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Il cartismo




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IL CARTISMO



Il Cartismo nasce in Inghilterra nel 1836, grazie a un gruppo di operai e di artigiani londinesi che rivendicano, nella propria 'carta del popolo' (People's Charter), un programma politico per tutto il movimento operaio.

Le rivendicazioni principali erano le seguenti:

suffragio universale (per gli uomini)

elezione annuale del parlamento

votazione segreta dei deputati

divisione del paese in circoscrizione elettorali uguali (in modo da assicurare un'eguale rappresentanza)

abrogazione del censo per essere eletti e remunerazione dei deputati

Nel biennio 1838-39 si tennero molti comizi popolari per diffondere l'iniziativa, finché 1,2 milioni di persone firmarono una petizione rivolta al parlamento (Camera dei Comuni), in cui si chiedeva l'attuazione della 'carta'. Agli inizi del 1839 si aprì a Londra la prima Convenzione dei delegati cartisti.

Alcuni delegati ritenevano fosse sufficiente presentare la petizione in parlamento, aspettare che questo si esprimesse e nel frattempo sciogliere il movimento. Ma la maggioranza era convinta che se si scioglieva il movimento, il parlamento non avrebbe fatto nulla, e tra quest'ultimi, una parte (gli artigiani), guidata da William Lovett, era favorevole alla lotta pacifica, col consenso dell'opinione pubblica, e all'educazione della classe operaia; un'altra parte invece (gli operai), capeggiata da Julien Harney, propendeva per un'azione rivoluzionaria, inclusa la lotta armata, per costringere il parlamento ad approvare la 'carta'.

Una posizione mediana era sostenuta dall'avvocato e pubblicista irlandese Feargus O'Connor, il quale alternava discorsi radicali contro il parlamento a discorsi pacifisti coi quali chiedeva ai lavoratori di pazientare.

Anche il pubblicista Bronterre O'Brien da un lato riteneva indispensabile, per realizzare gli ideali di Owen, la conquista del potere politico da parte dei lavoratori; dall'altro però propendeva, sul piano tattico, per una propaganda pacifista.

Questa incertezza nella conduzione della lotta favorì il governo, che cominciò a vietare i comizi pubblici e le dimostrazioni di massa del movimento. Nel maggio 1839 la petizione fu respinta dal parlamento. Due mesi dopo insorsero gli operai di Birmingham, che per due giorni tennero la città nelle loro mani.

Il governo intensificò le repressioni e alla fine del 1839 il movimento cartista sembrava al collasso. La sconfitta però aveva fatto capire che il movimento doveva radicalizzarsi per raggiungere i propri obiettivi. E così nel 1840 a Manchester si formò l'Associazione Nazionale Cartista, una sorta di partito politico del proletariato, con tanto di statuto, comitato esecutivo, quote sociali

La ripresa del movimento nazionale si ebbe verso l'autunno del 1841, in concomitanza con una grave crisi economica. Nell'aprile 1842 3,3 milioni di persone inviarono al parlamento una petizione ancora più radicale della precedente. Questa volta si condannava espressamente l'ingiustizia del sistema politico-sociale inglese, il lavoro gravoso e sottopagato degli operai, le ingenti tasse, la concentrazione delle terra e di altri mezzi produttivi fondamentali nelle mani di poche persone; inoltre si chiedeva l'abrogazione della legge sui poveri e dell'unione fra Inghilterra e Irlanda.

Di fronte al nuovo rifiuto del parlamento di approvare la petizione, tra gli operai maturò l'idea di uno sciopero politico generale, che però, nonostante l'appoggio delle Trade Unions, coinvolse solo le regioni settentrionali del paese, e non anche quelle centrali e meridionali.

La debolezza organizzativa dei dirigenti si palesò chiaramente nel corso della conferenza cartista dell'agosto 1842, allorquando ci si rifiutò di dare allo sciopero un obiettivo politico rivoluzionario.

Il governo riprese le repressioni e lo sciopero fallì, anche perché nel 1843 si era verificata una certa ripresa industriale. Il cartismo perse il suo carattere di massa e si trasformò in un movimento esclusivamente proletario, avvicinandosi, nel periodo 1844-48, alle idee di Marx ed Engels.

Completamente fallimentare fu il tentativo di O'Connor, nel 1845, di convincere gli operai a costituire una cooperativa rurale per tornare ai lavori agricoli, dopo aver acquistato dei lotti di terra. Troppo pochi erano i beneficiari di questa iniziativa.

Tuttavia, sotto l'influenza del movimento cartista la borghesia fu costretta a fare alcune concessioni agli operai: nel 1842 fu vietato il lavoro nelle miniere ai bambini di età inferiore ai 10 anni e alle donne; nel 1844 si ridusse a 6 ore e mezza la giornata lavorativa dei bambini fino a 13 anni, per dar loro la possibilità di studiare; nel 1847 fu approvata una legge sulla giornata lavorativa di 10 ore per le donne e i minorenni; fu aumentato il numero degli ispettori di fabbrica per controllare il rispetto delle leggi vigenti in materia di lavoro.

