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"Una vita" di Italo Svevo
Aron Hector Schmitz, il futuro Italo Svevo, nasce a Trieste il 19 dicembre 1861 da Francesco Schmitz (figlio del funzionario imperiale austriaco Adolfo Schmitz e della trevigiana Rosa Macerata) e da Allegra Moravia, quinto di otto figli: Paola, Natalia, Noemi, Adolfo, Ettore, Elio, Ortensia e Ottavio
Con la prospettiva di inserirsi nella fiorente economia della città, Ettore venne avviato, insieme ai fratelli Adolfo e Elio, agli studi commerciali presso il collegio di Segnitz, in Baviera. Apprese in questo modo il tedesco, ma si dedicò anche alla lettura della narrativa ottocentesca allora più in voga (Zola, Balzac, Maupassant) e conobbe la filosofia di Schopenhauer. Ultimati gli studi in Baviera, egli fece ritorno a Trieste e si iscrisse all'Istituto "Pasquale Revoltella" con lo scopo di perfezionare le proprie conoscenze nella tecnica aziendale e bancaria: tuttavia i suoi interessi letterari stentavano a conciliarsi con le materie commerciali, alle quali si era dedicato soprattutto per il volere del padre.
Nel 1880, dopo il fallimento della ditta paterna, Schmitz ottenne un impiego nella filiale triestina della Banca "Union" di Vienna: cominciava in questo modo un lungo periodo di quasi venti anni, durante i quali egli divise le proprie energie tra la quotidianità di un lavoro ripetitivo, ma condotto con scrupolo ed estrema serietà, e gli approfondimenti letterari, la grande passione per il teatro, le collaborazioni giornalistiche, l'esperienza di un coraggioso esordio narrativo. Sono di questi anni i lunghi pomeriggi trascorsi nella Biblioteca civica alla ricerca di quella lingua italiana che, a causa della sua formazione e della singolare collocazione triestina, egli raggiunse e conquistò soltanto attraverso un progressivo contatto con la tradizione.
Nel 1886 conobbe il pittore Umberto Veruda (1868-1904) che più tardi rappresentò nella figura del Balli, in Senilità. Con lo pseudonimo di Italo Svevo usciva intanto il primo romanzo, "Una vita", che non suscitò tuttavia molto interesse presso la critica. Per conto del quotidiano "Il Piccolo" iniziò a tenere lo spoglio della stampa estera e, sempre nello stesso periodo, ricoprì la direzione dell'Unione Ginnastica e tenne l'insegnamento di corrispondenza commerciale presso l'Istituto Revoltella.
Nel 1896, dopo un breve fidanzamento (scrisse in questo periodo un curioso Diario per la fidanzata), Ettore sposò la cugina Livia Veneziani, di molti anni più giovane di lui. Proseguiva intanto l'interesse per il teatro e la narrativa: nel 1897 Ettore venne infatti assorbito dalla composizione di "Senilità", pubblicato dapprima a puntate sull'"Indipendente" e quindi in volume nel 1898.
All'insuccesso del secondo romanzo fece seguito l'abbandono dell'impiego in banca. Ettore decise di dedicarsi alla ricca impresa commerciale del suocero (che possedeva una fabbrica di vernici), precedendo di poco anche la rinuncia all'"attività" letteraria.
