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AppuntiMania.com » Umanistiche » Appunti di Letteratura italiano » Ungaretti "i fiumi"

Ungaretti "i fiumi"




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UNGARETTI:

Vita:

Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi ;trascorre in Africa il periodo dell'infanzia e dell'adolescenza. Nel 1912 si trasferisce a Parigi, ove prende contatto con figure importanti della cultura indigena e con alcuni scrittori italiani di casa in quelle terre. Tornato in Italia nel 1914, si abilita all'insegnamento del francese e di lì a poco parte per la guerra, soldato semplice di fanteria: un'esperienza, quella della trincea, destinata a riverberarsi con forza nei suoi componimenti.
Nel 1917 esce la sua prima raccolta poetica, 'Il porto sepolto', con una limitatissima tiratura; segue, nel 1919, 'Allegria di naufragi'. Dopo aver lavorato quale corrispondente da Parigi del 'Popolo d'Italia', nel 1933 pubblica 'Sentimento del tempo', forse l'opera sua più conosciuta.
Nel 1936 si stabilisce in Brasile, rivestendo per alcuni anni il ruolo di docente universitario, e nel 1939, a nove anni d'età, gli muore il figlio Antonietto: da questa dolorosa esperienza, nasceranno le liriche de 'Il dolore' (1947). 
Nel '42 è nuovamente in Italia, ove ottiene la cattedra di letteratura moderna e contemporanea all'Università di Roma. In seguito, egli licenzia le raccolte de 'La terra promessa' (1950), 'Un grido e paesaggi' (1952), 'Il taccuino del vecchio' (1960); nel '61, appare il volume di prose 'Il deserto e dopo'. Successivamente alla sua scomparsa, avvenuta a Milano nel 1970, viene data alle stampe la raccolta postuma 'Saggi e interventi' (1974).

"i fiumi"

Mi tengo a quest'albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un'urna d'acqua
e come una reliquia

ho riposato


L'Isonzo scorrendo                 mi levigava

come un suo sasso

Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino

mi sono chinato a ricevere
il sole


Questo è l'Isonzo                 E qui meglio

mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere dell'inconsapevolezza
nelle estese pianure


Questa è la Senna
e in quel torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell'Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch'è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre.



"veglia"

Un'intera nottata

Buttato vicino

AD un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d'amore


Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita


"fratelli"

Di che reggimento siete

fratelli?


Parola tremante

nella notte


Foglia appena nata


Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli


"sono una creatura"

Come questa pietra
Del S.Michele
Così fredda
Così prosciugata
Così refrattaria
Così totalmente
Disanimata
Come questa pietra
E' il mio pianto che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

"soldati"

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.



SAFFO:

vita:

Vissuta nel VII sec. Nell'isola di Lesbo, dove fondo un collegio per sole ragazze aristocratiche, Saffo è, nel mondo greco dominato da un'ottica rigidamente maschile, una donna che s'impone per le capacità d'insegnante e d'artista. La sua poesia è piena di soggettività: vi domina, l'io che esalta la validità delle proprie scelte con forza e intensità espressive rimaste insuperate.

"A me pare uguale agli dei"

Saffo dà voce a tutte le sfumature dei sentimenti che si accompagnano al manifestarsi dell'amore.




  "a me pare uguale agli dei"                           "parafrasi"

A me pare uguale agli dèi
chi a te davanti

e vicino,il dolce suono

ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
non esce e la lingua si spezza.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle
gli occhi più non vedono,

e rombano le orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.






CATULLO:

vita:

Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, intorno all'84 a.C. da sua famiglia prestigiosa. Verso il 60 si trasferì a Roma dove fece parte del gruppo "poetae novi" (nuovi poeti). A Roma Catullo conobbe la donna che determinò il corso della sua vita, ispirando la maggior parte delle liriche: la cantò con il nome di Lesbia, forse per omaggio alla poetessa Saffo nativa dell'isola di Lesbo. La donna era in realtà Clodia, donna sposata e di 10 anni più grandi del poeta; bella e spregiudicata. Catullo se ne innamorò perdutamente, legandosi a lei in una relazione che, a causa dell'incostanza della donna, alternava attimi di gioia profonda a drammatiche delusioni. Da Roma si allontanò per un viaggio in Bitinia, in quella occasione visitò la tomba del fratello sepolto a Troia. Poco dopo il ritorno la relazione con Clodia finì e secondo la tradizione Catullo morì l'anno successivo (nel 54). "raccolta di carmi"

Le rime per Lesbia sono autobiografiche: Catullo canta la propria esperienza d'amore con un'intensità e una profondità nuove nel mondo romano. L'amore si configura come l'evento determinante della vita, fonte di passione, sconvolgimento dell'animo in un alternarsi continuo che traduce la difficoltà del rapporto che legò il poeta alla donna.


