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L'espansione europea




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L'ESPANSIONE EUROPEA


LA DIVERSITÀ EUROPEA: STRUTTURE ECONOMICHE, DIRITTI DI PROPRIETÀ E TECNOLOGIE

Nella storia della civiltà occidentale, l'Europa occupa un ruolo centrale che, nel XVII secolo, appare infinitamente più potente delle Americhe, ma forse inferiore ai grandi imperi asiatici.

Quell'egemonia e quella centralità europee alle quali ci ha abituato la storia del XVIII e XIX secolo e che sembrano «naturali» vanno spiegate e collocate storicamente. Già alla fine del '700 l'Europa era certamente il continente più potente e più ricco. Su scala mondiale il dominio europeo durò poco più di un secolo dagli inizi dell'800 alla prima guerra mondiale, e fu contrassegnato dall'egemonia di un secolo inglese e francese.

Nel '900 altre potenze non europee come Stati Uniti e Giappone o solo in parte europee come l'Unione Sovietica saranno protagoniste della scena internazionale. Il lascito più importante dell'Europa occidentale al resto del mondo - il sistema economico fondato sull'industria ­- caratterizzerà tutte le società avanzate e innanzitutto le nuove potenze mondiali del XX secolo.

In Europa mercanti e artigiani non furono ostacolati nelle loro attività. E solo l'Europa vide il sorgere dei liberi comuni. La tutela dei diritti di proprietà garantiva l'accumulo e la possibilità di godimento delle ricchezze, costituendo così un incentivo al risparmio e agli investimenti. La possibilità di esercitare una proprietà piena e assoluta sui beni mobili e immobili, era in stretto rapporto con lo sviluppo di un mercato libero e competitivo e con le strutture atte a operare in esso, come le banche e le compagnie commerciali.

La diversità dell'Europa rispetto al resto del mondo era molto evidente anche nel campo dello sviluppo tecnologico. Diversità, ma soprattutto superiorità: nello sfruttamento dell'energia dell'acqua e del vento con le ruote idrauliche e i mulini; negli armamenti e nell'impiego della polvere da sparo in grani; nell'arte della navigazione; nel settore dell'ottica: in realtà gli occhiali consentivano quasi di raddoppiare la vita lavorativa di chiunque svolgesse un'attività a distanza ravvicinata. Più significativo ancora fu il monopolio europeo nella fabbricazione degli orologi. È nota l'importanza dell'orologio meccanico. Per David S. Landes fu l'orologio a rendere «possibile la vita cittadina come la conosciamo, a promuovere nuove forme di organizzazione industriale e a consentire agli individui di organizzare la loro vita secondo noduli razionali, più produttivi. La fabbricazione degli orologi fu, inoltre, all'avanguardia nello sviluppo della tecnologia meccanica: chi era in grado di costruire i grandi orologi meccanici e in seguito i piccoli orologi portatili, sarebbe riuscito a costruire ogni altra cosa».

Il mondo orientale aveva espresso forme di civiltà autosufficienti e si considerava superiore ai «barbari» venuti dal lontano Ovest.

Il dinamismo del capitalismo commerciale europeo riuscì a far breccia nelle chiusure degli imperi asiatici e a creare una rete di relazioni commerciali che, progressivamente, si rafforzò proprio in virtù delle continue rivalità tra i paesi europei. Il consolidamento di questo intreccio di legami economici, consentirà ad alcuni Stati europei di trasformare, alla fine del '700, l'espansione commerciale in egemonia militare e territoriale.


INDIA, CINA E GIAPPONE

Tra il XV e il XVII secolo, i grandi paesi dell'Asia orientale, India, Cina e Giappone, subirono importanti trasformazioni politiche. Nuove dinastie si sostituirono alle precedenti. In India e in Cina, i nuovi detentori del potere furono stranieri, giunti attraverso frontiere deboli e praticamente non sorvegliate: quelle con l'Iran per l'India, quelle del Nord per la Cina.

Nel 1526 un esercito composto da tribù afgane guidate da Babur, detto il Conquistatore, invase il subcontinente indiano dando vita all'Impero moghul. Nel corso dei secoli il potere del Sultano di Delhi era tanto decaduto che Babur riuscì a sottomettere per intero l'India del Nord.

Il vero punto di forza dell'Impero moghul era tuttavia l'esercito, composto da circa 8000 ufficiali di nobili origini. Il ruolo riconosciuto ai militari faceva sì che in ogni villaggio fossero stanziati almeno due soldati; si garantiva così un efficiente controllo sia amministrativo che di polizia.

