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NOME DELLA ROSA
Guglielmo e Adso si recano ad un monastero benedettino posto tra i monti dell'Italia settentrionale, sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i Francescani, sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'Imperatore, e i loro nemici della curia papale insediata a quei tempi ad Avignone. I due monaci (Guglielmo è francescano e inquisitore 'pentito', il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo lontano chiamati dall'abate, preoccupato che alcuni fatti misteriosi e, soprattutto, l'improvvisa e inspiegabile morte di un confratello possano far saltare i lavori del congresso e far ricadere la colpa su di lui.
Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex-inquisitore, altre morti si susseguono e sembrano tutte ruotare attorno alla biblioteca, vanto e onore del monastero, e ad un misterioso manoscritto. La situazione è complicata dall'imminente convegno e dalla scoperta, fatta dall'inquisitore Bernardo Gui, di due eretici della setta dei Dolciniani profughi presso l'Ordine dei Benedettini (il cellario e il suo aiutante semianalfabeta): così, in un'atmosfera inquietante, tra discorsi sulle donne, oggetto della perdizione del mondo, e sull'eresia, così antichi e al tempo stesso così moderni e attuali, Guglielmo e Adso si avvicinano sempre più alla verità, fino a scoprire il misterioso manoscritto (il secondo perduto libro della Poetica di Aristotele, che tratta della commedia, e dunque del riso e dello scherzo) per cui così tanti monaci sono morti e il misterioso assassino (Jorge da Burgos, l'ex-bibliotecario, ormai cieco, che aveva sparso sulle pagine del manoscritto un letale veleno) che così bene ha colpito nel monastero.
Alla fine, scoperta ogni cosa, i due protagonisti si allontanano, mentre la biblioteca brucia nell'incendio verificatosi nella confusione: Jorge tenta di mangiarsi le pagine del manoscritto e poi fugge, alché un lumino caduto 'fa prendere fuoco ai libri'. Jorge è quindi lucidissimo nel suo proposito di salvare l'umanità dalla pericolosa riscoperta del libro di Aristotele. In tema di citazioni e ammiccamenti più o meno nascosti (di cui il romanzo è disseminato dall'inizio alla fine) è abbastanza palese che tanto il nome di questo personaggio (Jorge da Burgos), quanto il trinomio cecità/biblioteca/labirinto a lui collegato, costituiscano un'allusione nemmeno troppo velata allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Guglielmo da Baskerville è un uomo alto e magro; ha occhi acuti e penetranti con sopracciglia folte e bionde, naso affilato e viso allungato e coperto di lentiggini. Ha circa cinquanta anni, ma nonostante questo si muove con inesauribile agilità Di tanto in tanto passa svariate ore disteso in cella con un'espressione assente negli occhi, tanto da sembrare sotto l'effetto di qualche droga. Egli appartiene all'ordine dei francescani e ,dopo essere stato per molti anni inquisitore è stato inviato dall'imperatore a fare da mediatore fra il Papato, l'Impero e l'ordine francescano. Come tutti gli intellettuali dell'epoca è in possesso di un sapere enciclopedico, è quindi dotto e sapiente e ciò gli conferisce la facoltà di affrontare ogni situazione con la giusta sagacità e prontezza nell'agire, a cui unisce un grande spirito d'osservazione e un eccellente acume intellettuale, come dimostra nel ricostruire il labirinto della biblioteca da fuori. Fra i personaggi dell'epoca ammira soprattutto Guglielmo d'Occam e Ruggero Bacone, da quest'ultimo trae un interessamento alla tecnologia e alle nuove scoperte che insieme a curiosità e desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo formano un carattere dinamico, insolito per la staticità mentale del Medioevo. Dal punto di vista simbolico Guglielmo rappresenta la voglia di conoscere e la razionalità.
Adso da Melk, di origini tedesche, è la voce narrante della storia. Durante gli avvenimenti è ancora un giovane ma li racconta quando ha ormai raggiunto un'età avanzata. Egli è un novizio benedettino ed è stato affidato a Guglielmo per avere un maestro che lo istruisca. È molto giovane e per questo ancora ingenuo e inesperto, ma allo stesso tempo voglioso di apprendere dal suo maestro che ammira profondamente e di cui si fida, tanto da farne il suo confessore. Nei sette giorni della vicenda egli matura molto e cresce sia dal punto di vista spirituale che intellettuale, chiarendosi le idee su molti dei fenomeni del tempo, fra cui le eresie e la corruzione della Chiesa. Ma la sua ingenuità lo porta a un momento di debolezza in cui cade nel peccato carnale con una ragazza, questo episodio lo tormenta a lungo e anche da anziano lo ricorda molto bene continuando a esserne sconvolto. Adso rappresenta l'inesperienza e attraverso le sue domande dà indicazioni ai lettori meno colti.