Il lungo periodo compreso tra "Senilità" e la "Coscienza di Zeno" (1923) fu da Ettore in gran parte dedicato alla fabbrica, ai numerosi viaggi d'affari (in Francia e, soprattutto, a Londra), all'ambiente familiare (nel 1897 era nata intanto la figlia Letizia), senza tuttavia tralasciare lo studio e la scrittura, sempre più confinata però in una dimensione privata, quasi introspettiva. Questa parentesi venne interrotta nel 1906 dall'amicizia che lo scrittore triestino strinse con il giovane James Joyce, e che precedette di poco un'altra grande scoperta, quella della psicanalisi. Tanto il confronto letterario con lo scrittore irlandese, quanto la conoscenza di Freud esercitarono su Svevo un profondo rinnovamento nella forma e nella struttura del discorso narrativo, e si rivelarono pertanto decisivi in vista della composizione della "Coscienza di Zeno". Lo scrittore lavorò a questo romanzo a partire dal 1919, al termine del primo conflitto mondiale, e lo pubblicò nel '23 presso l'editore Cappelli di Bologna. Dopo un iniziale disinteresse, il libro ottenne uno strepitoso e inaspettato successo di critica, in particolare in Francia, dove la qualità e i meriti della Coscienza vennero difesi da Joyce (che nel 1922 aveva pubblicato l'"Ulysses"). Si apriva in questo modo anche in Italia il "caso Svevo" e insieme l'ultima fase della scrittura sveviana, in cui le tematiche del terzo romanzo si incrociano con altre suggestioni, in vista di un ulteriore sviluppo della narrativa e del teatro. La vecchiaia, il senso di una morte incombente, la dimensione del non-finito (molti racconti sono volutamente lasciati incompiuti), la malattia e il desiderio di una rigenerazione dell'organismo si ritrovano nelle opere di questa ultima, purtroppo breve, fase dell'esperienza sveviana: nei racconti "Una burla riuscita", "La novella del buon vecchio e della bella fanciulla", "Corto viaggio sentimentale", "Vino generoso", nei testi teatrali "Inferiorità", "Con la penna d'oro", "La rigenerazione", nel progetto del quarto romanzo incompiuto per il quale Svevo aveva realizzato molti frammenti "Umbertino", "Il mio ozio", "Il secchione", "Le confessioni del vegliardo". Questo progetto rimase purtroppo incompiuto a causa della improvvisa morte dello scrittore, avvenuta il 13 settembre 1928, in conseguenza di un incidente automobilistico.
Sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo in quanto nasce da una famiglia che è italiana da parte di madre ma tedesca per quanto riguarda il padre, ed egli sente nella sua persona entrambe queste culture (insieme con la cultura slava), inoltre è influenzato dal luogo in cui vive: Trieste che è ancora sotto il dominio dell'impero Asburgico. Trieste è però anche una città che vuole ritornare a far parte dell'Italia, una città sicuramente divisa tra l'Italia e l' Austria.
Se si sa con certezza che le teorie psicanalitiche di Freud, sviluppatesi fra '800 e '900 influenzarono notevolmente Svevo, non si sa di preciso quando egli le conobbe, sembrerebbe fra 1908 e 1912, infatti, iniziò ad occuparsi di psicanalisi nel 1911, discutendone con un allievo di Freud e leggendo alcune opere del filosofo.
Svevo non condivise pienamente le teorie freudiane, accettandone solamente quelle che confermavano quanto lui già pensava della psiche umana; il suo rapporto con la psicanalisi può essere definito duale, infatti, da un lato egli ne fu affascinato, poiché ne apprezzava l'attenzione riservata ai gesti quotidiani più banali (lapsus, vuoti di memoria.), ma soprattutto perché vedeva la coincidenza fra l'inconscio di Freud e la volontà di vita irrazionale di Schopenauer; d'altro canto Svevo fu turbato dalla psicoanalisi, perché l'analisi dell'inconscio spesso porta il soggetto a prendere coscienza di verità rimosse, e quindi molto sconvolgenti, ma anche perché diffidava della possibilità di guarire le malattie psichiche con qualsiasi mezzo, come sosteneva anche Schopenauer.
Per questi motivi Svevo decise di seguire la teoria psicoanalitica non tanto come terapia medica quanto come mezzo letterario; l'analisi psicologica diventa l'argomento principale dei suoi romanzi, e questa analisi viene resa dal punto di vista letterario con il "flusso di coscienza", una tecnica che consiste nel narrare le idee del personaggio così come si presentano alla sua mente, senza cercare necessariamente un legame logico fra le cose narrate, ma raccontando per "associazione di idee", come avviene realmente nella nostra psiche (e in ciò fu influenzato anche da Joyce).
Un altro elemento che Svevo rese dalle tesi di Freud fu la coscienza della complessità della psiche umana: ogni singolo individuo è quello che è e causa delle innumerevoli esperienze che ha vissuto durante la sua esistenza, e fra queste un ruolo fondamentale lo ha la società per questo motivo Svevo analizza la società a partire dalla psiche dei suoi personaggi e può quindi criticarne i difetti, cosciente del fatto che essa non dice sempre la verità e possiede degli aspetti di cui il soggetto non ha piena padronanza.
