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Sommario 1. Le tendenze demografiche dell'Europa: modalità e conseguenze; Le implicazioni economico-ambientali dell'invecchiamento demografico per lo scenario europeo.
Le tendenze demografiche dell'Europa: modalità e conseguenze.
Il calo recente della fecondità in Europa, dalla metà degli anni '60 ad oggi, è stato superiore ad ogni aspettativa, anche se ancora nei primi anni '60 la fecondità era ovunque tale da garantire il ricambio generazionale, pur se con margini diversi tra le varie realtà geografiche. Col trascorrere del tempo questo calo generalizzato della fecondità ha fatto sì che il valore di sostituzione[1] è stato superato enormemente.
Ciò ha comportato che l'Europa, insieme al decrescente andamento della fecondità, registrasse, anche, oltre ai livelli più bassi al mondo di fecondità, attualmente circa il 30% al dì sotto del livello di sostituzione, anche i valori di vita media tra i più elevati, secondi solo a quelli del Giappone.
Nonostante attualmente il motore delle trasformazioni demografiche sia rappresentato dalla fecondità[2], non meno importante è il fenomeno dei mutamenti nelle strutture per età dei vari paesi. (Vedi Prospetto 1).
L'invecchiamento demografico, da tenere distinto dall'invecchiamento individuale, è un processo secolare che riflette la storia della fecondità; esso è segnato dall'aumento relativo o assoluto delle persone di un certa età e, contemporaneamente, dalla diminuzione delle persone giovani.
È questo il fenomeno che porta, progressivamente, ad una inversione della piramide[3] dell'età, dove nella parte centrale si rappresenta la popolazione adulta che rimane costante, mentre invece la durata media della vita continua ad aumentare.
Il semplice esame della piramide dell'età della popolazione dei paesi dell'Europa dal 1930 al 1989, mostra come in 30 anni quest'ultima si sia deformata, in conseguenza, proprio, dell'andamento dei fenomeni demografici prima descritti. (Vedi grafico).
Infatti si nota come alla sua base si sia avuto un restringimento della fascia d'età compresa tra 0 e 15 anni, mentre alla sommità si è avuta un guadagno in termini di altezza e di larghezza della fascia d'età che va da 60 anni in su; è quest'ultima parte della piramide che ha subito il più consistente ripopolamento. Infatti sono i gruppi d'età estreme che hanno subito la più forte variazione a partire dal 1950: la diminuzione del numero delle persone con meno di 20 anni è passata dal 8% al 12%, mentre quelli con più di 60 anni sono aumentati dal 10 al 12%.
Per la fascia degli adulti, all'interno della quale si ritrova la parte di popolazione attiva (20 - 59 anni), abbiamo assistito ad un invecchiamento interno con una diminuzione relativamente al gruppo 20 - 39 anni ed un aumento per quello che ben presto si sarebbe ritirato dall'attività, ossia la fascia 40 -59 anni[4].
Gli effetti della vera rivoluzione si stanno manifestando nell'attuale fase storica, poiché nell'ultimo ventennio tutti i paesi europei hanno assistito ad una forte riduzione, assoluta e relativa, della popolazione con meno di 20 anni e, parallelamente, ad un forte aumento della popolazione con 60 anni e più. (Vedi tab. 1)
Tabella 1. Popolazione e strutture per età nella comunità europea. Variazioni reali fra il 1970 ed il 1990 e variazioni
attese fra il 1990 ed il 2010.
(valori assoluti in milioni di abitanti)
Classi di età |
Popol. 1970 |
Variazioni reali |
Popol. 1990 |
Variazioni attese |
Popol. 2010 | |
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Comunità europea (valori assoluti) |
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Totale |
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Fonte: Elaborazioni proprie su dati Onu (1991).
Nei prossimi vent'anni l'ulteriore consistente aumento della frazione di anziani e vecchi e l'ulteriore riduzione della frazione di bambini e giovani, provocherà un ulteriore fortissimo invecchiamento della popolazione, ben evidenziato nella tab. 2.
Al 2010, per la prima volta nella storia dell'umanità, in Europa il numero di persone con 60 anni e più risulterà essere ben superiore a quello con meno di 20; il primo paese in cui si avrà questo sorpasso sarà proprio il nostro, vista la velocità del processo di invecchiamento che ha caratterizzato la nostra popolazione.