La struttura sociale dello Stato moghul era di tipo feudale. Le attività artigianali erano molto sviluppate, nonostante tecniche di lavorazione arretrate e un sistema di produzione particolarmente dispersivo.

L'arrivo dei nuovi dominatori musulmani aveva riproposto il grave problema della convivenza tra la cultura islamica e quella indiana. Le due religioni erano infatti diverse in tutte le più importanti regole di vita, dalle tradizioni matrimoniali a quelle alimentari e mentre per l'islamismo era fondamentale «conquistare» nuovi fedeli, per l'induismo si apparteneva ad una religione per nascita.

Dalla metà del XVI sec. fino alla metà del XVII i difficili rapporti fra le due culture furono sanati. Il processo di pacificazione interna venne però interrotto dalla politica intollerante di Aurangzeb, ultimo imperatore moghul, osservante fino al fanatismo, che revocò le leggi emanate in favore degli indù provocando la loro ribellione.

Nel corso della sua millenaria storia, la Cina conobbe diverse dominazioni straniere. Dal 907 al 1368 sul trono del «Celeste Impero» si succedettero ininterrottamente imperatori «barbari». Dopo il lungo periodo di dominazione straniera si affermò nel XIV secolo la dinastia nazionale Ming che governò indisturbata fino all'ultima invasione di nomadi, provenienti dalla Manciuria.

I mancesi erano una popolazione nord-orientale che creò un potente regno, guidato dalla dinastia Qing. La debolezza del potere Ming rese piuttosto agevole la penetrazione mancese nell'Impero cinese. Con la presa di Pechino e il suicidio dell'ultimo imperatore Ming, ebbe inizio il lungo regno della dinastia Qing, destinato a durare fino al 191

In un primo tempo il dominio dei Qing fu improntato ad un'aspra politica di repressione, ma ben presto si avviò un processo di integrazione nella cultura cinese, soprattutto per quel che riguarda le sue forme di governo.

Il gigantesco apparato burocratico venne mantenuto intatto e così pure il sistema di reclutamento degli alti funzionari, fondato sugli esami di Stato. Attraverso questo sistema qualunque giovane educato al confucianesimo che avesse istruzione e danaro a sufficienza, poteva aspirare a entrare nell'apparato burocratico.

Il sec. XVIII fu per la Cina un periodo di prosperità, come dimostra il grande sviluppo demografico del '700. Questo fenomeno fu favorito dall'estensione di particolari tecniche agricole, come quella del doppio raccolto per cui, grazie ad una fittissima rete idraulica e all'attenta selezione di tipi di riso a maturazione precoce, lo stesso terreno forniva due raccolti in un anno. Anche il commercio, prosperò grazie ai provvedimenti adottati dagli imperatori Qing per agevolare i traffici.

I gesuiti da tempo erano stati accolti presso la corte imperiale anche perché accettavano la «sinizzazione» di alcuni aspetti del cattolicesimo e tolleravano che molti nuovi cristiani continuassero a venerare Confucio, l'imperatore e gli antenati in genere. Quando la Santa Sede si pronunciò a favore di domenicani e francescani, fu revocata ogni concessione ai rappresentanti cattolici e fu così compromesso l'avvenire della Chiesa cinese.

Nel XVII e XVIII secolo i contatti con l'Europa avvennero anche attraverso intensi scambi commerciali: il grande Impero esportava in Occidente tè, sete, porcellane, carta e medicinali. La corte francese prima e poi quelle di tutta Europa amarono circondarsi di oggetti provenienti dalla Cina e la passione per la morale e la filosofia cinesi fu stimolata dagli affascinanti racconti di viaggi dei padri gesuiti.

Il Giappone del XVI sec. si componeva di piccoli domini all'interno dei quali il daimyo (signore) aveva un potere assoluto, mentre si andava indebolendo il potere del mikado (imperatore) e dello shogun (colui che esercitava il governo). La situazione cambiò verso la metà del '500 con l'introduzione delle armi da fuoco. Si innescò allora un processo di accentramento del potere che condusse all'unificazione del paese.

