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LUIGI PIRANDELLO
Il periodo che va dal 1922 fino alla seconde guerra mondiale vede gli intellettuali schierarsi su due fronti diversi: quelli che aderiscono al regime e quelli che si schierano contro di esso.
Tra le grandi figure letterarie che aderiscono al fascismo troviamo Luigi Pirandello.
Già scrittore riconosciuto a livello mondiale Pirandello si iscrisse al P.N.F. nel periodo più delicato nella storia del regime, ovvero all'indomani dell'omicidio Matteotti.
Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 da una famiglia agiata. I Pirandello, di origine ligure, si erano trasferiti da tempo in Sicilia, facendovi fortuna nell'industria e nel commercio dello zolfo. Dopo aver frequentato le università di Palermo e Roma, si trasferisce a Bonn, dove si laurea nel 1891.
L'anno seguente ritorna in Italia e si stabilisce a Roma; nel 1894 sposa Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre, dalla quale avrà tre figli. A Roma Pirandello entra in contatto con gli intellettuali siciliani e collabora con crescente intensità a riviste e giornali. Nel 1897 assume l'incarico di lingua e letteratura italiana presso l' ISTITUTO SUPERIORE DI MAGISTERO DI ROMA; inizia così la sua duplice attività di scrittore e insegnante.
Purtroppo nel 1903 una sciagura mineraria riduce la famiglia alla povertà e in conseguenza del dissesto economico inizia la malattia mentale della moglie, che degenera più tardi in forme di follia persecutoria nei confronti del marito. Intanto Pirandello è costretto ad impartire lezioni private e a chiedere un compenso per le collaborazioni alle riviste.
Pirandello raggiunse notorietà con il romanzo "Il fu Mattia Pascal" e con un seguito di novelle; mentre prosegue la sua attività di narratore, inizia nel 1910 il suo interesse specifico per il teatro, che lo porterà al successo anche in campo internazionale.
Nel 1924 aderisce al partito fascista con un telegramma a Mussolini;
l'anno seguente, con i finanziamenti del fascismo, fonda
Nel 1934 gli viene conferito il premio Nobel e nel '36, durante le riprese di una riduzione per il cinema de "Il fu Mattia Pascal", si ammala di polmonite e muore il 10 Dicembre; vengono rispettate la clausole del suo testamento: essere avvolto nudo in un lenzuolo e messo in una cassa sul carro dei poveri, per un funerale senza fiori, senza discorsi, senza essere accompagnata da nessuno, nemmeno dai figli.
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
Questo romanzo ebbe una lunga gestazione, di circa quindici anni. Diventò un riepilogo della sue produzione teatrale: un lungo monologo continuato per anni.
Pirandello lo definì "Romanzo di scomposizione della vita": segna il progressivo autodistruggersi di una personalità di "consistere", di chiudersi in una forma coerente ed autentica; da quando cioè comprende la falsità dei rapporti che possiamo avere con gli altri e anche con noi stessi.
La crisi di Vitangelo Mostarda, il protagonista, ha inizio quando la moglie gli fa osservare che il suo naso pende verso destra, cosa che egli non aveva mai avvertito.
Nasce in lui la consapevolezza che la sua persona si riflette in centomila immagini: tanti quanti sono gli altri che lo osservano, fissandolo in una forma da loro creduta e voluta, secondo i loro particolari interessi, ma mai corrispondente alla sua intima realtà. Essere centomila significa, dunque, essere nessuno. La prima reazione del protagonista è il proposito disperato di vedere e conoscere quell'estraneo che è in lui (il suo io, quale gli altri lo vedono), credendo erroneamente che esso sia uno solo per tutti. Ma l'atroce dramma si complica. Moscarda scopre di essere centomila, e non solo per gli altri, ma anche per se stesso: tutti rinchiusi in quel nome vano e in quel suo povero corpo che era uno anch'esso, uno e nessuno. Sentimento e volontà ci determinano volta per volta in un progetto attuale di vita, che poi la vita stessa dissolve nell'attimo successivo, e la realtà è questa continua metamorfosi di forme, anche di quel corpo nel quale e col quale crediamo di esistere.
E' una crisi della persona, del principio di identità. Il Moscarda cercherà di distruggere le false immagini di sé che sono negli altri e in lui stesso, ma non potrà farlo se non estraniandosi irreparabilmente dal contesto sociale e da quelle credenze e rappresentazioni sulle quali costruiamo il nostro io in opposizione alla natura. Egli rinuncerà alla velleità sempre vana di darsi una forma per lasciare che la vita si viva in lui, immergendosi nel suo flusso imprevedibile e indefinibile senza più volontà di costruirsi, senza più sentimenti e senza memoria.
Il protagonista di "Uno, nessuno e centomila", Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un disperato esperimento, cioè quello di ricostruirsi un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dalle convenzioni, e di afferrare la propria personalità autentica mediante un atto di libera scelta. Per Moscarda, l'inizio dell'avventura è data dal proprio naso, che pende verso destra. Moscarda lo apprende un bel giorno dalla moglie. La frase, buttata lì per caso, banalmente, sarà come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo.
L'esistenza di Vitangelo ne sarà sconvolta, vita famigliare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realtà in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto. Chi è in reatà Vitangelo Moscarda che la moglie dice di conoscere e di amare, chiamandolo Genge? Così per gli amici e per tutti gli altri? Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le possibilità di conoscere le relazioni, i casi e le circostanze, i momenti psicologici, le realtà mentali di ciascuno.
Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneità, nella sua espressione prima e genuina. Impresa disperata, è come voler scavalcare la propria ombra. Per sé Vitangelo Moscarda è nessuno. L'io è infatti essenzialmente un "essere per l'altro".