Considerando la situazione della popolazione nel suo complesso, dal 1950 ad oggi, si nota come l'aumento più consistente in termini relativi, si sia verificato per gli ultraottantenni, mentre piccole variazioni hanno interessato le altre classi di età.
Tabella 2. Indici di vecchiaia per la popolazione della Comunità europea 1970-2010 (numero di persone con 60 anni e più per ogni 100 persone con meno di 20 anni)
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Comunità europea |
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Fonte: Elaborazioni proprie su dati Onu (1991).
Nell'Unione europea, invece, sempre in termini di importanza relativa, fra il 1950 ed il 1995 la popolazione di età 20-59 è rimasta piuttosto stabile (ad eccezione dell'Olanda dove è aumentata di 7 punti percentuali); al contrario le fasce di età estreme hanno subìto le modifiche più rilevanti: i giovani sono diminuiti di quasi 10 punti percentuali e i vecchi sono aumentati di circa 6.5 punti percentuali. Anche in questo caso la grande crescita ha riguardato i "grandi vecchi" (80+), la cui consistenza è quasi ovunque triplicata[5].
Volendo prendere per realizzabili le previsioni dell'ONU[6], in futuro tutti i paesi considerati saranno interessati da ulteriori diminuzioni delle fasce giovani e adulte, e da un aumento, a ritmi molto sostenuti, di quelle raffiguranti gli anziani, soprattutto per i paesi meridionali dell'Unione.
Negli ultimi anni nei paesi europei anche la popolazione in età lavorativa è aumentata di molto, sia in termini assoluti che relativi, arrivando a costituire il 55% del totale della popolazione.
Questa circostanza ha contribuito e contribuirà a creare variegati effetti: demograficamente attenua il calo della fecondità per alcuni anni; economicamente dovrebbe alimentare in misura massiccia il risparmio; dal punto di vista socio-economico attualmente tende a neutralizzare i contraccolpi dovuti all'eccessivo numero di pensionati sul sistema di sicurezza sociale.
Ma per capire le implicazioni di tale fenomeno, non è sufficiente ragionare solo in termini di proporzioni, tra giovani ed anziani, ma soprattutto di cercare di capire quali potranno essere le conseguenze di un tale rapporto che si verrebbe a creare nella popolazione[7]; è normale pensare al profilarsi di pericolosi squilibri e alla capacità o meno delle istituzioni di gestirli, vista la velocità delle stesse trasformazioni . Infatti in un breve arco di tempo nei paesi dell'Unione si è verificato un ribaltamento delle proporzioni tra giovani ed anziani: nel 1950 il 32.2% della popolazione aveva meno di 20 anni ed il 13.9% ne aveva più di 60, per cui i giovani eccedevano del 18.3% rispetto agli anziani; nel 2040 le due proporzioni si dovrebbero equivalere, e, nel 2040 il primo rapporto si dovrebbe perfettamente invertire . (Vedi Figura 1).
Dall'analisi delle figure 2 e 3 si evince che in tutti i paesi dell'Unione questo rapporto, previsto per il 2040, è differente tra loro, per cui in alcuni di essi lo scambio si avrebbe molto più tardi rispetto ad altri (entro quest'anno Grecia e Spagna, oltre che in Italia e Germania, mentre tutti gli altri lo rimanderebbero al 2008), ed inoltre gli scarti nei valori percentuali varierebbero da un minimo di 1.7% ad un massimo di 24 circa.
L'intensità e la velocità dell'invecchiamento variano molto in funzione dell'andamento della fecondità (fig. 1); infatti se essa dovesse registrare una ripresa, anche solo in alcuni paesi, lo scambio non avverrebbe nell'arco di tempo considerato, e negli altri il divario sarebbe meno netto. Se al contrario ci dovesse essere un'ulteriore contrazione nella fecondità, tale divario sarebbe nettissimo e soprattutto in Italia, Spagna, Germania, raggiungerebbe divari difficilmente sostenibili. La figura 2 mostra quanto maggiore sia stata e potrebbe essere la differenza nelle velocità di variazione tra questi due aspetti della popolazione in Italia[10], rispetto al complesso dell'Unione europea.