Uno dei protagonisti di questa trasformazione fu Tokugawa che ottenne dall'imperatore il titolo di shogun e il diritto di trasmetterlo in via ereditaria, dando vita alla dinastia dei Meiji. Scopo principale dei Tokugawa fu quello di assicurare una pace duratura e un sicuro ordine sociale. A questo fine si praticò una politica di rigoroso isolamento; fu ridimensionato il ruolo e il prestigio della casta guerriera dei samurai. Tutte queste misure ebbero l'effetto d'infrangere la vecchia struttura feudale e d'inaugurare un nuovo tipo di organizzazione economica basato su estese aziende agricole a conduzione familiare, sul lavoro salariato e sulla formazione di un vivace mercato interno.

Tipica del periodo Tokugawa fu l'elevata concentrazione urbana che diede luogo alla formazione di una specifica cultura urbana, protagonisti della quali furono in particolare i mercanti.


GLI EUROPEI IN ASIA

Fino al XIX secolo la presenza dell'Europa in Oriente fu soprattutto di carattere commerciale con piccole basi d'appoggio, depositi per le merci, scali fortificati disseminati lungo le coste e nei punti strategici delle rotte commerciali. Nell'Oceano Indiano il XVII e il XVIII secolo videro avvicendarsi l'egemonia commerciale prima dei portoghesi, poi degli olandesi e infine degli inglesi che rimasero i dominatori dei traffici orientali.

I portoghesi diedero vita ad un impero economico di notevoli dimensioni. La scarsità delle merci europee da scambiare li costrinse ad organizzare un traffico inter-asiatico. Con gli olandesi e gli inglesi i traffici divennero ulteriormente articolati.

Nello stesso periodo ebbero un notevole sviluppo le Compagnie privilegiate. Tra se più importanti la Compagnia olandese delle Indie orientali, sorta nel 1602; la inglese Compagnia delle Indie orientali, che soppiantò l'egemonia della Compagnia olandese.

In India, la Francia tentò, attraverso la Compagnia francese delle Indie, non solo di insediare basi commerciali, ma di fondare un vero e proprio dominio coloniale. L'Inghilterra si oppose con le armi all'iniziativa francese: lo scontro tra le due potenze durò per più di vent'anni. Sconfitta la Francia, l'Inghilterra assunse l'amministrazione del Bengala e del Bihar, trasformando così quello che fino ad allora era stato un dominio commerciale in un vero e proprio possedimento coloniale. Solo dopo la metà del secolo XIX la corona britannica avrebbe assunto il controllo diretto dell'India.

Alla fine del XVIII secolo, gli inglesi si stabilirono in alcune zone costiere dell'Australia che furono dapprima adibite a colonie di deportazione e più tardi divennero colonie di popolamento.


L'AMERICA SPAGNOLA E PORTOGHESE.

Primi a giungere in America, gli spagnoli furono anche i primi a consolidare il loro impero coloniale. Alla durata del loro dominio (oltre tre secoli) va attribuita l'impronta spagnola - nella lingua, nelle tradizioni, nei modi di vita - che ha caratterizzato e ancora caratterizza gran parte dell'America centrale e meridionale.

In questo immenso impero bisogna distinguere tra territori sede di un'intensa immigrazione spagnola, come il Messico e il Perù, e altri dove gli insediamenti erano più radi. Nel primo caso, l'ampio sfruttamento delle risorse minerarie giustificava un intenso e diffuso popolamento. Nel secondo, piccoli nuclei costieri controllavano vaste zone interne, talora sconosciute e inesplorate. L'America spagnola era divisa in vicereami e, quasi a mitraglia, furono istituite le audiencias, organismi collegiali con compiti giudiziari e amministrativi.

Più graduale e più tarda fu l'organizzazione amministrativa del Brasile portoghese. Il modello fu quello spagnolo, anche in conseguenza dell'unione delle monarchie, di Spagna e Portogallo, fra il 1580 e il 1640.

Nel 1640 il governatore generale del Brasile assunse la carica di viceré, ma il vicereame fu istituito solo nel 1714. Una maggiore autonomia fu concessa ai coloni brasiliani rispetto ai creoli e meno rigido fu il monopolio commerciale della madrepatria.

Nel '600 e nel '700 il Brasile dimostrò un notevole dinamismo. Ma l'aspetto forse più significativo della colonizzazione del Brasile è che i portoghesi misero in atto su quelle terre il sistema produttivo fondato sulle piantagioni di canna da zucchero e sul lavoro degli schiavi neri.


LO STATO CRISTIANO-SOCIALE DEI GESUITI

Su tutt'altro piano, una vicenda unica e irripetuta nella conquista dell'America fu la costruzione dei cosiddetti Stati missionari.

