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Lo scienziato di fronte all'universo
Per gli antichi il cielo costituiva una grande volta al di sopra dell'orizzonte, nella quale pensavano fossero inserite le stelle, poste tutte alla stessa distanza dalla Terra. Era dunque la parte visibile della cosiddetta sfera celeste, una sfera cava ruotante attorno alla Terra, che veniva a trovarsi pertanto al centro dell'Universo. Anche se oggi sappiamo che ciò non corrisponde a realtà, tuttavia è ancora comodo utilizzare tale sfera celeste come sistema di riferimento per determinare la posizione dei corpi celesti.
Il diagramma H-R e l'evoluzione stellare
Gli scienziati hanno individuato due metodi principali di classificazione per le stelle. Essi sono la magnitudine (la loro luminosità) e le classi spettrali (il loro calore superficiale). Questi due metodi sono stati assemblati dai fisici Hertzsprung e Russel in un diagramma, chiamato appunto diagramma H-R dai loro nomi, che era in grado di classificare le stelle secondo entrambi i metodi (posti in ascissa e in ordinata del diagramma). Inserendo i dati di vari esperimenti nel diagramma, come primi risultati i due fisici trovarono due gruppi di stelle: il primo in basso a sinistra, chiamato con il nome di nane bianche, e il secondo in alto a destra (le giganti). Le nane bianche erano quindi stelle piccole, o poco luminose, ma molto calde, mentre le giganti erano stelle particolarmente luminose ma relativamente fredde. In seguito essi scoprirono che le stelle non si disponevano nel diagramma casualmente, ma che formavano, oltre ad alcuni gruppi separati (giganti rosse, supergiganti, nane bianche e sub-nane), una diagonale, chiamata sequenza principale. Sulla sequenza principale si posizionano tutte quelle stelle che si trovano in una condizione di stabilità, cioè nelle quali si stanno compiendo delle fusioni nucleari. Il diagramma H-R assume una funzione fondamentale in quanto è in grado di racchiudere in sé tutte le fasi dell'evoluzione stellare. Le stelle con massa pari a quella del Sole si formano da globuli di materia relativamente fredda, i globuli di Bock, mentre le stelle massicce hanno origine da un'instabilità gravitazionale nella materia interstellare provocata da onde d'urto. Si forma in entrambi i casi una protostella, cioè una nube di gas nella quale le particelle di materia sono legate tra loro da interazioni gravitazionali (che farebbero contrarre la protostella) le quali convivono con la tendenza all'espansione del gas che si riscalda. Prevalendo la forza gravitazionale, la nube si contrae, facendone aumentare densità e temperatura. Quando la temperatura del nucleo stellare raggiunge i 10 milioni di gradi, viene innescata a fusione nucleare dell'idrogeno in elio, e la stella appena creatasi si inserisce nella sequenza principale del diagramma, sul quale è possibile seguirne l'evoluzione a seconda della massa. Durante il periodo della permanenza sulla sequenza principale (periodo di stabilità) si realizza l'equilibrio tra la forza gravitazionale e la pressione di radiazione (diretta dal nucleo verso l'esterno). Quanto più è massiccia la stella, quanto più rapidamente consuma l'idrogeno e quindi staziona meno sulla sequenza principale. Quando l'idrogeno diminuisce, la fusione nucleare si sposta nello strato intorno al nucleo; l'equilibrio si rompe e la parte centrale si contrae e si riscalda. Il calore prodotto viene dissipato dalla stella con l'espansione dello stato più esterno: essa si sposta dalla sequenza principale al gruppo delle giganti rosse. La contrazione ricomincia fino al raggiungimento di una temperatura pari a 100 milioni di gradi con l'innesco della fusione nucleare dell'elio in carbonio. La nuova pressione di radiazione prodotta dalla fusione riporta ad un equilibrio, perciò la stella torna sulla sequenza principale. È però uno stato instabile con variazioni periodiche di luminosità (variabile intrinseca).
Le stelle con massa solare (o minore di 1,44 ms), consumato l'elio, innescano la fusione del carbonio in ossigeno, creando una stella formata da sfere concentriche: ossigeno, carbonio, elio, idrogeno. La nuova contrazione gravitazionale non è sufficiente per innescare nuove fusioni, perciò la stella si raffredda, diventando densa e poco luminosa: una nana bianca.
