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"L'età imperiale", "Seneca"




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"L'età imperiale", "Seneca"


Possiamo osservare come, non solo nel corso della storia contemporanea, ma anche epoca antica, molto spesso la struttura e l'organizzazione della società hanno costituito un fattore di limitazione della libertà individuale. Ciò ha influito in maniera profonda condizionando l'agire di tutti individui, ma in particolare ha ristretto fortemente la libertà di espressione degli intellettuali, io cui pensiero spesso era in contrasto con gli interessi di chi gestiva il potere. Per quanto riguarda la storia antica, esempi molto rilevanti possono essere riscontrati nell'analisi della struttura della società dell'età imperiale romana. In seguito all'instaurazione del principato, infatti, la vita intellettuale venne ad essere sempre più strettamente condizionata e controllata dal potere politico. La dipendenza dei letterati da personaggi socialmente, economicamente, politicamente influenti ed autorevoli era stata assai rilevante già in epoca repubblicana; sotto l'impero tuttavia divenne ancora più stretta e vincolante in conseguenza del fortissimo accentramento della gestione del potere nelle mani dell'imperatore: ne conseguì infatti una drastica riduzione di quegli spazi di libertà e autonomia che prima si aprivano nel quadro complesso e variegato della vita politica, culturale e sociale. Mentre sotto la repubblica molti uomini politici, oltre ad essere scrittori essi stessi, erano stati attivi promotori di cultura, sotto l'impero tale funzione venne assolta quasi esclusivamente dai principi, il cui potere era assoluto e la cui autorità tendeva a controllare attivamente e severamente la vita intellettuale. Già sotto Augusto, quando venne meno la preziosa opera di mediazione tra gli intellettuali e il principe attuata da Mecenate, sembrò spezzarsi quell'equilibrio che si era potuto realizzare fra le esigenze e le pressioni del potere politico da una parte e la libertà e l'autonomia degli intellettuali dall'altra. Si manifestarono, quindi, evidenti segni di disagio nei rapporti tra i letterati e l'imperatore. Uno degli intellettuali che segnò più profondamente quell'età fu sicuramente Seneca, che visse durante il regno di Caligola, Claudio e Nerone. Il filosofo (nato a Cordova nel 4 a.C. e morto a Roma nel 65, proprio per volere di Nerone), ebbe rapporti molto stretti con la dinastia dei regnanti, e svolse ruoli di assoluto rilievo nella gestione dell'impero, in particolare dopo la nascita di Nerone, del quale gli era stata affidata l'educazione. Proprio in virtù dei suoi contatti con la famiglia imperiale, ebbe modo di analizzare dall'interno le modalità di gestione del potere, ed espresse il suo pensiero politico in diverse opere, quali il De ira, l'Apokolokyntosys e il De clementia. Attraverso tali scritti, il filosofo volle indicare a chi deteneva il potere assoluto quale fosse il modo migliore per amministrarlo, per non permettere che si sviluppassero regimi tirannici.  Nel primo affronta il tema dell'ira riferendosi all'uomo di potere; a costui consiglia la moderazione, intesa come autocontrollo; il referente di Seneca è ovviamente l'imperatore, che gode di un potere illimitato, e che in tal modo viene invitato a porre un freno alle proprie passioni ed alle proprie collere. Non è un caso, infatti, che egli operi un paragone tra Caligola, autore di frequenti azioni incontrollate, e Augusto, esempio di regnante moderato.

La seconda opera, invece, scritta dopo la morte di Claudio, costituisce e una condanna del modo tirannico di gestire il potere; nell'aldilà, infatti, quest'ultimo viene giudicato da Augusto, il che dimostra la predilezione di Seneca per un ritorno ai valori della prima età dell'impero, intonata alla moderazione ed alla tolleranza. D'altra parte, però, Nerone viene presentato come colui che saprà realizzare nella vita dell'impero una nuova età dell'oro; ciò viene sia considerato come un omaggio servile nei confronti del nuovo imperatore, del quale Seneca cerca di ottenere la benevolenza, sia come un augurio di una nuova età politica fondata sui principi della moderazione, della tolleranza e della libertà. Un'altra opera fondamentale nell'ambito del pensiero politico di Seneca è sicuramente, come si è detto, il De clementia, in cui l'autore ci presenta il frutto più maturo delle sue riflessioni politiche; egli non affronta il tema se il principato sia o meno la forma di governo più adatta, ma si limita ad consigliare all'imperatore, Nerone, il modo migliore per amministrare il suo potere, teorizzando ed esaltando una forma di monarchia che potrebbe essere definita "illuminata". Egli consiglia di fondare la propria condotta politica sulla clementia, se vuole essere un rex iustus. Essa non è la generica bontà o moderazione, ma un consapevole e illuminato atteggiamento politico; essa consiste in un'autolimitazione, da parte dell'imperatore, del proprio potere. Tale forma di autocontrollo produce un miglioramento nei rapporti del sovrano con i sudditi, permettendo di ottenere la simpatia della gente e la pax sociale. La clementia, quindi, viene vista come l'unico antidoto alla nascita di un potere tirannico, un dono del principe per i suoi sudditi, nei confronti dei quali si comporta come un padre affettuoso, reputando il suo potere come un peso da sopportare, spendendo la sua vita nell'esclusivi interesse delle stato. Per fare in modo che la clementia diventi una componente basilare del mondo morale del principe, la sua educazione deve essere affidata alla figura del filosofo, considerato da Seneca un "forgiatore di coscienze".

Soltanto attraverso questo tipo di gestione del potere, quindi, poteva essere garantita la  presenza di una società liberale e non oppressiva della libertà del cittadino, sebbene fosse retta da un potere di tipo assolutistico.


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