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Ugo foscolo e neoclassicismo




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Ugo foscolo e neoclassicismo

Biografia dell'autore:

Nato nel 1778 a Zacinto, un'isoletta del Mar Ionio che era sotto il dominio di Venezia ma apparteneva al mondo greco, muore solo, senza nessun affetto in esilio in Inghilterra nel 1827. E' ateo. Il padre forse era un aristocratico veneziano decaduto e diventato medico. La madre è Diamantina Spatis, greca. La nascita in un'isola greca, da madre greca avrà un grande significato nella vita del Foscolo. Famiglia sventurata: quando lui ha 10 anni muore il padre: è costretto a diventare responsabile della madre e dei fratelli (comincia a formarsi in lui il problema della figura del padre); si trasferisce a Venezia con tutta la famiglia: inizia a studiare più che altro come autodidatta: rimane colpito dalla letteratura e dalla filosofia classica; studia anche le tematiche approfondite dagli illuministi contemporanei; desideroso di gloria e di successo, amante del lusso e dei piaceri, attratto e affascinato dall'aristocrazia = avrà storie d'amore con bellissime nobildonne aristocratiche: lui però non era ricco ma affascinante e anticonformista (capelli rossi) e soprattutto molto dotto. Ma questi amori saranno la causa di inquietudine interiore e quindi causa di un vagabondaggio sfrenata in tantissime città d'Italia, di Francia e d'Inghilterra; la sua prima poesia fu scritta dopo la Rivoluzione Francese quando prese il potere Napoleone (Riv. Francese: 1789 - 94; Età Napoleonica: 1796 - 1814/15); Foscolo continuerà a comporre capolavori soprattutto durante il dominio francese nel Nord Italia; nei suoi testi domina l'autobiografismo che permette di capire facilmente il contesto storico in cui viene scritta la poesia. Foscolo è prevalentemente un poeta: la professione di poeta non esisteva; esisteva invece la gloria poetica (l'altra gloria esistente era quella militare): ma la poesia pur dando gloria non dava ciò di cui sfamarsi. Per questo motivo il Foscolo diventerà un militare dell'esercito di napoleone e addirittura era presente quando il sovrano progettò di invadere l'Inghilterra. Lo stipendio che riceveva non era comunque sufficiente a far fronte a tutti i vizi che si permetteva: conseguenza di tutto ciò fu l'esuberante indebitamento in cui è sempre vissuto. Nel 1808 tentò di arricchire le sue entrate con lo stipendio di professore universitario a Pavia ma pochi mesi dopo la sua cattedra venne soppressa. = non diventerà mai ricco e sarà sempre costretto a errare. Nel 1814 crolla l'Impero Napoleonico. Nel 1815 con il Congresso di Vienna le potenze che avevano sconfitto Napoleone si divisero l'Europa dando inizio all'Età della Restaurazione. In Italia torneranno gli austriaci: Foscolo scelse l'esilio prima in Svizzera e poi in Inghilterra. Gli Inglesi lo accolsero con simpatia ma illudendolo: per la sua natura non riuscì mai ad integrarsi e verrà abbandonato: morirà poverissimo in uno squallido quartiere di Londra da solo con la figlia. Quando nel 1861 nasce l'Italia le sue ceneri verranno depositate in una Chiesa di Firenze. In Inghilterra aveva visitato anche Manchester, nel Lankshire, e ne rimase inorridito a causa dell'inesistenza dell'aristocrazia, del dominio dei borghesi che avevano come unico obiettivo il massimo risultato economico sfruttando i lavoratori al massimo.



Arte e cultura:

Nei primi 10 anni del 1800, in cui Foscolo scrive i suoi capolavori, sono dominati da 2 movimenti artistico letterari in contrasto tra di loro: NEOCLASSICISMO (movimento del 1700 che in questo periodo, pur essendo al culmine, vedeva la sua fine); NEOCLASSICISMO (novità: dominerà i primi 50 anni dell'800 dopo aver battuto il Neoclassicismo). = Foscolo aderirà ad entrambi pur essendo più legato al Neoclassicismo.

