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Introduzione - il carcero
Il carcere può essere definito come il luogo di residenza di gruppi di persone, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, che «si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato» .
Molti sono stati i sociologi che hanno condotto studi sulla comunità carceraria, magari attraverso una ricerca sul campo o intervistando detenuti e operatori del carcere. Tutti gli studi hanno evidenziato il carattere inglobante della struttura carceraria, le sue caratteristiche, il modo con cui una forte burocrazia influisce sulla struttura psichica dei reclusi, ma anche l'assenza di affetti familiari, il tempo, lo spazio, l'ambiente; studi portati avanti con una certa neutralità scientifica. Questo lavoro, invece, guarda alla comunità carceraria da un altro punto di vista: quello dell'individuo detenuto.
Prima di andare oltre è necessario soffermarsi sul termine «comunità». «Nelle scienze sociali il termine è usato in due significati: nella sociologia classica é un concetto fondativo e si riferisce a strutture di relazioni molto coinvolgenti per l'individuo, immaginate come naturali e caratteristiche della società tradizionale» [.]; «nella sociologia contemporanea, comunità è invece spesso sinonimo di comunità locale» . Negli anni il concetto ha assunto significati differenti e di non facile definizione. In questa sede per «comunità» si intende semplicemente un tipo di collettività «i cui membri condividono un'area territoriale come base di operazioni per le attività giornaliere» , per cui i valori, le regole, le sanzioni, che saranno analizzati, hanno un senso solo nell'ambito della struttura carceraria.
Sono in carcere da oltre tredici anni e la lunga permanenza mi permette di dare una visione particolare di quella che è la pratica della vita carceraria, nel senso che, essendo detenuto, anch'io ho subito nel corso degli anni l'influenza dei valori e delle norme regolanti la comunità. Lo farò attraverso un'analisi, il più possibile obiettiva, di tali norme: sono norme informali o implicite riconosciute da tutti, quindi legittime, le quali, come tutte le norme, provocano devianza se vengono trasgredite. Molte di esse provengono dalla società civile, come quelle di buone educazione, ma anche dalla subcultura delinquenziale, soprattutto mafiosa, ma tutte hanno avuto nel tempo un riconoscimento comunitario. Insieme alle regole, si analizzerà anche il potere, come è cambiato nel tempo, quali conseguenze ha sulla personalità dell'individuo recluso, chi è il detentore legittimo, ecc.
Il primo capitolo, partendo dal concetto di "valore" e passando per quelli di "norma" e "potere", è una veloce rivisitazione delle varie teorie che nel corso degli anni hanno cercato di spiegare la devianza nella società civile: dalla teoria della tensione a quella della costruzione sociale, dalla teoria biologica a quella della scelta razionale, dalla teoria della subcultura a quella dell'etichettamento. È indispensabile rivisitare tutte le varie teorie in quanto, come vedremo, la comunità carceraria riflette esattamente la società civile e alcune teorie valgono anche per spiegare la "devianza tra i devianti" che sarà analizzata nel terzo e ultimo capitolo.
Nel secondo capitolo "la pratica della vita carceraria" saranno analizzate alcune regole fondamentali del vivere quotidiano. Tali norme hanno una profonda influenza sul processo che Clemmer ha chiamato "prigionizzazione" , più di quanto lo sia la struttura carceraria in sé e la sua burocrazia. La limitazione degli spazi permette il controllo del territorio e dei comportamenti individuali da parte dei gruppi primari, ossia quei gruppi "esperti" che impongono i dogmi della cultura carceraria. Gli esempi pratici riportati serviranno a comprendere meglio tale processo e quali sono i detenuti che lo interiorizzano meno degli altri, magari utilizzando strategie personali al fine di non subire forti modificazioni del sé.
In carcere i luoghi e lo spazio sono molto ristretti, per cui i reclusi sono in contatto diretto quotidianamente. Ciò costringe all'uso di un linguaggio identico per tutti: le parole infame, indegno, guardia, rispetto, Cristiano, vaglione, conserva, casansa, sbagliare, errare, blindo, processo, libertà, ecc., sono di uso corrente, utilizzati pedantemente, come sono identici il modo di camminare all'aria, ma anche la gestualità, il tono della voce, gli sguardi.
Si vedrà anche che la "forza generatrice" delle regole è il rispetto dell'individuo, ma il concetto ha assunto nel tempo un significato un po' diverso, fino a mettere in discussione perfino il suo significato morale originale.
Infine si avverte un cambiamento di mentalità tra i reclusi; ciò è dovuto non soltanto a fattori istituzionali, come la nuova legislazione sui pentiti o la legge Simeone, ma anche al cambiamento generazionale e alla presenza di un alto grado di individualismo che rischia di mettere in pericolo la coesione ai vecchi valori della subcultura carceraria. Con ciò non si intende difendere un certo regime piuttosto che un altro, ma, guardando la realtà e vivendola, si vuole mettere in luce e analizzare il periodo di transizione che la comunità carceraria sta attraversando, un periodo in cui sembrano svanire vecchi valori legati alla cultura mafiosa, grazie anche, e non solo, alla comunicazione informale. Tali valori sono ancora molto radicati al sud dove la cultura mafiosa è ancora molto sentita, ma anche qui sta perdendo l'enfasi con cui si era presentata ed è difficile trovare nuovi "affiliati" in quanto "la mafia non paga più". Di conseguenza i gruppi all'interno del carcere sono meno coesi, a volte quasi inesistenti, e questo comporta un maggiore individualismo ed una maggiore razionalità nel valutare costi e benefici. L'inasprimento delle pene da un lato, che ha uno scopo deterrente, e la maggiore possibilità di benefici istituzionali (permessi premi e misure alternative) dall'altro, che funge da stimolo alle false delazioni, hanno avuto un ruolo determinante nelle scelte dell'individuo (anche se non si può generalizzare), il quale ha sempre cercato la strada più corta per raggiungere la libertà. Non si può tralasciare il fatto che la minaccia delle sanzioni e della forza, «pugno invisibile [.] che regola la maggior parte dell'attività del recluso» , da parte della comunità è meno sentita che in passato, perciò la sua forza deterrente è minore rispetto a quella dimostrata dalle sanzioni amministrative e penali. Tutti questi aspetti saranno presi in considerazione e analizzati nelle conclusioni di questo lavoro, mettendo a confronto, il più obiettivamente possibile, il vecchio e il nuovo regime. Naturalmente tali considerazioni sono basate esclusivamente sulla mia esperienza carceraria e, a mio avviso, potrebbero rappresentare un imput importante per uno studio più approfondito da parte di esperti di scienze sociali della devianza.
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