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Tema su Goldoni
*G=Goldoni
Venezia, la città nativa di G, nel periodo precedente alla fiorente evoluzione teatrale, attraversa una crisi commerciale, che nonostante ciò determina lo sviluppo di diverse imprese desiderose di investire nelle attività produttive come il teatro. Di conseguenza la diffusa civiltà teatrale porta all'allargamento del pubblico in quanto il teatro non era più ristretto alla classe aristocratica, ma accessibile anche ai ceti più bassi. In particolar modo, il teatro si identifica nel trionfo della commedia dell'arte i cui elementi distintivi sono la personificazione di caratteri fissi da parte degli attori e una recitazione improvvisata non seguendo alcun copione scritto. Di solito ogni attore durante la propria carriera non lasciava mai il suo personaggio, per questo vi era una mancanza di originalità nella interpretazione. Inoltre se l'attore capiva che determinate battute divertivano il pubblico, egli insisteva fortemente nel riproporle fino ad annoiarlo.
G assunse uno spirito polemico perché la comicità era caduta in una volgarità buffonesca, le maschere erano ormai stereotipate e avevano nascosto la gestualità e la mimica facciale, vi era una ripetitività nella recitazione per cui le azioni e le battute erano diventate convenzionali e oramai prevedibili: il messaggio della commedia veniva limitato. G era un autentico uomo di teatro che lavorava a contatto diretto con il pubblico e ne conosceva perfettamente umori e bisogni. Da un lato voleva produrre testi che piacessero al pubblico e dall'altro aspirava ad una commedia che fosse verosimile e che riflettesse la società contemporanea. Iniziò con fermezza l'opera di rinnovamento, tutt'altro che facile perché presupponeva di modificare non solo le tecniche di recitazione e l'allestimento degli spettacoli, ma anche le abitudini e i gusti del pubblico. Già in ambito arcadico erano nati tentativi di riforma da parte di alcuni autori toscani ma i loro tentativi erano solo letterari e confinati nel chiuso delle accademie. G con la sua riforma inserì nelle commedie un copione scritto per gli attori che divennero dei professionisti, eliminò l'unità di tempo e di luogo ed abolì l'utilizzo di maschere portando sulla scena personaggi veri, con una loro psicologia.
Incontrò però delle opposizioni alla sua riforma: in primo luogo quella degli attori, che si trovavano a ricoprire un ruolo secondario e che non erano abituati ad imparare a memoria un testo scritto; in secondo luogo quella del pubblico, oramai affezionato alle maschere e alle battute della commedia dell'arte. La riforma, proprio per ovviare a queste avversità, fu graduale: G scrisse prima solo la parte del protagonista nell'opera il Momolo cortesan; in seguito passo alla stesura delle parti di tutti i personaggi ne La donna di garbo. G affermava che scrivendo le sue opere faceva continuo riferimento al libro del Mondo che rappresentava la vita concreta dell'uomo, quella densa di vizi e di virtù, e a quello del Teatro che gli suggeriva come riproporre sulla scena ciò che dal libro del mondo aveva appreso. Ecco perché nelle sue commedie ritrae perfettamente il mondo che lo circonda. I personaggi non sono più maschere, tipi fissi come nella commedia dell'arte, ma persone vere, autentiche, dotate di un loro proprio spessore di carattere. G era convinto che il fine più importante e più nobile della commedia fosse quello di correggere la corruzione morale, mentre, a suo parere il teatro dell' arte era diventato talmente volgare da incitare i giovani ad una vita viziosa. Secondo G, un uomo si poteva affermare indipendentemente dalla classe cui appartiene, attraverso l'onore e la reputazione di fronte all'opinione pubblica ovvero che la borghesia operosa era superiore alla nobiltà sfaticata. L'estrazione sociale che interessa all'autore è per questo la borghesia, che incarna la quotidianità, la ritualità di gesti e situazioni che si ripropongono in scena come nella vita vera; infatti loda coloro che raggiungono una stabilità economica dopo numerosi sacrifici e che poi riescono a gestire il denaro senza sperperarlo come faceva la nobiltà. G scriveva perciò le sue opere con forte intento educativo e, affinché il pubblico potesse coglierne meglio il messaggio morale, cercava di adattarsi ai gusti e alle attese degli spettatori utilizzando anche i dialetti dei luoghi in cui proponeva le sue opere. Il grande ostacolo con cui dovette misurarsi fu, così, la nobiltà: le commedie di G schernivano spesso l'aristocrazia e per questo i nobili iniziarono a disertare i teatri. Il massimo critico di Goldoni fu Carlo Gozzi, che colse in pieno gli elementi innovativi del teatro riformato a cui la società non era ancora abituata: la pericolosità politica ed ideologica di esaltare la plebe e ridicolizzare la nobiltà e il carattere decisamente realistico. A causa dell'attaccamento cultura alle tradizioni della civiltà dell'epoca, nel 1765 fu costretto a espatriare in Francia alla corte di re Luigi XV, ma anche qui non riscuote molto successo e morì in seguito in condizioni di semindigenza.
AI centro dell'azione scenica sta il personaggio di Mirandolina, dalla cultura semplice, ma che ha perfettamente assimilato le strutture mentali e di comportamento della sua classe sociale, fatte di avvedutezza e difesa dei propri interessi. Tutto ciò non le impedisce di essere socievole e abituata dai propri avventori ad un prolungato tributo di galanteria e di cortesia. È il trionfo del «terzo stato», nella sua concretezza e sensatezza, capace anche della finzione: non quella cristallizzata negli stupidi rituali dell'aristocrazia, bensì quella usata strumentalmente per la difesa del proprio prestigio e orgoglio.
Anche per analizzare i diversi concetti e le diverse idee riguardanti la donna e l'amore, bisogna considerare l'appartenenza alla classe sociale dei tre personaggi. Per il Marchese la donna è un suo possesso, come se fosse una proprietà, e non gli interessa se l'amore della sua amata è ricambiato oppure no. Il Conte invece pensa solo a se stesso: gli interessano solamente i soldi, con i quali può conquistare le donne, e non gli interessa se l'amore di queste è ricambiato o no. Al Cavaliere invece non interessano le donne: possiamo dire che rappresenta il soldato all'antica maniera, e la donna è una persona subordinata e secondaria.
Una frase che riassume la mentalità del personaggio è facilmente individuabile quando afferma: 'Mi piace l'arrosto e del fumo non so che farmene'.
La donna assume nella società del Settecento un ruolo nuovo e importante, che in molti casi non solo affianca, ma addirittura sostituisce la figura preponderante dell'uomo che sempre più spesso resta fossilizzato in limiti comportamentali che appartengono irrimediabilmente al passato.
Questa commedia nonostante abbia quasi 250 anni è considerata da tutti ancora un'opera moderna perché i problemi trattati da G sono attuali e penso che sia una delle cause del successo ottenuto sia dall'opera che dall'autore che con "la locandiera" ha aperto una nuova concezione teatrale che ancora oggi vige in tutta Europa.
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