Jorge da Burgos, come già Guglielmo, è descritto con precisione nel testo; è il più vecchio deimonaci eccetto Alinardo, è cieco ma si muove e parla come se avesse il bene della vista. Il peso degli anni lo ha reso curvo e gli ha reso bianchi i capelli e il viso; tuttavia la sua voce è ancora maestosa. Spesso appare improvvisamente, come se vedesse bene; passa molto tempo nello scriptorium dispensando consigli ai monaci, i quali lo stimano molto e sovente si rivolgono a lui. Col passare degli anni ha acquisito influenza ed importanza nell'abbazia, fu lui a far eleggere Abbone come abate e Malachia come bibliotecario manovrandoli per quaranta anni. Jorge disprezza il riso e gli esseri umani che ridono perché' essi si prendono beffe della divinità e si allontanano dalla realtà. Per questo s'impone di tenere segreto il II libro della poetica di Aristotele che giustifica e apprezza il riso; egli causa molti dei delitti che sconvolgono l'abbazia, cospargendo le pagine di quel testo con un potente veleno. Di questo personaggio appare un giudizio estremamente negativo in quanto rappresenta una religiosità irrazionale e dogmatica.
Abbone è abate dell'ordine benedettino; si occupa di guidare sia spiritualmente sia materialmente la vita all'interno dell'abbazia ed è lui a concedere la possibilità di consultare i libri della biblioteca. Ma a volte non riesce a tenere in pugno la situazione tanto che chiede aiuto a Guglielmo per scoprire il motivo delle morti misteriose; per tanti anni segue la volontà di Jorge e quando tenta di ribellarsi viene ucciso da questo che lo rinchiude in un passaggio segreto. Abbone possiede una cultura molto ampia e prova piacere a darne sfoggio come risulta chiaro quando parla delle pietre preziose; apprezza le ricchezze materiali e aspira all'ammirazione di tutti verso la 'sua' abbazia, è inoltre una persona conservatrice che non ama le novità. Abbone è simbolo dell'amore per i beni materiali.
Bernardo Gui è un frate domenicano impegnato come inquisitore. Ha circa sessanta anni, è esile ma diritto e ha due occhi grigi e freddi che colpiscono Adso. È una persona intelligente e acuta, ma non ricerca la vera giustizia bensì vuol trovare dei colpevoli per rafforzare la potenza della sua carica.
Malachia da Hildesheim è bibliotecario dell'abbazia, l'unico che ha accesso in queste stanze e conosce i vari passaggi segreti. È alto e magro, con membra grandi e sgraziate, ha occhi intensi e volto pallido e avvolto nelle vesti nere col cappuccio alzato incute inquietudine. Sembra melanconico, severo e pensoso ma in realtà è molto semplice; successivamente Adso capisce che è manovrato da Jorge, il quale involontariamente causa la sua morte.
Salvatore è un monaco ma assomiglia più a un vagabondo per la sua tonaca sporca e lacera. Ha la testa rasata e sopracciglia dense e incolte, gli occhi sono rotondi con piccole pupille e la bocca ampia e sgraziata contiene denti neri e aguzzi. È di origini semplici e ha un passato doloroso e irregolare, avendo girovagato per tutta l'Italia fino a unirsi alle bande di fra Dolcino. È quindi un uomo ignorante e rozzo senza un compito all'interno dell'abbazia, procura ragazze al cellario e per questo viene catturato da Bernardo Gui.
Remigio è il cellario dell'abbazia, cioè colui che si occupa dell'amministrazione e dell'approvvigionamento. È un uomo pingue e di aspetto volgare ma gioviale, canuto e piccolo ma ancora robusto e veloce. La sua religiosità non è molto forte, infatti aveva aderito a un movimento eretico e commette peccati di lussuria, per questo è processato e condannato da Gui.
Severino da Sant'Emmerano è il padre erborista, che si occupa dei balnea, dell'ospedale e degli orti. Ha raccolto molte erbe e piante medicinali e fornisce a Malachia sostanze che provocano visioni, la sua cultura nel campo dell'erboristeria è molto ampia. Cerca sempre di aiutare Guglielmo e infatti è l'unico che trovato il libro non lo apre immediatamente ma avverte i protagonisti.
Nicola da Morimondo è il maestro vetraio dell'abbazia e si occupa delle fucine, è molto utile a Guglielmo nel ricostruirgli le sue lenti, è una persona affidabile e infatti viene nominato cellario dopo la cattura di Remigio.
Alinardo da Grottaferrata è il più vecchio dei monaci. Trascorre gran parte delle sue giornate tra le piante e in Chiesa e viene considerato da tutti uno sciocco pazzo, ma in verità conserva un'ottima memoria ed è utile a Guglielmo per il ritrovamento del passaggio che porta alla biblioteca.
