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Dirigismo economico
Sistema secondo il quale lo stato orienta la politica economica generale con interventi sia diretti che indiretti. È un sistema tipico dei regimi che caratterizzarono gli stati europei nella prima metà del 1900. in effetti essi miravano a una completa sottomissione allo stato dell'economia. Il governo non avevo solo il compito di stabilire gli obiettivi generali di carattere economico, ma era esso che stabiliva quando e secondo quali modalità era necessario attuare la produzione economica del paese. Non esistevano dunque semplici linee guida ma dei veri e propri indici economici da eseguire. Ciò nel breve periodo non poteva che portare a degli effetti strettamente positivi si pensi all'esempio dell'URSS che nel giro di due decenni crebbe sino a diventare tre volte tanto quella di paesi quale la Gran Bretagna. Tuttavia il dirigismo economico come d'altronde la maggior parte di quelle tendenze economiche che potremo definire "estremiste" ha comportato numerosi scompensi negativi; in effetti al dirigismo economico l'esperienza storica associa sempre il concetto di stato totalitario o per lo meno autoritario. Un completo controllo dell'economica così come prevede il concetto di dirigismo economico poteva e può essere attuato solo attraverso una stessa politica interna, non tanto repressiva, quanto totalitaria, cioè una politica che andasse ad influenzare per le maggior parte la vita quotidiana dei cittadini e di conseguenza di tutti i soggetti economici.
Esempio
Tipico esempio di dirigismo economico è certametn l'esempio sovietico. La Russia socialista, intendendo ricostruire l'economia nel più breve tempo possibile, si pose come obiettivo di medio termine la realizzazione di uno sviluppo economico graduale attraverso la crescita equilibrata di tutti i settori economici; fu tuttavia la vittoria di Stalin su Lev Trotzkij che portò a una politica di industrializzazione forzata. Tre erano i progetti politici ed economici, peraltro strettamente interrelati: la collettivizzazione del settore agricolo (a partire dal 1931), il controllo centralizzato dell'economia attraverso piani quinquennali (a partire dal 1929) e la neutralizzazione dell'opposizione mediante modifiche dei meccanismi politici (a partire dal 1926).
La collettivizzazione dell'agricoltura mirava a eliminare la dipendenza del settore industriale da quello agricolo e a determinare un sovrappiù di produzione agricola. La soppressione del mercato e la centralizzazione delle decisioni dovevano massimizzare le risorse destinate al processo di industrializzazione. L'egemonia del Partito comunista sulla vita politica, la messa al bando dell'opposizione interna al partito e la trasformazione del soviet, il consiglio degli operai, dei soldati e dei contadini, da organismo elettivo formalmente indipendente in organismo burocratico-amministrativo nominato dal partito, favorirono poi tali politiche di accumulazione.
Queste riforme produssero effetti eccezionali, trasformando l'intera struttura dell'economia in un periodo molto breve. Nel 1913, prima della rivoluzione bolscevica, il prodotto pro capite russo era paragonabile a quello della Romania e ammontava alla metà appena di quello inglese; il livello d'industrializzazione, rapportato alla consistenza numerica della popolazione, era paragonabile a quello esistente in Gran Bretagna un secolo prima. L'economia sovietica, che verso la fine degli anni Venti era più piccola di quella britannica, negli anni Settanta era divenuta di tre volte e mezzo più grande. L'efficienza, misurata dal prodotto pro capite, salì dal 50% della media europea nel 1929 al 75% nel 1950 e poi al 90% nel 1970. La direzione statale dell'economia determinò dunque un eccezionale incremento del tasso di accumulazione. La rapida industrializzazione fu la base che consentì all'Unione Sovietica di resistere all'invasione tedesca e di svolgere un ruolo determinante nella sconfitta del nazionalsocialismo negli anni Quaranta e, in seguito, di sostenere l'enorme peso della difesa dal dopoguerra agli anni Ottanta.
Sennonché, con l'eliminazione di tutti i processi democratici, né i sindacati né i soviet furono in grado di porre dei limiti collettivi agli interessi settoriali attivati dalla gestione centralizzata dell'economia sulla base dei piani quinquennali. Paradossalmente, fu proprio la gestione centralizzata a determinare lo sviluppo di logiche settoriali che erano incompatibili con una pianificazione efficiente.
Operando in condizione di monopolio, i produttori non avevano poi incentivi a soddisfare i cambiamenti delle esigenze dei consumatori o a migliorare la qualità dei propri prodotti; la conseguenza fu la sovrapproduzione di alcuni beni e la mancanza di altri. A questi squilibri a livello microeconomico si aggiunsero quelli registrati a livello macroeconomico. La centralizzazione delle decisioni politiche ed economiche riuscì effettivamente a superare alcune delle inadeguatezze delle economie di mercato (tra cui la disoccupazione di massa, la sottoutilizzazione delle risorse, la profonda sperequazione dei redditi e le ampie fluttuazioni nei cicli economici), ma lo fece in assenza di impegno popolare e di democrazia.
Dopo il 1945, quest'organizzazione politica ed economica fu esportata nell'Europa orientale, dove fu favorita la formazione di governi dominati dai partiti comunisti. L'interesse di Mosca era però strategico piuttosto che economico: mantenere un cordone sanitario contro un possibile attacco da parte del blocco occidentale.
l Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon), l'organizzazione dei paesi comunisti nata nel 1949 come risposta al piano Marshall e soppressa nel 1992, fu istituita proprio per sviluppare le economie nazionali e la cooperazione internazionale, nel tentativo di trasferire a livello transnazionale un modello di dirigismo economico. Inizialmente comprendeva la Repubblica democratica tedesca, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, l'Ungheria e l'URSS; vi aderirono in seguito Cuba e il Vietnam del Nord. Pur presentando notevoli differenze riguardo alla struttura economica, al livello di sviluppo e alle conoscenze tecnologiche, queste economie trassero vantaggi sostanziali dal commercio multilaterale e dagli aiuti reciproci. Mancava tuttavia un meccanismo per la determinazione dei vantaggi e per la distribuzione dei benefici derivanti dal commercio multilaterale, un fatto che, sommandosi all'assenza di un mezzo di pagamento perfettamente convertibile rese difficili, se non impossibili, le transazioni commerciali. Lo sviluppo economico, dunque, ebbe luogo senza tenere conto delle opportunità di specializzazione.
In altri contesti si generarono effetti ancora più disastrosi: il dirigismo economico, introdotto in Cambogia durante gli Settanta dai khmer rossi su ispirazione del maoismo, costò la vita a migliaia di persone, mentre la collettivizzazione dell'agricoltura in Etiopia fu considerata la responsabile delle drammatiche carestie che colpirono il paese negli anni Ottanta. La Iugoslavia sviluppò il proprio modello di socialismo caratterizzandolo invece con una parziale presenza del mercato e con la gestione autonoma dei lavoratori nell'ambito di imprese in concorrenza.
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