INTRODUZIONE ALL'OPERA
Il romanzo è scritto tra l' '87 e l' '89 ed è pubblicato nel '92, Svevo voleva pubblicarlo presso Traves ma l'editore rifiuta la sua opera a causa della tematica trattata, quella dell'INETTO, tematica che non sarebbe piaciuta al pubblico.
Il romanzo viene pubblicato da un editore di minore rilevanza, Wram.
Il romanzo non ebbe successo, scarsa infatti fu l'attenzione della critica: dopo due segnalazioni sull'"Indipendente" e sul "Piccolo di Trieste", "Una vita" venne recensito da Domenico Oliva sul "Corriere della Sera" dell'11 dicembre 1892, che sottolineò, nonostante il "valore tecnico assai limitato", come il romanzo rivelasse "una coscienza artistica ed un osservatore dall'occhio limpido".
Il successo iniziò dopo il 1920 quando Svevo ebbe un grandissimo successo di critica con "La coscienza di Zeno" solo a questo punto la critica riscoperse "Una vita" e "Senilità" (1889). E' importante per capire l'opera di Svevo una lettera che questi scrisse a un critico francese: Valery Larbaud: "James Joyce diceva sempre che nella penna di un uomo c'è un solo romanzo (allora egli non aveva neppure pensato a Ulisses) e che quando se ne scrivono diversi si tratta sempre del medesimo più o meno trasformato. Ma in questo caso il mio solo romanzo sarebbe Una Vita'.
Attribuisce grande importanza al romanzo in quanto secondo Svevo contiene già tutti gli aspetti di fondo che saranno presenti nelle sue opere: il senso di inerzia, la presenza della malattia, della senilità e della morte. Tutti temi che saranno ripresi e sviluppati dai romanzi successivi, tanto che si può parlare nel caso di Svevo di una vera e propria trilogia.
Il primo titolo che Svevo diede all'opera fu "Un inetto" per indicare la caratteristica principale del personaggio incapace di inserirsi nella vita. Svevo cambiò poi il titolo sotto pressioni dell'editore Wram che per ragioni commerciali lo spinse a scegliere "Una vita" in quanto qualche anno prima Maupassant aveva pubblicato un romanzo intitolato "Une vie" e dato che Wram vedeva l'opera di Svevo come un romanzo naturalista sosteneva che sarebbe stato positivo con un così valido antecedente.
Svevo accettò la proposta anche perché rendeva bene l'idea di questo romanzo che presenta la vita di Alfonso come emblema di una condizione generale. "Una vita" rende bene anche un secondo aspetto, l'esistenza del protagonista infatti si perde tra le altre ed emerge in tanti momenti durante il romanzo ma spicca in maniera evidentissima nella lettera finale.
Il romanzo Una Vita (composto tra il 1887 ed il 1889 ed ambientato a Trieste) narra la vicenda di Alfonso Nitti, impiegato presso la ditta Maller, con una certa cultura umanistica ed ambizioni di scrittore. Egli vive in una camera che ha preso in affitto e soffre per la monotonia e lo squallore della propria esistenza. L'occasione di mutare la propria vita e di realizzare le sue ambizioni gli si presenta quando Annetta, la figlia del principale, per suggerimento del colto cugino Macario, prima invita Alfonso a partecipare alle serate letterarie che tiene in casa propria e poi lo sceglie per scrivere un romanzo a quattro mani. Annetta, per noia e capriccio, accetta la corte di Alfonso e s'invaghisce di lui. Con la complicità di Francesca, governante ed amante del Maller, che spera di trarne profitto personale, Alfonso riesce a sedurre Annetta, ma immediatamente scopre di non provare dalla relazione quella gioia che immaginava. Così, dopo una notte d'amore, rifiuta il suggerimento di Francesca di star vicino ad Annetta per sfruttare la situazione e combinare il matrimonio, e fugge al paese natale col pretesto d'assistere la madre (che poi scoprirà davvero malata e che morirà). L'assenza sarà fatale ad Alfonso, infatti, Annetta, passato l'entusiasmo del momento, si fidanza col cugino Macario. Al suo ritorno Alfonso oscilla tra rassegnazione, orgoglio per aver rinunciato ad un amore d'interesse e delusione per vedersi nuovamente risucchiato nella squallida vita di prima. In ditta viene messo da parte e trasferito ad un incarico meno remunerativo. Perde quindi il controllo della situazione: affronta il Maller con minacce fittizie, e cerca di rivedere Annetta, ottenendo però solo di venire sfidato a duello dal fratello di lei. Prima del duello decide di suicidarsi.
