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La Resistenza
La Resistenza è un fenomeno complesso, militare, politico, sociale, determina nel Paese una svolta e una crescita culturale nel senso più ampio del termine, perciò su questi caratteri bisogna soffermare la nostra attenzione, essendo ben chiaro che è impossibile, nella realtà, scindere un aspetto dagli altri.
Anzitutto la Resistenza è un fatto militare rilevante, (sovente trascurato dagli scrittori), per il peso reale che la guerriglia partigiana ha avuto nel contribuire alla caduta del nazismo e dei suoi collaboratori. E' fuori discussione che la guerra l'hanno vinta gli alleati, ma non è inutile ricordare come oltre un milione di partigiani europei hanno validamente affiancato con un quarto grande esercito le armate americane, inglesi e russe. L'Italia ha fatto la sua parte, e in particolare il Friuli con i suoi 17.800 partigiani combattenti, con le migliaia di patrioti e sostenitori, i 3.463 caduti, i 1.739 mutilati e feriti, gli oltre 18.000 deportati, fra militari, politici e civili.
La Resistenza è un fatto politico di portata enorme perché ha contribuito in modo decisivo a trasformare la guerra , che sembrava inizialmente un tradizionale scontro fra imperialismi, in lotta ideale contro il fascismo per la libertà e l'indipendenza dei popoli, per la salvezza della civiltà umana.
La lotta partigiana è altamente politicizzata nei fini e nei metodi: non esistono professionisti della guerriglia, ma solo volontari senza soldo: gli antifascisti uniti sulle questioni essenziali, sono portatori e propagatori di ideologie diverse che rivitalizzano la dialettica politica: il processo di maturazione umana, civile e politica degli stessi partigiani e di tutta la società avrà conseguenze difficilmente valutabili, e comunque grandissime, nel costume del nostro Paese. La Resistenza è un fenomeno di larga partecipazione popolare e non reggono le argomentazioni di chi pensa il contrario. In una organizzazione totalmente volontaria e cospirativa, fronteggiata da truppe spietate di occupazione, i 200.000 partigiani combattenti rappresentano solo la punta emergente di un «iceberg» che poggia necessariamente su una vastissima base di consensi e appoggi.
Anche i fascisti riescono a mobilitare 150.000 uomini, ma è una ben misera cifra per chi detiene il potere ufficiale all'ombra delle armi naziste, per chi può usufruire di grandi risorse logistiche ed è tuttavia costretto a minacciare di morte con bandi funerei i giovani che non si presentano al servizio militare. Si può affermare che la Resistenza coinvolge, sia pure con gradi differenti di spessore e convinzione, tutti gli strati sociali, le strutture civili e religiose, uomini e donne di tutte le età.
Non è monopolio di alcuna classe o partito, ma è doveroso precisare che la maggioranza dei partigiani è composta da operai e contadini. Sono i ceti più poveri che uniscono allo slancio patriottico l'aspirazione di riscattare la loro esistenza da livelli estremamente bassi di indigenza. A loro si deve se la lotta ha assunto quel carattere di massa che non tutti desideravano e che era invece ostinatamente perseguito dai partiti di sinistra, perché fosse strumento di elevazione sociale, per estirpare col fascismo le più nere ingiustizie di classe.
Questo non significa che la popolazione italiana fosse in maggioranza di idee radicali e giacobine; era nel complesso, in particolare in Friuli, di sentimenti cautamente moderati, come se ne ebbe già allora percezione dalle elezioni effettuate in piena guerra nelle zone libere e quelle effettuate dopo la liberazione.
Ed è questa la ragione principale per cui una prevalenza di reparti armati garibaldini diretti dai comunisti non si traduce poi in prevalenza politica. Estendendo la riflessione a tutta l'Italia è la ragione per cui un moto così ricco di fermenti innovatori ha sortito esiti piuttosto moderati , facendo gridare molti, come si è detto, allo scandalo di una rivoluzione mancata, incompleta o tradita.
Resta il fatto indiscutibile che senza l'aiuto di gran parte della popolazione non ci sarebbe stata lotta armata. Senza fare un mito di questa partecipazione saranno da valutare obiettivamente gli episodi di insofferenza o di ostilità, che ci sono stati, ma sarebbe sommamente ingiusto svilire il prezzo altissimo pagato, per fare un esempio, dai friulani: 19 paesi dati alle fiamme, migliaia di case e di stavoli distrutti, migliaia di civili massacrati o deportati, e una somma di continue violenze tedesche e cosacche nei venti mesi di occupazione.
Il più autentico, insospettabile riconoscimento dell'adesione popolare alla Resistenza viene dal nemico che a partire dalla primavera del 1944 non distingue più i civili dai «banditi» e scatena il terrorismo antipartigiano contro i villaggi inermi abbandonandosi a rappresaglie inumane.
Collegato strettamente con la partecipazione popolare è il discorso sul valore e i limiti dello spontaneismo. Per quanto mi risulta né in Friuli né altrove, la Resistenza, come lotta armata contro i tedeschi e i fascisti, è nata e cresciuta per un moto istintivo di popolo; né tantomeno mi risulta che tragga origine dall'antifascismo, pure istintivo, non meditato («esistenziale» come direbbe Quazza), che mobilita i giovani politicamente sprovveduti per una sorta di intuizione di classe che travalica le iniziative e i progetti dei partiti.