La dimostrazione del fatto che il vecchio continente, è veramente vecchio richiede che vengano prese in considerazione non solo le statistiche nazionali relative agli ultimi decenni e alla situazione attuale, ma anche le proiezioni per il prossimo primo quarto di secolo. Inizieremo da una serie di classificazioni per rango delle più importanti nazioni appartenenti al Consiglio d'Europa, ordinandole in base alla struttura per età che esse hanno registrato e che avranno per i prossimi decenni, a partire dagli anni '60 e fino al 2000. Il criterio che ci ha guidato è quello della proporzione di persone con più di 65 anni. La figura 3 mostra come negli ultimi dieci anni o più la popolazione del Regno Unito si sia sempre collocata al primo o secondo rango all'interno di questo gruppo di paesi demograficamente più anziani. Ma la tendenza attuale appare orientata, almeno fino ai primi anni del XXI sec., in senso discendente.
Una tendenza opposta caratterizza, invece, la popolazione italiana, che all'inizio del nuovo secolo si dovrebbe collocare al secondo posto, dopo aver occupato uno dei livelli più bassi negli anni '60. Le differenze sono però trascurabili e continueranno ad esserlo.
Le popolazioni che compaiono nella figura sono tutte raggruppate insieme in ognuno dei cinque anni scelti come date di riferimento.
Se non si tiene conto della Spagna, in nessun momento ci sono più di tre punti percentuali a dividere la nazione posta più in alto da quella posta più in basso.
I quattro paesi con popolazioni realmente consistenti - la Germania, la Francia, la Gran Bretagna e l'Italia, ognuna con oltre 50 milioni di abitanti - sono sempre racchiusi entro due punti percentuali.
Le cose cambiano sostanzialmente solo inserendo alcuni dei più piccoli tra i paesi membri del Consiglio d'Europa, come Cipro, Malta, insieme al caso anomalo della Turchia: così facendo, il valore più alto risulterebbe doppio, o anche più che doppio, rispetto a quello più basso di ogni decennio.
La popolazione della Turchia è piuttosto consistente, ammontando a 30 milioni di abitanti, ma il paese è l'unico membro del Consiglio d'Europa che non può essere definito sviluppato, certamente non sviluppato se paragonato ai paesi dell'Europa occidentale e settentrionale.
Con una proporzione estremamente modesta di persone al dì sopra di 65 anni di età, il caso turco serve a dimostrare la coincidenza, ancora più evidente, tra sviluppo economico ed età nelle varie popolazioni nazionali ed il forte invecchiamento dei paesi ad alta industrializzazione.
Infatti i paesi più industrializzati dell'Europa occidentale e settentrionale, a cui va aggiunta l'Italia nell'Europa meridionale, non registrano forti differenze tra loro, trovandosi tutti alla sommità della scala di anzianità.
Esistono, invece, contrasti molto netti tra le varie regioni del continente europeo e ulteriori contrasti con altre aree altamente industrializzate del mondo.
È evidente come il Regno Unito appartiene ad un continente in cui la proporzione di anziani è circa doppia rispetto alla media mondiale, e più in particolare ad una regione dell'Europa in cui la proporzione di anziani supera di due volte e mezzo tale media.
Almeno per ora la correlazione tra sviluppo economico ed età appare molto stretta; infatti anche se la popolazione degli Usa è un po' più giovane della popolazione europea, essa è chiaramente più vecchia di quella russa, il paese del "vecchio mondo" con il quale gli Usa vengono spesso confrontati.
Se guardiamo le stime per il XXI secolo, scopriamo che gli Usa invecchieranno più velocemente dell'Europa e i paesi meno sviluppati più velocemente di quelli più sviluppati.
Infatti circa 750 milioni di persone avranno, secondo le proiezioni, 65 o più anni nel 2025, ma solo il 30% di questi abiterà in paesi economicamente avanzati; il resto si troverà a vivere in paesi poveri.
Queste persone apparterranno a società che non possono permettersi di avere grandi proporzioni di anziani, a meno che invecchiamento demografico e ammontare delle risorse naturali non crescano simultaneamente.
