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il sogno del migrante: "Y habra un cielo nuevo, Y una terra nueva."
Il migrante è una figura che ha attraversato molte epoche storiche e ha assunto diverse caratteristiche. I demografi e i geografi hanno cercato di studiare e classificare il fenomeno delle migrazioni, incontrando varie difficoltà per le tante cause, per le motivazioni psicologiche non sempre evidenti, per la mancanza della documentazione e dei dati statistici.
Dal 1800 al 1930 circa 40 milioni di europei sono emigrati verso gli altri continenti. Le cause sono molte: la crescita demografica, non sempre sostenuta dall'aumento della produzione agricola; il "decollo industriale", che provoca uno sconvolgimento nelle società a base contadina (emigrano non solo i contadini, ma anche gli artigiani) e l'arretratezza dei rapporti economici nelle campagne (la presenza del latifondo, l'eccessivo spezzettamento dei terreni, le difficoltà nel pagamento del riscatto dei diritti feudali o dell'acquisto di quote demaniali). Inoltre ci sono la concorrenza internazionale (la crisi agricola del 1880 fu causata dalla concorrenza dei grani americani); le crisi industriali e le spinte politiche (per esempio quelle dei gruppi nazionalistici privi del riconoscimento dell'autonomia politica). Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, l'esaurimento del fabbisogno di braccia per lo sfruttamento del suolo e del sottosuolo, lo sviluppo tecnologico, che abbassò la domanda di manodopera non qualificata, e le misure politiche di contenimento hanno arrestato il flusso migratorio, che da intercontinentale è diventato prevalentemente intraeuropeo. Migrazioni all'interno dell'Europa ci sono sempre state durante tutto l'Ottocento, stimolate dallo sviluppo agricolo, della costruzione di opere pubbliche e di ferrovie (dalla metà del secolo in poi) e dal fabbisogno di operai nelle aree industrializzate. Le direzioni sono state da Sud a Nord e da Est ad Ovest.
Per quanto riguarda l'Italia, l'emigrazione nell'Europa e nel mondo è stata altissima e ha raggiunto le punte massime tra il 1900 e il 1915. Nel periodo fascista questo fenomeno acquista un carattere interno, anticipando la grande ondata degli anni Cinquanta e Sessanta quando gli abitanti del Sul andavano al Nord per lavorare come operai.
A partire del 1974 i rientri diventano più numerosi degli espatri. Le cause sono una crisi economica generalizzata, con guadagni insufficienti e una riduzione dei posti di lavoro.
Negli ultimi anni anche l'Italia è diventata paese d'immigrazione (soprattutto dall'Africa del Nord, dalla Turchia e dall'Albania), a causa dello scompenso tra qualità della domanda e qualità dell'offerta sul nostro mercato del lavoro. I nuovi immigrati trovano impiego soprattutto nell'agricoltura (nel Sud), ma anche come domestici, operai, venditori ambulanti, camerieri. Spesso si tratta di lavoro nero o illegale.
Il nostro paese si è trovato quindi a dover affrontare problemi che
altri Stati, come
In tempi recenti ha assunto preoccupante consistenza un altro fenomeno: il flusso migratorio proveniente dai paesi ex comunisti dell'Est europeo. Si pensi, per esempio, alle ondate dei tedeschi orientali in direzione della Germania occidentale, oppure alle migliaia di albanesi sbarcati sulle coste italiane. A questi ultimi si devono aggiungere i profughi curdi, pakistani, indiani, che vanno ad ingrossare le file di quel popolo di disperati che con barche, gommoni o pescherecci attraversano l'Adriatico per raggiungere il litorale pugliese. Questi "viaggi della speranza" sono organizzati dalla malavita, soprattutto italiana e albanese, la quale è riuscita a trasformare la miseria dei profughi in un affare molto redditizio, pretendendo cifre elevatissime per un attraversamento che talvolta si risolve in un massacro: molte di queste imbarcazioni mandate allo sbaraglio (poiché prive di qualsiasi dispositivo di sicurezza) fanno naufragio, provocando centinaia di morti.
Le cause dei nuovi flussi migratori sono numerose: la crisi economica che ha colpito i paesi d'origine delle popolazioni migranti; l'attrazione esercitata dai sistemi occidentali, cui quelle popolazioni guardano come a regni della libertà, della democrazia e come a paradisi del benessere; la politica repressiva presente in molti paesi, dove alcune minoranze etniche e gli oppositori del regime in genere vengono sottoposti a trattamenti disumani e talora allo sterminio (come nel caso del genocidio del popolo curdo); gli scontri etnici sempre più acuti, associati in molti casi a conflitti religiosi, che si sono riaccesi improvvisamente in Europa con il venir meno della contrapposizione del blocco sovietico e di quello americano che costituiva un freno per le rivendicazioni dei singoli Stati.
Le migrazioni risultanti da questi conflitti hanno raggiunto cifre impressionanti: se nel 1974 l'ONU aveva censito due milioni e mezzo di profughi e nel 1984 oltre 10 milioni, nel 1994 ne contava addirittura oltre 23 milioni, con previsioni di crescita ulteriore.
L'opinione pubblica italiana è apparsa particolarmente preoccupata dal problema dell'immigrazione, come testimoniano le manifestazioni di disagio, intolleranza o addirittura razzismo, che negli ultimi anni sono scoppiate in molte città. Forse bisogna convincersi che i fenomeni migratori saranno sempre più un elemento costante in un mondo le cui aree dipendono una dall'altra. Non è difficile prevedere che le società del futuro saranno il risultato di un'integrazione tra razze, etnie e culture differenti. Se questo è vero, il nostro paese dovrà predisporre più incisive misure d'intervento, relative alle strutture di prima accoglienza, ai servizi sanitari, al riconoscimento di diritti civili e politici.
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