Neoclassicismo:

Il Neoclassicismo è la corrente che sembra meglio interpretare il gusto di quegli anni, anche perché trova la sua ragione d'essere e la sua giustificazione in certi atteggiamenti della Francia rivoluzionaria prima e della cultura napoleonica poi; ma è proprio per questo che il gusto neoclassico, pur costituendo un ponte di passaggio tra l'arte illuministica e quella romantica, è un fenomeno non unitario né facilmente schematizzabile, ma invece abbastanza complesso, talvolta contraddittorio e aperto a esiti diversi. Al Neoclassicismo si rifanno infatti, specialmente nella Roma papale, gli scrittori di orientamento reazionario i quali, col ritorno alla classicità, si sforzano di porre un argine alla cultura moderna e, in nome della continuità tra passato e presente, si oppongono alle brusche rotture rivoluzionarie; come pure la politica culturale di Napoleone. Il Neoclassicismo costituì sul piano artistico la cifra comune di tutta l'Europa. Il fatto è che per l'intellettuale di quegli anni il classicismo non è una forma d'arte tra le tante possibili, ma rappresenta l'arte in assoluto; è un patrimonio di cultura, l'unico che permettesse di organizzare formalmente la realtà, al di là delle differenziazioni ideologico-politiche. Il settore verso il quale si concentrò maggiormente l'attenzione fu il teatro.

In questo clima era naturale che avesse maggior eco la battaglia culturale neoclassica, che venne mossa nel campo dell'archeologia e delle arti figurative (di quel tempo gli scavi di Pompei e Ercolano). Ne furono promotori due tedeschi, l'archeologo Winckelmann, con la sua storia dell'arte nell'antichità (1794) e il critico, filosofo e letterato Lessing con due famosissime opere, Laocoonte (1767) e la Drammaturgia amburghese (1767-69). Il Neoclassicismo si costruisce una patria ideale e ad essa mira nostalgicamente nell'aspirazione ad una forma che indichi il composto superamento delle passioni. L'uomo visse un'irripetibile ora nell'armonia tra passioni e bellezza.

Questo Neoclassicismo idealistico, i cui valori potevano venire contrapposti alle disarmonie del presente e che è percorso da un'altra malinconia nella consapevolezza della precarietà di quell'aspirazione a un'Ellade perduta, ebbe però in Italia scarsa risonanza.

Rousseau aveva esaltato il valore del sentimento come fatto rivoluzionario, capace di recuperare una dimensione umana ad una società cristallizzata in consuetudini artificiose.

Le ultime lettere di Jacopo Ortis:

Il romanzo epistolare si svolge innanzitutto su due tematiche fondamentali che si intrecciano: la passione politica e la passione amorosa.

La passione politica, che, col suo fallimento, mette in evidenza da un lato i rapporti negativi con il potere e dall'altro il desiderio di un'Italia che avrebbe potuto essere unificata proprio alla luce delle idee diffuse dalla Rivoluzione francese e dagli entusiasmi suscitati dalle imprese di Napoleone; il fallimento è controbilanciato dall'amor di patria, dall'elogio della virtù individuale (Giuseppe Parini) e dalla meditazione sulla storia e sulla passata grandezza di Roma e dell'Italia.

La passione amorosa, che col suo fallimento mette in evidenza i rapporti negativi dell'individuo con gli usi, i costumi e le consuetudini che vogliono ancora la donna oggetto del padre o del marito e priva di quella volontà autonoma che la contraddistinguerebbe come persona umana: la forza non è ancora nel sentimento (o non lo sarà se non sporadicamente), ma nel potere soprattutto economico. La forza delle idee illuministiche non è stata in grado di liberare l'individuo dalle pastoie della potenza di chi può disporre e della debolezza di chi è sottomesso perché nulla possiede. Ma anche in questo caso, come per la passione politica, il romanzo e i due personaggi Teresa e Jacopo, insieme alla madre della ragazza, rappresentano un atto di fede nel sentimento e nel rinnegamento dell'egoismo. Il fallimento della passione amorosa è controbilanciato proprio dalla valorizzazione del sentimento e dalla ribellione a un certo senso del fatalismo che durante il romanticismo assegnerà alla donna un altissimo ruolo, valorizzando il suo essere madre e punto fondamentale di unione del focolare domestico.
Il fallimento delle due passioni porta inevitabilmente al suicidio, provocato dal dolore intensamente provato e intensamente protratto fino al limite della rottura finale: ma questo elemento negativo è controbilanciato dalla speranza di un mondo in cui coloro che si amano possano riunirsi per sempre: non la morte come fine di tutto, ma come passaggio: il suicidio è l'unico rimedio in certi tempi ai mali della vita provocati dall'uomo.