La forte rappresentanza nella società europea della terza d'età mette le istituzioni di fronte al problema delle strutture e delle politiche necessarie a salvaguardare l'equilibrio delle risorse tra le generazioni vecchie e quelle future.
Questo fenomeno tocca, in modo diverso tutti gli stati europei, anche perché l'invecchiamento interno non è assolutamente privo di effetti sul piano economico e sociale. I bisogni di una fascia d'età e le esigenze della nuova generazione si contrappongono in modo molto preciso.
Bisogna sottolineare che attualmente l'Europa si trova di fronte ad una situazione nuova sia per la sua ampiezza che per la sua peculiarità, anche se per il momento la popolazione continua a crescere, la piramide ha subito delle grandi modifiche, tanto da far parlare di "implosione demografica".
Non bisogna dimenticare che attualmente tutti i paesi ricchi sono dei paesi "vecchi", proprio perché il grande invecchiamento demografico ben si coniuga con lo sviluppo economico avanzato e con la maturità economica e culturale di gran parte della popolazione stessa.
A questo punto possiamo porci alcune domande: quali sono le minacce effettive che queste tendenze demografiche possono avere sull'Europa?. La persistente bassa fecondità avrà delle conseguenze gravi sulla civilizzazione europea?
I demografi, della portata di Alfred Sauvy e Adolphe Landry, rispondono con le loro teorie, sostenendo che l'invecchiamento demografico contiene di per sé delle forti connotazioni peggiorative, per cui le conseguenze sull'economie sono allarmanti: diminuzione del gettito fiscale, riduzione della produzione, aumento del carico finanziario per lo Stato, diminuzione del risparmio e degli investimenti[11].
Queste analisi sono storicamente datate, ma ben altre sono le variabili che agiscono sull'economia di un paese "vecchio", la qualità e il rendimento della mano d'opera, la qualità degli individui, il loro livello di formazione, la mobilità, la capacità di inserimento e di cambiamento, la durata del lavoro, il ritmo dell'immigrazione e la ripartizione delle risorse a livello internazionale[12].
Implicazioni economiche ed ambientali dell' invecchiamento demografico.
È evidente come l'invecchiamento della popolazione influenzerà le strutture dell'economia dei paesi industrializzati, agendo sia sulla crescita economica stessa che sul benessere generale della società ed in particolare sul mercato del lavoro[13].
L'evoluzione del rapporto di dipendenza[14], persone attive lavorativamente/persone a carico, dipende da due tendenze socio-economiche già osservate nella maggior parte dei paesi dell'Unione, ossia la diminuzione del tasso di attività maschile, particolarmente marcato nelle fasce d'età più elevate, e, l'aumento del tasso di attività lavorativa femminile negli anni che vanno dai 25 ai 54 anni.
Questo calo nel tasso di popolazione attiva è molte forte in Francia, soprattutto per la popolazione che ha più di 55 anni.
Si tratta, contemporaneamente, della bassa congiuntura economica e dell'adozione di misure favorevoli al pensionamento anticipato che hanno contribuito a creare tale fenomeno, piuttosto che ad aumentare la produttività del lavoro stesso.
Inoltre l'invecchiamento interno di una popolazione attiva pone una serie di questioni in tema di flessibilità e mobilità sul mercato del lavoro e, di conseguenza, sull'influenza che ciò avrà sul dinamismo dell'economia.
Alcuni autori hanno più volte espresso la paura che questa proporzione crescente di lavoratori in età avanzata possa frenare la mobilità verticale e, dunque, la possibilità di promozioni professionali.
Sarà sicuramente la mobilità geografica a subire le conseguenze dell'invecchiamento demografico dei lavoratori; essa infatti tende a diminuire con l'età e la mano d'opera sarà sempre meno adeguabile alle nuove tecnologie.
È per tale motivo che tutti i paesi europei stanno predisponendo delle misure in grado di rendere appetibile ai lavoratori, anche in età, la formazione professionale, l'aggiornamento, il passaggio da un settore all'altro del lavoro, proprio per evitare l'eccessivo irrigidimento del mercato[15].
