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Il processo rivoluzionario




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Il processo rivoluzionario


L'innesco della rivoluzione, ossia la riunione a Versailles degli Stati generali derivò dalla reazione dei Parlamenti che si mobilitarono per bloccare i progetti di riforma finanziaria proposti dai ministri del re.

Anche al di fuori delle istituzioni, tuttavia, cresceva un malessere accentuato dalla crisi economica, interciclo negativo interno a una lunga fase di crescita.

Nel breve periodo compreso tra la prima seduta degli Stati generali (5 maggio 1789) e la dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (26 agosto 1789) la rivoluzione attuò le sue risolutive scelte istituzionali.

Decisiva per risolvere lo scontro politico tra nobiltà e sovrano, da una parte, e Terzo Stato costituitosi in Assemblea nazionale, dall'altra, fu l'insurrezione parigina del 14 luglio. La presa della Bastiglia non fu solo l'evento simbolico del crollo dell'Antico Regime, ma soprattutto il segnale che annunciò quello che sarebbe stato il filo rosso di tutto il ciclo rivoluzionario: il ruolo di protagonista del movimento popolare parigino, le cui esperienze politiche travalicano i confini della rivoluzione collocandosi alle origini della tradizione democratica e socialista.

In quei drammatici mesi dell'estate dell'89 anche il mondo delle campagne fece sentire la sua formidabile pressione manifestatasi in una ponderosa rivolta antinobiliare, rafforzata da un'onda di panico collettivo che altro non era che un eco distorta dei fatti parigini.

La Grande Paura, espressione con la quale essa è conosciuta dopo il magistrale studi di Georges Lefebvre, sfociò nell'attacco ai castelli della nobiltà, evento questo che spinse l'Assemblea costituente a sopprimere le decime e alcuni diritti feudali.

L'opera di distruzione del regime signorile fu completata con una serie di provvedimenti varati nel 1792.

Con la successiva messa in vendita dei beni ecclesiastici venne rafforzata la piccola proprietà contadina, così che è corretto affermare che nel lungo periodo la rivoluzione lavorò per stabilizzare il quadro sociale della Francia e non di certo per favorire processi di trasformazione capitalistica nelle campagne.



Le cause della rivoluzione

Nobiltà e borghesia


Mentre negli altri stati europei erano state attuate riforme più o meno importanti, ogni tentativo di introdurre delle riforme in Francia era fallito, sia sotto il re Luigi XV che sotto il suo successore Luigi XVI (1754-1793).

I due ordini privilegiati, nobiltà e clero, vivevano sfruttando le loro proprietà, i diritti signorili da lungo tempo acquisiti, le alte cariche dello stato.

Per tanto si disputavano aspramente i favori reali e difendevano i loro privilegi finanziari, tra cui l'esenzione dalla maggior parte delle imposte.

Contro i privilegi della nobiltà andavano crescendo, insieme con la maggiore ricchezza, le pretese della borghesia.

Questa era ormai classe dirigente dal punto di vista economico, e aspirava a diventarlo anche dal punto di vista politico e sociale.

Essa era direttamente interessata alla grave crisi finanziaria ed economica che colpiva la Francia, e desiderava una trasformazione politica che le permettesse di sorvegliare l'amministrazione e di partecipare al governo dello stato.

E poiché i borghesi capivano che la forza dello stato era riposta nelle loro capacità e nel loro lavoro, desideravano anche una riforma sociale che abolisse i privilegi della classe nobiliare.

La borghesia aveva insomma fatte proprie le idee dei filosofi, e si sentiva quindi capace di rinnovare la Francia e di stabilirvi l'uguaglianza e la libertà.


La crisi finanziaria ed economica


Il nuovo re, Luigi XVI, era di carattere buono e onesto, ma molto debole e sottoposto a tutte le influenze. In particolare lo influenzava la moglie, la giovane regina Maria Antonietta, figlia dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, capricciosa e frivola; essa divenne presto impopolare per la sua origine austriaca, il suo gusto per le feste, le sue folli spese, e per il suo seguito di cortigiani avidi di stipendi e nemici di ogni riforma.

