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Età giolittiana
Il nuovo re d'Italia, Vittorio Emanuele III, chiamò al governo il giurista Zanardelli che però due anni dopo dovette ritirarsi perché ammalato. Quindi venne chiamato al governo Giovanni Giolitti. Egli comprese che l'unico modo per fermare i socialisti e placare il malcontento popolare era di permettere ai lavoratori di conquistarsi migliori condizioni di lavoro e di vita. Non represse quindi gli scioperi e favorì l'organizzazione di associazioni di lavoratori, allargò il suffragio e creò anche enti governativi in favore dei lavoratori e degli emigranti.
La cosiddetta età giolittiana coincise con un periodo di rapida crescita industriale, si sviluppò una moderna industria di fabbrica e migliorò anche la produzione agricola. Questi progressi portarono il paese, ad eccezione delle regioni del sud, a un certo grado di benessere, il clima sociale favorevole consentì a Giolitti di chiedere ai socialisti di appoggiare il suo governo.
Nonostante l'opposizione di parte dell'opinione pubblica, Giolitti volle una ripresa della politica coloniale allo scopo di includere l'Italia tra le nazioni che possedevano colonie sulle coste dell'Africa settentrionale. Gli italiani intervennero così in Tripolitania e Cirenaica, regioni che furono presto strappate alla Turchia e che costituirono la colonia italiana in Libia. Il teatro della guerra si allargò fino all'Egeo e l'Italia riuscì a conquistare Rodi e le isole del Dodecaneso.
Frattanto all'interno del paese Giolitti non esitava a ricorrere ai brogli elettorali e alla corruzione per mantenere il potere.
Egli cercò di assicurarsi l'appoggio dei cattolici, concludendo un accordo con Vincenzo Gentiloni, presidente dell'Unione elettorale cattolica. In base a questo accordo (patto Gentiloni), i cattolici si impegnavano a votare, nei collegi in cui si poteva temere la vittoria delle sinistre, per quei candidati liberali che si assumevano a loro volta l'impegno di sostenere alcune richieste dei cattolici. Pio X si decise a permettere questo passo in quanto la crescita dell'elettorato, dovuta all'estensione del suffragio del 1912, lasciava prevedere un grande rafforzamento dei socialisti.
Così Giolitti, che aveva iniziato il suo periodo di governo invitando i socialisti a collaborare con lui, lo concludeva alleandosi ai cattolici.
Di fronte a questo schieramento conservatore, nel partito socialista cominciarono a prevalere le tendenze rivoluzionarie e nel paese tornarono a accendersi i contrasti sociali.
Falliva così la politica sociale di Giolitti, che nel 1914 lasciava il governo al conservatore Antonio Salandra.
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