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COLONIALISMO
Il colonialismo si sviluppò a partire dal XV secolo, a seguito delle esplorazioni geografiche, e coinvolse soprattutto i territori asiatici e americani, fondando in Africa, in un primo tempo, solo delle stazioni commerciali (per l'approvvigionamento di oro, avorio e schiavi) e portuali, di supporto per le spedizioni marittime verso l'Asia. Nella prima fase, l'Europa occidentale, guidata da Spagna e Portogallo, attuò una politica espansionistica nelle Indie Orientali e in America centrale e meridionale. Nella seconda, la Gran Bretagna e la Francia guidarono l'espansione europea in America settentrionale, Asia, Africa e nel Pacifico.
Le colonie asiatiche
Edward Gibbon Wakefield Edward Gibbon Wakefield (1796-1862) promosse la colonizzazione di Australia e Nuova Zelanda, dove cercò di dar vita a comunità autosufficienti e ordinate, composte da persone appartenenti a tutti gli strati sociali. Le sue teorie sulla colonizzazione, però, non tennero nel debito conto né la presenza delle popolazioni indigene, né i problemi locali.Hulton Getty Picture Collection
I portoghesi, grazie alla stabilità politica interna, alla favorevole posizione geografica e alle esplorazioni marittime, verso la fine del XV secolo furono i primi ad avventurarsi oltre il capo di Buona Speranza. Interessati principalmente al controllo del commercio delle spezie, crearono stazioni commerciali e piazzeforti. Verso la fine del XVI secolo il predominio portoghese fu però minacciato da inglesi e olandesi, che stabilirono una fitta rete di scambi commerciali (vedi Compagnie delle Indie Orientali). Agli inizi del XIX secolo il sistema di stazioni commerciali si era trasformato in un controllo politico del territorio, che, amministrato inizialmente tramite le Compagnie, passò in seguito sotto il diretto controllo degli stati europei. Nel XIX secolo gli olandesi controllavano Giava, Sumatra, le Molucche e il Borneo meridionale; gli inglesi controllavano l'India, l'Australia, le Maldive, le Seychelles, la Tasmania e Ceylon, tolta agli olandesi; i francesi controllavano il sudest asiatico, fuso in un'unica colonia denominata Indocina francese.
Le colonie americane
Diversi sono i motivi che portarono alla colonizzazione delle Americhe: l'ansia di conoscenza di nuovi territori sui quali estendere il proprio dominio; il desiderio di accrescere la potenza personale e degli stati appropriandosi delle risorse naturali e dei metalli preziosi di cui si favoleggiava esistessero sterminati giacimenti (il famoso Eldorado spagnolo); la ricerca della libertà dalle persecuzioni religiose. Grazie a un massiccio flusso migratorio, la colonizzazione stanziale prevalse su quella basata sugli empori costieri e, una volta istituite, le colonie furono soggette a rapporti commerciali esclusivi con le rispettive madrepatrie in Europa. L'impero spagnolo fu il più vasto del Nuovo Mondo, estendendosi sulla maggior parte dell'America centrale e meridionale. I portoghesi si stabilirono in Brasile; inglesi e francesi si insediarono prevalentemente nell'America del Nord; gli olandesi occuparono piccole aree nell'America del Sud.
Il declino dei sistemi coloniali in America
Tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del secolo XIX gli imperi coloniali europei in America crollarono. Al Nord, le colonie britanniche si emanciparono dalla madrepatria con una guerra d'indipendenza che si concluse nel 1783 con la formazione degli Stati Uniti; la maggior parte delle colonie spagnole ottenne l'indipendenza attraverso una lotta decennale culminata nel 1825 con la cacciata definitiva delle truppe spagnole dal continente (vedi Guerre d'indipendenza latinoamericane). Il Brasile dichiarò la propria indipendenza dal Portogallo nel 1822; solo il Canada rimase sotto il dominio diretto britannico fino al 1867, quando ottenne lo status di dominion e una maggiore autonomia.
La Gran Bretagna restò tuttavia una grande potenza coloniale: oltre al controllo dell'India, mantenne a scopi strategici alcune delle colonie sottratte alla Francia durante le guerre napoleoniche.
