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Pirandello è il più grande autore di teatro del Novecento italiano: per la consapevolezza della crisi di identità dell'uomo nella società moderna e per la novità della sua opera che sconvolge le tradizionali tecniche espressive nel teatro. La sua visione tragica della vita deriva dalla percezione che nella società borghese si è consumata la definitiva frattura tra l'io e la realtà, fra individuo e società: la realtà diventa allora il caos inspiegabile della vita e del mondo, così come l'uomo diventa il caos indecifrabile delle sue centomila e nessuna identità. Pirandello rappresenta così una delle voci più alte della «coscienza della crisi» che domina nella letteratura europea del tempo. Ma la sua estraneità ai clamori avanguardisti e dannunziani dei primo Novecento italiano gli consentì di raggiungere la fama solo molto tardi, quando la crisi dei dopoguerra fece maturare le condizioni perché il suo messaggio potesse essere compreso.
Questo stretto legame è testimoniato inoltre dal fatto che, nel rispetto delle sue volontà, le sue ceneri sono conservate presso il pino cresciuto vicino la sua casa natale presente nel quartiere Caos, il fulcro del Parco Letterario a lui dedicato di prossima costituzione. Tale Parco Letterario comprenderà, inoltre, vari luoghi, cioè quelli propri della stessa terra d'origine dell'autore come Agrigento, Porto Empedocle e i comuni limitrofi. Per apprezzare meglio i luoghi cari all'autore e le sue produzioni si stanno organizzando anche degli itinerari culturali e teatrali da attuarsi anche grazie all'ausilio di mappe, filmati e fotografie.
Nacque nel 1867 ad Agrigento da famiglia agiata (il padre era proprietario di una miniera di zolfo) e di cultura laica. Trascorse infanzia e adolescenza in Sicilia.
Dopo aver
frequentato l'università di Palermo e di Roma, si laureò nel
Tornato a Roma nel 1893, si dedicò alla narrativa, incoraggiato da Capuana.
Nel 1894 sposò Maria Antonietta Portulano.
L'esperienza dei dolore. Il 1897 segnò per Pirandello l'inizio di una profonda crisi familiare, a causa dei fallimento della miniera dei padre che rovinò il patrimonio suo e quello della moglie. La donna, che già aveva dato segni di fragilità nervosa, ebbe da quest'ultima vicenda un trauma che la portò alla pazzia.
Pirandello si dovette impiegare nell'insegnamento presso l'Istituto Superiore di Magistero di Roma, dove insegnò fino al 1922.
Continuava intanto la sua produzione di saggi, romanzi, novelle e nel 1910 esordi come autore teatrale (riducendo per il teatro la sua novella Lumìe di Sicilia). Tuttavia, le sue novelle, raccolte poi col titolo Novelle per un anno, e i suoi romanzi (L'esclusa, Il turno, Il fu Mattia Pascal e altri), nonché i suoi saggi (in particolare L'umorismo) passarono quasi inosservati. La celebrità gli giunse soltanto in età matura, quando -a partire dal 1916- si rivolse quasi interamente al teatro. Le sue commedie, talvolta accolte con dissensi clamorosi, si imposero al pubblico soprattutto dopo la fine della I guerra mondiale. Ottennero vasta risonanza Liolà, Pensaci Giacomino!, Così è (se vi pare), Sei personaggi in cerca d'autore, L'uomo dal fiore in bocca, Enrico IV e molte altre commedie.
Il teatro. A partire dal 1916 si dedicò quasi completamente al teatro e nel 1921 ottenne, proprio dopo un clamoroso insuccesso, la fama.
Il dramma "Sei personaggi in cerca d'autore", fischiato durante la prima al teatro Valle di Roma, suscitò grande scalpore e viva curiosità: a Milano l'accoglienza di pubblico e critica fu trionfale.
Nel 1921 inizia ad ottenere grande successo anche all'estero (Praga, Vienna, Budapest, Usa, Sud America), oscurando la fama del D'Annunzio. Nel '24 si iscrive al partito fascista, pochi mesi dopo l'assassinio di Matteotti e forte sarà la sua polemica con Amendola. Tuttavia, Pirandello, che si era iscritto solo per aiutare il fascismo a rinnovare la cultura, restandone presto deluso, non si è mai interessato di politica. Nel '29 il governo Mussolini lo include nel primo gruppo dell'Accademia d'Italia appena fondata (insieme a Marinetti, Panzini, Di Giacomo): questo era allora il massimo riconoscimento ufficiale per un artista italiano, ma Pirandello non se ne dimostrò affatto entusiasta. Raggiunta una celebrità mondiale, fondò nel 1926 la compagnia dei Teatro d'arte di Roma di cui fu direttore e regista, per la messa in scena dei suo repertorio. Si legò affettivamente a Marta Abba, attrice di spicco della compagnia.