Se, infatti, è dubbio e talora contraddetto da esperienze concrete che il lavoratore maturo opponga resistenze psicologiche e operative all'introduzione di innovazioni tecnologiche ed abbia maggiori difficoltà nei relativi processi di riconversione professionale, è incontrovertibile che gli investimenti operati sui giovani lavoratori hanno tempi di ritorno più lunghi e più facilmente possono inserirsi in piani di riconversione a lungo termine.
Vi potrà essere dunque contraddizione da parte dei datori di lavoro che, presi da esigenza di innovazione tecnologica e invecchiamento della forza lavoro, tendono a liberarsi preferibilmente dei lavoratori più anziani, ricorrendo se possibile a forme di pensionamento anticipato o a forme previdenziali sostitutive fino a che non potranno intervenire i diritti pensionistici.
L'unico effetto positivo apportato dalla diminuzione della popolazione attiva potrà essere quello di far diminuire il tasso di disoccupazione laddove è molto alto e far aumentare il valore reale dei salari.
In conclusione possiamo dire che solo se la flessibilità riuscirà ad imporsi sulla rigidità, le prospettive per il lavoro potranno essere considerate positive.
A questo proposito, però, ci sono autori che smentiscono questo clima speranzoso sostenendo che non ci si possono attendere meccanici riequilibri tra domanda e offerta di lavoro a fronte delle future diminuzioni di quest'ultima per cause demografiche; il filtro dei variabili livelli di partecipazione e i divari qualitativi tra pretese dell'offerta ed esigenze della domanda potranno rendere assai difficile l'incontro e mantenere di conseguenza elevato il numero dei disoccupati e soprattutto di coloro che cercano una prima occupazione[16].
Vediamo innanzitutto quali sono dal punto di vista demografico i più importanti cambiamenti nelle caratteristiche della popolazione che le attuali dinamiche demografiche hanno fatto registrare nell'Europa in generale, intesi anche come modifica degli ambienti geografici.
La crescita demografica, ormai in quasi tutti i paesi europei, è prossima allo zero, mentre il numero delle persone che vivono in città è elevatissimo, in particolare nella parte centro-settentrionale dell'Europa.
Anche le migrazioni tra le stesse regioni europee sono rallentate, così come quelle interne ai singoli paesi; assume, invece, molta importanza la mobilità quotidiana, sia quella indotta dal decentramento residenziale, che quella prodotta dalla progressiva integrazione tra la rete urbana e quella metropolitana europea.
La contrazione delle classi più giovani e l'invecchiamento sono fenomeni che hanno perso la loro connotazione prettamente urbana che li distingueva un tempo; si può dire che il fenomeno dell'invecchiamento, associato ad una minore propensione alla mobilità, si verifica all'interno dello spazio urbano a seconda dell'evoluzione del sistema: si accentua nei centri in declino, compare nell'hinterland nella fase della suburbanizzazione.
Probabilmente è un fenomeno su cui prima non ci eravamo soffermati, ma è evidente come l'evoluzione demografica riproduca i suoi effetti anche sui sistemi urbani; infatti il declino urbano[17] si verifica laddove si perde popolazione, con tutte le conseguenze a ciò collegate.
Questo meccanismo di selezione delle aree urbane anche da parte dei fenomeni demografici impone un' accurata individuazione dei problemi delle singole aree.
La concentrazione di persone anziane sole nei centri delle città ha portato allo sviluppo di iniziative mirate a rendere la loro vita più agevole in questi stessi centri. Le esperienze vanno dalla realizzazione di sistemi informativi sulle condizioni di vita degli anziani residenti nelle città (Svezia), a programmi di coinvolgimento nelle decisioni della politica locale (Norvegia). Queste iniziative non sono esclusivamente pubbliche, ma in alcuni casi prevedono la partecipazione di istituzioni private.
Come già visto per le strutture per età, anche le famiglie di anziani si ritrovano nei piccoli centri delle realtà più emarginate, non solo come conseguenza dei deflussi per emigrazione, ma anche per effetto dei "ritorni" degli emigrati e dei pensionati, tutti fenomeni che contribuiscono a rendere queste aree demograficamente precarie.
