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Ildebrando di Soana (Gregorio VII) 1073/1085 e la sua riforma (Dictatus Papae)




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Ildebrando di Soana (Gregorio VII) 1073/1085 e la sua riforma (Dictatus Papae)


Gregorio VII, santo (Ildebrando di Soana). Figlio (forse Ro­vaco di Soana, Grosseto, tra il 1013 e ll 1024 - Salerno 1085) di un certo Bonizone, di famiglia modesta, venne a Roma in tenera età e fu avviato alla vita ecclesiastica dallo zio, abate del monastero di S. Maria sull'Aventino; frequentò anche la scuola del palazzo Lateranense. Tra i suoi maestri vi furono Lorenzo, futuro arcivescovo di Amalfi, e forse Giovanni Graziano, poi papa G. VI, che Ildebrando accompagnò in esilio in Germania dopo la sua deposizione. Alcuni biografi affermano che dopo la morte di G. VI (1047) Ildebrando si rifugiasse a Cluny, centro della riforma della chiesa, e là si facesse monaco, mentre altri che ritornasse subito a Roma con Brunone vescovo di Toul, papa con il nome di Leone IX, nel 1049. Ildebrando fu certamente monaco, a quanto risulta dalle attestazioni dei suoi contemporanei e di lui medesimo, ma non sappiamo con certezza né dove né quando facesse la sua professione. Il nuovo pontefice lo nominò (1050) praepositus del monastero di S. Paolo fuori le Mura, a Roma, arcidiacono e amministratore della chiesa e legato in Francia nella primavera del 1054. In tale qualità intervenne al concilio in cui fu giudicato Berengario di Tours e la sua dottrina eucaristica. Alla morte di Leone IX, fautore del rinnovamento della chiesa e di una linea politica autonoma, anche se non pregiudizialmente avversa all'impe­ro, Ildebrando assistette al concilio di Firenze (giugno 1055), indetto dal nuovo papa Vittore II, eletto su designazione di Enrico III, ove furono condannati simonia e matrimonio dei preti. Fu poi inviato nuovamente in Francia dove pre­siedette un sinodo a Macon il 13-02-1056 e un altro poco dopo a Lione; in quest'ultimo costrinse l'arcivescovo di Lione e altri vescovi simoniaci a dimettersi. Nel 1056 morì l'im­peratore Enrico III e l'anno seguente Vittore II. Eletto dal clero e dal popolo romano Stefano IX (o X) come successo­re di Vittore, Ildebrando fu inviato in Germania (1057-58) per ottenerne la conferma imperiale, che fu data dall'impe­ratrice Agnese di Poitou, reggente per il figlio Enrico IV ancora fanciullo. Stefano IX, venuto a morte prima del suo ritorno, aveva raccomandato al clero romano di non sec­gliere il nuovo papa in assenza di Ildebrando; ciononostan­te venne eletto dalla sola nobiltà romana Benedetto X dei conti di Tuscolo. Ildebrando, tornato in Italia, propugnò invece la candidatura di Niccolò II, forse secondo accordi presi alla stessa corte di Germania, che in ogni modo ap­provò questa designazione; l'elezione fu compiuta a Siena con la sola presenza dei cardinali. A cacciare Benedetto intervennero le armi di Goffredo duca di Lorena e marche­se di Toscana, che permise a Niccolò II di insediarsi a Roma (24-1-1059). Ildebrando fu autorevole consigliere anche del nuovo pontefice e intervenne al concilio romano del 13-04-1059 nel quale furono presi pronedimenti che colpivano alla radice il sistema della chiesa imperiale; restrizione ai soli cardinali della facoltà di eleggere il papa, divieto per gli ec­clesiastici di ricevere cariche da laici, obbligo del celibato ecclesiastico e condanna della simonia. Si è affermato per molto tempo che Ildebrando avesse avuto un ruolo impor­tante nel sinodo lateranense, come pure nell'alleanza conclu­sa da Niccolò II con i normanni; accompagnò certamente Niccolò Il nel suo viaggio in Puglia per incontrarsi con Roberto il Guiscardo.