Sepolcri:

Il carme Dei Sepolcri fu composto dal Foscolo nel 1806 fra i mesi di luglio e settembre e pubblicato a Brescia ai primi d'aprile del 1807. All'origine vi fu certamente una discussione che il Poeta, durante la breve visita a Venezia del 16-17 giugno 1806, ebbe nel salotto veneziano della Contessa Isabella Teòtochi Albrizzi con l'amico Ippolito Pindemonte, al quale verrà poi dedicato, sul tema delle sepolture, che in quegli anni, sulla spinta delle legislazioni sia della Francia che dell'Austria, stava modificando costumi e modi di vivere, in una società che cominciava a marciare speditamente sulla via del progresso economico-industriale e civile, favorita anche dalla diffusione delle teorie illuministiche. Il Pindemonte nel suo poemetto intitolato Cimiteri aveva espresso la sua contrarietà alla nuova legislazione e alla nuova filosofia, temendo che queste potessero portare a trascurare il culto dei defunti e il Foscolo aveva risposto, invece, con argomentazioni che affermavano la giustezza di quanto stava avvenendo. Ma a una più attenta analisi Foscolo capì che le idee esposte non corrispondevano al suo modo di sentire e alla sua concezione della vita e dei destini dell'umanità. L'opera è divisa in diverse fasi:

- Introduzione, in cui è dichiarata la materia generale, l'interesse dei vivi per le tombe.

- Parte prima, le tombe sono la 'Celeste corrispondenza d'amorosi sensi' e 'sol chi non lascia eredità d'affetti / poca gioia ha dell'urna'; ma una nuova legge impone la sepoltura fuori dai centri abitati, dallo sguardo pietoso degli uomini, e questa ha permesso che senza una tomba sia sepolto Parini, il cui corpo magari giace mischiato a quelli di infami che hanno lasciato la vita sul patibolo. - Parte seconda: le tombe trovano la loro giustificazione nella storia; dopo aver delineato il significato di illusione e di tomba, Foscolo ne descrive l'origine: l'uomo quando esce dallo stato ferino, comincia a formare gruppi sociali che hanno bisogno, per cementare l'unione fra i singoli componenti, di norme e linguaggio per capirsi: proprio quando istituisce la famiglia, le leggi e il culto dei morti, non solo come elemento di pietà ma soprattutto come elemento eternante l'illusione di una vita che continua al di là della morte nella mente dei vivi, possiamo dire che sia nata la società civile.

- Parte terza: è il momento della giustificazione civile delle tombe, che devono ispirare gli uomini forti a intraprendere una vita che può essere forte solo seguendo i grandi ideali che i grandi uomini con le loro opere ci hanno tramandato e dei quali le tombe sono la testimonianza sempre viva e presente; Firenze, che ha dato i natali a Dante, e Santa Croce che conserva le tombe dei grandi (Machiavelli, Petrarca, Alfieri, Michelangelo, ecc.) sono la esemplificazione efficace di questo concetto, insieme all'immagine delle tombe innalzate ai prodi di Maratona che evidenziano l'idea della morte come 'giusta dispensiera' di fama e gloria per i generosi che hanno versato il sangue per la Patria e per coloro che hanno ben operato. Per questo la tomba appare come un 'riposato albergo' nel quale cessa ogni vendetta e comincia per i morti nei vivi un'esistenza più alta e degna di onori.