Gli inizi della guerriglia sono dovunque lenti e difficoltosi: soltanto i partiti, in forza della loro organizzazione, della disponibilità di quadri addestrati, di una determinazione morale e politica maturata nella lunga militanza antifascista, riescono a portare la Resistenza fino allo scontro armato. E' chiaro che trovano corrispondenza nei sentimenti popolari sorti in modo del tutto spontaneo e autonomo.
Infatti nel crollo dei miti monarchico-fascisti restano vivi nelle masse, attorno all'8 settembre, alcuni valori tradizionali e altri, completamente nuovi e contingenti si fanno strada nelle coscienze: un senso profondo e ancestrale della famiglia e del focolare domestico, una solidarietà umana che sembrava estinta, il sentimento religioso alimentato dal disastro collettivo (che rafforza la fiducia verso le solide strutture ecclesiastiche), l'odio contro i tedeschi oppressori (retaggio questo del patriottismo risorgimentale più che frutto di un'analisi storica e politica), e infine il disgusto e il disprezzo dei fascisti, causa di tutti i mali presenti, responsabili del livello di abiezione a cui è ridotta la nostra dignità nazionale. Di qui un anelito di riscatto che nelle classi popolari assume i connotati di rivincita sociale.
Questi sentimenti spingono gruppi di civili a forme di ribellione istintive e corali sul piano psicologico ma che non vanno oltre a questi limitati obbiettivi sul piano operativo: assistenza ai militari sbandati per avviarli alle loro case; aiuto ai militari catturati e destinati alla deportazione in Germania, per farli fuggire dai treni; rifiuto di collaborare coi tedeschi per la prosecuzione della guerra (renitenza agli arruolamenti e al lavoro obbligatorio, diserzione degli ammassi ecc.); raccolta e occultamento di armi, un minimo di organizzazione militare per la difesa delle persone e dei beni contro eventuali vandalismi tedeschi e fascisti, in prudente attesa dell'arrivo alleato.
Gruppi di soldati e di giovani civili si formano attorno ai paesi soprattutto per sfuggire alla cattura e all'arruolamento forzoso: quasi sempre, per inesperienza e mancanza di determinazione politica, si sciolgono alle prime avversità. Altri gruppi, più consistenti e duraturi, diretti da preti ed ex-ufficiali, sorgono numerosi in tutto il Friuli, ma da nessuno di essi usciranno le brigate mobili di montagna Garibaldi e Osoppo. E' anche questa una forma di resistenza, non esente da pericoli, un atteggiamento sostanzialmente passivo che prelude e affianca la lotta armata.
Sono dunque i partiti a suscitare la guerriglia, a far sentire che il primo, fondamentale dovere degli Italiani era di prendere le armi e combattere, non aspettare che altri combattessero e morissero per noi.
Anzitutto il Partito Comunista, forte del suo passato rivoluzionario e dei suoi quadri maturati nelle galere fasciste, in esilio, nella guerra di Spagna; in secondo luogo il Partito d'Azione, erede del movimento «Giustizia e Libertà» dei fratelli Rosselli; in misura minore il Partiti Sociallista, più preoccupato di aumentare il suo peso politico che non quello militare, e la Democrazia Cristiana che, almeno all'inizio, non ha parte di rilievo nella costituzione di bande partigiane.
E poiché si tratta di partiti con interessi di classe e ideologie molto diverse, si pone subito il problema dell'unità politica e militare, il problema di conciliare la pluralità delle forze democratiche e antifasciste con la necessità urgente di condurre la lotta contro i tedeschi con il massimo di collaborazione e di efficienza. L'unità di compromesso si raggiunge, non senza contrasti e tensioni, nei Comitati di Liberazione Nazionale, organi di direzione politica con funzioni di governo clandestino che si assumono la rappresentanza provvisoria della maggioranza degli italiani. Essi tentano di ottenere a più riprese (e parzialmente ottengono) un riconoscimento formale e, come si vedrà, assai tardivo dagli alleati anglo-americani e dal Governo italiano del Sud.
Tutte le formazioni partigiane aderiscono alle direttive politiche dei CLN, ma poche riconoscono ad essi competenze militari. Il cammino per l'unificazione militare è stato lungo e tribolato: si raggiunge ai vertici, nel Comando del «Corpo Volontari della Libertà» nel giugno del 1944, ma raramente sul terreno tra formazioni di matrice politica diversa.L'Italia in realtà non ha avuto un esercito nazionale partigiano come la Jugoslavia. Se agli inizi la frantumazione politica delle bande è risultata decisiva per mobolitare tutte le risorse nazionali, alla lunga, quando le bande crescono a brigate e divisioni, l'assenza di un vero comando operativo unitario ha danneggiato l'incisività della guerriglia e indebolito la nostra capacità di trattativa con gli alleati.