In queste condizioni, le spese della corte esaurivano buona parte delle finanze dello stato, il quale, per evitare la bancarotta, fu costretto a chiedere dei prestiti alla nazione, prestiti che furono concessi dalla borghesia.

Il re nominò, l'uno dopo l'altro, due valenti ministri delle finanze, Turgot e Necker, i quali però non poterono fare molto per sanare una crisi ormai molto grave.

A tutto questo si deve aggiungere uno stato di grande miseria delle campagne, dove, nonostante alcune annate di cattivo raccolto, i membri degli ordini privilegiati avevano inasprito il pagamento degli antichi diritti signorili.

Con la miseria erano cresciuti il rancore e l'odio, mentre anche nelle città le classi più povere risentivano gravemente dell'aumento dei prezzi delle merci.


La convocazione degli stati generali


In queste condizioni, ci sarebbe stato un solo modo per porre fine alla gravissima crisi finanziaria: abolire i privilegi della nobiltà e del clero e far pagare anche a loro le imposte. Però, di fronte all'accanita opposizione dell'aristocrazia, il re dovette rinunziare a questa riforma, e convocò gli Stati Generali.

Gli Stati Generali erano un'antica assemblea elettiva, che aveva competenza soprattutto in materia di bilancio e di imposte, con voto di carattere consultivo.

Essa non si riuniva più dal lontano 1614.

Era composta dai rappresentanti dei due stati privilegiati, la nobiltà e il clero, e dal terzo stato che comprendeva la borghesia e i contadini.

Il 5 maggio 1789 gli Stati Generali si riunirono a Versailles.

I rappresentanti del Terzo Stato erano pieni di speranze, perché credevano che anche il re fosse desideroso di riforme: Luigi XVI, invece, non era disposto a rinunciare alla sua sovranità di diritto divino; accettava di consultare gli Stati Generali, ma non di dividere con essi la propria autorità.


La caduta della monarchia assoluta


L'assemblea nazionale


Non appena gli Stati Generali si furono riuniti, i rappresentanti del Terzo Stato chiesero che tutti i deputati lavorassero assieme nella medesima sala, e che si votasse per testa, e non per stato.

Votando per stato, la nobiltà e il clero avrebbero avuto sempre la maggioranza per due voti contro uno; votando per testa la maggioranza sarebbe stata del Terzo Stato, che aveva più deputati e poteva contare anche sui voti di molti curati poveri e di alcuni nobili.

Si discusse la questione per un mese, senza raggiungere un accordo.

Allora i rappresentanti del Terzo Stato proclamarono che essi rappresentavano da soli il 96% della nazione, e si costituirono in Assemblea Nazionale.


L'assemblea costituente



Nonostante la sua apatia, il re non poteva lasciare passare questo attentato alla sua sovranità.

Egli volle quindi annullare la decisione dei rappresentanti del Terzo Stato e fece chiudere la sala delle assemblee.

Allora, la mattina del 20 giugno, trovata chiusa la porta della sale, i rappresentanti del Terzo Stato si riunirono in una palestra in cui si giocava alla pallacorda e, tra l'entusiasmo generale, giurarono di non separarsi più fino a quando non avessero dato alla Francia una costituzione (Giuramento della Pallacorda, 20 giugno 1789).


Dopo un ultimo tentativo di sciogliere l'assemblea, il re cedette: ordinò che i nobili e il clero si riunissero con il Terzo Stato e che si votasse per testa.

Gli Stati Generali non esistevano più.

Per dimostrare la propria intenzione di tenere fede al giuramento della pallacorda, l'assemblea prese il nome di Costituente e incominciò a discutere un progetto di costituzione.


La presa della Bastiglia



Tuttavia Luigi XVI non si considerava vinto.

Egli concentrò intorno a Versailles molte truppe e licenziò il ministro delle finanze, Necker, che godeva della fiducia popolare.