TEMPO DELLA STORIA
Nel romanzo non ci sono riferimenti storici a differenza del romanzo naturalista-verista. A Svevo interessa delineare semplicemente una vita e le sue caratteristiche e non avrebbe senso datarla in modo preciso. E' vero però che ci sono alcuni riferimenti letterari a scrittori ad Alfonso contemporanei (Balzac.), tecnologici (si cita il treno, non c'è energia elettrica.), da ciò deduciamo che la vicenda possa essere ambientata verso la fine del 1880.
La vicenda dura poi circa tre anni che sono scanditi dai turni di ferie degli impiegato e dall'arrivo dell'inverno.
TEMPO DELLA NARRAZIONE
Il tempo del romanzo scorre in modo non uniforme.
Ci sono momenti in cui scorre lento (il primo giorno in banca, la prima passeggiata) in altri momenti invece si procede per sintesi (il lavoro in banca, gli studi in biblioteca, i tentativi di traduzione filosofica) ma aldilà di questo la caratteristica dello scorrere del tempo nel romanzo è la lentezza: nel romanzo succedono ben pochi eventi significativi, la vita di Alfonso è ripetitiva, il tempo è dilatato dalle continue riflessioni del protagonista; dopotutto queste sono le caratteristiche del romanzo della prima parte del '900, sull'azione prevale la riflessione anche se nel romanzo ci sono scene più di tipo descrittivo-realistico.
SPAZIO
Nel romanzo la descrizione degli ambienti è in relazione allo stato d'animo del protagonista quindi, per quanto riguarda gli esterni: Trieste è una città squallida e grigia in relazione all'oppressione che prova Alfonso, i dintorni di Trieste sono invece visti in modo positivo, luogo d'emozione, la campagna da dove Alfonso proviene è vagheggiata ma quando la ritrova il vagheggiamento cessa.
Questo vale anche per gli interni: casa Maller appare bella, sfarzosa al protagonista che oppone quella casa a quella dei Lanucci ma,dice Svevo:"un occhio più esercitato avrebbe scorto in quell'addobbo qualche cosa di eccessivo, ma era la prima volta che Alfonso vedeva di tali ricchezze e si lasciava abbagliare"; sono anche descritti l'ambiente della banca e la sua casa in campagna ormai in decadenza. Lo stesso discorso vale per anche per la natura, c'è una corrispondenza tra stato d'animo e paesaggi, la natura è serena durante le passeggiate, è invece nemica, quando la madre muore il mare è nero.
Macario fa anche un apologo della natura che compare in senso simbolico, per delineare due concezioni opposte di vita: coloro che lottano per la vita e coloro che subiscono la vita, vi è un chiaro confronto tra vincenti e perdenti.
Macario infatti paragona i vincenti agli uccelli mentre i perdenti sono i pesci che si lasciano divorare dagli uccelli.
ANALISI DEI PROTAGONISTI
Alfonso
IL protagonista si presenta per la prima volta nella lettera iniziale alla madre dove emerge con chiarezza come la città, la banca, la società in cui è costretto a vivere siano per lui ostili e brutali ed emerge subito la sua tendenza ad autocompatirsi, la sua incapacità di lottare e vivere nella società, quando viene invitato dai Maller si prepara discorsi ma quando si trova nel salotto è imbarazzato, vuole fuggire, non riesce a dire ciò che avrebbe voluto e ciò ci da' un'altra caratteristica di Alfonso: la scissione tra il mondo che si crea nella sua mente e il modo in cui vive realmente, nella dimensione del sogno, dell'immaginazione. Egli sogna di diventare un grande scrittore, sogna dei diventare un grande filosofo, immagina Annetta come una dea. Questo continuo contrasto tra sogno e realtà accentua un'altra caratteristica del personaggio tipica dell'inetto di Svevo: il sopraggiungere della malattia, del malessere che è indice di disadattamento da cui Alfonso si solleva solo parzialmente con le evasioni fuori città, esce da un senso di inferiorità che sente con le persone che percepisce a lui superiori.