- Parte quarta: contiene la 'giustificazione poetica': in questi versi troviamo la sostanza dell'esistenza stessa della poesia; si apre con la figura dello stesso Foscolo, che i tempi e il desio d'onore / fan per diversa gente ir fuggitivo (tema dell'esilio) e si chiude con la grandiosa figura di Ettore, che muore per la difesa della patria, eroe sfortunato, così come sfortunato era stato il Foscolo. Uno dei compiti della poesia è proprio quello di celebrare gli eroi e di tramandarne le imprese e la gloria: così la gloria dell'eroe troiano è eternata dal canto di Omero e di Foscolo, insieme alle donne iliache, che sulle tombe degli eroi caduti sciolgono in segno di lutto le loro chiome, alla stirpe di Elettra amata da Giove e ai suoi discendenti Dardano, Ilo e Assaraco. Il carme si chiude col concetto dell'illusione che nel futuro le tombe possano essere onorate da lagrimati affetti per cui men duro sarà il sonno della morte.

Grazie:

Nel 1812 il Foscolo, da qualche tempo malato di febbri, parte per la Toscana per curarsi. Durante il viaggio si ferma a Bologna, dove rivede la bella e famosa Cornelia Martinetti. A Firenze rivede la Eleonora Nencini, che era già stata confidente del suo amore per Isabella Roncioni; è durante questa dimora a Firenze, che dura dall'autunno 1812 fino al luglio dell'anno successivo, che il Foscolo concretizza un primo e vero disegno, che rimarrà immutato nonostante le molte modificazioni che la struttura subirà man mano che la concezione del carme si verrà allargando, sia passando da un Inno solo a tre Inni sia allargando l'ampiezza degli argomenti e quindi dei significati che voleva trasmettere ai suoi lettori.
        
A Firenze, dunque, vive quasi un anno, affittando la villa di Bellosguardo, posta su un bellissimo poggio dal quale lo sguardo poteva spaziare sui colli fiorentini e sulla stessa Firenze: su un panorama straordinario che avrebbe potuto essere giustamente abitato dalle stesse Grazie, forte e civile allo stesso tempo. E d'altronde il poeta non poteva che essere innamorato di quel paesaggio, dopo averlo ammirato e descritto nei Sepolcri, e aver comunicato tutta la sua commozione nel veder raccolte in esso 'le itale glorie'.
        
All'Aristocrazia fiorentina viene presentato da Luisa Stolberg, contessa d'Albany, che teneva in Firenze un famoso e frequentato salotto letterario. La contessa, già avanti negli anni, rotta ad ogni intrigo anche un po' malizioso e con un occhio talvolta malevolo verso le giovani belle e spesso avvolte in una superbia frutto più della loro bellezza e gioventù che di un carattere maligno dopo aver conquistato il centro dell'attenzione generale scalzando le Signore mature e un po' attempate, divenne protettrice e consigliera del poeta, che nel frattempo aveva conosciuto Quirina Mocenni Magiotti, che nella vita di Foscolo assumerà un ruolo importante e diverrà famosa con l'appellativo di 'Donna gentile', infelicemente sposata con un uomo debole e malato di mente, l'unica che seppe conservargli il suo amore negli anni, e alla quale sempre poté rivolgersi anche dall'esilio svizzero e britannico e che riuscì a sopportare la sua 'indole burrascosa'.
        
Proprio a Bellosguardo, nella villa dell'Ombrellino, Foscolo trova l'ambiente ideale per rimettersi dalla malattia e per iniziare la stesura del carme delle Grazie, ispirato al gruppo marmoreo del Canova, e in particolare alla statua di Venere che lo scultore aveva terminato per la Galleria degli Uffizi e che verrà acquistato dal Duca di Bedford, (nel 1822 'adorna la galleria delle sculture nell'abbazia di Woburn' - Foscolo, Dissertazione) proprio quando Ugo giunge a Firenze; col carme Foscolo intendeva giungere all'espressione più compiuta del mondo classico attraverso una poesia tessuta di quella armonia che può essere dono solo 'delle tre Dee e di Venere'.
        