Il tema centrale del romanzo è quello che gli dà il titolo. Una persona può essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente può essere centomila, cioè per ogni persona che conosce è un individuo diverso e ben distinto. Per questo una persona, come ad esempio è capitato a Moscarda, rischia di non essere più se stesso, ma esattamente il contrario, e questo è il dramma dell'essere in cui l'identità dell'io finisce con l'affogare. Moscarda si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente. Per questo dovrà cancellare l'immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i "mezzi" per la sua esistenza di borghese benestante. Si dà quindi a compiere atti di liberalità, che gli procurano un attestato di pazzia da parte della moglie, dai soci d'affari e anche dalle persone da lui beneficiate. Interdetto dai famigliari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui fondato.
Uno, nessuno e centomila è il romanzo della solitudine dell'uomo. L'io consapevole non è dunque soccombente, ma all'esterno è come se lo fosse. Mancandogli il contatto della convivenza, deve ripiegare su se stesso, accettando così la propria solitudine, che è l'effetto della libera scelta. Pirandello considera la solitudine in maniera molto particolare, ma non per questo confusa o astrusa. Infatti afferma che la solitudine non è con l'uomo, ma è senza l'uomo e inoltre non è possibile essere soli, tranne nel caso in cui ci si trova in presenza di cose o persone che ci ignorino completamente. Quindi una persona se si trova in un ambiente a lei famigliare, anche se privo di alcuna presenza umana non si può considerare tormentata dalla solitudine.
Pirandello tratta il rapporto che c'è tra l'aspetto fisico e la personalità, nonché il carattere.
Secondo lui le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Infatti la personalità di ognuno di noi ha molteplici sfumature che variano da persona a persona e addirittura in relazione allo stato d'animo e all'ambiente che ci circonda. Si può dunque ipotizzare che ognuno di noi indossa una maschera, non presentando così il suo vero "volto", perciò gli altri ci vedono in maniera differente l'uno dall'altro e da noi stessi.
L'autore esprime anche molte considerazioni sulla natura, arrivando a definire il rapporto uomo-natura, solo a vantaggio del primo e quindi si può pensare che non esiste realmente un rapporto del genere perché privi di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altro.
In seguito lo scrittore agrigentino espone il suo concesso di divino e di spirito religioso. Ritiene che esistono due tipi di divinità. Il primo è il classico Dio di cui si parla in chiesa e di cui si legge nella Bibbia e nei Vangeli, mentre l'altro è una sorta di spirito divino che ognuno di noi custodisce dentro di sé quasi gelosamente, perché ha paura di essere preso in giro.
In quest'opera, infine, Pirandello espone delle considerazioni sul tempo e sulla vanità della vita. Secondo lui non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perché per fare ciò dovremmo fermare la nostra esistenza, uscire dal nostro corpo ed analizzare. Questo non è possibile e tantomeno possiamo considerare una foto viva, perché il soggetto rappresentato invecchia, mentre la "pellicola" lo mostra nelle condizioni fisiche di quel momento. Perciò la vita si muove in continuazione e non può mai veramente vedere se stessa.
Dualismo fra la vita e la forma:
Pirandello ha una visione tragica e pessimistica della vita e del mondo, legata in sostanza alle grandi correnti del decadentismo europeo.
Egli crede in un fondamentale dualismo fra la vita e la forma: la vita (passioni, istinti, fantasia) è un flusso mobile e caotico; mentre la forma (ragione, morale comune, convenzioni sociali) si risolve in un rigore immortale.
La vita vorrebbe scorrere nella sua libertà, ma se vuole avere consistenza, deve fissarsi in una forma, che la soffoca e la uccide, non permettendole di liberarsi. Gli uomini che tentano di evadere dalle forme che un destino irrazionale a loro imposto ( marito tradito, impiegato licenziato) si sentiranno frustrati, e quando non esploderanno nella pazzia si dovranno "accontentare" di un'amara delusione, legata ai vincoli delle convenzioni sociali e della morale tradizionale, nonché dalla forma.
Solo l'amore, il grande vuoto e nel gelo dell'esistenza, fa ritornare per un attimo l'umanità alla sua vera vita di un tempo; per cui l'amore deve essere sempre considerato come un'esperienza positiva.
Assurdità della condizione dell'uomo:
l'uomo è soggetto al caso che lo rende una marionetta, e gli impedisce di darsi una personalità. Nulla può aiutare l'uomo; né la ragione che gli può mostrare solo la limitatezza del suo potenziale conoscitivo, né lo spirito,né la scienza. Egli può solo sentirsi vivere, che è la dolorosa conseguenza del vedersi vivere.
La teoria dell'umorismo:
per Pirandello nell'opera d'arte, che è creata in "forma armoniosa", la riflessione si nasconde, mentre nell'opera umoristica la riflessione, man mano che l'opera si fa, critica l'opera stessa, assumendo quasi un ruolo eversivo.
Pirandello definisce l'opera umoristica attraverso due immagini:
Uno specchio d'acqua gelata, in cui il sentimento si tuffa e spegne i suoi ardori;
Un demonietto che smonta ogni immagine e i suoi congegni per svelarne il meccanismo.
Dalla riflessione nasce "il sentimento del contrario", ben diverso e distinto "dall'avvertimento del contrario": il primo è proprio dell'umorismo, il secondo della semplice comicità.
Esercitare il sentimento del contrario significa allora:
a) cogliere il doppio volto della realtà;
b) individuare sotto il riso il pianto.
L'umorismo perciò è un fenomeno di sdoppiamento; ha la funzione di togliere la maschera, di scoprire il gioco, l'inganno, le contraddizioni, di fare riemergere la realtà nascosta.
LUIGI PIRANDELLO
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