Raggiunge la fama come drammaturgo, tanto che, nel 1934, gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura. Mussolini, attraverso il Ministero degli Esteri, cercò subito di sfruttarne la fama internazionale sperando di usarlo come portavoce estero delle ragioni del fascismo impegnato nella conquista dell'Etiopia. Nel luglio del '35 infatti il drammaturgo doveva partire per Broadway, per rappresentare alcuni suoi capolavori e sicuramente sarebbe stato intervistato dai giornalisti. Ma Pirandello non si prestò a tale servilismo. Durante le riprese cinematografiche de Il fu Mattia Pascal, effettuate a Roma, si ammala di polmonite e muore nel '36, lasciando incompiuto "I giganti della montagna". A dispetto del regime fascista, che avrebbe voluto esequie di Stato, vengono rispettare le clausole del suo testamento: 'Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il callo, il cocchiere e basta'. E così fu fatto.
Appartenente ad una famiglia della borghesia siciliana che si era distinta nelle lotte garibaldine, Pirandello sentì fin dalla giovinezza una profonda delusione per il fallimento degli ideali risorgimentali e una avversione per la classe dirigente liberale che ne era responsabile.
Un'avversione che si tradusse in un atteggiamento di estraneità alla politica (e forse la clamorosa adesione al fascismo di Pirandello ne è la provocatoria testimonianza), così come fu estraneo all'interventismo della cultura italiana del primo Novecento.
Egli coltivò in appartata solitudine il suo lavoro intellettuale, che lo portò a spostare la sua riflessione sulla crisi contemporanea dal piano storico al piano esistenziale: per Pirandello è l'uomo che è malato, al di là della configurazione politica della società.
Del resto, le sue stesse vicende personali - ed in particolare la pazzia della moglie lo obbligarono ad una dolorosa riflessione sulla dimensione tragica della condizione umana.
Fin dalla sua prima produzione narrativa, L'esclusa (1901) che narra la storia di una donna cacciata di casa dal marito perché ritenuta, ingiustamente, adultera, poi riammessa proprio quando l'adulterio l'ha realmente compiuto, emerge la tematica che, via via approfondita, caratterizza tutta la sua opera e al contempo esprime la sua visione del mondo il sentimento della condizione tragica dell'uomo, condannato alla sconfitta per l'impossibilita di comunicare con gli altri e di conoscere se stesso.
I temi di fondo sono: - il sentimento del contrasto tra illusione e realtà, poiché l'uomo è obbligato ad assumere una «forma» per esistere marito ladro, adultero ) la quale però si rileva illusoria rispetto al continuo fluire della «vita»;
- il sentimento della casualità della vita, che si svolge in un mondo privo di valori e di certezze, governato da un'assoluta relatività.
I personaggi di Pirandello, infatti, sono quasi sempre dei piccoli borghesi dalla vita meschina, soffocati dalle convenzioni sociali, alle quali si adattano con passiva inconsapevolezza. Ma talvolta, rivelando una insospettabile voglia di vivere, essi prendono coscienza e reagiscono mediante gesti apparentemente bizzarri, che però non trovano sbocco se non nella valvola liberatrice della pazzia o nella rassegnazione dolente e consapevole. E tutto si conclude con la constatazione dell'invivibilità di una esistenza autentica.
La «coscienza della crisi». La motivazione di questo atteggiamento dell'autore
sta nella consapevolezza di una crisi storica ormai irreversibile della società borghese e della cultura positivista dell'Ottocento. Egli non ne ricerca, se non occasionalmente, le ragioni politiche o sociali, ma rappresenta con lucida angoscia la condizione alienata dell'uomo che vive in una realtà caotica e priva di senso. Il personaggio pirandelliano è un continuo arrovellarsi nel tentativo di conoscersi.
