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Contestazione nell'antica Roma: la satira di Persio e Giovenale
Sebbene i metodi e i motivi fossero molto diversi da quelli esaminati nella contestazione del '68, anche nell'antica Roma vi furono forme di contestazione. Questa allora non era espressa tramite sit-in, occupazioni, manifestazioni. il genere preferito per questo scopo era la satira. Di ciò ora tratteremo in breve esaminando le figure di Persio e Giovenale.
PERSIO
Aulo Persio Flacco nacque a Volterra nel 34 a.C. e morì in una villa nei pressi di Roma nel 62. Di ricca famiglia equestre studiò a Roma con i migliori maestri di retorica e di filosofia. Fu allievo dello stoico Anneo Cornuto. Condusse una vita ritirata dedita agli studi; alla sua morte prematura fu Cornuto a curare la pubblicazione della sua opera: le Satire, la quale ottenne molto successo.
La coscienza, espressa da Orazio, della diversità della satura rispetto alla poesia di altro genere lo spinge a una serrata polemica contro la letteratura dei suoi tempi: nella satira prima egli conduce infatti un'aspra requisitoria contro la cultura contemporanea, deridendo la vanagloria dei poeti moderni e affermando l'inattendibilità dei giudizi critici sulle loro opere. Viene tra l'altro posta in ridicolo anche la moda delle recitationes, le pubbliche letture di poesia così care ai Romani del tempo. Lo scrittore intento a leggere è messo in ridicolo come un personaggio effeminato che seduce il suo pubblico provocando reazioni voluttuose e sensuali:quest'arte secondo Persio si colloca infatti allo stesso livello del godimento sessuale. L'arte è ridotta secondo lui a oggetto di piacere e intrattenimento, e risulta priva di qualsiasi consistenza morale. La massima squisitezza formale non è sufficiente, in assenza di contenuti adeguati. Dunque Persio, nella sua polemica contro la poesia contemporanea, in nome di una profonda e sentita istanza morale, pone in guardia dai rischi di una raffinatezza fine a se stessa, vuota di contenuti e intrinsecamente immorale.
Un altro testo importante per definire la concezione che Persio ha della propria poesia è la satira quinta. In essa l'autore fa intervenire il suo maestro, Cornuto, il quale si rivolge al poeta in questi termini:
" Verba togae sequeris iunctura callidus acri, ore teres modico, pallentis radere mores doctus et ingenuo culpam defigere ludo. Hinc trahe quae dicis, mensasque relinque Mycenis cum capite et pedibus, plebeiaque prandia noris."
"Tu segui il parlare della gente in toga, accorto nei nessi acuti, tornito nella tua voce misurata, esperto a incidere i costumi malsani e a inchiodare la colpa con uno scherzo fine. Prendi di ciò che scrivi: lascia a Micene le mense con sopra teste e piedi e occupati dei nostri pranzi plebei".
Affermando di voler seguire "il parlare della gente in toga", cioè la lingua dei cittadini romani, egli enuncia la sua scelta di adeguarsi al livello stilistico del sermo, sulle orme di Lucilio e Orazio. Se da un lato Persio sceglie infatti per le sua satira "una voce misurata"( os modicum, in contrasto con l'os magna sonaturum, "la voce capace di far risuonare le grandi cose", con cui si intendeva l'epos), dall'altro vuole che sia tres, ben rifinita. Egli non rinnega dunque la iunctura acris, ossia quella tendenza ad associare le parole in modo ardito e sorprendente che rende i suoi testi difficili e inconfondibili. Mentre nella prima satira Persio si ere limitato ad ancorare saldamente al verum gli argomenti e la funzione della satura, qui precisa che tale "realtà" è costituita dai mores. L'adesione al reale è quindi la scelta di una tematica quotidiana. I mores sono presi in considerazione non in generale, ma in quanto pallentes, "pallidi" per la malattia, cioè in quanto corrotti. Il compito del poeta satirico consiste in una sorta di intervento medico per curarli: strumento principale di questa operazione è l'ingenuus ludus, "lo scherzo non volgare" che permette di colpire a fondo il vizio.
GIOVENALE
Decimo Giunio Giovenale nacque probabilmente ad Aquino, nel Lazio, fra il 50 e il 60 d.C. ca. Marziale è l'unico fra i contemporanei che lo cita e lo descrive come intento alle umilianti occupazioni del cliente. Questo ci lasci intendere che la sua situazione economica e sociale non fosse molto elevata. Ebbe comunque un'ottima formazione retorica e si dedicò all'avvocatura e all'attività declamatoria. Scrisse sedici satire.
