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Guerra fredda e distensione




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Guerra fredda e distensione


Complesso di avvenimenti verificatosi in campo internazionale dopo la seconda guerra mondiale e caratterizzato dall'antagonismo fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica. La convinzione ideologica sovietica che il conflitto fra mondo capitalista e mondo comunista (la guerra vera) dovesse ancora venire, oltre alla sensazione di inferiorità militare che il possesso americano della bomba atomica alimentava nelle menti dei dirigenti sovietici, sono forse i motivi che stanno alla base del mantenimento sul piede di guerra di un numero imponente di divisioni dell'armata rossa nel periodo immediatamente successivo la fine della seconda guerra mondiale. L'imposizione dell'egemonia sovietica sull'Europa orientale (1945-48), l'appoggio ai comunisti cinesi (1946-49) e la guerra di Corea (1950-53), furono iniziative infatti che apparvero dominate dall'ansia di creare intorno al territorio nazionale una zona di rispetto o un terreno di manovra sul quale combattere l'eventuale guerra, risparmiando il territorio nazionale.
All'avanzata sovietica in Europa gli occidentali opposero la strategia del containment (la cui manifestazione più vistosa fu la creazione, nel 1949, della NATO), a cui i paesi del blocco orientale risposero con la costituzione del cosiddetto Patto di Varsavia. Alla dottrina del containment subentrò, con l'avvento dell'amministrazione Eisenhower (1953-60) e, soprattutto, di John Foster Dulles alla segreteria di stato americana, quella ben più aggressiva del roll-back , ossia l'intenzione di ricacciare indietro i russi dall'Europa centrorientale. Ma nessuno dei gravi eventi di quegli anni (né la rivolta di Berlino Est del 17-VI-1953, né quella ungherese dell'ottobre-novembre 1956) suscitarono il minimo intervento occidentale.

▪ La distensione. Con la morte di Stalin (1953) e con l'esplosione della prima bomba H sovietica, il divario strategico-militare e le componenti ideologiche alla base della G. iniziarono a variare. L'onerosità del processo di escalation negli armamenti nucleari implicò la necessità di trovare una qualche forma di coesistenza e di dialogo in grado di scongiurare una catastrofe nucleare, visto poi che la definitiva stabilizzazione politica all'interno dell'area occidentale e di quella orientale era ormai un dato di fatto. L'equilibrio del terrore e l'avvenuta stabilizzazione della situazione all'interno dei due blocchi, diventarono dunque due fattori di distensione, indirizzati alla ricerca di regole di pacifica convivenza. Questo naturalmente non significa che il processo di distensione si fosse svolto senza momenti di ritorno a situazioni di estrema tensione (il caso dell'abbattimento dell'aereo spia statunitense U2 sul territorio sovietico nel 1960 e la crisi di Cuba del 1962 ne sono chiari esempi), né che questo abbia eliminato le occasioni di scontro tra le due superpotenze (trasferiti in altre aree geopolitiche, in particolare nel Terzo Mondo).
Negli anni '60 d'altra parte, l'emergere sullo scenario internazionale di altri poli di rilevante peso politico, diplomatico ed economico (la Cina e la Comunità Economica Europea ne sono un esempio) contribuì a rendere più fluido il quadro dei rapporti internazionali, nonostante i due presupposti fondamentali restassero assolutamente in vigore: la conservazione cioè di un equilibrio strategico-militare tra i due blocchi e il mantenimento al di sotto del livello di guardia delle tensioni e del confronto indiretto sullo scacchiere del Terzo Mondo.
La situazione si modificò nel corso degli anni '80 dopo l'ascesa al potere in Unione Sovietica di M. Gorbačëv, con un'intensificazione dei negoziati ufficiali sul disarmo e un periodo di profondi cambiamenti all'interno dei paesi guidati da regimi socialisti. La nuova politica intrapresa e sostenuta da Gorbačëv ebbe come effetto imprevisto e largamente non voluto in entrambi i campi la dissoluzione dell'URSS nel 1991 e la conseguente disgregazione del blocco comunista, facendo venir meno il bipolarismo che aveva caratterizzato tutto il dopoguerra.


Gorbačëv, Michail Sergeevič

Politico russo (Privolnoe, Stavropol', 1931).

