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SABA: La poesia come conoscenza.
Vita.
Umberto Saba è il più anziano dei tre. Nasce a Trieste nel 1883 da Rachele Cohen (ebrea) e da Ugo Poli (cattolico). Il matrimonio dei genitori dura pochissimo. Finisce ancora prima che il poeta nasca. Poveretto. Umberto conoscerà il padre solo nel 1905.
Viene allevato da una balia, Peppa Schebar, da cui si dice abbia poi preso il nome d'arte "Saba" (Schebar > Saba. vabbé diciamo che non tutti sono convinti di questo).
A tre anni viene riportato in famiglia. Nella separazione dalla balia, nell'assenza del padre e nel ritorno in età così tenera, a casa della madre, donna dura e poco espansiva, vanno rintracciate forse le cause delle crisi di angoscia destinate a seguirlo per tutta la vita.
Ha una carriera scolastica piuttosto breve. Si forma però da solo, leggendo i classici (Parini, Foscolo, Petrarca, Manzoni.).
Nel 1905 si trasferisce a Firenze e collabora alla celebre rivista letteraria "La voce", ma, parole sue, «ero fra lor di un'altra specie», insomma si sente un pesce fuor d'acqua.
Nel 1909 si sposa con Carolina Wőlfler.
Nel 1911 esce a sue spese il suo primo volume di versi, Poesie, (lo so, non è molto fantasioso), firmato già col nome di Umberto Saba.
Sempre in quell' anno scoppia una grave crisi coniugale tra il poeta e la moglie. I due torneranno poi insieme e non si lasceranno più.
È in questo periodo che scrive Trieste e una donna e Nuovi versi alla Lina. Tutte queste liriche confluiranno poi nella sua opera maestra: Il Canzoniere. Si tratta di una raccolta di poesie in divenire. Avrà infatti diverse edizioni. La prima è del 1921.
Dopo la prima guerra mondiale rileva una vecchia libreria antiquaria nel centro di Trieste. Il mio libro dice che la libreria è ancora esistente, però calcolate che il mio libro è del '92, sicché ora potrebbe anche esserci un McDonald's.
Nel 1929 la sua nevrosi e le sue crisi depressive si fanno sempre più intense. Va in cura da Edoardo Weiss (che letteralmente si traduce come Edoardo Bianchi). Quest'ultimo è un allievo di Freud. La cura dura circa due anni. Nel '31, Weiss si trasferisce a Roma. Saba ottiene comunque dei netti miglioramenti della sua malattia nervosa.
Nel 1938 le leggi razziali in Italia lo inducono a lasciare prima la gestione della libreria e in seguito a lasciare nel 1943, Trieste. Vivrà per un po' a Firenze, aiutato tra gli altri, da Montale.
Dopo la fine della guerra, Saba si trasferisce a Roma, dove vive un'epoca molto felice, attorniato da amici e da un ambiente intellettuale molto vivo.
Non riuscendo però a trovare un lavoro stabile deve ritornare a Trieste. È il 1948.
Nove anni dopo, nel 1957, moriva a Gorizia.
Poetica.
La poetica di Saba è
contenuta in un articolo del 1911, proposto alla rivista "
L'enunciato principale dell'articolo è il seguente: «Ai poeti resta da fare la poesia onesta».
Per poesia onesta Saba intende una poesia capace di arrivare al nocciolo del reale e dei sentimenti.
Scrive in un'altra opera, Scorciatoie e raccontini:
«Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell'universo. Tutti noi, in quanto nati dalla vita, facenti parte della vita, sappiamo tutto, come anche l'animale e la pianta. Ma lo sappiamo in profondità. Le difficoltà incominciano quando si tratta di portare il nostro sapere organico alla coscienza».
Saba si riferisce alla verità psicologica che è dentro ogni uomo. Per questa ragione, il critico Gianfranco Contini definisce Saba «psicoanalitico prima della psicoanalisi».
La poesia è quindi per Saba uno strumento di ricerca della verità profonda che giace in ognuno di noi. Scriverà in Amai «.amai la verità che giace al fondo.». La poesia è un modo per osservarsi, e l'osservazione di se stessi in particolare, ce lo ha insegnato anche Svevo, è la base per un'autoanalisi. È da qui che deriva l'impostazione fortemente autobiografica e diaristica del Canzoniere, che può essere letto come un vero è proprio diario di Saba, un diario su cui egli appunta le proprie impressioni sul mondo che lo circonda. Nel Canzoniere possiamo infatti trovare i personaggi della vita quotidiana del poeta: c'è Lina, la moglie, Paolina e Chiaretta, commesse della libreria, c'è Linuccia, la figlia e poi c'è Trieste, con la sua vita fatta di strade, gente, rumori e case.
Per queste ragioni si è parlato per Saba anche di Realismo, che non va inteso in senso naturalista o verista. Non c'è insomma alcuna ricerca di oggettività nell'inchiesta sul reale condotta da Saba. C'è piuttosto il tentativo di raccontare il quotidiano di un uomo normale e un po' nevrotico, che deve fare i conti con tutte le limitazioni dell'essere umano e con le sue infinite potenzialità inespresse e presenti nell'inconscio, territorio tutto da scoprire.
Alla poesia onesta si contrappone, la poesia disonesta che è quella di uno come D'Annunzio, è una poesia che ricerca il bello a danno del vero, è un compiacimento estetico, è l'opposto di quanto cerca di fare Saba.
Il Canzoniere.
È già nel 1913 che Saba inizia a pensare a una raccolta poetica intesa come storia della sua vita.
La struttura definitiva è del '61, uscita in un'edizione postuma.