Ubertino da Casale era un frate francescano spirituale che si era trovato in contrasto col Papa riguardo a questioni sulla povertà del clero e per questo e stato accolto dai benedettini. All'arrivo della delegazione papale è costretto a fuggire. È un vecchio dal volto liscio, la testa senza capelli, grandi occhi celesti, pelle candida e bocca sottile tanto da sembrare un fanciulla avvizzita.
Bencio da Upsala è un giovane monaco scandinavo, studia retorica, in lui si agitano fremiti d'indipendenza e accetta con faticai vincoli riguardanti la biblioteca. Inizialmente aiuta Guglielmo nell'indagine rivelandogli la relazione tra Berengario e Adelmo ma successivamente, venendogli offerto il posto di aiuto bibliotecario, ha un atteggiamento di chiusura nei confronti del francescano.
Berengario da Arundel è l'aiuto bibliotecario, è giovane, dal volto pallido e dal corpo bianco e molle. Soffre di convulsioni e spesso la notte fa bagni tiepidi. Successivamente Guglielmo scopre che ha commesso un peccato carnale con Adelmo e ha usato la possibilità di accedere alla biblioteca per procurarsi merce di scambi, ciò gli costa la vita quando decide di leggere lui stesso il misterioso libro.
Venanzio da Selvemec è un traduttore dal greco e dall'arabo, che apprezza molto Aristotele. Viene trovato ucciso la mattina del secondo giorno in un orcio pieno di sangue suino.
Il nome della rosa' di Umberto Eco costituisce il maggior caso
letterario degli ultimi anni, data l'enorme fortuna internazionale di cui ha
goduto e di cui ancora gode. Il libro, pubblicato nel 1980, è rimasto a lungo
in testa alle classifiche di vendita italiane, è stato tradotto in molte lingue
e ha avuto una fortunata riduzione cinematografica. Nel suo sviluppo esterno,
di stampo poliziesco, il romanzo si presenta ai lettori come l'inchiesta che un
monaco inglese, Guglielmo da Basckerville, aiutato dal giovane novizio Adso da
Melk, compie, fra eretici e inquisitori, in un'abbazia benedettina dell'Italia
del Nord nel settembre del 1327.
Giunto infatti nel monastero con la missione di comporre ed appianare i
contrasti fra diverse fazioni interne alla Chiesa, nella lunga contesa fra i
francescani spirituali e il Papa, Guglielmo riceve l'incarico di indagare sui
misteriosi omicidi che si susseguono fra i monaci seminando sospetti e terrore.
Con spirito investigativo acuto Guglielmo concentra la sua attenzione sullo
'scriptorium' e sulla labirintica biblioteca del monastero, in cui
riesce a penetrare attraverso un passaggio segreto; giunge così a scoprire la
ragione ultima dei delitti, connessa al ritrovamento di un antico testo filosofico
di Aristotele. Nella scena finale, in cui viene scoperto il colpevole, si
sviluppa però un incendio, che manda in fiamme l'intera biblioteca e l'abbazia,
distruggendo anche il prezioso manoscritto. Al di là della sua forma
poliziesca, il testo di Eco si rivela, ad un attento esame, come un complesso
microcosmo di temi e problemi: esso è infatti anche romanzo storico, romanzo di
formazione( Adso matura definitivamente nel corso della vicenda ) e soprattutto
romanzo filosofico e discorso sulla letteratura. Come il titolo indica,
infatti, la narrazione dell'indagine è una metafora della ricerca filosofica di
una veritàà sempre sfuggente, in un mondo in cui possiamo conoscere delle cose
solo con i segni esteriori con cui si manifestano i loro 'nomi', che
non ci consentono però di giungere alla vera essenza reale. Caratteristica
principale del romanzo di Eco è però la studiata mescolanza di elementi diversi
entro un taglio di gusto poliziesco, che rappresenta la cornice strutturale
esterna dell'opera. Si tratta di un libro destinato a varie fasce di pubblico:
dall'appassionato divoratore di gialli all''inglese', allo studioso
di storia e filosofia, allo studioso tanto colto da individuare in Guglielmo ed
Adso ( voce narrante del romanzo ) un riferimento a Scherlock Holmes e a
Watson. Non a caso la vicenda emerge dal passato tramite il ritrovamento di un
manoscritto: espediente narrativo già usato dal Manzoni, cui Eco, autore, a sua
volta, di un romanzo storico, strizza l'occhio come ad un collega, garantendosi
la partecipazione ironica del lettore. E' caratteristica infine la suddivisione
del testo, anch'essa non casuale. Il romanzo infatti è articolato in 7 capitoli
corrispondenti a 7 giornate, e ciascuna giornata è suddivisa in periodi
corrispondenti alle ore liturgiche.