La poetica dell'umorismo Conseguente alla sua visione dei mondo è la sua poetica: così come l'arte tradizionale si è ispirata al principio dell'equilibrio per rappresentare una vita e un mondo logicamente ordinati, l'arte nuova deve rappresentare con altre forme il caos di una realtà frantumata, l'intreccio di tragico e dì comico che costituisce la vita moderna.
Di qui la sua poetica dell'umorismo: l'umorista scava più in profondità dello scrittore comico e di quello tragico perché, intervenendo con la riflessione nell'atto di rappresentare la realtà, ne smaschera le menzogne delle convenzioni sociali e degli auto-inganni.
L'«umorismo» è cioè «il sentimento del contrario»: la contemporanea presenza nello scrittore del critico e del poeta, che riproduce nell'opera i due volti della realtà, il comico e il tragico, il riso e il pianto.
Mentre l'arte tradizionale tende alla coerenza e alla compostezza e, mirando a comunicare una presunta verità o essenza delle cose, scarta gli elementi casuali e accessori, l'arte umoristica di Pirandello ama la discordanza, la disarmonia, la contraddizione, indugia in divagazioni e in particolari gratuiti, distrugge le gerarchie e i sistemi di valore del passato, predilige il difforme, il grottesco, l'incongruente, il ridicolo, il dissonante.
Nella consapevolezza che la vita «non conclude» ‑ non ha un ordine, un senso, un inizio o una fine ‑, anche Pirandello nelle sue opere umoristiche punta a strutture aperte e in concluse.
L'arte umoristica respinge le leggi esteriori della retorica classica e le «veneri dello stile» (come dice Pirandello) per adeguarsi al movimento libero e spontaneo della riflessione: mentre sia gli autori classici che quelli romantici tendono al Sublime, Pirandello sceglie il linguaggio quotidiano, l'unico adatto a comunicare una concezione della vita che non rivela nulla di essenziale ma solo le storture di un'esistenza insensata.
La poetica umoristica rifiuta la concezione sia classica, sia romantica, sia, infine, decadente dell'arte: l'arte umoristica non nasce dal rispetto di regole estranee al momento dell'elaborazione (come pensavano i classici), né è espressione immediata dell'autenticità della passione o del sentimento o della natura (come ritenevano i romantici).
L'umorismo
Pirandello definisce «comico» l'«avvertimento dei contrario»: l'avvertimento della dissonanza tra la sostanza e le forme provoca il riso.
Ma se riusciamo a passare dall'avvertimento al «sentimento dei contrario», se riusciamo cioè a riflettere oltre l'apparenza per guardare nell'interiorità dell'uomo allora il riso si trasforma in pianto.
Celebre è l'esempio della vecchia signora «goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili» che muove il riso dei lettore, il quale avverte in lei il contrario di come si dovrebbe acconciare una vecchia signora.
Ma se egli riflette sul perché ella inganni così pietosamente se stessa, nel tentativo magari di trattenere un marito più giovane di lei, ecco che perverrà al <<sentimento del contrario>> ed il riso cederà il posto alla pietà.
Lingua e stile
Nasce come scrittore legato al Verismo, perché spinto dall'esigenza di rappresentare la realtà cosi com'era, ma si distaccò quasi subito da questo movimento.
Caratteristica dominante dei Veristi e, invece, non adottata da Pirandello era, infatti, il regionalismo, ovvero il descrivere le classi meno abbienti di una specifica regione.
Egli analizza la crisi dell'uomo moderno del suo tempo (vive, infatti, nel periodo della crisi della società, senso del mistero e crisi dei valori) venendo identificato per l'appunto scrittore decadente.
Dalla sua poetica, dal suo bisogno di rappresentare senza veli la tragicità del reale nasce una lingua cruda, che rifugge dalle finezze stilistiche e manda all'aria la sintassi e il lessico tradizionali. Il suo stile si distingue così per la sua violenza espressiva, libero da ogni convenzione letteraria, sia nella narrativa che nel teatro.
Concetto filosofico molto importante per conoscere Pirandello è il Relativismo gnoseologico (relativismo conoscitivo).