La situazione cambia con i Lanucci con i quali si sente superiore per classe sociale e per cultura: si atteggia a benefattore, a consigliere e tratta Lucia come lui viene trattato in banca. La situazione cambia ancora con Annetta in cui la storia della scrittura del romanzo si intreccia con storia d'amore, favorita anche dalle tresche di Francesca che spera in un tornaconto. Alfonso malgrado il comportamento di Annetta ottiene ciò che vuole e in questo contesto emerge un'altra caratteristica: egli complica le situazioni con una riflessione costante e quindi emerge un'altra caratteristica: l'inetto non è in grado di vivere il proprio successo, ciò significherebbe chiudersi la possibilità di sognare, di sostituire il sogno alla realtà ed allora Alfonso si inventa un pretesto di fuga, la vendita della casa a causa della malattia della madre (che si rivelerà essere realmente malate), dopo questa scelta si sente finalmente libero e quando riceve la notizia che Annetta si è fidanzata si compiace di soffrire per il tradimento, finalmente si sente felice, equilibrato come un vecchio.
Nell'ultima parte del romanzo la situazione volge in suo sfavore, rifiutato da Annetta, trasferito, sfidato a duello dal fratello di Annetta per l'ultima volta l'inetto rinuncia alla lotta e sceglie il suicidio, un suicidio a cui il protagonista attribuisce il significato di liberazione, una liberazione che però è rinuncia alla vita poiché continuare a vivere significherebbe continuare a lottare, la vita continuerebbe a trascinarlo nella lotta.
Per Alfonso anche la decisione del suicidio è associata al sogno (Petrarca) e per l'ultima volta il sogno non si realizza: la lettera finale con cui si capisce che è finita una vita, una delle tante esistenze anonime segnate dal fallimento e da una tragica impotenza.
'Entrò la signorina Annetta e Alfonso si levò in piedi confuso: l'aveva molto agitato la lunga preparazione. Era una bella ragazza, quantunque, come egli disse a Miceni, il suo volto largo e roseo non gli piacesse. Di statura alta, con un vestito chiaro che dava maggior rilievo alle sue forme pronunciate, non poteva piacere a un sentimentale. In tanta perfezione di forme Alfonso trovava che l'occhio non era nero abbastanza e che i capelli non erano ricci. Non sapeva dire il perché, ma avrebbe voluto che lo fossero'.
Questa è la prima descrizione che ci viene data da Svevo attraverso gli occhi di Alfonso, all'inizio della prima serata in casa Maller, anche qui la realtà si sostituisce al sogno in quanto prima Annetta era vagheggiata da Alfonso come un' essere sovrannaturale mentre è in fondo una donna come le altre, però Alfonso se ne accorgerà soltanto tempo dopo (dopo la loro notte d'amore), infatti la relazione con Annetta non lo soddisfa come avrebbe voluto, quindi deciderà di continuare nella propria realtà fatta di sogni e velleitarismo.
Annetta ci viene presentata con caratteristiche comuni anche ad altre donne protagoniste dei romanzi di Svevo: donna disinvolta, che si concede e poi si nega.
E' una donna annoiata dalla vita che conduce e deve sempre trovarsi nuovi svaghi come per esempio la musica o letteratura, tutti questi passatempi vengono però portati avanti con scarso interesse e altrettanto scarso profitto.
Annetta è una tenace custode della morale corrente che ,secondo Svevo, solo se veniva abbandonata l'uomo poteva rilevare la parte migliore di sé.E' con la scrittura del libro che Annetta mostra tutte le sue differenze da Alfonso, l'idea di Annetta è piuttosto banale attinge alle risorse più banali con duchi,. Industriali e l'immancabile, scontato lieto fine; Annetta e poi vanitosa, testarda, orgogliosa, superba e ben consapevole della propria superiorità nei confronti di Alfonso.
In realtà Annetta forse ha provato amore per Alfonso ma non ha troppa voglia né di aiutarlo né di capirlo e poiché vuole per la sua vita un lieto fine come quello del "suo" romanzo decide di fidanzarsi con Macario e rifiutare per sempre Alfonso che aveva osato rifiutarla.