Così è successo in Friuli benchè si possano citare episodi interessanti di unificazione di comando a livello di brigata o divisione tra Garibaldi-Osoppo (ad esempio le brigate miste «I.Nievo» A e B del Pordenonese, la divisione Garibaldi-Osoppo delle Prealpi Giulie, il comando unificato di pianura, ecc.); più frequenti invece i comandi di coordinamento, necessari strumenti di collaborazione fra reparti che vivono nello stesso territorio.
Molte altre questioni di carattere generale, di grande rilievo politico e militare, sono relative ad esempio al dilemma se affidare i comandi della lotta armata ai militari di professione o agli esponenti dei partiti, ai rapporti tra partigiani e popolazione, al ruolo delle missioni alleate, alla creazione di zone libere.
Caratteri particolari della Resistenza Friulana.
Questi caratteri non vanno sopravvalutati in quanto la Resistenza friulana non può essere isolata dalla storia generale delle formazioni partigiane italiane, dei CLN, dei partiti politici, ma non vanno neanche trascurati o dimenticati se si vuol capire a fondo la portata di certi avvenimenti locali. Prima di tutto la posizione geografica del Friuli che interessa a tal punto i piani strategici tedeschi, sia per le vie di comunicazione con Austria e Germania, sia per eventuali linee difensive sul greto dei fiumi o nelle gole delle Alpi, da spingerli a instaurare qui un assetto politico-amministrativo particolare molto simile ad un'annessione, il cosiddetto «Litorale Adriatico» (Adriatisches Küstenland). Questo comprende le attuali province di Udine, Pordenone, Gorizia, Trieste, Lubiana nonché l'Istria e il Quarnaro, ed è analogo, per gli stessi motivi, a quello instaurato nelle province di Belluno, trento e Bolzano, col nome di «Voralpenland» (Zona delle Prealpi)
Il decreto concernente l'istituzione delle due amministrazioni speciali viene firmato da Hitler il 10.9.1943: lo stesso giorno il «Gauleiter» e prefetto della Carinzia dott. Friedrich Rainer è nominato Commissario supremo del Litorale. Pochi giorni dopo, il 13 settembre, Himmler nomina comandante delle S.S. e della polizia per la stessa zona il «Gruppenführer» e tenente generale di polizia Odilo Globocnik.
Il nuovo assetto, dettato dalla necessità di avere sgombra da partigiani una vasta zona nevralgica, comporta pesanti conseguenze per la nostra regione: amministrazione diretta dei tedeschi che lascia poco spazio ai fascisti di Salo', arrivo di personale e truppe specializzate nella repressione antipartigiana, un regime poliziesco terroristico, l'istituzione a Trieste dell'unico forno crematorio italiano, rappresaglie più feroci, incendi, stragi, impiccagioni, aruolamenti forzosi, ecc.
Lo stesso Globocnik proveniva dal distretto di Lublino e, prima di arrivare a Trieste, aveva condotto a termine in Polonia l'«Azione Reinhard», cioè l'eliminazione fisica degli ebrei nei campi di sterminio di Treblinka, Belsen e Sobibor. In seguito alla decisione di Himmler di proclamare anche il Litorale territorio di guerra antipartigiana, viene istituito il comando operativo antipartigiano facente capo allo stesso Globocnik. Da lui dipendevano la Polizia di sicurezza e la Polizia per l'ordine pubblico, i battaglioni di S.S. e la pleiade di collaborazionisti sloveni, croati, italiani e poi anche cosacchi e caucasici; infine l'impiego di non meno di 2 divisioni dell'esercito. Questo meccanismo repressivo si rovescia in Friuli fino alla liberazione: la polizia dispone della vita e della morte di un milione di persone, senza tribunali o altre garanzie; esercita un arbitrio incontrollato che autorizza persino i comandanti di piccoli reparti all''ccisione di singole persone o al massacro di intere comunità.
Non è da trascurare poi l'interesse alleato per il Friuli e la Venezia Giulia, in particolare di Churchill, che fino all'autunno del 1944 preme per la valorizzazione del fronte italiano quale via per condurre gli anglo-americani a Vienna e Lubiana prima dei Russi.
Ma uno dei caratteri specifici più rilevanti della Resistenza regionale è l'incidenza, l'influenza del vicino Movimento di liberazione jugoslavo. L'oppressione fascista contro gli allogeni e alloglotti, sloveni e croati della Venezia Giulia, fino al 1942, spinge costoro alla ribellione durante tutto il ventennio, coinvolgendo anche la popolazione italiana: è uno dei motivi che alimentano in regione un precoce spirito partigiano.
Lo sviluppo della Resistenza slovena dopo il '42 è determinante per l'inizio di quella friulana, tramite il P.C.I., ancor prima dell'8 settembre; l'esempio slavo accelera in tutta l'Alta Italia i tempi di trasformazione delle prime bande ribelli in brigate e divisioni, con importanti riflessi politici. Il carattere duplice della Resistenza jugoslava: lotta patriottica di liberazione e rivoluzione sociale - l'egemonia comunista e le rivendicazioni territoriali - sono alementi che pesano direttamente o fanno da sfondo a tutte le vicende friulane, complicando i rapporti tra le formazioni e tra i partiti.