Pirandello ha una concezione relativistica dell'uomo, che ne esclude una conoscenza scientifica. L'uomo è troppo assurdo per essere capito (mentre la natura è più semplice, inconsapevole, felice, anche se resta un paradiso perduto e rimpianto). Il borghese si dibatte fra ciò che sente dentro (sempre mutevole) e il rispetto che deve alle convenzioni sociali (sempre fisse e stereotipate). La 'forma' o 'apparenza' è l'involucro esteriore che noi ci siamo dati o in cui gli altri ci identificano; la 'vita' invece è un flusso di continue sensazioni che spezza ogni forma. Noi crediamo di essere 'forme stabili' (personalità definite): in realtà tutto ciò è solo una maschera dietro cui sta la nostra vera vita, fondata sull'inconscio, cioè sull'istinto e sugli impulsi contraddittori. Parafrasando un titolo di un suo romanzo, si potrebbe dire che noi siamo 'uno' (perché pretendiamo di avere una forma), 'nessuno' (perché non abbiamo una personalità definita) e 'centomila' (perché a seconda di chi ci guarda abbiamo un aspetto diverso).
L'uomo, in definitiva, è soggetto al caso, che lo rende una marionetta, che gli impedisce di darsi una personalità. Ogni personaggio teatrale è immerso in una tragica solitudine che non consente alcuna vera comunicativa: sia perché il dialogo non ha lo scopo di far capire le cose o di risolvere i problemi, ma solo di confermare l'assurdità della vita; sia perché ogni tentativo di comprendersi reciprocamente è fondato sull'astrazione delle parole (sofistica), che non riflettono più valori comuni, ma solo la comune alienazione (i dialoghi sono cervellotici e filosofici).
Con questo
concetto, Pirandello si rifà ai filosofi sofisti greci, in particolare a
Protagora (filosofo sofista del
Le verità sono, quindi, soggettive e non oggettive.
Non esistendo verità universali, sta all'uomo più capace, convincere gli altri che, quella da lui sostenuta, è la teoria più giusta.
Altro concetto chiave per rendere più approfondita la conoscenza di Pirandello è il "Tutto scorre" di Eraclito (il "Pantarrei" di Luciano De Crescenzo).
Eraclito, scrittore pre-socratico, diceva che tutto scorre incessantemente, tutto diviene, tutto cambia velocemente; la vita è un continuo fluire tanto che nessun uomo è in grado di immergersi per due volte di seguito nella stessa acqua.
Il fu Mattia Pascal (1904) è un'opera di piacevole lettura, come dimostra il successo di pubblico, e al tempo stesso molto innovativa, a cominciare dalla presenza di due introduzioni, nelle quali, attraverso la voce del narratore e protagonista, Pirandello esprime una poetica antinaturalista e una filosofia radicalmente pessimistica, che vede l'uomo sperduto in un cosmo insensato che in ogni momento può schiacciarlo senza alcuna ragione.
Il fu Mattia Pascal, romanzo dal quale traspare il dramma familiare dell'autore e il suo desiderio di impossibile evasione.
Mattia Pascal vive un esistenza quotidiana opprimente e senza sbocchi, a causa soprattutto dei suo matrimonio mai riuscito, finché un giorno trova la forza di fuggire dal suo «inferno familiare».
A Montecarlo vince una grossa somma, poi legge sul giornale la notizia della sua morte: un cadavere trovato in una roggia viene identificato per quello di Mattia Pascal. Il caso gli offre dunque l'occasione per rifarsi una vita.
Cambia così il proprio aspetto esteriore, assume il nome di Adriano Meis e va a vivere a Roma.
Ma il senso esaltante di liberazione dura poco. «Uomo inventato», privo di stato anagrafico, cioè di «forma», il Meis non riuscirà a ricostruirsi una vita. Gli ostacoli gli si presentano ovunque improvvisi ed invalicabili: viene derubato e non può denunciare il furto; non può possedere un cane perché dovrebbe pagare l'apposita tassa; ama una ragazza e non può sposarla.
Non gli resta che inscenare il suicidio di Adriano Meis e ritornare alla vita precedente.
Ma anche questo gli sarà impossibile: infatti la moglie si è risposata e tutti si sono abituati all'idea della sua morte. Confinato allora in una condizione di morto vivente, non gli resta che essere il fu Mattia Pascal e recarsi ogni tanto a pregare sulla tomba dello sconosciuto che porta il suo nome.
Nel 1917 Pirandello cominciò a pensare a un romanzo intitolato "Sei personaggi in cerca d'autore", sviluppato attraverso il lavoro di tre novelle, (Personaggi, La tragedia di un personaggio, Colloqui con i personaggi), fu in un secondo momento che si trasformò nell'idea di una commedia, messa in scena nel 1921.