I più attivi e risoluti nel realizzare questo disegno furono i gesuiti. Nella regione del Paraguay tra il 1610 e il 1628 furono istituite tredici comunità o riduzioni nelle quali vivevano oltre 100.000 indios, in prevalenza guaranì. Le riduzioni erano organizzate sui princìpi dell'eguaglianza sociale e della comunità dei beni.

Passate alla storia come tentativo di dar vita a forme di collettivismo economico-sociale a base religiosa o come realizzazione di uno «Stato ideale della Controriforma», le riduzioni gesuite furono per oltre un secolo e mezzo un grandioso esperimento «culturale» e sociale. Un esperimento che mirava non solo a convertire al cristianesimo popolazioni primitive, ma a educarle al lavoro agricolo e artigianale e a una nuova organizzazione di vita.

Obiettivo e condizione di sopravvivenza delle riduzioni era tenerle lontane dalla «civiltà» e controllarne le relazioni umane e commerciali. Questo filtro e questa mediazione suscitarono presto l'ostilità dei coloni europei delle zone costiere, che vedevano ostacolati i propri metodi di impiego della manodopera e le proprie regole di mercato.


METALLI PREZIOSI, PIANTAGIONI E SCHIAVI

Nell'economia del Nuovo Mondo un ruolo decisivo aveva avuto fin dall'inizio lo sfruttamento delle risorse di metalli preziosi. Dapprima fu trovato l'oro nelle sabbie dei fiumi delle Antille; ancora oro e poi argento in Messico e Perù, nel bacino di Potosì.

Se l'esportazione dei metalli preziosi dominava i rapporti con la madrepatria, altre forme di organizzazione economica definirono in maniera più duratura il quadro produttivo e sociale dell'America latina.

In alcune regioni si venivano accentuando forme di specializzazione produttiva: più significativo ancora il diffondersi delle piantagioni nelle zone insulari o aperte verso l'Oceano Atlantico, dove si coltivavano canna da zucchero, cacao, caffè e tabacco, tutti prodotti destinati all'esportazione. Il sistema delle piantagioni approdò in America latina con l'inizio della coltivazione della canna da zucchero in Brasile.

Per la coltivazione della canna sono necessari un clima caldo-umido, energia idrica o animale, capitali per i mulini di spremitura e una larga disponibilità di manodopera da impiegare soprattutto nella raccolta. I portoghesi disponevano dei limitati capitali occorrenti per le macchine o potevano contare su anticipi dalla madrepatria; il Brasile forniva tutto il resto, ma non la manodopera.

Così cominciarono ad essere importati schiavi neri dall'Africa. Gli schiavi erano in primo luogo vittime delle guerre fra gli «Stati» africani o fra le tribù, conflitti ai quali si associavano spesso gli europei.

I portoghesi, che controllavano nel '500 questa realtà di scambio, imbarcavano schiavi in Africa, li vendevano in America e riportavano in Europa le navi cariche di zucchero o di melassa: così i traffici legati allo zucchero si configuravano come un commercio triangolare che sarebbe divenuto caratteristico dell'intero sistema mercantile atlantico.

L'economia delle piantagioni presto si diffuse dal Brasile ad altre zone dell'America: le Antille prima e in seguito l'America del Nord. La forzata immigrazione degli africani non solo produsse durature trasformazioni nelle strutture sociali ed economiche, ma diede luogo ad una vera e propria rivoluzione etnica e demografica. Quando fu possibile tracciare un quadro statistico della popolazione americana, risultò che i neri di origine africana erano il ceppo più numeroso in Brasile e di gran lunga maggioritario nelle Antille.


IL COMMERCIO ATLANTICO E LA SUPREMAZIA INGLESE

Lo sfruttamento monopolistico delle ricchezze del Nuovo Mondo prevedeva che le colonie spagnole in America potessero avere relazioni commerciali solo con la madrepatria. Questo sistema chiuso fu costantemente attaccato e aggirato dalla pirateria e dal contrabbando, praticati soprattutto da inglesi, olandesi e francesi. I guadagni elevatissimi del contrabbando consentivano di affrontarne tutti i rischi e di pagare le cospicue spese di corruzione. Le numerose isole delle Grandi e Piccole Antille costituivano punti di appoggio ideali per le azioni dei pirati e dei contrabbandieri e, dal momento che gli spagnoli riuscirono a controllare solo le più grandi fra esse, durante il '600 olandesi, inglesi e francesi si insediarono stabilmente in questa area.

