LA GUERRA ETIOPIA-ERITREA: UNA TRAGEDIA DIMENTICATA
Il 18 giugno Etiopia ed Eritrea hanno
firmato ad Algeri un accordo che dovrebbe porre fine a due anni di guerra. È
dal 1998, infatti, che le due nazioni si scontrano in una conflitto iniziato
come scaramucce di confine e degenerato in una guerra di massa che ha causato
decine di migliaia di morti e che è costata a due fra i paesi più poveri del
mondo, colpiti dalla siccità e dalla carestia, circa un milione di dollari al
giorno.
La storia delle tormentate relazioni fra
Etiopia ed Eritrea è molto lunga: l'Eritrea ha conquistato l'indipendenza
dall'Etiopia nel 1993, a coronamento di trent'anni di lotta. L'Eritrea,
infatti, colonia italiana nel 1890 e base per l'invasione dell'Abissinia nel
1935, fu prima parte dell'Africa Orientale Italiana, fino alla sconfitta degli
italiani da parte degli inglesi nel 1941, poi protettorato britannico fino al
1952, quando, per disposizione dell'O.N.U. Eritrea ed Etiopia si costituirono
in federazione. Nel 1960 però l'Etiopia incorporò l'Eritrea come provincia,
determinando la reazione degli eritrei, che si organizzarono in movimenti di
liberazione (F.L.E., Fronte di Liberazione dell'Eritrea; F.P.L.E., Fronte
Popolare di Liberazione dell'Eritrea) decisi ad affrontare armati l'esercito
etiopico. Nel 1974 in Etiopia un colpo di Stato militare deponeva l'imperatore
Hailè Selassiè. La resistenza eritrea ne approfittava per riprendere quota,
raggiungendo nel 1977 il controllo di oltre il 95% della regione, a esclusione
delle grandi città come Massaua e Asmara. Ma nello stesso anno la presa del
potere da parte del colonello Hailè Mariam Menghistu cambiava la situazione: la
svolta marxista del nuovo dittatore faceva sì che l'Etiopia ricevesse
consistenti aiuti militari sovietici e nel 1978 l'esercito etiopico riprendeva
il controllo dell'Eritrea. Solo nella seconda metà degli anni Ottanta la
guerriglia eritrea contro il regime di Menghistu riacquistava vigore, grazie
anche all'appoggio dei ribelli etiopi del Fronte Popolare di Liberazione del
Tigrè (F.P.L.T.). Nel febbraio 1990 i guerriglieri eritrei conquistavano
Massaua e accerchiavano Asmara, mentre il Fronte Democratico Popolare
Rivoluzionario (F.D.P.R.E.) nato dall'unificazione del F.P.L.T. con il
Movimento Democratico Popolare (M.D.P.E.) rafforzava le sue posizioni. Caduto
Menghistu nel 1991, il nuovo governo etiopico raggiungeva un accordo con gli
eritrei e definiva il percorso dell'indipendenza dell'Eritrea fissando un
referendum per il 1993. Nello stesso tempo si garantiva all'Etiopia uno sbocco
sul Mar Rosso dichiarando Assab e Massaua porti franchi, anche se
amministrativamente dipendenti dall'Eritrea. Alla consultazione, svoltasi sotto
il controllo dell'O.N.U. (23-25 aprile 1993), partecipava il 95% degli elettori
e il 99,8% si dichiarava favorevole all'indipendenza che veniva solennemente
proclamata un mese dopo, con l'elezione di Isaias Afeworki a capo dello Stato.
Ma i rapporti con fra i due paesi si facevano gradualmente più tesi, a causa
dell'introduzione di una moneta nazionale eritrea e di problemi legati al
diritto di accesso ai porti di Assab e Massaua, fino a sfociare nelle
scaramucce di confine nella zona di Badme nel maggio del 1998 che segnano
l'inizio dell'ultima guerra. Inizialmente, l'Etiopia, che amministrava l'area,
ha accusato gli eritrei di avere invaso il suo territorio e ha chiesto il
ritiro delle truppe. Complice l'incerta definizione dei confini, l'Eritrea
hanno ammesso di aver sconfinato, ma solo allo scopo di riprendere un
territorio che le apparteneva.
Presto il conflitto è degenerato: l'Etiopia, paese di 55 milioni di abitanti,
ha schierato un esercito di 350.000 uomini, l'Eritrea, 2,5 milioni di abitanti,
di 250.000. Le armi sono state fornite ai belligeranti dai paesi dell'ex blocco
sovietico, ben contenti di liberarsi dei vecchi armamenti: così l'Addis Abeba
ha potuto schierare gli aerei russi Mig 23 e Sukhoi 27, e Asmara i più moderni
Mig 29. Le strategie militari sono state quelle della prima guerra mondiale:
artiglieria pesante, truppe trincerate e assalti in massa che lasciavano sul
terreno migliaia di morti. Una guerra assurda, che non ha mai sostanzialmente
mutato le posizioni dei due contendenti, nonostante il susseguirsi di massicce
offensive e controffensive.
L'ultimo, si spera, atto della guerra è stato a maggio la riconquista di
Zalambessa da parte degli etiopi dopo due settimane di combattimenti.
Nonostante il ritiro delle forze eritree da tutti i territori occupati, gli
etiopi hanno continuato a colpire, bombardando il 29 maggio, giorno di Kidane
Mehret (Immacolata concezione), quando centinaia di Eritrei vanno in chiesa a
pregare, l'aeroporto militare di Asmara e i villaggi di Kenafna e Badda. Con
l'Etiopia in posizione di forza, il 30 maggio sono iniziate ad Algeri le
trattative fra i rappresentanti dei due paesi, sotto l'egida dell'Organizzazione
dell'Unità Africana (Oua), presieduta dal presidente algerino Abdelaziz
Bouteflika. Infine, il 18 giugno, i ministri degli esteri di Etiopia ed Eritrea
hanno firmato un accordo, i cui punti salienti sono: il ritiro degli eserciti
dei due paesi sulle posizioni di prima dell'inizio delle ostilità, la creazione
di una forza internazionale di pace che si interporrà fra i belligeranti in una
fascia di sicurezza larga venticinque chilometri, che verrà appositamente
definita.
Resta solo da sperare che l'attuazione dell'accordo sia rapido per mettere
termine all'unica guerra fra stati (eccetto quella fra India e Pakistan nel
Kashmir) attualmente in corso, e faccia ritornare la pace nel Corno d'Africa,
una zona dove i problemi da risolvere sono ben più seri che questioni di
confine.