La vicinanza di un forte movimento di liberazione sloveno a direzione comunista non è l'ultima ragione per cui nasce in Friuli una robusta organizzazione partigiana non comunista, che non ha uguale riscontro in altre parti delle tre Venezie. Il dualismo fra reparti diretti dai comunisti (Garibaldi) e quelli patrocinati dagli altri partiti (Osoppo) non è connotato tipico friulano, ma qui assume una rilevanza particolare.
Le formazioni Osoppo non sorgono soltanto in funzione anticomunista e antislava, ma si riscontra che, se da un lato riescono a mobilitare strati sociali che altrimenti sarebbero rimasti estranei alla lotta, d'altro canto la concentrazione delle forze moderate, cattoliche, nazionaliste in un solo reparto determina nei confronti dei garibaldini un antagonismo a volte paralizzante. La dialettica dei rapporti Osoppo-Garibaldi riassume emblematicamente il travaglio politico che percorre la resistenza friulana in una zona di confine statale contestato e di confine ideologico tra il mondo comunista e le democrazie occidentali.
In questo clima i partiti antifascisti friulani (e più ancora i giuliani) che sentono vivi i problemi di confine assumono posizioni spesso dissonanti rispetto agli indirizzi politici nazionali. La nostra regione, per l'importanza delle questioni in gioco, diventa banco di prova dei partiti stessi, costringendoli a uscire subito allo scoperto su alcune tematiche che altrove saranno proprie del dopoguerra.
La Resistenza friulana si segnala infine per una serie di priorità indiscutibili che vanno dall'aver creato l'unico distaccamento italiano sorto prima dell'armistizio, alla rapida strutturazione dei reparti garibaldini in battaglioni e brigate (quando altrove si concepiva la lotta solo per piccole bande), dalla costituzione della prima brigata italiana (la Garibaldi «Friuli»), alla prima grande battaglia contro i tedeschi (Gorizia - 12/19settembre 1943) sostenuta dagli operai a fianco degli sloveni.
Né si può tecere dei veri trattati internazionali stipulati dai garibaldini con il IX Corpus d'armata sloveno o la creazione di grandi zone libere come la Repubblica della Carnia e del Friuli che, con il suo governo civile e le sue leggi, anticipa la Costituzione repubblicana.
Il Friuli ha il vanto di aver iniziato la Resistenza italiana e il triste privilegio di aver esultato per ultimo della liberazione che qui avviene nella prima decade di maggio.
I limiti territoriali della Resistenza friulana sono quelli entro i quali si formano ed operano forze politiche e reparti partigiani che per iniziativa e organizzazione hanno matrice friulana, anche se travalicano i confini amministrativi della Regione. Coincidono, grosso modo, con le attuali province di Udine, Pordenone e Gorizia, e tratti delle province limitrofe di Belluno, Treviso, Venezia e Trieste. Il limite va preso con la dovuta elasticità per inquadrare la Resistenza locale nel contesto di quella triveneta, nazionale ed anche estera (segnatamente di quella slovena) e nella cornice europea della guerra condotta dagli Alleati. Dal punto di vista cronologico il periodo considerato va dall'8 settembre 1943 ai primi di maggio del 1945. Dato per scontato che la resistenza al fascismo nasce col fascismo stesso, è adottato il concetto più ristretto di Resistenza come "lotta armata", che inizia appunto dopo l'armistizio.
IL RUOLO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO E DEL MOVIMENTO DI
LIBERAZIONE JUGOSLAVO NELLE ORIGINI DELLA RESISTENZA FRIULANA.
LA PRIMA BRIGATA «GARIBALDI».
E' innegabile che il Movimento di Liberazione jugoslavo, iniziato all'indomani dell'invasione italo-tedesca della penisola balcanica, ha costituito per gli antifascisti italiani e in modo particolare per i comunisti, un punto di riferimento, uno stimolo morale e politico e un esempio operativo; ha concorso alla formazione delle prime bande partigiane in Friuli ancor prima dell'8 settembre, ha condizionato o influenzato tutto il corso della Resistenza friulana. Ed è altrettanto innegabile che spetta al P.C.I., prima da solo, poi con il P.d'A., il merito di aver iniziato e condotto la lotta armata in Friuli durante il 1943.
Gli eserciti nazifascisti occupano la Jugoslavia nell'aprile del 1941: la nazione slava viene sottomessa e smembrata. Quasi tutta la provincia di Lubiana è annessa all'Italia, e il principe Aimone di Savoia diventa re in Croazia. L'occupazione italiana dura due anni e mezzo, quella tedesca quattro anni, ma già il 7 giugno del '41 il movimento partigiano suscitato e diretto dai comunisti costituisce il «Comando Supremo dei distacca-menti partigiani di Liberazione Popolare» sotto la guida di Tito. Col tempo i combattenti armati aumentano, nel 1942 sono 150.000 e liberano un quinto del territorio nazionale.
Presto la guerriglia si estende all'interno dei confini italiani di allora e, per quanto riguarda la zona del Friuli orientale, essa è percorsa nella primavera '42 da bande armate slovene che impegnano l'esercito e le forze di polizia. Nello stesso anno si forma il 1° battaglione e il Distaccamento dell'Isonzo, composto da 5 battaglioni. A fine anno i partigiani creano dentro lo Stato italiano un secondo fronte, dall'alto Isonzo all'I-stria, che essi definiscono «Litorale Sloveno» e rivendicano come parte integrante di una futura Slovenia libera.