" carme V "

Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci.

Tutte le dicerie dei vecchi bigotti

stimiamole un fico secco.

I soli possano tramontare e risorgere:

noi invece, quando si spegne la breve luce,

siamo costretti a dormire una notte eterna.

Dammi mille baci, poi cento,

poi altri mille, poi ancora cento,

quindi altri mille, poi cento.

Infine quando ce ne saremmo dati a milioni

li mescoleremo insieme per ignorarne il numero

o perché nessun malizioso possa averne invidia

quando verrà a sapere di tutti questi baci.

" carme CIX "

Vita mia, mi fai sperare questo amore nostro

in letizia perpetua, senza ombre.

Dèi grandi , fate che possa permettere il vero,

che lo dica col cuore, con purezza,

e ci sia dato continuarlo per tutta la vita

questo patto d'amore senza fine.


" carme LXXII "

una volta dicevi, Lesbia, "per me non c'è che Catullo,

neanche giove vorrei al suo posto".

A quel tempo t'amavo, non come la gente un'amante,

ma come un padre ama i figli, ama i generi.

Adesso ti conosco. Per questo, se brucio di più,

mi vali molto meno. Mi sei molto di meno.

"è tanto strano". Ma un'offesa cos' ti costringe

ad amare di più e a voler bene meno.


" carme LXXXV "

Odio ed amo. Forse mi chiedi perché lo faccia.

Non lo so, ma sento che è così e mi tormento.



SABA:

vita:

Umberto Saba nasce a Trieste nel 1883. Ebreo per parte materna, solo in età adulta conoscerà il padre, che aveva abbandonato la famiglia prima della sua nascita. La consapevolezza di appartenere ad una razza perseguitata e la disgregazione della famiglia alimentarono in lui il senso della frattura e della divisione e si concretizzarono nel rifiuto della figura paterna, di cui arrivò a ripudiare anche il cognome Poli. Lo pseudonimo Saba (in ebraico pane) venne adottato dal poeta in omaggio dalla madre e all'amata nutrice Peppa Sabaz. Umberto Saba ha sempre considerato come sua vera madre la nutrice e non la madre vera. Cominciò a lavorare molto presto prima come mozzo su una nave mercantile. Si sposò con Carolina Woelfer, donna più giovane, che riassumeva la doppia faccia delle due madri. Acquistò poi una libreria antiquaria a Trieste presso la quale pubblicò "il canzoniere". Saba lasciò la città solo nella seconda guerra mondiale quando in seguito a persecuzioni razziali dovette rifugiarsi a Firenze, Milano e Roma, dove venne aiutato da Ungaretti e Montale. Tornato nella sua città dopo la guerra, morì a Gorizia nel 1957.

"a mia moglie":

Saba, parlando della moglie, descrive le maggiori virtù della donna Tutto questo nasce dall'osservazione della sua naturalezza:ne sottolinea la protettività materna,la dolcezza che si unisce alla gelosia aggressiva, l'eleganza delle movenze come nella rondine, la fedeltà laboriosa come quella della formica.


" a mia moglie"

Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
E' migliore del maschio.
E' come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali
e in nessun'altra donna.

Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.

Tu sei come una gravida
giovenca; libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la sua carne.
Se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
E' così che il mio dono
t'offro quando sei triste.

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.

Ed il suo amore soffre
di gelosia.

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritorglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere;
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.

Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.




















































ORAZIO:

vita:

poeta latino (Venosa 65-Roma 8 a.C.). Figlio d'un liberto, studiò a Roma e ad Atene. Nel 42 a.C. fu tra i repubblicani di Bruto a Filippi. La sconfitta di Bruto e un infortunio personale (l'abbandono dello scudo sul campo) ebbero decisive ripercussioni sulla sua vita e sulla sua psicologia. Perdute le terre paterne, si ridusse a un modesto ufficio di scrivano e incominciò a dedicarsi alle lettere; Virgilio e Vario lo presentarono a Mecenate,a cui si legò di stretta amicizia. Allora Orazio realizzò il sogno di possedere, per munifico dono dell'amico,un podere in Sabina, luogo di evasione dalla convulsa vita di Roma. Entrato nelle grazie di Augusto, rifiutò incarichi ufficiali e preferì gli ozi meditativi, dedicati alla lettura e alla poesia. Scrisse un libro di Epodi, quattro libri di Odi (famoso il Carme secolare), tra il quale ci fu "carpe diem" dove orazio invita la destinataria della sua lirica,la giovane leucòne, a non pensare al domani, ignoto o incontrollabile, ma a vivere l'oggi, il poeta esprime quindi con tono sobrio, l'ineluttabilità della condizione umana, in cui la felicità è solo un breve attimo da cogliere.


"carpe diem"

non domare tu mai

quando si chiuderà la tua

vita, la mia vita,

non tentare gli oroscopi d'oriente :

male è sapere, Leucònoe.

Meglio accettare quello che verrà,

gli altri inverni che giove donerà

o se è l'ultimo, questo

che stanca il mare etrusco

e gli scogli di pomice leggera.

Ma sii saggia : e filtra vino

E recidi la speranza

Lontana, perché breve è il nostro

Cammino, e ora, mentre

Si parla, il tempo

È già in fuga, come se ci odiasse!

Così cogli

La giornata, non credere al domani


D'ANNUNZIO:

vita:

è lo scrittore più famoso della fine dell'800. Nato a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio. Frequentò gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato e si dedicò ancora giovanissimo alla letteraria: la prima raccolta di versi, "primo vere", fu pubblicata quando aveva solo 13 anni. Per far vendere di più si fa credere morto. Ha una vita di molti spostamenti infatti, dall'Abruzzo si sposta a Roma dove diventa giornalista per "la cronaca bizantina" (fatti notevoli ottenuti mondanamente). Viveva di alta borghesia e di alta aristocrazia. Era un "tombeau de femme", ovvero era un uomo che faceva cadere ai suoi piedi le donne, perché era un uomo affascinante nel parlare e nel modo in cui si atteggiava. Nel 1897 con Eleonora Duse, un'attrice, si trasferì a Firenze in una suntuosa villa, visse nel lusso sfrenato (viveva attraverso debiti) fino al 1910 quando, assediato dai creditori, dovette scappare in Francia. Inventa la pubblicità (dà il nome alla rinascente), Bocconi aveva un grande magazzino e soldi d'Annunzio gli diede un nome, vuole colpire l'opinione pubblica. Partecipò alla 1°guerra mondiale dove perse la vista.Dopo la guerra si legò al fascismo e intanto si trasferì sul lago di Garda dove muore nel marzo del 1938.

"la pioggia nel pineto"

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove su i pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t'illuse, che oggi m'illude,

o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitìo che dura

e varia nell'aria

secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

nè il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancòra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall'umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s'allenta, si spegne.

Sola una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s'ode voce del mare.

Or s'ode su tutta la fronda

crosciare

l'argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell'aria

è muta; ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sìche par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca aulente,

il cuor nel petto è come pesca intatta,

tra le pàlpebre gli occhi

son come polle tra l'erbe,

i denti negli alvèoli

con come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i mallèoli

c'intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri vòlti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l'anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m'illuse, che oggi t'illude,

o Ermione.


PASCOLI:

vita:

è il 4° di 10 figli. Nacque a san Mauro di romagna il 31 dicembre 1855. è uno dei poeti più importanti tra l'800 e il '900 nel decadentismo( corrispondente alla fine del secolo, è un movimento che esalta tutto ciò che non può essere definito). Giovanni Pascoli compì i suoi studi al collegio a Urbino. Il 10 agosto 1867, il padre Ruggero, mentre tornava a casa su un calesse trainato da una cavalla storna, rievocata in una poesia, fu ucciso. L'anno dopo morirono la madre e alcuni fratelli, che determinarono la sua vita. Le condizioni economiche della famiglia si erano intanto fatte più incerte, ma grazie a una borsa di studio, Pascoli poté frequentare a Bologna la facoltà di lettere. Non furono anni sereni: preoccupati per le difficoltà economiche, segna gli affetti familiari per lui tanto importanti, visse un periodo di "crisi politica", culminato nel 1879 con l'arresto per aver partecipato a una manifestazione anarchica. Dopo la laurea insegnò nei licei di diverse città e parallelamente si dedicò alla poesia. Infatti in una di queste, parla del nido, che è stato distrutto e usa questo nido come similitudine della famiglia. Infatti il poeta nel tentativo di ricreare una famiglia si lega alle due sorelle, una delle quali si sposerà e invece l'altra, Maria, passerà il resto della sua vita con lui. Diventerà professore all'università. Giovanni pascoli scrive poi un saggio "il fanciullino" in cui può spiegare che in quanto bambini, siamo tutti poeti, poi diventando grandi tutti capiscono quando ridere, quando piangere, ecc. la poesia nasce dal mantener "vivo" il bambino. Il particolare delle poesie del pascoli è che sono apparentemente semplici e usa figure retoriche (onomatopee e allitterazioni). Una poesia poesia famosa è "novembre" nella quale è giocato il fatto che fa sembrare che sia primavera invece che autunno. Dopo aver pubblicato le sue opere do ammalò e nel 1908, continuò a lavorare e a scrivere fino al 1912 quando morì di cancro a Bologna.

"il gelsomino notturno"

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari.

Sono apparse in mezzo ai viburni

le farfalle crepuscolari.


Da un pezzo si tacquero i gridi:

là solo una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i nidi,

come gli occhi sotto le ciglia.


Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.


Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

La Chioccetta per l'aia azzurra

va col suo pigolìo di stelle.


Per tutta la notte s'esala

l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento


E` l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti; si cova,

dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.


"X agosto"

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male



MONTALE:

vita:

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1869 da una famiglia borghese; il padre possedeva una villa a Monterosso, dove la famiglia trascorreva le varie estati. Il paesaggio era aspro e roccioso di questa parte della Liguria costituirà una delle componenti più tipiche della lirica di Montale, in particolare della prima raccolta "Ossi di seppia", pubblicata nel 1925. Per ragioni di salute il poeta abbandonò presto la scuola per motivi di salute ma continuò gli studi con letture personali. Uomo solitario e riservato. Nel 1925 prese posizione contro il regime, firmando il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Divenne direttore dal 1929 al 1938 del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, il poeta fu poi allontanato da questo incarico per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista. Nel 1939 pubblicò la seconda raccolta poetica, "le occasioni". Dopo la guerra si trasferì a Milano, dove fu redattore e critico musicale del "Corriere della Sera". Montale offre nelle ultime opere il quadro negativo di una società dominata dal miracolo economico e dalla potenza dei mass media. Malgrado la fama internazionale, consolidata dal riconoscimento delle lauree "honoris causa" da parte delle università di Roma, Milano e Cambridge e dal conferimento del premio nobel per la letteratura nel 1975, il poeta mantenne per tutta la sua vita un atteggiamento di discrezione e di riservatezza. Morì a Milano nel 1981.

FIGURE RETORICHE:

allitterazione: è la ripetizione di suoni o sillabe simili all'inizio o all'interno  della parola (la biscia striscia sull'erba liscia)

similitudine: collega un elemento astratto con una realtà concreta tratta dal mondo animale o vegetale (sei forte come un leone)

metafora: similitudine abbreviata, sostituzione della parola con un'altra e il cui significato letterale sia in relazione di somiglianza con il significato letterale della prima (sei un leone)

analogia: l'immagine è evocata in modo tanto singolare da esigere una concentrazione (amo il tuo cielo azzurro)

sinestesia: mette insieme i campi sensoriali per un'unica immagine (vedo ruvide colline)

metonimia: quando si parla della parte per il tutto (me ne sono bevuto una lattina)

onomatopea: riprendo il suono della cosa di cui si sta parlando (il bau bau del cane)

climax: può essere ascendente o discendente (bello, molto bello, bellissimo)

adunaton: si crea una possibilità impossibile (tornerò quando i fiumi torneranno indietro)

litote: negazione del suo contrario (non sei bellissima)

chiasmo: è quando dispongono di 4 elementi secondo lo schema AB BA (donne motori, gioie dolori)


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