Nel novembre del 1327, il novizio benedettino Adso da Melk accompagna in un'abbazia del Nord Italia il suo maestro, frate francescano Guglielmo di Baskerville, incaricato di indagare sulla morte di un monaco benedettino e di fare da mediatore tra la delegazione papale e quella francescana che, in quei giorni, si sarebbero incontrate in quella stessa abbazia.
Appena arrivati l'abate illustra loro il caso: Adelmo da Otranto era stato ritrovato morto in un precipizio oltre le mura dell'abbazia. Pregandoli di indagare sul delitto pone loro un solo limite, quello di non entrare mai in biblioteca, luogo a cui avevano accesso solo il bibliotecario Malachia e l'aiuto bibliotecario Berengario.
Il giorno seguente si apre con la scoperta di un nuovo cadavere, quello di Venanzio. Parlando con i frati dell'abbazia Guglielmo apprende che Berengario aveva rivelato un segreto della biblioteca ad Adelmo per comprare il suo amore e che successivamente Adelmo era stato visto insieme a Venanazio. Guglielmo deduce quindi che Adelmo si era tolto la vita per il rimorso del peccato carnale commesso, mentre la morte di Venanzio avreva a che fare con uno strano libro che la biblioteca celava. Così durante la notte si avventura nello scriptorium per frugare sotto il banco di Adelmo dove trova una preziosa pergamena (avente a che fare con il "secretum finis Africae" ), e dove incrocia una misteriosa persona che lo aveva preceduto sottraendo un libro nascosto sotto il banco di Venanzio.
Il terzo giorno di permanenza è caratterizzato dal ritrovamento del cadavere di Berengario nei balnea. Parlando con Severino l'erborista, Guglielmo scopre che la morte è stata provocata da un veleno che lo stesso erborista ricordava essergli stato sottratto parecchi anni addietro.
Il giorno successivo giungono nell'abbazia le delegazioni dei minoriti e degli avignonesi, questi ultimi guidati da Bernardo Gui noto inquisitore dell'epoca. Nella notte Guglielmo e il suo allievo si recano nella biblioteca dove apprendono che ad ogni zona della biblioteca era stato assegnato un nome tra cui "Afrcae", di conseguenza la pergamena recuperata due giorni prima avrebbe dovuto dare la chiave per entrare in una stanza segreta situata in quella zona della biblioteca. Nel frattempo Bernardo aveva fatto rinchiudere Salvatore il cuciniere, scoperto alle prese con riti magici.
La mattina seguente infiamma il dibattito tra minoriti e avignonesi sulla povertà di Gesù e della chiesa stessa: in sostanza fallisce il raggiungimento di quell'accordo per cui Guglielmo era stato chiamato a fare da mediatore. Allo stesso tempo l'abbazia viene sconvolta da un nuovo delitto: Severino viene ritrovato assassinato nel suo laboratorio insieme al cellario Remigio che viene subito fatto processare da Bernardo. Remigio viene prima accusato di aver fatto parte della setta dei dolciniani (cosa realmente accaduta) mentre con la minaccia della tortura gli viene fatto confessare di essere stato l'autore di tutti gli omicidi perpetratisi nell'abbazia. Così Bernardo riparte per Avignone convinto di aver risolto il caso.
Ma il giorno seguente anche Malachia cade morto davanti a tutti, anch'egli stroncato dallo stesso veleno letale. Intanto Guglielmo scopre il segreto per entrare nel "finis Africae" e così la notte si avventura con Adso nella biblioteca. Giunto in una stanza dove era posto uno specchio, preme le lettere di una scritta indicate dalla pergamena di Venanzio facendo aprire lo specchio ed avendo così accesso alla stanza segreta. Lì oltre a trovarvi il monaco cieco Jorge da Burgos che aveva intuito essere la causa di tutti i delitti, scopre anche il misterioso libro cosparso di un veleno letale che si trasmetteva al tatto. Nel frattempo si perpetrava l'ultimo delitto: Jorge aveva rinchiuso l'abate in una stanza dove questo sarebbe morto per asfissia.
Guglielmo aveva ora chiara tutta la situazione: il secondo libro della poetica di Aristotele, poiché sosteneva la liceità del riso, veniva considerato da Jorge molto pericoloso per l'intera Chiesa. Così quello lo aveva cosparso di un veleno letale che non avrebbe dato scampo a chi lo avesse sfogliato. Il primo ad averlo fatto era stato Venanzio, dopodiché Berengario, Severino invece, venuto in possesso del libro a sua insaputa, era stato ucciso da Malachia che era morto a sua volta leggendolo.
Jorge, a quel punto smascherato, tenta di distruggere il libro; così appicca un incendio con una lampada ad olio e subito vi getta il libro maledetto. Le fiamme non smetteranno di bruciare per ben tre giorni e oltre alla biblioteca divoreranno l'intera abbazia.
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