Le stelle massicce invece hanno ancora una massa sufficientemente grande da raggiungere, attraverso la contrazione, la temperatura necessaria per nuove fusioni: si ottengono magnesio, silicio e ferro, l'aggregato più stabile. La stella, diventata una supernova, si contrae nuovamente così rapidamente da esplodere. La massa restante dopo l'esplosione è minore di quella solare, perciò si trasforma in una nana bianca.
Se la stella fosse supermassiccia, la massa restante dopo l'esplosione sarebbe sufficiente per nuove reazioni: la materia è sempre più compressa, e i protoni si uniscono agli elettroni dando luogo ad un fluido composto da neutroni e neutrini: si tratta di una stella di neutroni, oggetto densissimo che emette onde radio. Se queste stelle superano una massa limite prefissata, il fluido neutronico non può più autosostenersi: la stella va incontro ad un collasso gravitazionale, che procede fino al raggiungimento dello stadio di buco nero. I buchi neri sono oggetti supermassicci, che appaiono oscuri perché la luce rimane sospesa in una superficie sferica detta orizzonte degli eventi (in quanto costituisce il limite oltre il quale non hanno più luogo eventi fisici), che si può immaginare come il "contorno" del buco nero. L'astronomo tedesco Schwarzschild, studiando le equazioni di Einstein sulla gravitazione (teoria della relatività generale), definì l'esistenza di una distanza, rispetto al centro del campo gravitazionale, alla quale la velocità di fuga diventa uguale alla velocità della luce: a questa distanza fu dato il nome di raggio di Schwarzschild. Nei buchi neri tale raggio è minore del raggio stellare, perciò la luce non esce dalla stella. Fin dall'inizio degli studi tecnici sui buchi neri, si sono cercati metodi per identificarli nell'Universo,almeno in via indiretta, visto che nessuna osservazione diretta è possibile. Si deve quindi analizzare l'effetto che esercitano sui corpi celesti circostanti, dal momento che hanno un fortissimo campo gravitazionale. Gli studi sono stati così rivolti verso particolari stelle, dette binarie strette, in cui uno dei due componenti della coppia è una stella oscura che attrae verso di sé la compagna. Analizzando le perturbazioni dell'orbita dell'unica stella visibile, si può valutare la massa dell'intero sistema binario, dalla quale, sottratta la massa della stella visibile ricavata con misure spettroscopiche, si ottiene la massa della compagna oscura. Si è ipotizzato che un buco nero possa strappare materia alla stella compagna: questo gas andrebbe a disporsi ad anello attorno al buco nero, prima di cadervi dentro definitivamente emettendo raggi X. Quindi, se si trova una stella oscura massiccia in un sistema binario, e si manifesta emissione di raggi X, probabilmente ci si trova di fronte ad un buco nero.
I primi astronomi definirono nebulose tutte le nubi debolmente luminose visibili nel cielo. Con l'ausilio di strumenti più potenti, si poté verificare che quelle nubi erano in realtà oggetti differenti tra loro: si trattava di galassie, ammassi aperti, ammassi globulari e nebulose vere e proprie. Esse vengono oggi classificate in due gruppi: luminose e oscure. Le nebulose luminose sono a loro volta planetarie (se sono composte da una stella centrale che illumina i gas circostanti provocando l'emissione da essi di fotoni di particolare lunghezza d'onda), a emissione (se comprendono stelle molto calde che causano la ionizzazione dell'idrogeno, accompagnata da una massiccia emissione di radiazioni), a riflessione (se riflettono la luce di stelle vicine) e da supernova (se costituiscono i residui rimasti dopo lo scoppio di una stella detta appunto Supernova). Le nebulose oscure prendono invece questo nome dal fatto che la luce, proveniente da stelle poste dietro a un ammasso di polvere interstellare, viene completamente assorbita dalla polvere stessa; appaiono perciò come macchie scure su un fondo luminoso: famosissima è la nebulosa "Testa di Cavallo".