Caratteri dell'esempio slavo entrati largamente nel patrimonio ideologico e operativo della nostra guerra partigiana furono: l'impegno totale nelle guerriglie senza zone franche, la partecipazione di massa coinvol-gendo nella lotta tutti gli strati sociali, la formazione di un vero esercito partigiano articolato in brigate e divisioni, l'attivismo militare senza attese di «momenti buoni» che non arrivano mai.
Allo stesso tempo ci sono altri aspetti della Resistenza jugoslava che sono motivi di attrito con il movimento di liberazione italiano. Il Partito Comunista Jugoslavo infatti assume fin dall'inizio la direzione della lotta e imprime alla guerriglia il duplice carattere di «liberazione nazionale» dallo straniero e di «rivoluzione» per creare uno Stato socialista. L'O.F. (Fronte di Liberazione) si propone di ricomporre l'unità della nazione slovena, op-pressa dai fascisti, e incorporare «a guerra finita in una Slovenia unita anche le parti più occidentali del territorio nazionale», quelle annesse all'Italia dopo il 1918. Rivendicazione questa, che comprende a grandi linee le zone compattamente slave tra il vecchio confine e l'Isonzo, la Slavia Veneta o Benecia con le Valli di Resia, del Torre e del Natisone, il Collio, il Carso e le città di Gorizia e Trieste.
Prima dell'8 settembre in Italia non ci sono moti spontanei di ribellione armata. Può sembrare strana l'esi-tazione del Partito Comunista a dar inizio alla guerriglia contro il fascismo malgrado l'esempio dei partiti fratelli di Jugoslavia e di Francia, ma questo può essere spiegato: 1) poiché tra il '41 e il '43 il P.C.I. attraver-sa un periodo di debolezza; 2) la situazione interna dell'Italia è diversa: il Paese non era invaso dallo stranie-ro e quindi la guerriglia non poteva assumere un carattere patriottico e nazionale, ma solo di guerra civile (impopolare perché contro soldati italiani, operai e contadini, tra i quali già serpeggiano scontento e antifa-scismo).
Nel corso del 1942 il Movimento di Liberazione sloveno comincia a farsi sentire in Friuli. I partigiani combattono per la libertàcontro il fascismo e rappresentano un polo di attrazione anche per molti italiani: antifascisti braccati dal regime e soldati disertori entrano nelle file slave, mentre gli operai dell'Isontino aiutano in vario modo i combattenti delle formazioni di montagna creando basi di appoggio logistico in pianura.
Si sente viva l'esigenza di coordinare le singole iniziative e instaurare rapporti regolari tra gli antifascisti italiani e la Resistenza slovena. Per gli italiani prendere contatto con i partigiani jugoslavi nel 1942 non era facile, infatti parte del loro Paese era occupato dall'Italia ufficiale e fascista. Il ccontatto è stato possibile perché durante il ventennio fascista migliaia di antifascisti avevano testimoniato con il loro sacrificio che non tutto il popolo italiano si identificava col fascismo, con la politica imperialista di Mussolini.
Inoltre nel 1934 era stata siglata a Mosca una dichiarazione congiunta dei partiti comunisti italiano, austriaco e jugoslavo, con la quale si riconosceva il diritto di autodecisione del popolo sloveno di ricostituire la sua unità etnica e politica staccandosi dagli Stati oppressori. Grazie a questa tradizione internazionalista, Mario Lizzero, esponente comunista friulano, riesce a prendere collegamento, a partire dall'otobre 1942, con il comando del distaccamento dell'Isonzo e poi con quello del Litorale Nord. Frutto di tali incontri è la creazione di una base logistica di sostegno ai reparti sloveni, di un servizio informazioni sui movimenti tedeschi in Italia, e il proposito concordato di costituire un reparto autonomo di partigiani italiani, dando così inizio alla Resistenza italiana.
Lizzero, superando le perplessità della direzione del P.C.I. e pressato dalle insistenze slovene, stringe i tempi e, a metà di marzo, getta le basi per la nascita del primo nucleo partigiano d'Italia: il distaccamento «Garibaldi».
Gli sloveni salutano con entusiasmo queste iniziative, come si può capire dalla lettera inviata il 1° marzo dal comando della zona operativa del Litorale Nord ai battaglioni che sono in contatto con gli italiani:«Vi avvisiamo che questo è d'una straordinaria importanza politica internazionale...Significa che comincia ad organizzarsi l'Esercito Partigiano d'uno dei più grandi Stati fascisti, l'Italia.».
Il Fronte di Liberazione sloveno non prende subito posizione ufficiale sulle questioni di confine ma appare abbastanza chiaramente la preoccupazione che le prime formazioni friulane sorgano in Carnia, piuttosto che nel Collio o nella Slavia Veneta (Benecia) a ridosso dei loro reparti, in terra rivendicata come parte integrante della nuova Jugoslavia. Il nucleo partigiano prearmistiziale, braccato dalla polizia e dai cara-binieri, si sposta continuamente. Alcuni uomini vengono catturati, altri feriti o uccisi. I superstiti tornano più tardi nel Collio dove, dopo l'8 settembre, daranno vita al primo battaglione friulano.