E' l'opera teatrale più trasgressiva e originale dello scrittore agrigentino, lo dimostrano il fiasco della prima sia il successo inarrestabile che ebbe nei mesi successivi e che diede a Pirandello fama internazionale.
Per la prima volta egli mostra sulla scena anche ciò che accade dietro le quinte, mentre si prepara la rappresentazione vera e propria.
Il pubblico viene infatti coinvolto, anche perché non c'e il sipario, e gli attori entrano nello spazio della sala.
Benché la vicenda dei sei personaggi abbia i tratti tipici del "dramma" romantico (abbandoni e gelosie coniugali, contrasti familiari, prostituzione ecc.) la sua trattazione appare del tutto diversa dai modelli ottocenteschi. Ogni personaggio racconta la sua versione dei fatti, e il dramma nasce proprio dallo scontro tra le varie versioni; dei personaggi e degli attori, che vedono la loro vita dall'esterno e tentano invano di riprodurla sulla scena.
(1926). Pirandello lo definisce il romanzo della scomposizione della personalità, egli dice la realtà siamo noi che la creiamo, mai fermarsi in una sola realtà: si finisce per soffocare, per morire.
Vitangelo Moscarda entra in crisi il giorno in cui sua moglie gli fa notare che il suo naso pende a destra, cosa di cui lui non si era mai accorto.
Può constatare che l'uomo si crede «uno» ed è invece «centomila», le centomila immagini secondo cui gli altri lo vedono; ma questo equivale ad essere «nessuno».
Si propone dunque di scoprire le molte identità che gli altri gli hanno dato. Appreso che i suoi concittadini lo considerano un usuraio, cerca di distruggere quell' immagine con atti clamorosi, come distruggerà via via i suoi ruoli di amico, marito, ecc.
Alla fine, consapevole che lasciarsi chiudere in una «forma» equivale ad annientare la nostra personalità perennemente cangiante, rinuncerà a qualunque forma, immergendosi nel flusso della vita, senza memoria e senza aspettative, vivendo nell'attimo presente.
Bisogna invece variarla continuamente e variare la nostra illusione.
L'uomo dal fiore in bocca
Il titolo tiene volutamente nascosto il reale nucleo tematico del dramma (la morte) mediante la metafora del "fiore in bocca". Viene così stimolata la curiosità del lettore- spettatore, che si lascerà suo malgrado coinvolgere dai lucidi ma certamente "strani" ragionamenti dell'uomo. Solo alla fine egli saprà il nome, fascinoso ma terribile, di quel "fiore": epitelioma.
Si tratta di un dialogo in un atto, liberamente tratto dalla novella scritta nel 1923 dallo stesso Pirandello e intitolata "La morte addosso", che si svolge in un bar notturno tra un uomo condannato a morte da un epitelioma (il fiore in bocca appunto) e un "pacifico avventore" (l'interlocutore del protagonista non viene designato con un suo proprio nome, ma solo con il ruolo che interpreta. Questo fa si che le vicende non si presentino come il dramma di una persona in particolare, ma come un caso umano di valore universale) che ha perduto il treno.
Delle due voci nella notte, una è la voce dell'uomo che vive e l'altra è la voce dell'uomo che vede ( che è consapevole della sua condizione umana).
Chi vive, scriverà altrove Pirandello, vive e non si vede. Solo in rari momenti si vede, ci si accorge lucidamente della propria situazione esistenziale.
Dei due personaggi che intervengono attivamente sulla scena, l'uomo dal fiore in bocca è quello che parla ininterrottamente, mentre il viaggiatore si limita ad ascoltare intervenendo di rado, con battute ovvie e banali, alle considerazioni amare del primo, che rivelano terribili verità. Analizza lucidamente le sue ultime sensazioni, evocando brandelli di vita comune e nella solennità della sua solitudine sembra aver raggiunto inattese consapevolezze sulla vita che gli sfugge irrimediabilmente e sulla morte, senza rimpianti né pentimenti. È chiaro che lo sconosciuto ha un gran bisogno di parlare, di comunicare con qualcuno; ma soltanto alla fine il viaggiatore capirà perché, quando gli verrà comunicato il tragico destino dell'altro.