La borghesia cercò anche di diminuire i salari approfittando della riduzione del prezzo del pane, conseguente all'abrogazione dei dazi doganali sul frumento d'importazione, ma non vi riuscì proprio per timore dei cartisti.

La carta vincente della borghesia fu l'aggressiva politica coloniale, che le permise in patria di corrompere i dirigenti sindacali e di trasferire nelle colonie, negli anni Trenta, circa mezzo milione di persone, e negli anni Quaranta circa 1,2 milioni di persone: contadini, operai e artigiani che quasi sempre diventavano vittime di piantatori e capitalisti già presenti nelle colonie.

Nel 1848, in seguito al peggioramento della crisi economica e agli avvenimenti rivoluzionari dell'Europa centrale, il movimento cartista ebbe un nuovo impulso popolare. A Glasgow, a Manchester, a Londra vi furono duri scontri tra lavoratori e forze dell'ordine.

Si presentò una terza petizione in parlamento, in cui si dichiarava che la ricchezza della nazione dipendeva unicamente dal lavoro e che quindi il popolo è l'unica fonte del potere. Il governo temette l'insurrezione popolare e affidò il comando supremo delle forze armate al duca di Wellington.

Il 10 aprile 1848 O'Connor riuscì a convincere i manifestanti a tornarsene a casa, in quanto aveva avuto rassicurazioni da parte dei parlamentari sulla volontà di discutere la petizione, ma quando le acque si calmarono il parlamento si rimangiò la promessa fatta.

Invece di reagire con sdegno, il movimento cartista entrò in crisi: i reparti d'avanguardia della classe operaia rimasero senza guida. Il governo ne approfittò per procedere ad arresti di massa e, approfittando della favorevole congiuntura economica della seconda metà del 1848, riuscì a contenere completamente l'ondata rivoluzionaria.

Il cartismo fu sconfitto non solo dall'immaturità rivoluzionaria dei propri dirigenti, ma anche dall'ingenuità dei propri aderenti, che credevano nelle promesse del governo e che alla fine, vedendo il fallimento degli obiettivi politici, preferirono espatriare verso gli Stati Uniti o uscire dal movimento, per limitarsi a rivendicazioni meramente salariali.

Tuttavia le riforme attuate tra il 1867 e il 1887, soprattutto il Ballot Act del 1872, accolsero di fatto gran parte delle richieste dei cartisti.

IL CARTISMO

Il Cartismo nasce in Inghilterra nel 1836, grazie a un gruppo di operai e di artigiani londinesi che rivendicano, nella propria 'carta del popolo' (People's Charter), un programma politico per tutto il movimento operaio.

Le rivendicazioni principali erano le seguenti:

suffragio universale (per gli uomini)

elezione annuale del parlamento

votazione segreta dei deputati

divisione del paese in circoscrizione elettorali uguali (in modo da assicurare un'eguale rappresentanza)

abrogazione del censo per essere eletti e remunerazione dei deputati

Nel biennio 1838-39 si tennero molti comizi popolari per diffondere l'iniziativa, finché 1,2 milioni di persone firmarono una petizione rivolta al parlamento (Camera dei Comuni), in cui si chiedeva l'attuazione della 'carta'. Agli inizi del 1839 si aprì a Londra la prima Convenzione dei delegati cartisti.

Alcuni delegati ritenevano fosse sufficiente presentare la petizione in parlamento, aspettare che questo si esprimesse e nel frattempo sciogliere il movimento. Ma la maggioranza era convinta che se si scioglieva il movimento, il parlamento non avrebbe fatto nulla, e tra quest'ultimi, una parte (gli artigiani), guidata da William Lovett, era favorevole alla lotta pacifica, col consenso dell'opinione pubblica, e all'educazione della classe operaia; un'altra parte invece (gli operai), capeggiata da Julien Harney, propendeva per un'azione rivoluzionaria, inclusa la lotta armata, per costringere il parlamento ad approvare la 'carta'.

Una posizione mediana era sostenuta dall'avvocato e pubblicista irlandese Feargus O'Connor, il quale alternava discorsi radicali contro il parlamento a discorsi pacifisti coi quali chiedeva ai lavoratori di pazientare.

Anche il pubblicista Bronterre O'Brien da un lato riteneva indispensabile, per realizzare gli ideali di Owen, la conquista del potere politico da parte dei lavoratori; dall'altro però propendeva, sul piano tattico, per una propaganda pacifista.

Questa incertezza nella conduzione della lotta favorì il governo, che cominciò a vietare i comizi pubblici e le dimostrazioni di massa del movimento. Nel maggio 1839 la petizione fu respinta dal parlamento. Due mesi dopo insorsero gli operai di Birmingham, che per due giorni tennero la città nelle loro mani.