Alla morte di papa Niccolò (1061), essendo stato eletto Anselmo da Baggio (Alessandro II) come successore dal par­tito riformista e antimperiale protetto dai normanni e con­trastatogli il trono papale da Cataldovescovo di Parma della fazione antiriformista, appoggiato dalla corte imperiale e gradito anche ai vescovi lombardi, Ildebrando lottò in favore di Alessandro della cui elezione era stato uno dei promotori e dal quale fu fatto cardinale. Dopo l'affermazione definitiva di Alessandro II nella primavera del 1064, favorita anche dal cambio di reggenza in Germania, per cui Annone arcivesco­vo di Colonia, favorevole al papato ed alla linea riformista, si era sostituito all'imperatrice, l'influenza di Ildebrando nelle scelte papali si fece sempre più forte. Egli cercò di spingere il pontefice ad un'azione sempre più intensa diretta alla ri­forma della chiesa e soprattutto all'affrancamento di essa dall'impero e da ogni potere laico; appoggiò tra l'altro il movimento della Pataria a Milano. Il giorno dopo la mor­te di Alessandro II, Ildebrando venne eletto papa (22-04-1073) per acclamazione dal clero e dal popolo romano du­rante i funerali di Alessandro, e a questa elezione popolare seguì quella dei cardinali. E' discusso se egli abbia fatto con­fermare la sua elezione da Enrico IV, che aveva preso le re­dini dell'impero nel 1066; ma è prbobabile, perché egli fu consacrato solo il 29 giugno.

Con quali idee egli salisse al pontificato risulta da un do­cumento dei primi mesi del 1075, inserito con il titolo di Dictatus papae nel registro delle sue lettere: si tratta di una serie di 27 proposizioni, variamente tratte, che forse erano lo schema di un trattato sulla chiesa romana che non fu mai scritto o l'indice di una collezione canonistica. In esso si af­ferma che il pontefice e innanzitutto, il capo supremo e as­soluto della chiesa universale, con la prerogativa di control­lare e deporre metropoliti e vescovi, unico autorizzato a convocare concili generali; a lui devono sottoporsi gli affari più importanti delle chiese locali e le sue decisioni sono in­violabili e inappellabili. Vi si afferma anche la superiorità del papato su ogni autorità terrena e, quindi, la sua indipenden­za da ogni potere e la prerogativa di giudicare e deporre imperatori e re. Nel marzo 1074 Gregorio convocò a Roma un concilio in cui fu condannato il clero simoniaco e concubi­nario e furono emanate disposizioni che incontrarono in Germania forti ostilità all'interno del clero tedesco (nono­stante un atteggiamento abbastanza disponibile dell'impera­tore), in Francia l'opposizione del clero e anche del re Filip­po I, in Inghilterra soprattutto quella del basso clero. L'an­no seguente fu convocato un secondo concilio in cui furono decise severe sanzioni per i ribelli e fu vietato ai laici di in­vestire vescovi e abati e ai metropoliti di consacrare chi fosse stato investito da laici, pena la scomunica. La lotta per la riforma della chiesa diventava lotta per le investiture, la lotta per la libertas Ecclesiae sfociava in battaglia per impor­re al di sopra di ogni potere laico la chiesa. Gregorio cercò attiva­mente di mettere in pratica le sue idee: intervenne nella nomina dei vescovi, sorvegliando le elezioni fatte dal clero e dal popolo, designando i candidati, cassando le elezioni non convenienti; esercitò largamente la deposizione dei vescovi indegni, facendo una larga epurazione dell'episcopato. Per tutto ciò egli si servì molto dei legati pontifici, ambasciatori del papa esercitanti i suoi pieni poteri sulle chiese locali. Nei confronti del potere politico egli cercò in Italia di attirare nell'orbita della Santa Sede tutti i potentati: nel 1073 la si­gnoria capuana e i duchi di Benevento gli prestarono omag­gio feudale; nell'Italia centro-settentrionale ottenne l'appog­gio della contessa Beatrice di Toscana e di sua figlia Matilde. Entrò in contrasto, invece, con i normanni, tanto che arrivò a scomunicare Robeno il Guiscardo nei due concili del 1074 e del 1075. Nei rapporti con i sovrani Gragorio  cercò di affermare l'alta sovranità della Santa Sede sopra di essi: dai re spagnoli ebbe l'omaggio feudale; dall'Inghilterra tentò di ottenere un atto di sottomissione, che però fu rifiutato da Guglielmo il Conquistatore, limitandosi questo a pagare il «denaro di S. Pietro». Da alcuni stati di recente formazione (il regno d'Ungberia, quello di Polonia, il ducato di Boemia, il regno di Kiev, quello di Serbia e quello di Croazia) la Santa Sede ottenne l'omaggio feudale ed un censo annuo, avendo rico­nosciuto la sovranità papale.