Gli altri personaggi sono: il signor Maller, i colleghi di Alfonso (White, Miceni, Ballina, Sanneo.), Macario (il cugino di Annetta), il signor lucci, la signora Lanucci, Lucia, Francesca (la cameriera dei signori Maller), la madre di Alfonso,
MESSAGGIO
Nei romanzi di Svevo compaiono sempre due categorie di personaggi: i lottatori e i perdenti. Svevo sceglie come protagonisti dei suoi romanzi dei perdenti e progredendo nei romanzi e approfondendo la tematica dell'inetto visto come malato e come vecchio Svevo arriva a capire che la malattia è una condizione comune a tutta l'umanità e progressivamente i malati sono quelli che si sono resi conto della situazione, per Svevo sono loro le persone sane, i vincenti sono tutti coloro i quali non si sono resi ancora conto dello stato dell'umanità. In "Una vita" il messaggio è che la malattia di ognuno dei cosiddetti "perdenti" nasce dall'individuo e dalla sua incapacità di inserirsi nella società.
TEMI
LA FIGURA DELL'INETTO
Un ruolo centrale nella narrativa di Svevo è occupato dalla figura dell'inetto. L'inetto si contrappone all'esteta, infatti si sente inadatto a vivere poiché non riesce ad aderire alla vita, non ha valori in cui credere, non ha scopi, non ha un ruolo nella società in cui riconoscersi, quindi non riesce a dare un senso alla propria vita. Inoltre l'inetto si sente malato di quella malattia che è il disagio del '900: l'incapacità di provare sentimenti, che provoca nell'uomo un intenso alone di tristezza e di infelicità. L'inetto quindi, è sempre un eroe sconfitto che potrebbe apparire al pubblico molto simile ai personaggi vinti rappresentati da Verga, ma esiste una notevole differenza: mentre la sconfitta dei vinti era da imputare esclusivamente all'ambiente, il fallimento dell'inetto è da ricondurre alla frattura venutasi a creare tra l'io e la realtà e all'interno dell'uomo con la scoperta dell'inconscio. Tutti i personaggi protagonisti dei romanzi di Svevo sono quindi degli inetti.. Nella realtà dunque, un ruolo fondamentale è rappresentato dal caso, e l'inetto è appunto colui che deve sottostare a questa componente che nel '900 aumenta sempre di più la sua importanza. Nella narrativa sveviana sono quindi sempre presenti delle contrapposizioni che spiegano meglio la condizione dell'uomo moderno, quali Attitudine/Inettitudine, Gioventù/Senilità, Salute/Malattia. Dunque Alfonso Nitti è l'inetto. Questa è la figura letteraria, il tipo di personaggio che Svevo consegna alla nostra letteratura del Novecento.
L'inetto è incapace di "vivere come gli altri" e di "fare come gli altri" e reagisce alla sua incapacità rifugiandosi alternativamente nell'alibi della propria superiorità intellettuale (per la quale egli non si mescola alla vita degli altri) o nei sogni di una vita immaginosamente densa di azioni clamorose e di gesti eccezionali.
Alfonso prima si sente vivo perché seduce Annetta, poi ha paura di tuffarsi nella vita e si autoinganna e inganna gli altri con l'ipocrisia del sacrificio. Alfonso cioè maschera la sua decisione di scappare lontano dalle responsabilità e dalla lotta con la scusa di sacrificarsi per il bene di Annetta (è Annetta che gli chiede di allontanarsi; lui non vuole avere l'aria dell'arrampicatore sociale ecc.). Poi, saputo che Annetta sposerà un altro, Alfonso spera di passare dal ruolo scomodo di traditore a quello, gradito, di abbandonato (è il ruolo che più soddisfa il suo desiderio di autocommiserazione e di pietà altrui). Questo ruolo lo mette al riparo dai rischi dell'esistenza, giustifica la sua rinuncia e lo colloca in uno stato in cui egli si sente "felice, equilibrato, come un vecchio."
Ma questo groviglio di pensieri non si può spiegare facilmente. Davanti al vecchio Maller la sua allusione diventa una minaccia, che lo fa apparire ricattatore.
E' subito evidente uno scarto, di concezione del mondo, dal romanzo naturalista, poiché le cause della sconfitta di Alfonso sono ricondotte da Svevo non a ragioni esterne, sociali, ma interiori, a un suo modo di essere. Alfonso è sconfitto da qualcosa che ha dentro, anteriore ad ogni suo incontro con gli altri.