Il crollo militare dell'Italia nel settembre 1943 e la sua resa incondizionata agli anglo-americani modifi-cano profondamente la situazione militare e politica nella zona del confine orientale. L'esercito italiano si ritira in disordine dalla Slovenia e dalla Croazia. I tedeschi invadono l'Italia e tra l'11 e il 14 settembre occupano il Friuli, ma non riescono a presidiare tutta la Venezia Giulia e avanzano a fatica verso la Slovenia e la Croazia. I partigiani di Tito contrastano con tenacia l'avanzata nazista e formano una grande zona libera.
I distaccamenti sloveni per il forte reclutamento diventano brigate; il 6 ottobre tra l'Isonzo e il vecchio confine italiano si formano due divisioni, Gorizia e Tricorno, che poi nel dicembre costituiscono il IX Corpus d'armata.Alle spalle di questo poderoso schieramento, sul versante friulano, l'8 settembre opera un afflusso impetuoso di volontari. L'originario distaccamento Garibaldi si trasforma in battaglione e nel giro di un mese ne nascono altri tre: «Friuli», «Pisacane» e «Mazzini».
Il battaglione «Garibaldi» si forma sul Collio sul tronco dell'omonimo e primigenio distaccamento con l'apporto di antifascisti del Cormonese, di partigiani italiani che militavano nelle file slovene, di soldati sbandati e alcyni dispersi della brigata «Proletaria» dopo la battaglia di Gorizia. Si concentrano prima a Bresovico e poi a Nebola, dove, assieme alle reclute della brigata slovena Isonzo, compiono il rito del giura-mento sul monte Corada il 27 settembre. Il battaglione, che adotta la bandiera italiana,dopo aver giurato si sposta nelle valli del Natisone su invito degli sloveni che non gradiscono formazioni italiane nel Collio.
Fra il 12 e il 20 settembre si costituisce il Battaglione «Friuli», nelle Valli del Natisone e ai primi di ottobre si costituisce a Montefosca il Battaglione «Pisacane».
C'è poi la volonta' esplicita dei garibaldini di costituirsi in brigata. Dati i rapporti di forza, i comandi slavi ritengono i battaglioni garibaldini una loro appendice. Quindi la formazione di una brigata italiana, in-dipendente dalla tutela slava, a metà ottobre, oltre ad essere un atto di organizzazione militare, è anche un'affermazione di autonomia politica. M. Lizzero ricorda: «Poiché gli sloveni tendono a sottovalutare le nostre forze per disporne più agevolmente, diventa importante precisarle: per questo costituiamo il comando di brigata a somiglianza di quello che già da tempo esiste tra gli sloveni». La decisione della costituzione del-la brigata Garibaldi-Friuli è presa in una riunione in cui sono presenti non solo i responsabili dei 3 batta-glioni, ma anche il segretario della Federazione friulana del P.C.I. e Fermo Solari, il maggior esponente del Partito d'Azione friulano.
Il quarto battaglione della brigata Friuli si costituisce a Nebola, sul Collio, il 27 ottobre con il nome di «Mazzini», l'unico reparto italiano che gli sloveni accettano sul Collio dopo un periodo di attriti. Il btg., decentrato sul Collio, acquista di fatto una notevole autonomia (da questo btg. deriverà la brigata Natisone).
Per completare l'elenco delle forze garibaldine, bisogna ricordare che nel mese di ottobre, passa alle dipendenze della brigata anche il battaglione «Matteotti», nato dall'unione di forze apolitiche non aderenti al C.L.N.,con scarsa consistenza disciplinare.
La brigata «Proletaria» e la battaglia di Gorizia.
Mentre nel Collio e nelle Valli del Natisone si formano i battaglioni garibaldini, l'antifascismo isontino dà vita a un episodio breve, ma significativo: la battaglia di Gorizia, il primo grande fatto d'armi di tutta la Resistenza italiana.
Ne sono protagonisti gli operai dei cantieri di Monfalcone, che, appena annunciato l'armistizio, accorrono a fianco dei battaglioni sloveni in difesa di Gorizia. Questo è probabilmente l'unico esempio in Friuli di insurrezione armata spontanea. La nascita improvvisa e la breve vita dei battaglioni riuniti nella brigata «Proletaria», non ci consentono di avere notizie dettagliate. Una cosa certa è che il comando delle operazioni è in mano agli sloveni.
La battaglia dura 14 giorni, dal 12 al 25 settembre, con episodi importanti alla stazione di Gorizia. Si ritirano in ordine. Gli italiani, privi di supporti logistici e di piani di sganciamento, sopraffatti dai tedeschi, prima ripiegano du Ranziano, poi si dividono in piccoli gruppi. Un nucleo di superstiti forma , con l'aiuto sloveno, il battaglione Triestino del Carso. Altri sbandati raggiungono i battaglioni garibaldini in via di formazione nel Collio e nella Valli del Natisone.