Le Grazie sono il canto elevato alla bellezza e all'amore, alla donna e all'armonia delle sue forme, alla visione della donna nella sua triplice espressione identificabile nella poesia, nella musica e nella danza. Quando la struttura del Carme comincia a farsi sempre più complessa, Foscolo passa dalla concezione in un solo Inno a quella in tre Inni (vedi il passaggio dal primo al terzo Sommario), presumibilmente nel mese di maggio del 1813, identificando le tre Grazie con tre donne che fino a quel momento avevano rappresentato per lui l'amore e la gioia di vivere: Eleonora Nencini, di Firenze, Cornelia Martinetti di Bologna e Maddalena Bignami di Milano, ciascuna con le proprie caratteristiche, che esprimono la bellezza animatrice di gioia ed armonia, fondamento di una specie di filosofia della bellezza.
        
Nella prima divisione in tre Inni, come scrive Giuseppe Chiarini nel suo saggio, il primo doveva 'celebrare le lodi della suonatrice d'arpa, il secondo della donna delle api e il terzo della danzatrice'.

A Bonaparte liberatore

L'ode fu scritta a Bologna nel 1797 e inneggia al liberatore Bonaparte; fu stampata nel 1798 «a pubbliche spese per decreto della Giunta di difesa generale» della Repubblica Cispadana e dedicata alla città di Reggio Emilia con questa lettera: «A voi, che primi veri Italiani, liberi cittadini vi siete mostrati, e con esempio magnanimo scoteste l'Italia già sonnacchiosa, a voi dedico, ché, a voi spetta, quest'oda che io su liberacetra osai sciogliere al nostro liberatore. Giovane quale mi sono, nato in Grecia, educato fra Dalmati e balbettante da soli quattro anni in Italia, né dovea né potea cantare ad uomini liberi Italiani. Ma l'alto genio di libertà che m'infiamma e che mi rende uomo libero, cittadino di patria non in sorte toccata ma eletta, mi dà i diritti dell'Italiano, e mi presta repubblicana energia, ond'io alzato su me medesimo canto Napoleone liberatore e consacro i miei canti alla città animatrice d'Italia». L'ode fu ripubblicata a Genova nel 1799 accompagnata da una lettera a Napoleone piena di liberi sensi e di amor patrio, in difesa della libertà contro il trattato di Campoformio e contro i pericoli della dittatura. Dopo i comizi di Lione, il poeta non volle pubblicare più l'ode fra i suoi componimenti.

Alla sera:

Il sonetto fu scritto fra il 1802 e il 1803, e collocato al primo posto sia nell'edizione pisana dell'ottobre del 1802 (tomo IV del «Nuovo giornale dei Letterati») sia nell'edizione dell'aprile 1803 pubblicata a Milano da Destefanis. Foscolo svolge uno dei temi più classici della letteratura: l'invocazione alla Sera e lo stato d'animo dell'uomo alla fine della giornata.

Di se stesso:

Scritto fra il 1799 e il 1801, e pubblicato a Pisa nel 1802. Il Foscolo era allora in preda a un amore infelice per la pisana Isabella Roncioni, ed esprime un momento di aridità spirituale, di disillusione verso se stesso, mentre la parte migliore di sé soffocata da passioni o desideri che la ragione ha assecondato e la coscienza non ha represso.

Di se stesso all'amata:

Scritto forse nel 1801 per Isabella Roncioni e pubblicato nel 1802. È la rielaborazione di un sonetto del 1797, oggi fra le rime minori col titolo di Notturno; sonetto d'amore, in cui il poeta esprime la sua solitudine, vagando dove non c'è gente nel piano selvoso, e appoggiandosi a un pino, parla e delira le sue speranze, sospirando per la donna assente.

All'amata:

Scritto tra il 1799 e il 1800, quando il Foscolo era ufficiale in Liguria, capitano dell'esercito napoleonico comandato dal generale Massena, per difendere Genova dall'assedio degli Austro-ungarici, o durante lo spostamento da Genova verso Nizza; è l'ultimo sonetto d'amore e si chiude in una situazione esistenziale senza via d'uscita, con le speranze ormai disilluse, anche se l'amore lo seguirà sempre onnipotente, mentre la volontà uomini e degli dèi lo ha costretto a un lungo esilio fra gente spergiura (alludendo forse ai francesi). Fu pubblicato nel 1802; si ignora la donna che lo ispirò.