Spesso ritorna, nei momenti chiave, una parola chiave darwiniana: 'lotta'. Alfonso non sa lottare, è un inetto, prima di essere sconfitto sul campo. Un'altra tematica fondamentale dell'opera sveviana, strettamente legata al tema precedente, è la malattia; Svevo sostiene che i veri malati sono coloro che hanno delle certezze immodificabili su cui basano la propria esistenza e che non sanno analizzare se stessi, pertanto il confine fra sanità e malattia si assottiglia notevolmente, in un clima di malattia universale, in cui tutto è soggetto ad una generale degradazione, e questo atteggiamento è sintomo della crisi delle certezze che caratterizza l'inizio del '900.
Altre tematiche sveviane sono la morte e il suicidio, visti come una liberazione dalle sofferenze del mondo (e da ciò si allontana da Schopenauer); Svevo parla anche di degenerazione, cioè vede ogni realtà della natura soggetta a crescita, decomposizione e morte, e di molteplicità dell'individuo, perché nelle sue opere mostra di essere cosciente della pluralità dei piani della psiche, dell'esistenza nell'individuo di aspetti di cui neanch'egli è pienamente cosciente, tutto ciò rende il soggetto "multisfaccettato" e non più unico, ma è questa sua complessità che lo rende degno di interesse letterario.
LA DONNA E L'AMORE
Una delle caratteristiche principali della figura dell'inetto in cui l'uomo in questo periodo si immedesima, è l'incapacità di provare sentimenti verso gli altri. I personaggi rappresentati da Svevo quindi, non riusciranno mai ad avere una relazione duratura, anche perché vogliono evitare quelle ovvie responsabilità derivanti da un matrimonio. Per esempio, l'amore di Alfonso per Annetta in 'Una vita' è semplicemente un'occasione per elevarsi da quella condizione di inferiorità a cui il protagonista deve sottostare fin dalla nascita.
Il romanzo segna un punto di transizione tra il romanzo verista-naturalista, il romanzo di fine '800 inizi '900. Ci sono quindi alcuni aspetti del romanzo dell' '800 , come per esempio le descrizioni, la fabula che predomina sull'intreccio. Ci sono anche però grosse novità, tra le quali la più significativa è di certo il privilegiare l'ottica del protagonista: non conta il fatto in sé ciò che conta è il riflesso che il fatto ha sul protagonista, non importa la riproduzione della realtà ma conta l'interpretazione della coscienza del personaggio.
Trieste era ancora asburgica e nella lingua Svevo cerca un italiano sforzandosi di tradurlo dal dialetto triestino. La prosa è priva di ogni preziosismo per rendere il carattere grigio dell'esistenza del protagonista.
Il romanzo, quindi, affianca l'eredità del naturalismo, con il nuovo realismo, tipico del romanzo del Novecento, che si differenzia sensibilmente dal realismo classico ottocentesco.
Il primo, è il realismo dell'oggettività: il narratore è al di fuori del racconto e lo svolge con distacco, sapendo tutto di tutti. Il racconto è costruito sull'intreccio dei fatti, la descrizione dei luoghi, il disegno dei caratteri, dal punto di vista del narratore.
L'altro, è il realismo del personaggio - soggetto che racconta e giudica dal suo punto di vista. In questo realismo contano meno i fatti e le descrizioni degli ambienti e protagonista diventa la coscienza del narrante, che impegnata nelle riflessioni, nei giudizi, rallenta il ritmo dell'azione e dilata lo spazio assegnato ai monologhi interiori, ai soliloqui.
La differenza di Una vita rispetto al naturalismo (o al verismo) è anche un'altra: infatti la causa della sconfitta di Alfonso è ricondotta da Svevo non a ragioni esterne, sociali, ma interiori.
Alfonso, quando la vita gli offre l'occasione di conquistare una posizione migliore per "combattere", scappa. In verità è un vinto perché non "vuole" vincere. Vincere, infatti, significa uscire dal sogno, accettare la lotta, perdere la calma e l'equilibrio che gli regalano le sue fantasticherie. La vita, lui, la consuma pensandoci: viverla davvero è troppo faticoso e rischioso, perché nel labirinto del pensiero - e solo lì - accade precisamente quello che lui vuole.
Il romanzo del Novecento, quindi, in Italia (anche se è il 1893) si inaugura con questo personaggio tipico della condizione umana contemporanea: la perplessità, la debolezza della volontà, la prevalenza del sogno sull'azione, il velleitarismo.
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