Allora il popolo do Parigi, indignato, insorse violentemente e il 14 luglio, dopo un duro combattimento, prese d'assalto la fortezza della Pastiglia, l'antica prigione reale che era considerata il simbolo della tirannide monarchica.

L'episodio ebbe un grande significato simbolico, tanto che da allora il 14 luglio divenne la festa nazionale francese, ma ebbe soprattutto una grande importanza politica, perché segnò l'inizio dell'azione del popolo di Parigi, che con la sua forza riuscì a determinare molti degli avvenimenti successivi.


I cittadini assaltano i castelli, danno alle fiamme gli archivi che forniscono il fondamento giuridico ai diritti feudali e si rifiutano di pagare le tasse e le decime. Il fenomeno di diffonde a partire da alcune località, come evidenziato nell'illustrazione

Si formò nella capitale un nuovo consiglio municipale, e per mantenere l'ordine pubblico fu creata una milizia che prese il nome di Guardia Nazionale.

Ne prese il comando il marchese di Lafayette, eroe dell'indipendenza americana.

Nacque allora il tricolore francese, nel quale il bianco della casa dei Borboni è unito al rosso e al blu dello stemma di Parigi.


Tutte le città della Francia, sull'esempio di Parigi, si diedero una guardia nazionale e nuovi consigli municipali, che sostituirono le vecchie autorità.

Impauriti dagli sviluppi della situazione, molti nobili e vescovi, tra i quali un fratello stesso del re, abbandonarono la Francia e si recarono all'estero.

La propaganda controrivoluzionaria utilizzerà ben presto anche vignette che illustravano gli eccessi dei quali era preda la popolazione francese


Il re è costretto a trasferirsi a Parigi


L'Assemblea proseguì i suoi lavori, votando una Dichiarazione dei diritti dell'uomo (26 agosto) e stabilendo le grandi linee della futura costituzione, che lasciava al re un potere ridotto. Ma il re non voleva farsi spogliare dei suoi diritti, e si rifiutò di ratificare alcuni decreti dell'assemblea.

Ma il popolo di Parigi, indignato da questo rifiuto e da alcuni incidenti minori, il 5 ottobre marciò su Versailles, invase il palazzo reale massacrandone le guardie e costrinse la famiglia reale a porre la sua sede a Parigi, al castello delle Tuileries.Qualche giorno dopo anche l'Assemblea Costituente si trasferì nella capitale.


La riorganizzazione della Francia


La dichiarazione dei diritti dell'uomo



Al momento di iniziare l'opera di organizzazione della Francia, l'Assemblea Costituente volle volle proclamare ufficialmente i principi ai quali si ispirava.

Sull'esempio degli Americani essa votò, il 26 agosto 1789, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.

I principi affermati in questa dichiarazione sono chiamati Principi del 1789.


Uguaglianza & Libertà


Al termine dei lavori dell'Assemblea, venne promulgata la Costituzione del 1791.In base ad essa, i Francesi divennero uguali dinanzi alla legge e dinanzi alle imposte.Ebbero la libertà personale, la libertà di parola e di stampa, la libertà di culto, la libertà di tenere riunioni politiche, la libertà di lavoro.Le cariche furono aperte a tutti gli uomini capaci di esercitarle; protestanti ed ebrei ebbero gli stessi diritti dei cattolici.


La monarchia costituzionale


Il re ebbe poteri molto ridotti. Sceglieva i ministri e poteva per un certo tempo rifiutare la sua firma alle leggi votate dall'assemblea.

Doveva però prestare giuramento alla costituzione e alle leggi.

Il potere legislativo, cioè il potere di fare le leggi, era riservato a un'Assemblea Legislativa, eletta per due anni.

Una nuova organizzazione amministrativa divise la Francia in 83 dipartimenti; in essi le amministrazioni locali furono quasi indipendenti dal potere centrale.

Il potere giudiziario fu affidato a giudici eletti.

Le imposte furono riorganizzate e pagate da tutti i cittadini, senza alcun privilegio, in proporzione alle loro ricchezze.