La sua attività poetica prosegue il filone tradizionale della satira rappresentato da Lucilio, Orazio e Persio. Giovenale riprende infatti quel tipico atteggiamento di critica verso la letteratura moderna attaccando le recitationes, viste come manifestazioni inutili e fatue. Svaluta la mitologia alla quale contrappone la verità della propria poesia. Il satirico critica la poetica contemporanea perchè caratterizzata dalla noiosa ripresa di motivi mitologici, prevedibili e scontati. In un'appassionante requisitoria nella quale ci aggredisce con un'ampia casistica di aberrazioni, delitti e scandali, conclude con l'affermazione che dinnanzi a un simile spettacolo "è difficile non scrivere satire".
La realtà è l'elemento più nuovo della concezione del poeta. Il verum è il quotidiano, privo di personaggi e situazioni straordinarie ed eccezionali. Ma Giovenale enfatizza gli eventi che riporta: casi mostruosi assumono una dimensione grandiosa e perversa che provoca sdegno. Di qui la famosa affermazione:
"Si natura negat, facit indignatio versum, qualecumque potest."
Se la natura lo nega, è l'indignazione a comporre versi, come può.
La fase più importante del feroce moralismo di Giovenale è appunto l'indignazio. Lo sdegno è ciò che il poeta spera di comunicare al lettore. Egli nasconde la sua individualità e si presenta nella veste generica e universale di un galantuomo infiammato da un'incontenibile sdegno. Giovenale conduce un'aspra requisitoria contro i principali aspetti della società e, da tradizionalista, ritiene troppo importante il costume degli antenati per essere messo a paragone con essi. Il mos maiorum è il metro costante con il quale misura la depravazione dei tempi moderni ma ad essi può solo alludere.
La figura della donna nel periodo ellenistico: Menandro e Apollonio Rodio
Il femminismo come abbiamo avuto modo di notare è esploso negli anni '60, ma la figura della donna ha da sempre affascinato scrittori e poeti di ogni tempo. Nel panorama della letteratura greca preso in esame quest'anno (l'età ellenistica), gli autori in cui ho riscontrato maggiormente l'importanza della figura femminile sono Menandro e Apollonio Rodio, anche se con valutazioni piuttosto differenti.
Menandro scrittore di commedie, oltre ad aver dato grande rilievo ai legami affettivi e alla famiglia, nelle sue opere ha liberato la figura femminile dai topoi dell'antica misoginia, dandole una dimensione nuova, in cui si evidenzia non solo la fondamentale importanza della donna nel mondo familiare, ma si esalta anche la finezza del suo intelletto, la delicatezza e la profondità dei suoi sentimenti; qualità che non vengono mai meno, neppure quando, a causa di una vita non sempre facile, la donna si trova relegata sui gradini più bassi della scala sociale, nella condizione di prostituta o schiava (ne è un esempio Criside protagonista della Samia).
Apollonio Rodio, scrittore del poema epico le Argonautiche, ci propone invece la figura di Medea, indiscussa protagonista dell'opera, quasi un eroina. Medea è infatti si oggetto, in quanto in realtà è un mezzo che gli dei offrono a Giasone per riuscire nell'impresa del vello d'oro, ma è anche forte soggettività: l'amore fra Giasone e Medea di cui ci parla Apollonio Rodio è , infatti, molto lontano dalla passione fugace o dal solido vincolo coniugale, che però non mettono minimamente in dubbio la predominanza dell'uomo sulla donna, tipico dell'epos omerico. Nella Argonautiche è Giasone che appare subordinato a Medea, coinvolto in un'esperienza amorosa in cui egli non è il soggetto, ma l'oggetto di una passione fortissima, di un amore per cui ella non esita di fronte ad alcuna prova . Medea si lascia totalmente travolgere da questo amore.
"Su di lui la fanciulla fissava obliquamente lo sguardo, scostato lo splendido velo, consumandosi di pena nel cuore; e come in sogno la sua mente volava via, trascinandosi sulle orme di lui che partiva. (.) Ma nel suo cuore si agitavano tutti i pensieri di cui gli amori spingono a preoccuparsi; davanti ai suoi occhi apparivano ancora tutti i particolari: egli stesso com'era, gli abiti che indossava, ciò che aveva detto, come sedeva sullo scranno, come si era diretto verso la porta, e riflettendo non le sembrò che esistesse un altro uomo come lui; nelle orecchie le risuonavano sempre le voce e le persuasive parole che aveva pronunciato. Tremava per lui, che non lo uccidessero i tori o anche lo stesso Eeta, e lo piangeva come già sicuramente morto; scorrevano sulle guance tenere lacrime di profondissima pietà e di sollecitudine".
BIBLIOGRAFIA
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N. Abbagnano G. Fornero Protagonisti e testi della filosofia vol. D ed. PARAVIA Milano 2000
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G. Garbarino Opera vol. 3 ed. PARAVIA Varese 2004
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R.Luperini P. Cataldi La scrittura e l'interpretazione vol. 3 tomo 2 ed. PALUMBO Firenze 2003
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