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Umberto SABA
(Trieste 1883 - Gorizia 1957)Nonostante che, per nascita era austroungarico, sin dall'esordio con Il mio primo libro di poesie (1903) aderì non soltanto linguisticamente alla tradizione della letteratura italiana, registrando nei versi, dalla grazia musicale e sempre più asciutta, vicende e figure della propria esistenza e cantando la 'scontrosa grazia' di Trieste, che si identificò con la sua vita più intima. Il padre cristiano - Poli, all'anagrafe - aveva abbandonato la moglie ebrea prima ancora che il figlio nascesse: fu per atto d'amore verso la madre che il poeta assunse per cognome la parola ebraica che significa 'pane'. A questa Saba oppose la volontà di misurarsi in esperienze di vita fra i semplici - fu mozzo sulle navi mercantili, volontario nel 1907 a Salerno, tra i fanti dell'esercito italiano - nel desiderio di abbandonarsi alla gioia fisica di esistere.
Precoce fu l'attenzione alle dottrine di Sigmund Freud, che egli interpretò con freschezza e intelligenza. Sposatosi con l'amatissima Lina, da cui avrà un'unica figlia, Linuccia, andata in sposa a Carlo Levi, in una Trieste ormai italiana Saba esercitò sino alla morte la professione di libraio antiquario, conducendo una vita apparentemente ripetitiva e monotona, interrotta dalla fuga per le persecuzioni razziali negli anni bui del fascismo.
Nello scorrere di quelle giornate appartate in una città sempre più di confine maturò la grande poesia di Saba, in uno sviluppo fatto di progressioni e mutamenti che coincisero in profondità con la vicenda umana del poeta e che resero essenziale il verso, con un'andatura ritmica e metrica facilmente riconoscibile perché dichiaratamente lontana, sin dagli esordi, rispetto alle correnti e alle grandi figure della poesia italiana della prima metà del Novecento. L'ombra della depressione, che nel secondo dopoguerra incupì la vita di Saba, non intorbidò il canto ma favorì, al contrario, una luce assoluta.
Saba non fu solo poeta (da Cose leggere e vaganti, 1920, a L'amorosa spina, 1921; da Parole, 1934, a Uccelli - Quasi un racconto, 1951; tutta l'opera poetica è raccolta nell'edizione 1961 del Canzoniere), ma fu critico di se stesso in Storia e cronistoria del 'Canzoniere' (1948) e misurato, acuto, arioso prosatore in Scorciatoie e raccontini (1946), nei Ricordi-Racconti, 1910-1947 (1956) e nel romanzo postumo Ernesto (1975). Il giudizio critico sulla sua opera fu inizialmente perplesso e poco convinto, insospettito dall'apparentemente facile versificazione, mentre ora è concorde nel definirla una tra le più originali e conseguenti, tra le maggiori del Novecento italiano.
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