Fu anche votata la Costituzione Civile del Clero, che mirava a fare dei preti francesi dei funzionari dello stato e a staccare la chiesa di Francia, per quanto riguardava la sua organizzazione, dalla dipendenza del papato.

Ma queste misure furono prese senza consultare il papa Pio VI, cosicché molti vescovi e preti si rifiutarono di giurare che avrebbero osservato questa Costituzione Civile: furono per questo chiamati preti refrattari.


Le grandi mosse popolari escluse dal potere


La Costituzione del 1791 fissava importanti diritti democratici, ma non realizzava una piena democrazia, perché escludeva in realtà dalla vita politica la massima parte degli abitanti della Francia.

Infatti l'Assemblea Costituente, formata in gran parte da ricchi borghesi, non tenne in alcun conto le rivendicazioni delle masse popolari: artigiani, operai, contadini.

Il diritto di voto fu concesso solo a chi possedeva una certa ricchezza, cosicché i votanti erano appena 40.000 su una popolazione di più di 25 milioni di abitanti.

Coloro che avevano il diritto di voto erano detti cittadini attivi.

Fu inoltre proibito agli operai di riunirsi in sindacati o di fare scioperi per rivendicare i loro diritti. Oltre a ciò, per i negri delle colonie venne mantenuta la schiavitù.


La fuga del re



Il funzionario del nuovo regime fu compromesso da terribili difficoltà.

La grave crisi economica portava a un continuo aumento dei prezzi, con un sempre maggiore scontento dei contadini e degli operai.

Si incominciò a chiedere il suffragio universale e la divisione della terra tra i ricchi e i poveri, mentre si facevano luce le idee repubblicane.

Molti borghesi ebbero paura di queste idee democratiche e si accostarono alla nobiltà.

Intanto i sovrani europei, sobillati dai nobili francesi che si erano rifugiati presso di loro, minacciavano la guerra.

Da parte sua Luigi XVI, dopo aver fatto appello ad alcuni re stranieri, decise di fuggire dalla Francia. Il 21 giugno 1791, insieme con la famiglia reale, fuggì di nascosto da Parigi, ma fu riconosciuto a Varannes, ricondotto nella capitale e sospeso dalla sue funzioni.

Questo tentativo ebbe la conseguenza di diffondere moltissimo le idee repubblicane.


L'assemblea legislativa


Nell'ottobre 1791 la Costituzione lasciò il posto all'Assemblea Legislativa.

In essa si delinearono ben presto vari partiti, che facevano capo ai 'club', luoghi di riunione dove gruppi di cittadini discutevano di problemi politici e culturali.

I deputati più moderati formarono la Destra del club dei Foglianti, guidati da Lafayette. La Sinistra, poco numerosa ma combattiva, si iscrisse al club dei Giacobini.

Pure alla sinistra appartennero i Girondini, così detti perché molti dei loro deputati provenivano dal dipartimento detto della Gironda.

In quanto alla maggioranza dei deputati era senza idee politiche precise e formò il centro.


La guerra contro l 'Austria


All'attenzione dell'assemblea si posero immediatamente i problemi di politica estera.

L'imperatore d'Austri Francesco II, sotto la pressione dei nobili francesi fuorusciti, meditava la guerra, e Luigi XVI vedeva in essa, e in una vittoria dell'Austria, il modo di riottenere il potere assoluto.

Allora, per non essere preceduta dagli Austriaci, l'Assemblea legislativa dichiarò essa stessa la guerra all'Austria, nonostante l'opposizione dell'autorevole giacobino Robespierre (20 aprile 1792).

I promo mesi di guerra furono disastrosi per la Francia: gli eserciti nemici invasero il paese conquistando parecchie città, mentre l'esercito francese, tradito dai suoi ufficiali, male armato e male equipaggiato, si sbandava.

Allora l'Assemblea proclamò la patria in pericolo (11 luglio), e da tutta la Francia i volontari accorsero a difendere la rivoluzione.