Il proprio ritratto:

Sonetto autobiografico scritto tra il 1801 e il 1802 e in quest'anno pubblicato; il Foscolo descrive se stesso sia sul piano fisico (occhi incavati, capelli fulvi aspetto ardito, bel collo, giuste membra, ecc.) che sul piano spirituale, mettendo in evidenza ancora le incertezze legate alla sua personalità: cerca di usare la ragione nelle cose terrene, ma è sempre pronto a correre dove piace al suo cuore, senza cercare quella fama che solo la morte gli potrà donare.

A Firenze:

Scritto verso il 1802 ispirato dall'amore sfortunato per Isabella Roncioni che andò sposa nel 1801 al marchese Pier Antonio Bartolommei, forse già nel gennaio, quando il poeta venne a conoscenza dei patti matrimoniali tra le due famiglie; fu pubblicato nel 1802 nel «Nuovo Giornale dei Letterati». Anche qui la donna appare incarnando la bellezza rasserenatrice, che riporta l'uomo all'armonia delle cose e del mondo.

A Zacinto:

Scritto tra il 1802 e il 1803 e in quell'anno pubblicato. Il primo sentimento di questo sonetto è il dolore causato dall'esilio e dal rimpianto della propria terra insieme alla coscienza di non potervi più fare ritorno; il dolore scaturisce da una condizione di solitudine che è diventata ormai esistenziale per la mancanza di affetti duraturi che possano permettere la creazione di un focolare domestico. L'esilio apre e chiude il sonetto e la chiusura contiene quel concetto di tomba che diventerà essenziale nei Sepolcri. Zacinto è la patria ideale, che incarna le grandi illusioni dell'uomo: la bellezza, raffigurata da Venere che rese feconde le acque che la bagnano, la poesia raffigurata dal sommo poeta Omero, insieme all'esilio, cui lo stesso poeta è destinato, raffigurato da Ulisse, che però ha il privilegio di ritornare alla sua petrosa Itaca, mentre il poeta sarà sepolto fra genti straniere in una illacrimata sepoltura.

In morte del fratello Giovanni

Scritto nel 1802 e pubblicato nel 1803. Giovanni Dionigi Foscolo. tenente nell'esercito cisalpino, si uccise ventenne con una pugnalata, per un grosso debito di gioco, alla presenza della madre Diamantina Spathis (1747-1817), in Venezia, nel 1801. Affetti profondi e familiari, da quello doloroso dell'esilio a quello struggente della madre che piange la fine dei suoi figli, suicida l'uno, esiliato l'altro, sono il tessuto di questo sonetto, sicuramente il più originale, perché meno sostanziato da immagini mitologiche. L'amaro destino, la stessa avversione dei Numi accomuna i due fratelli; ma questo non impedisce che sorga nel poeta la speranza che almeno le sue ossa possano essere restituite al petto della dolente madre per avere una lacrimata sepoltura. È proprio sulla tomba di Giovanni che idealmente si ricostituisce quella unità familiare spezzata dall'avverso destino: la tomba diventa già qui una corrispondenza d'amorosi sensi.

Alla Musa:

Composto tra il 1802 e il 1803 e in quell'anno pubblicato. Il cammino umano è la via del pianto che scende verso la muta eterna via del Lete, ed ora che anche la Musa ha lasciato il cuore del poeta e la sua vena poetica sembra inaridita, non resta che il ricordo del passato e il cieco timore del futuro e le scarse ed elaborate poesie non possono sfogare il dolore che affanna il suo cuore.

Ugo Foscolo ha scritto altri odi e tragedie: Tieste (tragedia, 1797); Ricciarda (tragedia, 1812); A Luigia Pallavicini caduta da cavallo (ode); Orazione Bonaparte (ode, 1802); All'amica risanata (ode, 1802); Epistola (ode, 1804).







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