I problemi emergenti in questa fase demografica sono soprattutto di ristrutturazione ed adeguamento degli spazi dell'intero sistema urbano alle mutate esigenze della popolazione. Si tratta non solo di rivitalizzare il centro, ma di adeguare tutti i servizi alle mutate esigenze della popolazione, per cui si rende improcrastinabile la revisione della rete dei trasporti pubblici, la dislocazione dei servizi essenziali, ma soprattutto la rivalutazione delle periferie per evitare fenomeni esasperati di emarginazione sociale.
Infatti, specie in Europa, ed in particolare in Italia, questi processi demografici, crollo della fecondità ed intenso e veloce invecchiamento, si registrano soprattutto in larghe fasce di popolazione residenti in collina o in alta montagna, che nei paesi di antico popolamento non sono ambienti naturali, ma fortemente antropizzati e, che della cura dell'uomo si sono avvalsi per molti secoli.
In prospettiva questi rappresentano, per la dimensione più geografica del fenomeno, aspetti potenzialmente negativi e dirompenti per il tessuto umano. Questo potrebbe significare, per alcune zone, l'abbandono e il rischio reale della scomparsa degli insediamenti di intere comunità, non reintegrate nemmeno dalle immigrazioni, come invece succede per le zone di pianura e di città[18].
Il livello di sostituzione è assicurato da un valore di fecondità pari a circa 2.1, che consente ad una coppia di genitori di essere "rimpiazzata" dai figli procreati e quindi ad una popolazione di essere a "crescita zero".
L'andamento di questa variabile si sta omologando nei paesi europei; nel 1950-55 in Olanda, Portogallo e Irlanda si avevano in media ancora più di tre figli per donna, mentre il Lussemburgo era già sceso di poco al dì sotto del livello di sostituzione. Negli ultimi quarant'anni, una rapida discesa nei paesi a fecondità più alta ed una meno rapida in quelli a fecondità media ha sì determinato una riduzione del campo di variazione, ma anche valori di fecondità di 1.1 - 1.3 figli per donna possono essere considerati di "allarme demografico" se dovessero prolungarsi nel medio-lungo periodo.
A proposito vedi: IRP, Aspetti e problemi dell'invecchiamento della popolazione, Roma, 1997.
La struttura di una popolazione per classi d'età può essere analizzata secondo vari caratteri che si riferiscono al sesso, alla condizione economica, alla localizzazione territoriale, ecc. degli individui che la compongono.Tali strutture vengono raffigurate in genere con una rappresentazione grafica molto usata in demografia. Essa consiste nel comporre due istogrammi (uno per sesso) in simmetria speculare, nei quali poniamo in ordinata le età ed in ascissa la numerosità della popolazione, ottenendo un figura comunemente nota come "piramide delle età" o della popolazione. Per la sua costruzione consideriamo che la base di ogni rettangolo dell'istogramma sia data dalla classe d'età e che la sua altezza sia rappresentata dal numero di individui corrispondenti. Se la base è la stessa per tutti i rettangoli, ossia se l'ampiezza delle classi d'età è costante, l'altezza di ogni rettangolo si può far dipendere dalla numerosità di individui compresi in ciascuna classe d'età. Al contrario, se le classi d'età non hanno uguale ampiezza, l'altezza dei rettangoli rappresenta la numerosità media di popolazione in ogni punto della classe d'età, dato che esso risulta dal quoziente della superficie (numero totale degli individui) per la base del rettangolo che è poi l'estensione della classe d'età.
Cfr., L. Petrioli, Demografia, fatti e metodi di studio della popolazione, FrancoAngeli, 1998, p. 42 e ss.
M. M. Gervais Aguer, Le veillesement demographique europeen: ampleur et manifestations, implications socio-economiques et principaux defis. Cas de la France et de l'Italie, in L. Di Comite, Invecchiamento della popolazione e transizione demografica, op. cit. p. 104 ss.