I possessi inglesi e francesi in America settentrionale seguirono tempi ed itinerari diversi dal momento che, in quanto colonie di popolamento, non furono pienamente inseriti nelle stesso circuito e nella stessa dinamica commerciale. Dalla fine del '600 gli inglesi, rafforzarono la loro presenza a sud e a nord e unificarono i loro possedimenti, subentrando a svedesi e olandesi. Strettamente controllate dal governo centrale furono le colonie che la Francia possedeva nell'America del Nord, nei territori del Canada.

Agli inizi del '700 l'espansionismo commerciale e territoriale francese era destinato a scontrarsi con l'Inghilterra non solo in America ma nell'Atlantico e in India. L'ipotesi che l'esaurirsi della discendenza diretta del ramo spagnolo degli Asburgo portasse un re di origine francese sul trono di Spagna e che la Francia di Luigi XIV si impadronisse dell'immenso Impero spagnolo, minacciando gli interessi inglesi, aveva già definito i contorni del conflitto.

Le colonie inglesi del Nord America, inoltre, entrarono stabilmente nel sistema di commercio triangolare che caratterizzava l'Atlantico. Questa nuova presenza allargava l'area controllata dagli inglesi e rafforzava un predominio che aveva le sue origini non solo in un maggior dinamismo commerciale, ma anche in una potenza navale superiore a quella di ogni altro avversario e quindi in grado di prevalere in ogni occasione di conflitto. Tale predominio è evidente per gran parte del '700. In uno dei settori più importanti, quello del commercio degli schiavi, l'Inghilterra ottenne il monopolio della tratta verso le colonie spagnole e lo mantenne fino al 1750.

Ma l'Inghilterra era la prima potenza commerciale anche per molti altri prodotti coloniali di cui curava lo smercio in un'estesa attività di riesportazione.

Con i travolgenti successi sui francesi nella guerra dei Sette anni, l'egemonia inglese si definì e si convalidò. Con il trattato di Parigi l'Inghilterra otteneva dalla Francia tutto il Canada e i territori della Louisiana a est del Mississippi; la Florida dalla Spagna, che da parte sua riceveva in cambio la Louisiana a ovest del Mississippi con Nuova Orléans. L'Atlantico era ormai sempre più un mare inglese.


ESPANSIONE EUROPEA E IMPERIALISMO ECOLOGICO

È difficile non condividere l'entusiasmo degli uomini del '700 per tutto ciò che era legato ai successi delle attività mercantili europee: un entusiasmo e un interesse testimoniato dalle numerose opere contemporanee sul commercio della Gran Bretagna. Ma proprio nel corso del '700 prese l'avvio una nuova fase del dominio commerciale europea: accanto ai tradizionale generi di consumo voluttuario, l'Europa importerà sempre più materie prime destinate ad alimentare il nuovo slancio industriale.

Fu lo sviluppo economico fondato sull'industria a domicilio e quello fondato sulla fabbrica ad accentuare le differenze fra l'Europa e i grandi imperi asiatici. In confronto a un'Asia stazionaria nei redditi, l'Europa diventerà sempre più ricca.

Un aspetto meno noto e in genere trascurato del grande processo di espansione europea è quello relativo alla sua dimensione ecologica. La sua analisi consente di parlare di un vero e proprio imperialismo ecologico. Gli agenti di questo imperialismo furono in primo luogo i virus e i batteri delle malattie europee che si diffusero non solo dove il contatto con le popolazioni indigene era costante, ma anche dove fu più occasionale e limitato. L'affezione più letale fu il vaiolo, ma si rivelarono micidiali gran parte delle malattie infettive, anche quelle non mortali per gli europei come il morbillo.

Sempre dall'Europa provennero le cosiddette erbe infestanti caratterizzate da una straordinaria capacità di riprodursi. Nelle zone a clima temperato i semi portati dal vento crearono sterminate distese di trifoglio, piantaggine, gramigna, ecc. urono queste erbe che accompagnarono e alimentarono il moltiplicarsi senza limiti del bestiame europea. L'America, l'Australia e la Nuova Zelanda non conoscevano i cavalli, i bovini, le pecore, le capre e i maiali: tutte queste specie si diffusero a velocità crescente, soprattutto allo stato brado.

Fattori climatici e ambientali simili a quelli europei, uniti alla scarsità e debolezza delle popolazioni indigene, favorirono la dilagante emigrazione europea a partire dai primi decenni del XIX secolo nelle zone temperate a nord e a sud dei tropici.




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