Tali principi, tradotti in azione politica, portarono allo scontro frontale con l'impero. Da principio i rapporti fra Gregorio ed Enrico erano stati pacifici: Gregorio non aveva preso subito posizione contro le investiture laiche ed Enrico si era dimo­strato disposto a seguire le idee riformistiche del pontefice. Quest'ultimo, però, nei concili del 1074 e del 1075, dichiarò illecita ogni investitura di ufficio ecclesiastico da parte di lai­ci, deponendo dalla loro dignità e privando delle funzioni sacerdotali vescovi e clero simoniaci e concubinari e giun­gendo a scomunicare anche dei consiglieri dell'imperatore. L'applicazione del decreto avrebbe sconvolto dalle fonda­menta il regno tedesco, in cui una gran parte degli alti feu­datari ecclesiastici sarebbero stati sottratti al potere del so­vrano. Enrico IV ignorò queste disposizioni del pontefice, continuando nelle nomine vescovili, per cui Gregorio inviò un ul­timatum all'imperatore, minacciandolo della scomunica e della deposizione (dicembre 1075), suscitando cosi l'ostilità di una parte del clero tedesco. Poco dopo, nella notte di Natale del 1075, Gregorio subì un attentato per opera di un nobile romano di nome Cencio, ma fu liberato dal popolo romano. Enrico IV e i vescovi a lui fedeli, in una dieta a Worms (1076), dichiararono di non riconoscere Ildebrando come papa e lo deposero; Gregorio allora nel sinodo romano del feb­braio 1076 scomunicò i vescovi infedeli e depose e sco­municò lo stesso imperatore, sciogliendo i sudditi dal giura­mento di fedeltà. Gregorio trovò alleati nella lotta i sassoni, nuo­vamente in rivolta, e i grandi principi tedeschi, laici ed cc­clesiastici, oppositori della politica centralizzatrice di Enrico e della sua alleanza con la feudalità minore e le città. In una dieta a Tribur (ottobre 1076) decisero di non ricono­scerlo più come re se entro un anno non fosse stato assolto dalla scomunica e indissero per il febbraio 1077 un'altra die­ta ad Augusta, a cui il re avrebbe dovuto presentarsi per essere giudicato dal pontefice, che veniva ad essa invitato. Enrico IV, a cui premeva eludere questo confronto che avrebbe segnato la sua morte politica, volle prevenire gli avversari pacificandosi con il papa, mediante un atto di sot­tomissione. Attraversate nell'inverno 1076-77 le Alpi, si pre­sentò al castello di Canossa, dove Gregorio, in viaggio per la Ger­mania, essendo venuto a conoscenza della discesa del re e ignorandone le intenzioni, si era ritirato sotto la protezione della contessa Matilde di Toscana. Tre giorni e tre notti l'im­peratore rimase in abito di penitente, a piedi nudi nella neve, davanti alla porta del castello, finché Gregorio, insistentemente pre­gato da Matilde, non lo assolse dalla scomunica (25-28 gen­naio), lasciando tuttavia la sua piena reintegrazione nel potere legata al consenso dei grandi dell'impero ad Augusta. La die­ta, però, non ebbe più luogo e quindi il pontefice non ebbe modo di esercitare in forma solenne e definitiva la parte di giudice nelle contese interne del regno germanico. Enrico IV aveva conseguito un grande successo politico. Inutilmente i principi tedeschi elessero re Rodolfo duca di Svevia e Gregoiro in un sinodo tenuto a Roma nel febbraio 1080 scomunicò e de­pose nuovamente Enrico IV, concedendo la corona a Rodol­fo. Enrico riuscì a battere più volte l'avversario tra il 1078 e il 1080 e, avendo riconquistato numerosi appoggi anche in Italia, rispose con la nomina di Guiberto arcivescovo di Ravenna ( Guiberto di Ravenna) ad antipapa con il nome di Cle­mente III nel sinodo di Bressanone (giugno 1080). Essendo nell'ottobre morto in battaglia Rodolfo, Gregorio sollecitò l'elezione di un suo successore, ma Enrico IV vittorioso in Germania e anche nell'Italia settentrionale contro Matilde di Canossa, si diresse contro Roma e vi pose l'assedio, tornando ripetuta­mente all'attacco per tre anni (1081-84). Nel marzo 1084 riu­sci a conquistare la città, mentre Gregorio si chiudeva in Castel San­t'Angelo. Il 24 marzo Clemente III veniva consacrato papa e il 31 incoronava imperatore Enrico. Gregorio chiamò in aiuto Roberto il Guiscardo che, nonostante un lungo periodo di rottura con il pontefice a causa dell'espansionismo normanno nei domini della chiesa, preoccupato di un'espansione di En­rico nel Mezzogiorno e con la mira del riconoscimento della sua politica antibizantina, accorse. Enrico IV e Clemente III si allontanarono prima del suo arrivo e i normanni espugna­rono (28 maggio) la città, sottoponendola a stragi e deva­stazioni che alienarono i rapporti dei popolo romano con il pontefice. Gregorio seguì Roberto allorché questi lasciò Roma e si stabilì a Salerno sotto la sua protezione dove morì. Fu cano­nizzato nel 1606, e l'introduzione della sua festa (25 maggio) nella liturgia dette occasione a contrasti fra la curia romana e i         governi laici, soprattutto nel corso del Settecento.

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