"L'invecchiamento si traduce però anche in un "super invecchiamento", cioè un aumento della proporzione di persone molto anziane in seno alla popolazione anziana. Dal 1950, infatti, la proporzione di persone di 80 anni e oltre si è moltiplicata da due a tre volte nella maggior parte dei paesi (aumento da 100 a 200 per cento), mentre, nello stesso tempo, la proporzione di persone dai 60 agli 80 anni aumentava raramente di più del 50%.Attualmente più di una persona anziana su sei ha più di 80 anni nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale e settentrionale. Nell'Europa meridionale e orientale, l'aumento della proporzione di persone d'età superiore agli 80 anni è stato altrettanto marcato, ma poiché le proporzioni iniziali, verso il 1950, erano nell'iniseme più deboli, questo fenomeno di "superinvecchiamento" non ha oggi la stessa entità: fra le persone anziane, non c'è n'è una su sei, ma una su otto, e anche una su dieci, che abbia superato gli 80 anni, in queste due regioni dell'Europa.
Cfr., A. Monnier, La situazione demografica dell'Europa, in Famiglia, figli e società, AA.VV, Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, p. 60 ss.
Per il futuro l'ONU ha previsto tre scenari, ipotizzando in tutti i casi, migrazioni e mortalità decrescenti, cui sono associati diversi andamenti della fecondità. Se si considera una leggera ripresa della fecondità totale dei Ps, tutti i paesi assicureranno la crescita zero della popolazione, ma questi sono possibili scenari, per cui ciò significa che solo "se"."allora".
Cfr., AA.VV., I caratteri dell'evoluzione demografica, nota 2, in Aspetti e problemi dell'invecchiamento della popolazione, op. cit.. p. 20.
Un importante punto di riferimento per la comprensione della valutazione multidimensionale dell'aspetto "invecchiamento" della popolazione è quello relativo al modello dell'Organizzazione Mondiale della sanità, che identifica alcune fasi della vita di un anziano che potrebbero avere grosse ripercussioni sul sistema sanitario mondiale: menomazione, intesa come qualsiasi forma di perdita o di anomalia anatomica, fisiologica o psicologica; disabilità come riduzione o perdita della capacità funzionale di svolgere le normali attività di vita quotidiana; infine l'Handicap ossia uno svantaggio, più o meno forte, nei confronti dei soggetti nello svolgimento del proprio ruolo sociale.
Cfr., World Health Organizations, International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, World Health Organization, Ginevra, 1980.
Le modificazioni della struttura della popolazione hanno determinato una riflessione rispetto alle strategie socio-assistenziali e alla programmazione dei servizi. La legislazione nazionale, a questo proposito, ha delineato un quadro di risposte e di offerte sanitarie ponendo sullo stesso piano l'analisi epidemiologica e l'organizzazione dei servizi socio-sanitari per la popolazione anziana. Il Parlamento nel 1992 ha predisposto il progetto obiettivo e le linee guide per la tutela della salute degli anziani. Tutta la materia è poi stata sistematizzata all'interno del piano sanitario Nazionale 1994-96. La finalità di questo progetto obiettivo è il mantenimento e il recupero delle situazioni di autosufficienza rispetto ai rischi di compromissione definiti dall'OMS.
Cfr., L. Ferrari, L'anziano e i servizi socio-sanitari, in Gli scenari dell'invecchiamento, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 159.
La velocità con la quale si dovrebbe verificare tale cambiamento dovrebbero essere maggiori in Italia e Spagna, dove nel 2040 i vecchi dovrebbero essere il 31% delle rispettive popolazioni, con eccedenze sui giovani di circa 23 punti
In merito a questa problematica l'Italia si distingue dal resto dei paesi europei non solo in quanto paese a forte invecchiamento, ma anche per le caratteristiche territoriali di tale processo. Il classico dualismo economico Nord-Sud si ripropone in campo demografico, dato che nelle regioni settentrionali si registrano valori del tasso di fecondità totale più bassi, e percentuali di anziani più elevate che in quelle meridionali.In generale, le regioni del Centro-Nord presentano una percentuale di anziani superiore a quella media nazionale, mentre quelle meridionali registrano tali valori molto al dì sotto di tale media. Non solo gli anziani si distribuiscono in modo differenziato sul territorio, ma anche la loro composizione per sesso varia fortemente da regione a regione. Notoriamente, anziani e vecchi sono soprattutto donne, tuttavia nel 1991 si spaziava dalle 132 ultrasessantacinquenni ogni 100 maschi di tale età della Basilicata, alle 213 della Lombardia.
Cfr., Problemi e prospettive per la popolazione in Italia, in Aspetti e problemi dell'invecchiamento della popolazione, op. cit. p. 45.