Principale artefice del passaggio storico che portò alla fine dell'URSS e alla nascita della Russia postcomunista. Di antica famiglia cosacca, laureato in legge, membro del partito comunista dal 1952, negli ultimi anni del regime staliniano sperimentò nella provincia di Stavropol' sistemi innovativi di organizzazione e gestione agricola. Nel 1970 fu eletto deputato al Soviet supremo; entrò poi nel comitato centrale (1971), nella segreteria (1978) e nel Politburo (1980) del PCUS. Alla morte di Breznev (1982), il successore Andropov gli affidò delicati incarichi di partito e importanti missioni all'estero; divenne il numero due del regime dopo l'avvento di Černenko, mettendosi in luce con prese di posizione a favore di profonde riforme interne, e, scomparso Černenko, salì alla carica di segretario generale del PCUS nel 1985. Senza indugi G. mise mano al ricambio della classe dirigente, al decentramento e alla liberalizzazione dell'economia e infine al processo di democratizzazione del sistema politico (1987). Glasnost'(trasparenza) e perestrojka (ristrutturazione) divennero i simboli verbali dell'impulso rinnovatore, che si manifestò anche nella vita culturale, nei mass media , con la liberazione di centinaia di dissidenti; tuttavia l'applicazione del programma di G. procedeva a rilento, incontrando resistenze a tutti i livelli. In politica estera G. assunse l'iniziativa del dialogo distensivo con gli Stati Uniti e nel 1986, nell'incontro di Reykjavik con il presidente statunitense Reagan, avanzò per primo la proposta che avrebbe portato nel 1991 all'eliminazione di tutte le armi nucleari tattiche. Oltre al miglioramento dei rapporti con la Cina, G. promosse un'azione politico-diplomatica diretta a disimpegnare l'Unione Sovietica dalla guerra in Afghanistan. Divenuto capo dello Stato in seguito alla riforma costituzionale del 1989, non pose ostacoli ai mutamenti istituzionali e politici in atto nell'Europa orientale, raggiungendo nel 1990 l'apice dei riconoscimenti: confermato segretario del PCUS e presidente della repubblica, insignito del Nobel per la pace. L'anno successivo, tuttavia, mentre l'URSS veniva ammessa al vertice dei paesi più industrializzati e riallacciava i rapporti con il Vaticano, nel paese in preda alla crisi economica e alle spinte centrifughe cresceva il malcontento. Abbandonato dai sostenitori più radicali della perestrojka , tra cui B. Eltsin, G. fu vittima (agosto 1991) di un golpe conservatore che, benché fallito, accelerò di fatto il processo di disgregazione dell'Unione Sovietica e la nascita della Comunità di Stati indipendenti (CSI). G., scomparso lo stato di cui era presidente, si dimise il 25 dicembre. Per alcuni anni nell'ombra, si presentò alle presidenziali russe del 1996 raccogliendo scarsi consensi.

Kennedy, John Fitzgerald

(Brookline, Boston, 1917-Dallas 1963).

Uomo politico statunitense, presidente degli Stati Uniti. Di origine irlandese, laureato in economia ad Harvard nel 1937, fu deputato al Congresso per i democratici dal 1946. Nel 1960 venne eletto, con minimo scarto, presidente degli Stati Uniti. In politica interna si mostrò particolarmente attento ai temi dell'assistenza sociale, dei pubblici servizi e dei diritti civili: avviò un vasto programma di riforme ('nuova frontiera') a favore delle fasce più povere della popolazione, sostenne la piena integrazione della comunità nera e la fine delle discriminazioni razziali. Contemporaneamente, promosse la riorganizzazione dell'esercito e varò un ambizioso programma di esplorazioni spaziali. Sul piano internazionale tentò di favorire il dialogo tra i blocchi. Tuttavia, nel 1962, agì con estrema decisione contro l'URSS per imporre il ritiro di basi missilistiche sovietiche in via di allestimento sull'isola di Cuba. Inoltre, nello stesso anno, con l'invio di truppe in Vietnam, decise di impegnare direttamente gli Stati Uniti contro i movimenti guerriglieri di ispirazione marxista costituitisi nel Sudest asiatico. Venne assassinato, in circostanze mai completamente chiarite. Gli succedette il vicepresidente L. Johnson.



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