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Età giulio-cladia




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Età giulio-cladia


Quando Augusto muore, nel 14 d.C., la città di Roma ha ormai acquisito la presenza stabile di una corte imperiale. Fino a qualche anno prima si poteva ancora parlare con il princeps, ammirarlo, magari scrivere per lui, però non era necessario vivere alla sua ombra. Quando una corte esiste, ben centralizzata e potente, è difficile che gli intellettuali di una città possano viverne lontano. Comunque, chi non sta a corte non ha speranza di raggiungere fama e prestigio, sa bene che non potrà essere 'letto': e questo, per uno scrittore, significa praticamente non esistere. Morto Augusto nel 14 d.C., gli successe Tiberio. Augusto lo aveva adottato e fu con lui che la stirpe degli Iuli, dopo aver perso tutti i suoi possibili discendenti e continuatori, confluì in quella dei Claudi. Tiberio era un uomo colto, che era stimato come oratore e aveva composto poesia alla maniera alessandrina. Ma col passare del tempo sviluppò anche delle strana manie, come quella che Svetonio chiamava historia fabularis: la storia mitica, fittizia. Invecchiando Tiberio diventò, secondo gli storici, crudele e vizioso. Nel 37 Tiberio succedette a Caligola, figlio di suo nipote Germanico, nonché suo stesso figlio adottivo. Fu un regno di breve durata: Caligola era un pazzo, ed il suo dominio divenne sempre più stravagante e dispotico. fu assassinato nel 41, ed accadde una cosa inattesa: come imperatore fu scelto Claudio, zio paterno di Caligola, un uomo balbuziente, appartato, che aveva fama di essere addirittura uno sciocco. In realtà era un uomo molto erudito, che aveva composto opere storiche sul periodo successivo alla morte di Cesare e, in greco, aveva scritto sugli Etruschi e sui Cartaginesi.

Nel 48 Claudio divorziò da Messalina, per infedeltà e sposò la giovane figlia di suo fratello, Agrippina, di cui adottò anche il figlio; quando Claudio morì si disse che era stata Agrippina ad avvelenarlo, per mettere sul trono suo figlio Nerone. Quando salì al trono, Nerone era giovanissimo, aveva solo sedici anni; sembrò avverarsi l'eterno sogno del principe perfetto, armonico, il cui spirito era governato dalla saggezza e il cui scopo nella vita era il bene dello Stato. Con Nerone, insomma, l'arte sale al potere sotto il vigile sguardo della filosofia.  Naturalmente il sogno durò poco. Nerone si stancò del suo ruolo di giovane e perfetto principe. Ripudiò la moglie Ottavia per sposare Poppea Sabina, e si diceva addirittura che fosse stato lui a procurare la morte dell'onnipresente madre ,Agrippina. Adesso Nerone si esibiva in continuazione nel circo e nel teatro: aveva capito che la popolarità non si trova seguendo i precetti della filosofia stoica, ma andando là dove esiste un pubblico, e cercando di restare il più possibile al centro della 'comunicazione'.

Mostrare se stesso, ecco quello che interessava Nerone. Si costruì una casa, la Domus Aurea, talmente grande, che un poeta satirico del tempo consigliò agli abitanti di Roma di sloggiare, perché la reggia stava diventando più grande della città e aveva ancora bisogno di spazio. Anche la letteratura aspirava a farsi 'visibile' e, per cercare il contatto immediato col pubblico, saltava la faticosa tappa della pubblicazione e della lettura personale per tornare a essere comunicazione orale. Come era stata all'inizio. La pericolosa congiura organizzata da un nobile aristocratico, Gaio Calpumio Pisone, finì nel sangue, e nel corso della repressione persero la vita anche Seneca, Lucano e Petronio. Ormai la fine era prossima Nerone si uccise. Gli anni del dominio Giulio-Claudio, a Roma, sono anni cupi e violenti caratterizzati dal vizio, dalla corruzione e malvagità dei potenti. Non possiamo certo pensare che in questi anni, a Roma, ci fossero solo delazioni e omicidi: sotto Tiberio le finanze dello Stato prosperarono e l'amministrazione  fu buona, Claudio conquistò la Britannia, Nerone concesse l'esenzione dalle tasse agli antichi centri di cultura. I morti però ci furono, molto numerosi. L'età Giulio-Claudia dette il meglio della propria cultura proprio nel suo momento più cupo: gli anni di Nerone. Seneca, Petronio e Lucano finirono la loro vita con il suicidio. Non avevano altra scelta; se non lo avessero fatto Nerone li avrebbe fatti giustiziare. Di questi tempi il suicidio era divenuto una sorta di privilegio. La loro visione dell'esistenza umana è drammatica, senza luce. E quando la luce c'è, come accade in Seneca filosofo, non è la luce brillante della vita e della speranza, ma quella fredda della rinuncia e dell'accettazione del male.

Ma, se è possibile, in Lucano c'è persino meno luce che in Seneca tragico. Il suo Bellum civile descrive un mondo governato dalla crudeltà, umana e divina; la retorica, che Lucano predilige sopra ogni altra forma di pensiero, lo spinge in continuazione a esasperare i contrasti e a congelare nel paradosso ogni possibile via d 'uscita. La speranza è morta, non si riesce neppure a parlarne. Per fortuna, si potrebbe dire, c'è Petronio; anche lui suicida.

Ma il suo romanzo, il Satyricon, sembra non essere stato scritto da una persona con un senso tragico della vita tale da indurla al suicidio. Petronio ha il dono dell'ironia, dal senso del buio e del male, si salva con l'incredibile capacità di mescolarsi, senza paura, alle cose del monda: non può resistere alla tentazione di raccontarle, tanto meno a quella di riderci senza farsene accorgere. Forse Petronio, per questo, è anche più grande di Seneca, che quando scrive aspira a distaccarsi il più possibile dal mondo reale. Comunque, a compensare la leggerezza ironica di Petronio ci sono pur sempre le satire di Persio. Che non sembra essere stato direttamente perseguitato da Nerone. Anche Persio ebbe del mondo e dell'umanità una visione molto amara, a volte cattiva, e spesso sembra che il genere satirico, nel passaggio da Orazio a Persio, si sia 'inacidito'. Naturalmente, così facendo Persio ebbe anche modo di esprimere giudizi molto appropriati sull'umanità, perché è pur vero che della vita fanno stabilmente parte anche il vizio e la depravazione.

Molte delle opere scritte in questi anni ebbero un'enorme influenza sulla cultura successiva. C'è qualcosa di molto più profondo dietro questo continuo sentenziare sulla vita e sugli uomini: il senso continuo del male e della morte. I filosofi e i poeti di questa età hanno saltato il muro, dalla vita si aspettano poco o nulla: per questo la giudicano.

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