La dinamica della popolazione influenza la formazione del risparmio considerato sia nell'ambito dell'economia familiare, ciò che implica decisioni e comportamenti dei singoli individui, sia del sistema economico nel suo complesso, implicando quindi il comportamento e l'azione dei governi.
A questo proposito, è particolarmente rilevante il rapporto tra popolazione in età improduttiva e in età produttiva. Variazione della distribuzione per età determinano un cambiamento nello stato di dipendenza, ovvero nel numero delle persone che non partecipano al processo produttivo, e modificando la distribuzione del reddito tra consumo e risparmio.
Cfr., R. Guarini, Demografia ed economia, in Demografia, op. cit. p. 252 ss.
A proposito vedi: M.M. Gervais, Impact èconomique du troisiéme age et son eventuelle exclusion de la societè, Actes du deuxiéme colloque Europèen sur les droits et protections des personnes agèes, Bruxelles, 24 et 25 septembre, 1992.
Cfr., R. P. Hagemann, e G. Nicoletti, Les Effets économiques du veillesement démographique, in Revue économique de l'OECDE, 1989.
L'indice di dipendenza misura il rapporto della popolazione di età 0-14 e oltre sessant'anni con la popolazione di età 15-59, moltiplicato per 1000. Questo indice esprime il rapporto tra popolazione dipendente e popolazione attiva.
Degli studi americani hanno dimostrato che la mano d'opera più vecchia e con più esperienza può far risalire la produttività globale del lavoro, ma ciò è valido solo se la stessa mano d'opera si adatta ai nuovi sistemi di produzione.
Cfr., J. Le Dem e F Lerais, où va la productivité du travail ? une comparaison entre les pays industriels, Economie et Statistique, n° 237, 238, p. 49 ss, nov-dec, 1990.
Cfr., G. Tapinos, La France dans deux generations, in Population et sociètè dans le premier tiers du XXI siécle, Paris, Fayard, 1992.
La definizione di declino urbano adottata dalla Ce è la seguente: il problema del declino urbano nelle grandi città metropolitane è caratterizzato dalla perdita di popolazione e di occupazione nel centro e/o nell'intera area metropolitana. E' definito come la concentrazione spaziale di problemi economici, sociali, ed ambientali come alti livelli di disoccupazione e povertà, deterioramento del patrimonio abitativo, degrado delle infrastrutture urbane.
".l'ultimo censimento a Castiglion d'Orcia registra 2. 530 residenti (solo venta'anni fa erano il doppio), di cui quasi la metà, 1.075, ultrasessantenni. Un record nazionale. Un'anticipazione vera di quella che il ragioniere dello stato, Andrea Monorchio, martedì 28 marzo davanti alla Commissione bilancio della Camera ha definito un'"ecatombe demografica" che grava sul nostro futuro. una società che invecchia a questi ritmi modifica rapidamente i suoi connotati. Per esempio nei servizi pubblici. A Castiglion d'Orcia sono rimaste solo due delle otto scuole elementari della zone; la media, per evitare la chiusura è stata trasferita in una frazione accanto. La stessa sorte è toccata agli uffici postali,.il medico condotto del paese apre lo studio qualche ora a settimana. Una società che invecchia, senza ricambio, può sparire. "Castiglione d'Orcia è diventato un comune a rischio" confessa il sindaco Giuliano Simonetti. "Se non riusciamo ad invertire la tendenza, semplicemente, tra una ventina d'anni non ci saremo più. I segnali non sono incoraggianti, i giovani emigrano.Per invertire la tendenza l'amministrazione comunale punta sullo sviluppo dell'economia locale, artigianato, turismo ed agricoltura. Ma se i giovani lasciano con poca nostalgia una terra priva di futuro, in compenso anche qui arrivano gli immigrati. Una ragazza somala è considerata la più brava infermiera del paese, e il forno del paese è ritornato in attività nelle mani di un albanese.".
Cfr., A. Galdo, Benvenuto a nonno city, articolo pubblicato su Panorama del 13 aprile 2000.
Appunti su: evoluzione eta media dal 1950, piramide delle etC3A0 nei paesi europei, |
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