Nebulosa "Testa di Cavallo" |
Nebulosa del Granchio |
La teoria della relatività
La moderna cosmologia non esisterebbe se, all'inizio del XX secolo, non avesse visto la luce la teoria della relatività (ristretta e generale). Nella teoria della relatività ristretta (1905) Albert Einstein, ricollegandosi alla relatività galileiana dei sistemi di riferimento inerziali, nega l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti postulati da Newton, e afferma che essi si modificano in funzione delle condizioni di moto del sistema di riferimento (ossia dell'osservatore): il tempo perde le caratteristiche di entità indipendente e universale per diventare la quarta dimensione dello spazio (spazio-tempo quadrimensionale). Contemporaneamente, Einstein individua nella velocità della luce nel vuoto () un limite insuperabile per qualsiasi corpo in movimento (se si applica una forza costante a un oggetto, questo accelera, ma la sua accelerazione diminuirà tanto più la sua velocità si avvicinerà a c, mentre la sua massa inerziale aumenterà, tendendo all'infinito). Le equazioni relativistiche non producono effetti evidenti sulle leggi che governano i fenomeni che avvengono a velocità "normali" (di molto inferiori a quella della luce), ma per chi si muovesse a velocità prossime a quelle della luce, le conseguenze sarebbero eclatanti: il tempo si dilaterebbe (cioè rallenterebbe) e lo spazio si contrarrebbe (nella direzione del suo movimento). Gli effetti che ne derivano possono apparire paradossali: se potessimo osservare dall'esterno una nave spaziale che viaggia a quella velocità, vedremmo gli astronauti all'interno muoversi con estrema lentezza e l'astronave accorciarsi nella direzione del suo moto: gli astronauti in viaggio, però, non avvertirebbero nessun cambiamento rispetto alla norma. Altrettanto sconvolgente è il paradosso dei gemelli: supponiamo che uno dei due rimanga sulla Terra e che l'altro si imbarchi su una nave spaziale che viaggia a velocità prossima a quella della luce; dopo vent'anni, al suo ritorno, il gemello astronauta troverebbe il "terrestre" invecchiato, mentre per lui sarebbero passate solo poche ore. Con la relatività ristretta, Einstein sconvolge le leggi classiche della meccanica newtoniana ed evidenzia l'artificiosità del concetto di etere, il mezzo elastico nel quale, secondo l'opinione prevalente alla fine dell'800, si sarebbero dovute propagare le onde elettromagnetiche; riesce infine a dare una giustificazione teorica agli sconcertanti risultati dell'esperimento Michelson e Morley, secondo il quale la velocità della luce non è componibile con quella dell'osservatore, ossia è sempre la stessa sia nel caso che l'osservatore sia fermo rispetto alla sorgente luminosa, sia nel caso in cui si muova rispetto ad essa. Un altro caposaldo della relatività ristretta è l'equivalenza tra massa ed energia (), che si possono trasformare una nell'altra: in questo modo si spiega la produzione di energia nelle stelle e la potenza distruttrice degli ordigni nucleari.
Nella relatività generale (1916) Einstein si occupa del campo gravitazionale ed evidenzia l'equivalenza tra massa inerziale (quella data dal rapporto m=F/a) e la massa gravitazionale (quella responsabile dell'attrazione gravitazionale, indicata dalla legge ). Poiché qualunque corpo dotato di massa modifica, in modo più o meno sensibile, lo spazio e il tempo intorno a sé (curvatura dello spazio-tempo), gli oggetti in movimento in prossimità di un corpo celeste massiccio percorrono linee "geodetiche" che, pur essendo traiettorie curve (come quelle composte da un corpo in moto sulla superficie terrestre), sono il percorso più breve che l'oggetto può compiere. In questo modo si spiegano le traiettorie dei pianeti intorno al Sole (che non sono perfettamente descritte dalle leggi di Newton), e la deviazione della luce in prossimità del Sole e dei buchi neri. Einstein descrisse questi fenomeni con le sue famose equazioni del campo gravitazionale, prevedendone con successo le caratteristiche (poi verificate sperimentalmente per la prima volta nell'eclissi del 1919). Purtroppo la teoria della relatività non si accorda perfettamente con la fisica quantistica, l'altra grande rivoluzione scientifica del XX secolo: la loro unificazione in una teoria quantistica della gravità, alla quale stanno lavorando i più grandi fisici, chiarirà probabilmente molti dubbi sull'origine e l'evoluzione dell'universo.
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