LA SECONDA FASE DEL COLONIALISMO
Impero britannico Costituitosi a partire dal XVI secolo, in seguito alle grandi esplorazioni geografiche, quello britannico fu il più esteso impero coloniale. Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX raggiunse la sua massima potenza e i suoi territori erano sparsi per tutti i continenti
Durante la seconda metà del XIX secolo iniziò la seconda fase dell'espansione coloniale. La spinta venne sia dagli interessi europei già radicati nelle periferie degli imperi - come in Australia, dove i coloni erano penetrati sempre più profondamente nell'entroterra alla ricerca di terre coltivabili e di nuove risorse - sia dalle esigenze poste dallo sviluppo del sistema industriale, cioè quelle di trovare materie prime a buon mercato e sbocchi per le merci.
Le colonie africane
Spartizione dell'Africa L'occupazione dell'Africa da parte delle potenze europee inizia nel XV secolo; i portoghesi, per agevolare la rotta delle proprie navi per le Indie orientali, creano infatti diverse basi commerciali sulle coste occidentali e orientali del continente. Insieme con gli arabi, i portoghesi avviano anche la tratta negriera, che ha il suo apice nel XVII secolo, quando intervengono nella lucrosa attività anche gli spagnoli, gli inglesi e gli olandesi. Limitato per molto tempo alle coste, il dominio europeo si estende all'interno del continente a partire dalla fine del XVIII secolo, quando il commercio delle materie prime sostituisce quello degli schiavi. La cartina illustra la spartizione del continente africano tra le potenze europee sancita dalla conferenza di Berlino (1884-85). Alla vigilia della prima guerra mondiale l'Africa è interamente colonizzata, a eccezione della Liberia e dell'Etiopia; quest'ultima sarà conquistata dall'Italia nel 1936
Con l'abolizione della schiavitù si aprì il periodo del commercio cosiddetto 'legittimo', che da una parte vide l'esportazione di manufatti dai paesi industrializzati verso le colonie, dall'altra lo sfruttamento di risorse (minerali, legno, cotone ecc.) indispensabili alla produzione industriale. In questo periodo le postazioni commerciali stabilite nel corso dei secoli precedenti furono utilizzate dalle potenze coloniali come basi per la conquista militare dei territori interni e si andò definendo il sistema amministrativo coloniale.
In seguito al congresso di Berlino (1884-85) l'Africa fu suddivisa tra Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Portogallo (vedi Africa: L'imperialismo europeo). Nel 1914 la rete coloniale racchiudeva tutto il globo. Quello britannico era di gran lunga l'impero più più vasto, ma altri paesi - tra cui la Francia, il Belgio, la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone - erano diventati ragguardevoli potenze coloniali (vedi Imperi coloniali).
La fine del colonialismo
Conferenza dei leader africani, 1967 La conferenza dei capi di stato dell'Africa orientale e centrale - che si tenne nel dicembre 1967 a Kampala, Uganda - radunò alcune delle più rilevanti figure della scena politica africana postcoloniale. Diversi furono i destini politici dei leader ritratti in questa fotografia. Alcuni vennero rovesciati da colpi di stato; altri instaurarono regimi dittatoriali; pochi riuscirono ad affrontare con qualche successo gli enormi problemi ereditati dalla colonizzazione
Il crollo degli equilibri di potere in Europa e le due guerre mondiali nel XX secolo segnarono comunque la fine del colonialismo. La crescita di una coscienza nazionalista nelle colonie, il declino dell'influenza politica e militare europea, l'erosione delle giustificazioni morali che per secoli avevano sostenuto l'espansione coloniale contribuirono infine a una rapida decolonizzazione dopo il 1945.
LE CAUSE DEL COLONIALISMO
Le ragioni della corsa alle colonie sono molteplici e controverse. Per quanto riguarda la prima fase del fenomeno, quella avviatasi nel XV secolo in seguito alle grandi esplorazioni, i motivi sono vari: il prestigio delle monarchie e delle nazioni; la possibilità di impadronirsi, attraverso il controllo di territori vergini, di immense risorse; l'intento di diffondere la propria civiltà (le leggi, i costumi, la religione) tra popoli considerati 'selvaggi'.
Il colonialismo sviluppatosi alla fine del XIX secolo conservò alcune di queste istanze, ma vi prevalsero le motivazioni economiche e strategiche delle potenze europee e delle due nuove potenze internazionali, gli Stati Uniti e il Giappone. Per i paesi che stavano vivendo un grosso sviluppo industriale diventò infatti vitale proteggere i mercati interni dalla penetrazione di merci straniere e conquistare altri mercati per le proprie, costituendo aree di sottomissione prevalentemente economica.