Come già detto, il tema principale del Canzoniere è il quotidiano, che viene raccontato attraverso un linguaggio chiaro, nitido, comune. Un altro critico, Debenedetti, dirà che la poesia di Saba «non suggerisce, ma nomina le cose». C'è infatti in Saba una profonda avversione per le complicazioni intellettualistiche, per gli sperimentalismi formali, ecc.
È sempre Saba a dire «Quando non si può entrare in profondità, si complica e si nasconde». Sarà l'esperienza psicoanalitica, quella con Weiss, a confermargli ulteriormente le sue intuizioni. In altre parole si potrebbe dire che Saba cerca di parlare in modo chiaro e diretto perché l'oggetto della sua ricerca è complicatissimo ed è, tra le altre cose, l'inconscio.
Dall'altro lato non può essere nascosta una tendenza di quest'autore a un certo tradizionalismo formale. Ne è testimone il titolo, che riprende l'opera di Petrarca. Non si tratta però di una restaurazione dei moduli espressivi tradizionali, c'è piuttosto una coerenza con un'idea di poesia che vada dritta la cuore delle cose. (Lo ammetto, queste ultime 5 righe le ho copiate da un'antologia, il fatto è che mi sembrano chiare così come sono.)
Vi evito le opere "minori" di Saba. Date un'occhiata al vostro libro giusto per conoscere qualche titolo.
- A mia moglie -
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.
La poesia chiude il volumetto di Poesie del 1911 e a partire dal 1921 entra a far parte del Canzoniere. La singolarità del testo sta nel fatto che Saba celebra la moglie paragonandola ad animali domestici, dei quali mette in rilievo le qualità che essi condividono con la donna. Saba la definisce una poesia infantile, «se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia per sua moglie, scriverebbe questa» (Da Storia e cronistoria del Canzoniere[1])
È sempre Saba a fornire l'interpretazione per la poesia:
«il poeta, come il fanciullo, ama gli animali, che per la semplicità e la nudità della loro vita, ben più degli uomini, obbligati da necessità sociali a continui infingimenti, "avvicinano a Dio", alle verità cioè che si possono leggere nel libro aperto della creazione. Un giorno - e fu un bel giorno - Saba deve aver sentito con acuta gioia e tenera commozione le identità che correvano fra la giovane donna che gli viveva accanto e gli animali della campagna dove allora abitava».
Da un punto di vista formale è evidente che questa poesia ricorda un componimento religioso. Alla preghiera rimandano infatti sia l'attacco delle strofe, che si aprono tutte con una similitudine sottolineata dall'anafora Tu sei come, sia il richiamo al sacro degli animali che avvicinano a Dio.
È frequente l'uso di un'aggettivazione binaria o doppia: giovane. bianca; pettoruta e superba; soave e triste, ecc.
Un'ultima osservazione è da fare sugli animali che non diventano mai simboli, ma mantengono la loro natura di animali, perché Saba non carica gli animali delle qualità della moglie. Fa esattamente il contrario, scopre in sua moglie le caratteristiche della pollastra, della rondine, ecc.
È stato anche osservato come gli ultimi tre animali (rondine, formica e pecchia) non sono femmine, ma richiamano qualità femminili: la facoltà di generare la vita (la rondine che torna a primavera), la capacità di organizzare e amministrare la famiglia (la provvida formica) e infine l'operosità (l'ape).
- Trieste -
Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Fa parte di Trieste e una donna. Anch'essa entrerà poi nel Canzoniere.
Saba vuole cantare qui Trieste in quanto Trieste, per quello che ha di inconfondibile.
Il centro della poesia è formato dall'ossimoro scontrosa / grazia, messo in rilievo grazie all'enjambement e seguito dalla bella similitudine del ragazzaccio.
Altro ossimoro è un'aria strana / l'aria natia. Insomma l'aria o è natia o è strana, ma è proprio questa la particolarità di Trieste: l'essere se stessa e il suo contrario. Saba rivela in questo modo il suo amore e odio per questa città.
Trieste è nominata una sola volta, all'inizio della seconda strofa. In posizione centrale.
La descrizione della città non è affatto naturalistica. Saba ha un atteggiamento piuttosto contemplativo verso la propria città «che in ogni parte è viva».
- Amai -
Amai trite parole
che non uno
osava.
M'incantò la rima fiore
amore,
la più
antica difficile del mondo .
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un
sogno obliato, che il dolore
riscopre
amica. Con paura il cuore
le si
accosta, che più non l'abbandona.
Amo te che
mi ascolti e la mia buona
10 carta lasciata
al fine del mio gioco.
Non appartiene al Canzoniere, ma a Mediterranee, raccolta del 1946.
È però in linea con la sua poetica. Quel che c'è di nuovo è una maggiore consapevolezza di se stesso e una maggiore serenità (la scrive negli anni romani).
Saba espone qui la propria poetica. La predilezione per parole usuali e quotidiane. All'apparente semplicità del componimento si oppone la profondità dei concetti espressi.
La prima quartina espone lo stile di Saba, le sue scelte lessicali.
La seconda quartina si sposta sul piano concettuale. La ricerca della verità arriva attraverso la presa di consapevolezza del dolore e del proprio inconscio.
Gli ultimi due versi spiegano lo strumento con cui attuare questa ricerca. Si tratta della carta, insomma della poesia.
Da notare anche l'anafora di Amai. Amai. Amo e della descrizione semplice e viva dell'amore coniugale nel verso «amo te che mi ascolti». Si tratta di un amore circolare e consapevole. Un amore ricambiato: io amo te, che mi ascolti.
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