La deposizione del re e la vittoria di Valmy


Poco dopo, il duca di Brunswick, comandante dell'armata prussiana che aveva invaso la Francia, pubblicò un manifesto nel quale si minacciava la completa distruzione di Parigi, se si fosse fatta qualche offesa a Luigi XVI.

Il manifestò indignò, perché parve la prova decisiva della complicità di Luigi XVI con l'invasore.

All'appello di Robespierre, il popolo di Parigi si sollevò, assalì il castello delle Tuileries e se ne impadronì dopo una lotta sanguinosa, costrinse l'Assemblea a dichiarare decaduto il re e a incarcerarlo (10 agosto 1792).

I repubblicani avevano vinto.

Si creò un governo provvisorio capeggiato dal popolare oratore Danton, mentre l'Assemblea Legislativa lasciava il posto a un'altra assemblea, la Convenzione, eletta a suffragio universale.

Poco dopo, presso il mulino di Valmy, nelle Argonne, l'esercito rivoluzionario francese vinceva la sua prima battaglia contro gli invasori Prussiani (20 settembre 1792). Un mese dopo, i Prussiani erano respinti oltre la frontiera.



La Convenzione


La repubblica


La Convenzione era stata eletta per dare alla Francia una nuova costituzione.

Nella sua prima riunione abolì la monarchia e il giorno dopo la parola repubblica fu usata negli atti pubblici (22 settembre).

Nell'assemblea, a destra vi erano i Girondini e a sinistra i Montagnardi, quest'ultimi guidati da Robespierre, Danton, Marat, Desmoulins.

La massa dei deputati formava il centro, detto anche Pianura.

Mentre gli eserciti francesi avanzavano oltre i confini nel Belgio e in Germania, ebbe luogo alla Convenzione il processo del re, Luigi XVI, contro il quale furono portate le prove di contatti con i nemici della Francia, fu condannato a morte per tradimento, e ghigliottinato il 21 gennaio 1793.

La condanna del re ebbe come conseguenza il formarsi, contro la Francia, di una I Coalizione tra tutti gli stati europei, guidati dall'Inghilterra.


La rivoluzione in pericolo


Gli eserciti della coalizione ottennero presto alcuni successi, e i Francesi furono respinti dai territori conquistati, mentre in una regione della Francia, la Vandea, scoppiava un violento moto controrivoluzionario, guidato da nobili e preti refrattari.

Allora la Convenzione prese dei provvedimenti di emergenza: fu istituito un Comitato di Salute Pubblica di nove membri, con pieni poteri; fu creato un tribunale rivoluzionario per giudicare i nemici della rivoluzione; fu decretata la leva in massa; furono decretati i prezzi delle merci.

Venne approvata la Costituzione dell'anno primo (1793).

Nel frattempo andavano aumentando i contrasti tra i Montagnardi e i Girondini, accusati di essere troppo moderati e complici del generale Dumouriez, che aveva tradito passando al nemico.

Alla fine ottennero la vittoria i Montagnardi, che sollevarono anche il popolo di Parigi, e i deputati girondini furono arrestati o proscritti (2 giugno 1793).

Questo fatto provocò qua e là delle ribellioni nelle province, e Marat venne assassinato da una sostenitrice della monarchia, Carlotta Corday.


Il 'Terrore'


In questa situazione gravissima la Convenzione, dominata ora dai Montagnardi, instaurò una specie di dittatura provvisoria, approvando tutte le misure straordinarie prese dal Comitato di Salute Pubblica.

Anima di questo era Massimiliano Robespierre, uomo di lucide idee e di specchiata onestà personale, detto 'l'Incorruttibile'.

Furono allora presi provvedimenti durissimi nel campo politico, economico e militare.

Una terribile legge, detta 'dei sospetti', permise di condannare a morte migliaia di persone, sospette di cospirare contro la repubblica.

Tra di essi l'ex regina Maria Antonietta, molti nobili, Girondini, preti refrattari.

Fu questo il periodo detto del 'Terrore'.