Il governo intensificò le repressioni e alla fine del 1839 il movimento cartista sembrava al collasso. La sconfitta però aveva fatto capire che il movimento doveva radicalizzarsi per raggiungere i propri obiettivi. E così nel 1840 a Manchester si formò l'Associazione Nazionale Cartista, una sorta di partito politico del proletariato, con tanto di statuto, comitato esecutivo, quote sociali

La ripresa del movimento nazionale si ebbe verso l'autunno del 1841, in concomitanza con una grave crisi economica. Nell'aprile 1842 3,3 milioni di persone inviarono al parlamento una petizione ancora più radicale della precedente. Questa volta si condannava espressamente l'ingiustizia del sistema politico-sociale inglese, il lavoro gravoso e sottopagato degli operai, le ingenti tasse, la concentrazione delle terra e di altri mezzi produttivi fondamentali nelle mani di poche persone; inoltre si chiedeva l'abrogazione della legge sui poveri e dell'unione fra Inghilterra e Irlanda.

Di fronte al nuovo rifiuto del parlamento di approvare la petizione, tra gli operai maturò l'idea di uno sciopero politico generale, che però, nonostante l'appoggio delle Trade Unions, coinvolse solo le regioni settentrionali del paese, e non anche quelle centrali e meridionali.

La debolezza organizzativa dei dirigenti si palesò chiaramente nel corso della conferenza cartista dell'agosto 1842, allorquando ci si rifiutò di dare allo sciopero un obiettivo politico rivoluzionario.

Il governo riprese le repressioni e lo sciopero fallì, anche perché nel 1843 si era verificata una certa ripresa industriale. Il cartismo perse il suo carattere di massa e si trasformò in un movimento esclusivamente proletario, avvicinandosi, nel periodo 1844-48, alle idee di Marx ed Engels.

Completamente fallimentare fu il tentativo di O'Connor, nel 1845, di convincere gli operai a costituire una cooperativa rurale per tornare ai lavori agricoli, dopo aver acquistato dei lotti di terra. Troppo pochi erano i beneficiari di questa iniziativa.

Tuttavia, sotto l'influenza del movimento cartista la borghesia fu costretta a fare alcune concessioni agli operai: nel 1842 fu vietato il lavoro nelle miniere ai bambini di età inferiore ai 10 anni e alle donne; nel 1844 si ridusse a 6 ore e mezza la giornata lavorativa dei bambini fino a 13 anni, per dar loro la possibilità di studiare; nel 1847 fu approvata una legge sulla giornata lavorativa di 10 ore per le donne e i minorenni; fu aumentato il numero degli ispettori di fabbrica per controllare il rispetto delle leggi vigenti in materia di lavoro.

La borghesia cercò anche di diminuire i salari approfittando della riduzione del prezzo del pane, conseguente all'abrogazione dei dazi doganali sul frumento d'importazione, ma non vi riuscì proprio per timore dei cartisti.

La carta vincente della borghesia fu l'aggressiva politica coloniale, che le permise in patria di corrompere i dirigenti sindacali e di trasferire nelle colonie, negli anni Trenta, circa mezzo milione di persone, e negli anni Quaranta circa 1,2 milioni di persone: contadini, operai e artigiani che quasi sempre diventavano vittime di piantatori e capitalisti già presenti nelle colonie.

Nel 1848, in seguito al peggioramento della crisi economica e agli avvenimenti rivoluzionari dell'Europa centrale, il movimento cartista ebbe un nuovo impulso popolare. A Glasgow, a Manchester, a Londra vi furono duri scontri tra lavoratori e forze dell'ordine.

Si presentò una terza petizione in parlamento, in cui si dichiarava che la ricchezza della nazione dipendeva unicamente dal lavoro e che quindi il popolo è l'unica fonte del potere. Il governo temette l'insurrezione popolare e affidò il comando supremo delle forze armate al duca di Wellington.

Il 10 aprile 1848 O'Connor riuscì a convincere i manifestanti a tornarsene a casa, in quanto aveva avuto rassicurazioni da parte dei parlamentari sulla volontà di discutere la petizione, ma quando le acque si calmarono il parlamento si rimangiò la promessa fatta.

Invece di reagire con sdegno, il movimento cartista entrò in crisi: i reparti d'avanguardia della classe operaia rimasero senza guida. Il governo ne approfittò per procedere ad arresti di massa e, approfittando della favorevole congiuntura economica della seconda metà del 1848, riuscì a contenere completamente l'ondata rivoluzionaria.

Il cartismo fu sconfitto non solo dall'immaturità rivoluzionaria dei propri dirigenti, ma anche dall'ingenuità dei propri aderenti, che credevano nelle promesse del governo e che alla fine, vedendo il fallimento degli obiettivi politici, preferirono espatriare verso gli Stati Uniti o uscire dal movimento, per limitarsi a rivendicazioni meramente salariali.

Tuttavia le riforme attuate tra il 1867 e il 1887, soprattutto il Ballot Act del 1872, accolsero di fatto gran parte delle richieste dei cartisti.


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