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Il 1925 fu l'anno della trasformazione delle istituzioni liberali in istituzioni tese verso lo Stato totalitario: Mussolini abbandonò la tattica patteggiatrice con I non fascisti per giungere al controllo monolitico del potere, che le "leggi fascistissime" del dicembre 1925 sanciranno.
Una serie di attentati contro Mussolini costituirono il pretesto per l'emanazione di tali leggi a cominciare da quella con la quale si definivano le nuove funzioni attribuite al capo del governo, ora nominato e revocato dal re e responsabile solo di fronte a lui delle scelte politiche attuate.
I ministri vennero così resi responsabili verso il sovrano ed il capo del governo, il quale provvedeva a proporne la nomina al sovrano; conseguentemente cessava la funzione essenziale del Parlamento, verso cui, secondo lo statuto albertino I ministri erano stati sino ad allora responsabili: il Parlamento non potè più determinare la caduta del capo del governo attraverso la sfiducia.
Venuta meno l'azione parlamentare, nel 1928 il Gran Consiglio del Fascismo diverrà l'organo istituzionale cui spetterà di proporre I nominativi dei ministri e del capo del governo.
Nella figura del duce si assommavano le cariche massime del governo e del Partito Fascista, e le due strutture tenderanno sempre più a coincidere, costituendo uno dei caratteri distintivi dello Stato totalitario.
Le "leggi fascistissime" prevedevano anche lo stretto controllo dell'opposizione interna attraverso una dura limitazione del diritto di associazione e conferendo al capo del governo il potere di sciogliere anche I partiti politici dell'opposizione.
A difesa di questa struttura repressiva, cui faceva riscontro una altrettanto capillare struttura volta all'organizzazione del consenso, venne posto il "Tribunale speciale per la difesa dello Stato", che fu indubbiamente uno degli strumenti più odiosi ed efficaci della dittatura e della sua attività e che contribuì non poco con la sua ombra minacciosa, a distogliere molti oppositori del regime da un'azione concreta contro di esso. Al principio quello del Tribunale speciale fu un lavoro di rottura rivolto a stroncare anche pubblicamente ogni opposizione organizzata, a liquidare definitivamente ogni residuo di lotta politica e di movimento popolare autonomo. In questo quadro si colloca il grande processo ("processone") contro Gramsci e il gruppo dirigente centrale del partito comunista, che si concluse con l'erogazione di centinaia di anni di carcere. Ma con i dirigenti comunisti erano colpiti dal terrorismo giudiziario del regime decine e decine di popolani. Anche se non si conoscono ancora tutti gli incartamenti racchiusi nei singoli fascicoli del Tribunale speciale, dai dati finora resi noti, relativi ai capi sommari dei diversi processi e delle sentenze, risulta abbastanza chiaramente il comportamento del nuovo regime nei confronti dell'avanguardia antifascista. D'altra parte l'insofferenza della popolazione nei confronti della dittatura - specialmente nei luoghi di lavoro e nei villaggi - appare piuttosto larga e al principio anche sufficientemente manifesta, in alcuni casi addirittura incontenibile. I primi processi, celebrati nel febbraio del '27, colpiscono cittadini isolati. Il fascismo, che non ha conquistato il Paese, si trova evidentemente di fronte un'Italia refrattaria, una resistenza molteplice capillare e spontanea, obbligata alla difensiva, che si concentra però attorno a certe forze e in certe regioni, cui la classe operaia e I ceti popolari daranno il contributo più alto. Nel 1928 sopraggiungono, e sono abbondantemente propagandate ( al terrorismo giudiziario si aggiunge il terrorismo ideologico ) le prime sentenze capitali. Nel giro di tre o quattro anni l'opposizione comunista ha ricevuto fortissimi colpi ed è passata alla clandestinità più rigorosa e circospetta, e colpi altrettanto gravi hanno subìto la spontanea e diffusa opposizione popolare e le minoranze democratiche antifasciste.
Accanto al Tribunale speciale venne ampiamente sfruttato il confino di polizia, nei casi di dissenso meno palese.
Alla costruzione delle strutture totalitarie mirate al controllo del dissenso fece riscontro un'attività altrettanto forte nella organizzazione del consenso, attraverso istituzioni in parte tradizionali, come la scuola e l'università, in parte nuove, con organismi paramilitari. In particolare, l'Opera Nazionale Balilla doveva educare (attraverso parate militari, esercitazioni, lezioni) I "figli della lupa", bambini di sei - sette anni, I "balilla" fra gli otto e I quattordici, e infine gli "avanguardisti", dai quindici ai diciotto anni.
In realtà il regime accompagnava la preparazione degli allievi anche più adulti attraverso I GUF, ovvero I Gruppi Universitari Fascisti, mentre I docenti avrebbero dovuto far capo all'Accademia d'Italia, sebbene soprattutto negli ultimi due gradi vi fossero notevoli manifestazioni di "frontismo" spesso poi risolti in aperta opposizione al regime. Nel momento di massimo consenso per il regime questa organizzazione verrà ricompresa all'interno della GIL, Gioventù Italiana del Littorio.
La definitiva trasformazione delle istituzioni in uno Stato totalitario venne infine sanzionata con il nuovo sistema elettorale introdotto nel 1928, quando, definito il numero di deputati in 400, venne stabilito che il Gran Consiglio del Fascismo avrebbe scelto tra I nominativi indicati da enti morali e dalle organizzazioni dei datori di lavoro, giungendo a comporre una lista che, se avesse ottenuto almeno la metà dei suffragi, sarebbe stata approvata in blocco. Non solo quindi le forme di rappresentanza facevano tutte capo al fascismo, ma si impediva qualsiasi forma di opposizione entro una forma plebiscitaria: alle elezioni del 24 marzo 1929 la lista unica venne naturalmente approvata.
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