L'episodio è breve, ma per la prima volta, come annota lo storico Tone Ferenc, fu versato sangue dei combattenti sloveni e italiani per i comuni ideali della lotta contro il fascismo, per la libertà e per il progresso sociale.
Guerriglia partigiana e
rabbiosa reazione tedesca nelle Prealpi Giulie.
La presa di Gorizia rientra nel piano tedesco di occupazione dell'Italia Nord-Orientale e del Litorale sloveno presidiato dai partigiani di Tito. Vi sono impiegate, secondo istruzioni impartite direttamente da Hitler, forze considerevoli, poichè ritenuto un territorio di vitale importanza strategica.
Nella parte più occidentale dell'ampia zona libera (cioè nelle Prealpi Giulie) combatte la divisione slovena Gorizia e , nel versante friulano, i 4 battaglioni della brigata Garibaldi Friuli, il distaccamento Giustizia e Libertà e la banda autonoma di Attimis. Sono male armati, scarsamente equipaggiati, privi di esperienza e devono procurarsi tutto; devono poi acquisire un minimo di addestramento alla guerriglia, dimenticarsi nomi e cognomi veri per assumere nomi di battaglia come esigono le norme cospirative, darsi un'organizzazione e una disciplina e instaurare buoni rapporti con la popolazione locale.
Poiché da parte del C.L.N. di Udine arrivano scarsi aiuti, i garibaldini si procurano armi, munizioni ed esplosivi attaccando le caserme di carabinieri e della Guardia di finanza, i tedeschi isolati, i presidi minori; compiono frequenti sabotaggi ferroviari e stradali anche a grande distanza. L'intensificarsi delle azioni partigiane costringe i tedeschi a moltiplicare i presidi.
La seconda offensiva tedesca, con grande spiegamento di mezzi, è sferrata a metà ottobre contro la divisione slovena Goriziae la zona da essa controllata, detta Repubblica di Caporetto. Dopo 15 giorni di combattimenti occupano la cittadina insidiando alle spalle lo schieramento garibaldino.
Malgrado le cattive notizie che arrivano da Caporetto, il 1° novembre i btgg. «Garibaldi» e «Pisacane» attaccano il presidio di Vedronza per allentare la pressione nemica. E' la prima azione impegnativa della brigata Friuli, sebbene sia un'azione fallita, infatti il presidio di Vedronza verrà espugnato solo nel settembre del 1944.
In seguito la situazione si aggrava: mentre Lizzero sollecita aiuti dai comandi sloveni, i tedeschi investono l'intera Benecia con un terzo massiccio rastrellamento, diretto contro la div Gorizia e i reparti garibaldini, a partire dal 19 novembre. Dopo una decina di giorni i responsabili dei battaglioni (in cui serpeg-gia lo scoraggiamento per le fatiche, la fame e il freddo) decidono di sciogliere i reparti.
In tutto sui monti friulani vivono alla macchia 50 garibaldini, usciti da un'esperienza terribile. Questi pochi valorosi faranno rinascere in breve tempo i nuovi battaglioni della primavera. E' in questo periodo cmq che iniziano le atroci rappresaglie tedesche contro la popolazione e i partigiani catturati.
La Resistenza comunista in pianura.
Il P.C.I. è anche il principale organizzatore della lotta armata in pianura. Sono diretti dal P.C.I. i Gruppi di azione patriottica (G.A.P.), i gruppi di Intendenza e per lo più le Squadre di Azione patriottica (S.A.P.). Sono invece (o dovrebbero essere) raggruppamenti pluripartitici di massa, il Fronte della Gioventù (F.D.G.), i Gruppi di Difesa della Donna, i Comitati Operai e Contadini.
I partigiani di pianura agiscono in condizioni particolarmente difficili e pericolose, sono facili bersagli di spie e vittime di imboscate, rischiano di più. Molti giovani sono stati torturati e massacrati nelle caserme e nelle caceri di Udine, Cividale, Palmanova.
Nuclei di G.A.P. sorgono molto presto in vari punti della regione su iniziativa della Federazione comunista. I G.A.P. friulani non agiscono solo in città, tendono a svilupparsi in formazioni mobili, alla macchia, in stretto collegamento con i reparti di montagna di cui costituiscono quasi un appendice di pianura.
Il Fronte della Gioventù nasce in Italia per iniziativa di Eugenio Curiel, che si propone di mobilitare in un unico organismo, al di sopra di ogni distinzione politica o sociale, le masse giovanili per avviarle sulla strada dell'antifascismo e della lotta. L'obiettivo è l'indipendenza nazionale e la riconquista della libertà. In realtà l'intento unitario di Curiel non ha raggiunto risultati concreti in Friuli, dove la Democrazia Cristiana invita i cattolici a non collaborare con le organizzazioni di massa promosse dai comunisti. Il F.D.G. fornisce uomini e mezzi G.A.P., alle S.A.P., alle formazioni di montagna, collabora ai servizi essenziali di intendenza, informazione, stampa e propaganda.Assume poi col tempo una marcata impostazione militare.
