SATIRA MENIPPEA
Rapporti con il romanzo:
ha in comune il racconto di una lunga serie di avventure e di peripezie;
pone al centro della vicenda un amore ostacolato da circostanze sfavorevoli e dalla presenza di rivali. Tuttavia, mentre in tutti i romanzi greci che conosciamo, gli innamorati sono un giovane e una ragazza, devotissimi e fedelissimi l'uno all'altro, il rapporto amoroso che fa da filo conduttore in Petronio, quello di Encolpio con Gitone, è di tipo omosessuale ed entrambi i partner hanno rapporti sessuali anche con altri personaggi.
Rapporti con la satira menippea:
tendenza alla parodia letteraria,
mescolanza di prosa e poesia.
lingua e stile variegati e compositi, aperti a tutti i registri, dal + basso al + elevato.
Si ritrovano inoltre nell'opera petroniana numerosi temi presenti in Varrone.
dal punto di vista dei temi si possono istituire raffronti anche con la satira vera e propria, specialmente con quella di Orazio.
I temi gastronomici avevano largo spazio anche nella commedia e nel mimo.
Analogie con il mimo:
rappresenta la vita quotidiana degli strati + bassi della società romana,
persegue effetti di comicità
predilige vicende e situazioni di tipo "boccacesco".
Rapporti con la novella milesia (così chiamata da Aristide di Mileto, scrittore greco del II secolo a.C. che aveva dato dignità letteraria alla novellistica popolare):
sono presenti 5 novelle raccontate da diversi personaggi, che affermano di esserne stati protagonisti o spettatori:
3 piuttosto brevi (di cui 2 di argomento magico), vengono narrate dai commensali durante la cena di Trimalchione;
2 messe in bocca ad Eumolpo, sono storielle erotiche.
Proprio gli argomenti erotici e la spiccata licenziosità caratterizzavano le novelle milesie, che rientravano anch'esse, come i "romanzi" e come i mimi, in quel variopinto mondo della letteratura d'intrattenimento e di evasione di cui si conservano oggi tracce abbastanza esigue, ma che godeva certamente dei favori di un vasto pubblico. Nell'ambito della letteratura d'intrattenimento è sicuramente da collocare l'opera petroniana. E' evidente inoltre che l'autore non ha perseguito alcun fine morale o moralistico, ma si è proposto soltanto il divertimento proprio e del pubblico per cui scriveva: aristocratici romani e Nerone stesso e la sua corte.
P. si diverte descrivendo quel mondo di studenti squattrinati (come Encolpio), di intellettuali falliti (come Eumolpo), di amanti opportunisti e capricciosi (come Gitone), di nuovi ricchi che tentano di coprire l'irrimediabile volgarità delle loro origini con l'ostentazione di un lusso pacchiano (come Trimalchione e i suoi amici), di avventurieri senza scrupoli, disposti a qualsiasi esperienza, di signore vogliose e di serve scaltre.
Nei confronti di questo mondo vivacissimo e coloratissimo egli mantiene tuttavia un atteggiamento costante di superiore e signorile distacco, egli osserva e descrive tutto con assoluta spregiudicatezza, con eccezionale lucidità e capacità di penetrazione critica, ma al tempo stesso con uno spirito ironico e giocoso, ora malizioso, ora beffardo, sempre scettico, sempre disincantato.
Il Satyricon è un capolavoro di comicità: in esso il comico si manifesta in tutte le sue forme. I personaggi e gli ambienti descritti sono quelli dei ceti sociali + bassi: nelle letterature antiche la materia su cui si esercita il è appunto tradizionalmente la vita quotidiana della gente comune, di cui viene data una rappresentazione realistica, spesso grottescamente deformata. L'opera di P. si inserisce dunque in una tradizione di realismo comico, sia per la sua impostazione narrativa, sia per la capacità dell'autore di rappresentare quel mondo senza le stilizzazioni e le convenzioni tipiche della commedia e senza i filtri moralistici propri della satira, con un'immediatezza e una concretezza uniche ed insuperabili. Dal succedersi frenetico di vicende complicate e arruffate ne deriva una visione della vita multiforme e frantumata.
Lo strumento fondamentale di questa complessa operazione letteraria è lo stile, che si adatta alle differenti situazioni e diviene il mezzo principale di caratterizzazione dei personaggi. Predomina, data la materia quotidiana, il linguaggio colloquiale, ma esistono notevoli differenze fra il modo di esprimersi del narratore (Encolpio, studente spiantato e scapestrato, ma non privo di cultura e di buon gusto) e dei suoi amici (il poetastro Eumolpo, appassionato di problemi letterari, il retore Agamennone, gli stessi Gitone e Ascilto) e quello di altri personaggi appartenenti ad un livello sociale e culturale inferiore (rappresentati emblematicamente dal liberto Trimalchione e dai suoi commensali).
Lo stile del narratore è semplice e disinvolto, prevalentemente paratattico (com'è di solito la lingua parlata) e aperto ai vari colloquialismi, ma con rare intrusioni di veri e propri volgarismi, presenti soltanto con precise funzioni espressive. Assai frequenti sono i grecismi (consueti nell'uso del sermo cotidianus a Roma). In certi casi il linguaggio del narratore e dei personaggi colti si eleva facendosi elaborato, magniloquente ed enfatico, con intenti ironici e parodistici.
All'opposto a questi momenti di stile "alto", si pone il sermo vulgaris dei personaggi incolti o dotati di una cultura d'accatto. Il loro è un linguaggio colloquiale "basso", ridondante, colorito e fortemente espressivo, ricco di "irregolarità" fonetiche, morfologiche e sintattiche, pieno di volgarismi e di familiarismi lessicali, di locuzioni idiomatiche e proverbiali.
Questa lingua così mimetica diviene strumento della derisione e della caricatura cui P. sottopone i nuovi ceti emergenti, che egli guarda con il disprezzo del gran signore disgustato dalla volgarità, ma pur sempre capace di una superiore e distaccata ironia. E' evidente peraltro, proprio nell'accentuazione del "colore" popolaresco fino alla caricatura, che anche questo tipo di linguaggio, apparentemente incontrollato e spontaneo, è in realtà frutto di un'abilissima stilizzazione, cioè di un gioco letterario e di un esercizio di stile.
Appunti su: l27etC3A0 di nerone, perchC3A9 Agamennone disserta l27eloquenza, troiae halosis di nerone, |
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