Questa fu la spiegazione di molti studiosi marxisti e in particolare di Lenin, che definì il nuovo fenomeno colonialista con il termine imperialismo, inteso come la fase monopolistica del capitalismo. Secondo questi studiosi il colonialismo del XIX e XX secolo si spiegava con le dinamiche del mercato capitalista e con le esigenze di materie prime e di sbocchi per il proprio capitale eccedente. Altri spiegarono invece il fenomeno con motivazioni strategiche o diplomatiche, oltreché economiche. Sicuramente fu un complesso di ragioni - politiche, militari, economiche, culturali ecc. - ad agire nel processo storico che, nel corso di cinque secoli, segnò indelebilmente lo sviluppo di interi continenti.
GLI EFFETTI DEL COLONIALISMO
Culto del cargo A partire dalle esplorazioni geografiche del XV secolo, l'incontro tra gli europei e gli altri popoli del mondo - dettato soprattutto dalle politiche di sfruttamento di ogni tipo di risorsa, naturale o umana, che i nuovi territori offrivano - avvenne spesso in circostanze drammatiche e determinò, presso i popoli colonizzati, una disgregazione o una ristrutturazione dell'universo culturale e sociale tradizionale. Gli esiti culturali della colonizzazione sono particolarmente evidenti nel campo religioso. Infatti, l'arrivo degli europei occasionò la nascita di molti nuovi culti, prodotti dalla commistione di elementi delle religioni tradizionali e di quelle portate dai colonizzatori, in particolare il cristianesimo (si pensi ad esempio alla macumba, al candomblè, al vudù ecc.). A volte i nuovi culti risultarono invece dalla fusione di elementi più eterogenei. È il caso del 'culto del cargo', sviluppatosi agli inizi del XX secolo nell'area melanesiana; qui, al culto tradizionale degli antenati si unì quello per gli elementi della civiltà industriale, rappresentati dalle merci portate nelle colonie dalle navi mercantili. Nella pratica religiosa melanesiana entrarono così oggetti di consumo della vita quotidiana europea, ma soprattutto i simboli del mondo bianco, come monete, bandiere, immagini dei regnanti ecc.
Qualsiasi valutazione del colonialismo deve tenere conto del mutare delle circostanze storiche. Al giorno d'oggi esso è inaccettabile in quanto contrasta con i diritti dei popoli all'autodeterminazione. Questi diritti, tuttavia, solo di recente sono stati riconosciuti come universalmente applicabili. I costruttori di imperi del XIX secolo, infatti, erano spesso convinti che i popoli 'civilizzati' avessero la responsabilità morale di guidare i popoli 'arretrati' e di recare loro i frutti della cultura occidentale.
Neanche gli effetti del colonialismo sono univoci, sia per i colonizzatori sia per i colonizzati. È evidente che il possesso di un impero arrecò alle potenze coloniali numerosi benefici, tra cui opportunità di emigrazione, espansione del commercio, possibilità di accedere a risorse strategiche, profitti. Allo stesso tempo però i colonizzatori dovettero provvedere all'amministrazione, all'assistenza tecnica, alla difesa delle colonie.
Per chi lo subì, il colonialismo ebbe da una parte indiscutibili effetti negativi: i modi di vita tradizionali furono cancellati, le culture distrutte e interi popoli soggiogati o sterminati. Anche il bilancio economico e politico non è positivo, perché il colonialismo lasciò delle economie 'estravertite', che producevano ciò che non consumavano e consumavano ciò che non producevano, restando quindi totalmente dipendenti dal mercato estero ed esponendo i paesi che avevano appena raggiunto l'indipendenza a nuove forme di colonialismo, stavolta prettamente economiche. Inoltre lasciò degli stati autoritari, diretti da élite autocratiche, che non furono capaci o non vollero trasformare le istituzioni ereditate in senso democratico. D'altra parte, il contatto con la cultura europea portò ai popoli colonizzati indiscutibili benefici nel campo della sanità, dell'istruzione, dell'accesso alle nuove tecnologie.
bibliografia essenziale
Queste fonti forniscono ulteriori informazioni su Colonialismo.
Oggi il rapporto tra paesi ex colonizzatori ed ex colonizzati presenta ancora un notevole squilibrio a sfavore di questi ultimi, sprovvisti, tranne alcune eccezioni, di strutture politiche ed economiche adeguate. Gli effetti perversi ancora attivi del colonialismo (visibili ad esempio nella forte instabilità della gran parte dei paesi africani), insieme con quelli della mondializzazione dell'economia e dei conflitti in corso in molte regioni del mondo, continueranno a gravare per molti anni sui paesi ex coloniali, esponendoli al rischio di nuove politiche di conquista, forse meno cruente ma altrettanto devastanti di quelle attuate in passato dalle potenze europee.
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