In ottobre prende l'avvio l'Intendenza «Montes» (il nome deriva da un bandito popolare messicano, benefattore dei poveri). Questa rifornisce i partigiani sloveni del IX Corpus e più tardi i garibaldini della divisione «Friuli». Il Comando è situato a Redipuglia. L'intendenza raccoglie viveri, vestiario, medicinali, denaro, bestiame, cereali, e anche armi e munizioni, che invia in montagna tramite i magazzini di Doberdò e Ranziano. L'intendenza ha contribuito a tenere buoni i rapporti tra la Resistenza italiana e quella slovena: il IX Corpus gravita, infatti, su una zona poverissima, e vive sulle risorse che riceve dalla pianura friulana. Sin dall'inizio però si mette in chiaro che gli intendenti sloveni non possono battere direttamente il territorio friulano, ma solo acquistare materiale tramite l'intendenza italiana.
LE INIZIATIVE DEGLI ALTRI GRUPPI ANTIFASCISTI. IL PARTITO
D'AZIONE, I CATTOLICI, I MILLITARI. I MOTI SPONTANEI DI POPOLO.
Sia i partiti che i gruppi indipendenti , gli ufficiali dell'esercito e il clero hanno voluto deliberatamente differenziarsi dai comunisti e dalle loro organizzazioni.
Si puo' far rientrare in questo titolo anche le iniziative del P.d'A. in quanto, pur essendo vero che il battaglione G.L costituitosi nelle Prealpi Giulie nel '43 collabora nei primi mesi di lotta con i garibaldini, è anche vero che, a partire da dicembre, i suoi uomini più rappresentativi, escluso F.Solari, preferiscono accordarsi con la Dc, i militari e i preti patrioti, per dar vita alla Osoppo.
Il Partito d'Azione e il distaccamento «Giustizia e Libertà».
Il Partito d'Azione è col Partito Comunista uno dei principali organizzatori della Resistenza in tutta l'Italia centro-settentrionale. In Friuli subito dopo l'armistizio forma nelle Prealpi Giulie un distaccamento «Giustizia e Libertà» che opera a fianco della brigata Garibaldi «Friuli»; nell'inverno '43/'44 offre i suoi quadri per la costituzione della brigata Osoppo e nella Destra Tagliamento sarà parte determinante della nascita delle due brigate miste Osoppo-Garibaldi «I. Nievo A» e «I. Nievo B».
Nel Partito confluiscono professionisti, impiegati, intellettuali di varia estrazione sociale e culturale, che vi determinano spinte divergenti, una fortemente progressista in direzione del socialismo, e un'altra moderata in senso liberal-democratico. Fermo Solari rappresenta l'ala innovatrice e socialista del partito.
Gli azionisti entrano in contatto con i garibaldini, e si pone per la prima volta il problema dei rapporti tra reparti di ispirazione politica diversa che vivono nello stesso territorio. Solari e Lizzero raggiungono subito una intesa operativa e una stretta collaborazione, senza però unificare i Comandi, e lottano insieme nell'autunno del '43. Poi durante l'offensiva tedesca di novembre il reparto si scioglie.
La banda di Attimis.
Il gruppo di Attimis è l'unico distaccamento apartitico riconosciuto da molti storici come reparto partigiano combattente nel 1943. Si tratta di una banda patriottica che entra in contatto col btg. G.L. e le formazioni Garibaldi, ma se ne tiene rigorosamente distinta, poiché nessuno vuole fare politica.
Il compito dell'unità è quello di combattere i tedeschi e difendere la zona dalle infiltrazioni slave. Sciolta la banda dopo i rastrellamenti di novembre, il capitano concorre alla formazione della brigata Osoppo.
Il clero e i cattolici nella Resistenza.
Se per i comunisti, i socialisti e gli azionisti, il passaggio dall'opposizione politica alla guerriglia è stato naturale, quasi un logica conseguenza dello spirito rivoluzionario che li animava, per la Chiesa e per i cattolici il passo in direzione dell'antifascismo e poi della lotta armata comportava una revisione totale delle precedenti posizioni.
Infatti i papi, l'episcopato e la massa dei fedeli erano stati per 20 anni sostanzialmente favorevoli al fascismo. Gli eventi storici spingono poi la Chiesa in altra direzione. Già nel 1938, la legislazione razziale spezza la cordialità dei rapporti tra regime e clero; in seguito, la guerra, il malcontento popolare, le vittorie alleate, l'allineamento di milioni di cattolici americani sulla linea di Roosvelt.premono decisamente sul Vaticano per cambiare rotta. Sintomatico il discorso del Papa nel 1942 che ridà fiato ai cattolici antifascisti sin qui tenuti in disparte. Nel '43, quando la guerra civile investe il nostro paese e cade il fascismo, nel vuoto di potere e di valori ideali, i cattolici si rendono conto del ruolo di protagonisti che possono assumere. Nello sfascio nazionale la Chiesa è l'organizzazione sociale che rimane intatta, ha un tale peso sull'opinione pub-blica, da porsi come guida spirituale per la rinascita del paese. Appoggia risolutamente, ma senza imporre vincoli, il nascente partito cattolico, la Democrazia Cristiana, che partecipa attivamente alla Resistenza.
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