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Tacito: la Germania e il V libro delle Historiae
La Germania (De origine et situ Germanorum), verosimilmente pubblicata nel 98, è il primo grande documento letterario dal quale prende le mosse tutta la filologia germanica. E' divisa in due parti: nella prima si trattano gli aspetti comuni a tutte le tribù germaniche (origini e aspetto fisico della stirpe, configurazione del territorio, clima, usi, credenze, istituzioni dei Germani ecc.); nella seconda vengono analizzate le caratteristiche particolari delle singole popolazioni germaniche.
Lo schema della monografia è tutto basato sul confronto implicito Roma-barbari: da un lato la corruzione, la decadenza morale, i vizi, dall'altro un tenore di vita semplice e genuino, un amore ostinato per la libertà. Incontaminati da mescolanze con altre genti, i Germani sono descritti come guerrieri forti e intrepidi che disdegnano le ricchezze e vivono sobriamente (mentre a Roma il gusto del lusso favorisce l'ipocrisia e la leggerezza) e che non temono alcun pericolo, sono pronti a morire per i loro capi e ambiscono unicamente a segnalarsi per il loro valore in battaglia (i Romani invece non pensano ad altro che a un vile riposo e chiamano soldati stranieri per servirli); anche le donne non sono da meno per coraggio, fierezza, energia e integrità (al contrario, le donne romane amano partecipare a spettacoli e conviti, si sposano più volte e hanno amanti, limitano il numero dei figli e si abbigliano in modo sfarzoso).
Lo studio dei costumi germanici si traduce dunque in una severa meditazione sui perduti mores nazionali:
<<[L'autore] studia successivamente la guerra, la religione, la giustizia presso i Germani; considera dunque successivamente l'uno dopo l'altro tre tipi di virtù: religio, fortitudo, fides - religione, coraggio, lealtà. Ciò facendo, si mostra fedele a un'antichissima tradizione del pensiero romano [individuando le tre grandi virtù che hanno caratterizzato il passato di Roma]. (.) Esalta lo spirito religioso, senso del sacro, senso della purezza, da cui deriva tanto l'ispirazione dei poeti quanto la dignità morale della donna romana; loda anche la lealtà nei rapporti umani - quella dei mercanti, naturalmente, che non devono mentire su quel che vendono, ma soprattutto quella degli uomini liberi che si rispettano reciprocamente e che su questo rispetto fondano l'amicizia; tutte queste virtù sarebbero vane se non si accompagnassero al coraggio, che le preserva e ne assicura la libertà nella guerra, questa grande prova degli animi e delle civiltà.
(.) Queste grandi virtù storiche di Roma, Tacito non le osserva e descrive a Roma, bensì in quella Germania ancora così rozza, così vicina allo stato di natura e dalla quale doveva venire il pericolo principale per un impero infiacchito. (.) Tale è la profonda tragedia che Tacito scopre nella recente evoluzione della sua patria: questa sembra potente e prospera; ma ha perso le garanzie morali, le virtù collettive che ne avevano fatto la grandezza e assicurato la sopravvivenza. Nella cultura tradizionale, Tacito ha saputo trovare il meglio dell'anima romana; ma nella storia ha visto questa virtù tradirsi e dislocarsi.>> [A. Michel, Tacito e il destino dell'impero, Einaudi, Torino 1973, pp.118-120]
Tuttavia è ragionevole supporre che Tacito non intendesse esaltare la strenua semplicità dei Germani soltanto al fine di esercitare i suoi connazionali a modellarsi su quei popoli guerrieri, ma che volesse, facendo tesoro delle sue esperienze dirette e arricchendole con la consultazione delle fonti letterarie, richiamare l'attenzione dei Romani sul pericolo che rappresentavano per loro queste popolazioni così valide, frugali e guerriere. «Più pericolosi sono i Germani con la loro libertà che non i Parti con il loro regno» afferma lo storico. Inoltre non sono taciuti i caratteri negativi dei Germani (crudeltà, rissosità, ubriachezza, inettitudine alle attività non guerresche): forse Tacito annota le debolezze dei Germani sperando che proprio da esse possa derivare la salvezza per Roma, altrimenti destinata a perire sotto l'impeto delle acerrime e fiere tribù germaniche.
Nell'affermare l'autoctonia delle popolazioni germaniche, lo storico si serve di un'argomentazione poco lusinghiera:
<<D'altronde, a parte il pericolo costituito da un mare terrificante e sconosciuto, chi, abbandonate l'Asia o l'Africa o l'Italia, si dirigerebbe verso la Germania, priva di bellezze, rigida quanto al clima, squallida ad abitarsi e a vedersi, se non fosse la sua patria?>> [Germania, 2]
Comunque sia, tale affermazione resta il fondamento di una lunga tradizione e di un sentimento nazional-razziale divenuto col tempo sempre più inquietante.
La tesi di Tacito è ripresa dagli umanisti tedeschi Bebel, Naukler, Hutten, amico di Lutero, nel '700 dal poeta Klopstock, ed è ben presente nei Discorsi alla nazione tedesca (1808) di Fichte. Si pongono in quegli anni le premesse di uno sviluppo in senso apertamente razzistico, come "tutela del sentimento nazionale tedesco", in aperta ostilità verso le minoranze.