Con queste misure, i Montagnardi riuscirono a far fronte alla grave situazione e a salvare la repubblica francese.

Le ribellioni interne vennero domate, gli eserciti invasori respinti di nuovo oltre le frontiere della Francia.


La reazione dei Termidoro


Però Robespierre, giunto ormai ad esercitare una dittatura personale, aveva delle idee egualitarie, di completa democrazia, che cominciò a porre in atto.

Allora la maggioranza dei membri della Convenzione, spaventati dalle ondate delle condanne e soprattutto dal pericolo che fossero messe in atto, a danno della borghesia, le idee di eguaglianza sociale propugnate da Robespierre, reagirono.

Il 27 luglio 1794 (detto, secondo il nuovo calendario rivoluzionario, 9 termidoro), Robespierre fu arrestato insieme con i più fedeli collaboratori, e ghigliottinato il giorno dopo.

La rivoluzione francese in pratica era finita.


Le divisioni interne e l ' attacco interno


Il corso degli avvenimenti portò a ulteriori e più profonde fratture, frutto della radicalizzazione dello scontro politico.

Una svolta significativa si ebbe nel luglio del 1790 quando fu approvata la Costituzione civile del clero.

Il provvedimento che trasformava i vescovi e parroci in funzionari dello stato eletti dalle assemblee di dipartimento, richiedendo a essi anche il giuramento di fedeltà alla Costituzione, divise il clero e la società francese.

Nell'Ovest atlantico, nel Nord e in parte del Massiccio Centrale prevalsero i cosiddetti preti refrattari, ossia quelli che si rifiutarono di prestare il giuramento e rimasero fedeli a Roma: si delineò così una mappa delle divisioni confessionali che sarebbe stata di lì a poco stata di lì a poco sottolineata e ampliata da rivolte che assunsero carattere autonomistico, clericale e controrivoluzionario nell'Ovest atlantico e soprattutto in Vandea, federalista e grondino nel Centro e nel Sud della Francia.

La radicalizzazione del conflitto si accentuò con la caduta della monarchia, la proclamazione della repubblica (10 agosto 1792) e l'esecuzione del re (31 gennaio 1793).

A inasprire i contrasti intervenne l'urgenza di difendere le conquiste della rivoluzione dalla minaccia delle forze reazionarie, interne ed esterne, che erano venute allo scoperto sin dal giugno del 1791 in occasione del tentativo di fuga del re: l'arresto di Luigi XVI a Varennes aveva provocato un'emozione generale testimoniata dall'inconsueta rapidità con cui la notizia era circolata in tutto il paese.

La guerra, destinata a infuocare ulteriormente il clima politico di Parigi e di tutta la Francia, fu contemporaneamente guerra di difesa dall'attacco delle coalizioni straniere capeggiate dalla Prussia, di espansione nazionale verso le cosiddette frontiere naturali (il Reno e le Alpi raggiunte nel 1795) e di esportazione ideologica dei modelli politici rivoluzionari.

All'interno il processo rivoluzionario portò allo scontro tra i diversi gruppi politici, per assumere infine una forte polarità nella contrapposizione tra i giacobini, sostenitori di ideali democratici e di un centralismo reso più rigido dalla necessità di mobilitare la nazione contro i nemici interni ed esterni, e i girondini, federalisti e moderati sul piano sociale.

La lotta per il poter si sviluppò in una situazione resa complessa dalla guerra, dalle carestie, dalle rivolte interne.

Nel periodo del Terrore giacobino fu adottata una direzione autoritaria in campo politico ed economico allo scopo di arginare le spinte disgregatrici: il prezzo che ciò comportò fu la soppressione delle libertà e l'eliminazione delle opposizioni.

Con il colpo di Stato del 9 Termidoro (17 luglio 1794) e la morte di Robespierre, giustiziato il 28 luglio, si chiuse il ciclo rivoluzionario in Francia.

A esso seguì il periodo conosciuto come Termidoro (1794-1795), che preparò la svolta moderata e antigiacobina culminata durante il Direttorio (1795-1799).


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