C'è anche un terzo personaggio, che costituisce una sorta di presenza muta ma continua: si tratta della moglie dello sconosciuto signore, che segue di nascosto le mosse del marito, senza lasciarlo un solo istante, per cercare di mostrargli il proprio tenace affetto.
Ma invano, lo sconosciuto rifiuta questa dedizione ostinata, che rappresenta per lui un ostacolo al continuo tentativo di dimenticare la propria condizione di uomo destinato a rapida morte.
Egli vorrebbe poter dimostrare a se stesso che la vita è sciocca e vana, in modo da rendere meno duro il proprio distacco dal mondo; ma ad ogni istante egli non fa che scoprire la bellezza della vita, che gli si mostra in tutte quelle infinite cose apparentemente insignificanti che riempiono ogni momento della nostra esistenza.
Dunque è proprio da questa disperazione che nasce la sua insofferenza nei confronti dell'unica persona (la moglie) che saprebbe dargli vero affetto e vera partecipazione alla sua sofferenza.
Ed ecco allora che tutto il suo fitto colloquiare con il viaggiatore si rivela per quello che è: una finta disposizione al dialogo, che nasconde in realtà la sua tenace ostilità a tutto e a tutti, e il suo rifiuto di instaurare col prossimo un rapporto autentico di comunicazione, la sua vivissima curiosità, l'apparente allegria con cui egli segue i più minuti fatti dell'esistenza quotidiana, non implicano una sua attiva partecipazione a quella gioia del vivere che si riflette in tutte le cose che lo circondano; al contrario, esse indicano solo il suo disperato e solitario tentativo di restare attaccato alla vita ".come un rampicante alle sbarre di una cancellata."
Secondo l'interpretazione della studiosa inglese di teatro Felicity Firth, docente di letteratura italiana all'università di Bristol, non è il male incurabile dell'uomo che fa di lui un personaggio notevole, poiché per Pirandello tutti soffriamo di un male incurabile.
Ma ciò che rende eccezionale quest' uomo è la sua abilità a vedere.
L'uomo infatti è in attesa di morire (il 'fiore in bocca' è una tumore mortale che gli ha aggredito il labbro superiore) e proprio la vicinanza della morte ha reso più lucida in lui la capacità d'indagare il mistero della vita per penetrarne l'essenza.
Gli ha conferito insomma una sorta di chiaroveggenza grazie alla quale individuare aspetti dell'esistenza che agli altri uomini, che non vivono la vita con il suo stesso distacco, sono incomprensibili.
La vicinanza della morte gli ha mostrato che il mondo non è reale; non andrà a casa a recitare nello scenario domestico preparatogli dalla moglie.
Ha stabilito, per il tempo che gli resta, di conservare la sua abilità a vedere, deve passare i suoi giorni nell'osservazione minuta degli estranei (".non della gente che conosco.no, no, non potrei, ne provo un fastidio, una nausea.")
L'altro, invece, è un uomo come tanti, a cui la monotonia e la banalità del vivere, del quotidiano, hanno appannato la mente. L'avventore, pacifico, crede nella vita; per lui è importante portare a casa tutti i suoi pacchetti, la sua ansia per i pacchi è un'immagine appropriata. Tutti noi nella vita siamo ingombrati da pacchi, proprietà, bagagli, legami. Paradossalmente l'avventore è pacifico proprio perché è occupato dai suoi pacchi, non vedendo e non sapendo di se.
L'uomo col fiore in bocca, invece, ha compreso la futilità e la convenzionalità del vivere quotidiano e borghese: ciò lo rende amaramente ironico e nel contempo consapevole che, oltre questa vanità di forme, c'è soltanto il nulla, il vuoto assoluto. Così si tuffa quasi con avidità nella vita quotidiana, per gustare la banalità dei particolari più piccoli e insignificanti, per convincersi della loro vanità e soffrire meno della morte imminente.
Nella seconda parte, quasi risvegliandosi dal suo trasognato amore per la vita, il protagonista rivela (con cupa rabbia- suggerisce Pirandello) il gusto della vita che non si soddisfa mai e lentamente manifesta la sua condizione di amante della vita, perchè si trova alla fine di essa.
Denuncia le angosce della moglie e svela le ragioni del suo disperato attaccamento alle piccole cose dell'esistenza.
Tutto il dramma è dominato da un forte senso di incomunicabilità e solitudine.
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