L'ideazione dei
Promessi Sposi
Manzoni idea I
Promessi Sposi leggendo una grida del Seicento, riportata da Melchiorre Gioia.
È la stessa trascritta nel terzo capitolo del romanzo, circa le pene a cui va
incontro chi impedisca la celebrazione di un matrimonio. 'Sai che cos'è
stato che mi diede l'idea di fare I Promessi Sposi? È stata quella grida che mi
venne sotto gli occhi per combinazione, e che faccio leggere, appunto, dal
dottor Azzecca-garbugli a Renzo dove si trovano, tra l'altro, quelle penali
contro chi minaccia un parroco perché non faccia un matrimonio. E pensai,
questo sarebbe un buon soggetto per farne un romanzo (un matrimonio
contrastato), e per finale grandioso la peste che aggiusta ogni cosa!',
scriverà il Manzoni, anni dopo, al figliastro Stefano Stampa.
Sono anni di lavoro intenso. Così Pietro Citati lo immagina intento nel suo
sforzo creativo: 'Fu il periodo più felice della sua vita: l'unico, forse,
felice ch'egli conobbe Era incuriosito e divertito da quello che raccontava,
e per la prima volta scoprì la gioia di proporre avventure, di sciogliere
intrighi, di giocare con i fatti persino la nevrosi e gli incubi sembrarono
allentare per qualche tempo la loro presa sopra di lui'.
Come arriva al romanzo? Quali sono le urgenze interiori che lo avvicinano a
questo tipo di produzione, pressoché assente in Italia, considerata anzi con
una sorta di sufficienza dagli intellettuali, perché orientato verso un
pubblico borghese di non 'addetti ai lavori'?
In realtà Manzoni capisce che né la lirica civile né il teatro soddisfano quel
bisogno di comunicare 'ad ampio raggio' che è una sua aspirazione
profonda. Anzi, i personaggi del teatro si trasformano quasi in simboli, si
innalzano in una sfera astratta che coinvolge la meditazione esistenziale: Adelchi
è un eroe, chiuso nel cerchio sublime del suo pessimismo. Quanti lettori
possono riconoscersi in lui, pur condividendone, i princìpi e le aspirazioni?
Il romanzo, invece, si presenta al largo pubblico con un linguaggio più
semplice, una narrazione avvincente, personaggi verosimili per le loro
umanissime reazioni. Il genere del romanzo è l'immagine letteraria della classe
borghese che rappresenta un pubblico non d'élite e tuttavia desideroso di
letture.
Grazie a Fauriel, durante il secondo soggiorno parigino, Manzoni ha conosciuto
le opere dello scozzese Walter Scott: con lui si parla di romanzo storico
perché le vicende sentimentali dei protagonisti sono calate in periodi
storicamente ben definiti e per lo più nel Medioevo, ricostruito con una certa
attendibilità. Ivanhoe
è, all'interno della feconda vena narrativa dello Scott, il romanzo più
celebre, pubblicato nel 1820. Come si può notare facilmente leggendolo, Ivanhoe
è impostato sulla contrapposizione di buoni perseguitati e di cattivi
persecutori, i quali troveranno il giusto castigo. L'amore, a lungo mortificato
e quasi annullato dalla prepotenza dei 'cattivi', alla fine si
risolve in nozze benedette. Alessandro Manzoni comprende le enormi potenzialità
letterarie contenute nel romanzo. In Italia questo esperimento non è ancora
compiuto. Circola solamente il romanzo epistolare di Ugo Foscolo Ultime lettere
di Jacopo Ortis (1817), dal carattere parzialmente
autobiografico, dove al tema dell'amore si unisce quello della patria asservita
allo straniero. Jacopo, deluso nelle speranze di sposare l'amata e deluso
perché con il trattato di Campoformio del 1797 la Repubblica di Venezia è
caduta in mano agli Austriaci, si uccide.