Questo atteggiamento "pantedesco" trova la sua espressione saggistica nell'opera Fondamenti del XIX secolo (1899) di Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), il razzista inglese "tedeschizzatosi" (fu amico personale di Guglielmo II e si imparentò con Wagner). Per Chamberlain è prioritaria la difesa dei cosiddetti tipi "migliori", cioè "puri": è peraltro innegabile, e la testimonianza tacitiana varrebbe a dimostrarlo, che i Germani rappresentassero una "razza pura".
Quest'ultimo punto sarebbe stato affermato da Tacito nel cap.4 della Germania, in un passo che ha particolarmente colpito Chamberlain e altri:
<<Io stesso sono d'accordo con le opinioni di coloro che ritengono che i popoli della Germania, non contaminati da nessuna unione con altre genti, mostrino la loro razza pura e simile solo a se stessa. Per cui anche l'aspetto dei corpi, sebbene in un numero tanto grande di uomini, è lo stesso per tutti: truci occhi azzurri, capelli fulvi, corporature massicce e adatte soltanto all'attacco.>> [Germania, 4]
Segno di "purezza" sarebbe dunque la statura e la conformazione fisica straordinariamente simile dei Germani.
Le Historiae
I libri delle Historiae erano probabilmente dodici o quattordici, ma quanto ne resta è più o meno un quarto.
Tacito vi narra gli eventi del periodo tra il 69 e il 96, fino a comprendere l'intera età flavia e la guerra civile seguita alla morte di Nerone.
Quanto resta del V libro è dedicato all'assedio posto da Tito a Gerusalemme per risolvere in favore dei Romani la guerra giudaica.
Tacito inizia così una digressione sugli ebrei, trattando le loro origini, la loro religione e i loro costumi.
<<La maggior parte degli autori concorda sul fatto che in Egitto, essendo sorta una pestilenza che deturpava i corpi, il re Boccori, consultato l'oracolo di Ammone per chiedere un rimedio, ebbe l'ordine di purificare il regno e di trasferire in altre terre questa razza invisa agli dei. Furono quindi ricercati, radunati in folla, ed abbandonati nel deserto.>> [Historiae, V, 3]
In queste pagine emerge chiaramente l'ostilità che circondava gli ebrei fin dal III secolo a.C. e che aveva dato origine a una letteratura antisemitica.
<<Non mangiano e non dormono assieme a non ebrei; è una gente che, pur essendo incline alla libidine, si astiene dalle unioni con donne straniere, mentre tra loro non c'è nulla di illecito.>> [Historiae, V, 5]
Inoltre vengono messe in luce le profonde differenze tra la religione ebraica e quella romana (il rigido monoteismo dei primi, in effetti, li rendeva un'eccezione rispetto a popoli che adoravano decine di dei).
<<Mosè, per assicurarsi per sempre la fedeltà di quella gente, le diede dei riti nuovi e contrari a quelli degli altri mortali. Presso di loro son profane tutte le cose per noi sacre e, per contro, considerano lecite tutte quelle illecite per noi. (.) Questi riti, in qualsiasi modo siano stati introdotti, si difendono con la loro vetustà: le altre usanze, sinistre e turpi, prevalsero perché malvagie. Infatti tutti i peggiori, disprezzando la religione avita, ammassarono tributi e offerte, donde si accrebbe la potenza dei giudei, anche perché tra loro la fede è ostinata e la solidarietà immediata, mentre nutrono un odio ostile contro tutti gli altri. (.) Istituirono l'usanza di circoncidersi per riconoscersi. Chi si converte alle loro usanze, si comporta allo stesso modo e, prima di ogni altra cosa, gli insegnano a disprezzare gli dei, a rinnegare la patria, e a non tenere in nessuna considerazione né i figli, né i genitori, né i fratelli.>> [Historiae, V, 5]
Infine lo storico esprime un profondo disgusto per le usanze giudaiche (gli ebrei seppelliscono i cadaveri, considerano empi coloro che modellano gli dei ad immagine degli uomini e non elevano statue neanche nei templi), inconcepibili non solo per i Romani ma anche per la maggior parte degli altri popoli. Per questo motivo li paragona agli Egiziani:
<<All'uso egizio, preferiscono seppellire che cremare i corpi e hanno lo stesso modo di curare i cadaveri e le stesse credenze sull'oltretomba, ma contrarie sul cielo. Gli egiziani venerano un gran numero di animali nelle loro effigi; gli ebrei concepiscono, e soltanto nel pensiero, un solo dio. Considerano empi coloro che modellano gli dei a immagine degli uomini, con materiali destinati a perire; credono in un Essere Supremo, eterno e imperituro, che non si può rappresentare. Nelle loro città non elevano quindi statue, nemmeno nei templi, e rifiutano questa adulazione ai re, questo onore ai Cesari. (.) La tradizione dei giudei è assurda e sordida.>> [Historiae, V, 5]
L'avversione e il disprezzo fanno venir meno il distacco che sarebbe richiesto a uno storico. Ciò si verifica perfino nei capitoli dedicati alla geografia del luogo: il quadro che emerge è quello di un paese inospitale e malsano, che anche nelle zone fertili presenta mostruosità e stranezze.
Un'interpretazione traslata delle parole di Tacito fornirà quindi, all'antisemitismo esploso nel Novecento, una possibile argomentazione e un documento storico-culturale di riferimento.
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