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L'epistemologia del xx secolo




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L'EPISTEMOLOGIA DEL XX SECOLO


Esistenza logica ed esistenza ontologica


Già all'inizio del XX secolo si sollevò una questione fondamentale: cosa garantisce che la scienza (in quanto disciplina teorica) esprima davvero la realtà? In altre parole: è lecito estendere la verità logica, prodotta dalla razionalità umana, alla verità ontologica? Questo problema era già stato affrontato da Kant, anche se non in questi termini, quando il filosofo asserì

a)         che l'unica cosa conoscibile è il fenomeno, e non la realtà nella sua essenza;

b)         che la verità logica del principio di causa non è estendibile alla verità ontologica (critica all'esistenza di Dio).

Per certi aspetti, l'argomentazione di Kant è inconfutabile a meno che non si ricorra a postulati: nessuno è in grado di garantire razionalmente l'identità tra fenomeno e noumeno (cosa comunque possibile), dato che del noumeno nulla è noto.

E' chiaro che di fronte a un problema così importante, poiché coinvolge i fondamenti della scienza, la comunità scientifica e filosofica si sentì in dovere di cercare un qualche fondamento alla conoscenza. La ricerca coinvolse due piani:

a)         da un lato si tentò di formulare con assoluto rigore le leggi del pensiero (piano logico);

b)         dall'altro si cercarono principi che consentissero il "salto" da esistenza logica ad esistenza ontologica (piano ontologico).

Nonostante la questione a) sembri meno rilevante della b), esse sono ugualmente fondamentali: la razionalità resta infatti sempre e comunque il solo metodo di indagine scientifica e necessita quindi di una formulazione corretta.


PIANO LOGICO

Numerosi furono i tentativi di stilare con rigore le leggi della razionalità, alcuni dei quali tornarono a ribadire una netta separazione tra logica e realtà. Si ricordano:

Poinacaré, il quale affermò che i postulati logici e matematici sono convenzionali (convenzionalismo);

Frege, che formalizzò la logica e tentò di legarla contemporaneamente al linguaggio e alla matematica, ricorrendo ai concetti di insieme e di funzione. (B. Russell dimostrò che le teorie di Frege presentavano sostanziali contraddizioni).


PIANO ONTOLOGICO

Il problema fu analizzato sul piano ontologico soprattutto da B. Russell, il quale, nella sua opera La conoscenza umana, il suo ambito e i suoi limiti, affermò che la conoscenza può avvenire

per esperienza, cioè in modo diretto;

per descrizione, grazie all'esperienza altrui.

In ogni caso dunque la conoscenza scientifica si fonda sull'esperienza ma, sottolinea Russell, non è possibile confrontare direttamente due esperienze uguali fatte da persone diverse. Da ciò consegue che la fisica, fondata sul fatto che i fenomeni sono gli stessi per tutti, stabilisce illecitamente l'omogeneità delle percezioni (inferenza). Questo problema è superabile, secondo Russell, solo con l'introduzione di un apposito postulato.

A queste valutazioni si aggiungono le micidiali tesi di Bachelard, il quale, osservato che il progresso scientifico si basa sempre sulla negazione ed il superamento di teorie precedentemente espresse, rifiuta l'idea che possa esistere una "verità prima".


Il neopositivismo


Con la corrente del Neopositivismo la comunità scientifica prende esplicitamente coscienza della situazione in cui si trova:

a)         assume un atteggiamento più critico verso la scienza;

b)         ricorre sistematicamente alla logica formale;

c)         tiene in grande considerazione la dimensione empirica.

Il Neopositivismo si sviluppò in primo luogo all'interno di due ambienti intellettuali, il Circolo di Vienna ed il Circolo di Berlino, entrambi determinati a concepire una visione unitaria delle scienze empiriche.

Le dottrine caratteristiche del Neopositivismo possono essere riassunte nelle seguenti asserzioni:

a)         Le uniche proposizioni con valore conoscitivo sono quelle suscettibili di verifica empirica (criterio di significanza);

b)         Poiché la scienza si basa sulla verifica, essa è l'attività conoscitiva per eccellenza;

c)         Le proposizioni metafisiche sono senza senso nell'ambito della conoscenza;

d)         Metafisica, etica e religione non forniscono conoscenze;

e)         Gli enunciati possono riguardare idee logiche (verità tautologiche) o fatti (veri solo se provati sperimentalmente);

f)          La filosofia è una attività chiarificatrice il cui compito è la denuncia del linguaggio insensato della metafisica;

g)         La scienza è una sola e può essere studiata secondo una visione unificata del sapere;

h)         Il discorso scientifico è esclusivamente logico e formale (da cui la precisione scientifica).


SCHLICK

Il pensiero di Schlick, esponente del Circolo di Vienna, può essere così riassunto:

la ricerca scientifica deve fare uso di termini rigorosi e non può dunque prescindere dalla filosofia, attività che per eccellenza si occupa del linguaggio;

la filosofia non è propriamente una scienza ma è comunque la regina di tutte le scienze per quanto detto;

principio di verificazione: una questione è risolvibile se possiamo immaginare un'esperienza che ne dia soluzione (ad esempio la questione: "sulla Luna vi sono montagne di 5000 metri" è risolvibile perché un'esplorazione completa della Luna darebbe una risposta certa).

A questo punto si aprì il dibattito su quale fosse la tipologia di esperienza migliore per risolvere problemi di natura scientifica.


NEURATH

Secondo Neurath tutte le scienze erano accomunate dal medesimo linguaggio (panlinguismo). Questo pensatore si spinse a ridurre la scienza stessa a puro linguaggio. Il linguaggio non descrive la realtà, bensì è la realtà stessa. Viceversa la realtà consiste nella totalità delle proposizioni. Consegue che le uniche proposizioni significanti sono quelle traducibili nel linguaggio della fisica.


CARNAP

Il pensiero di Carnap, massimo esponente del Neopositivismo, si può riassumere come segue:

i concetti della scienza derivano in modo logico-razionale dalle esperienze elementari, utilizzate per costruire il mondo fisico e psichico;

la ragione è in grado di fornire l'ordine col quale costruire scientificamente il mondo;

il mondo psichico è riconducibile a quello fisico, nel quale si devono studiare soprattutto le relazioni logiche;

critica alla metafisica: il linguaggio consiste di vocabolario (ovvero parole con significato) e di sintassi (regole logiche). La metafisica pertanto non si avvale di un linguaggio bensì di pseudo-proposizioni, nelle quali:

compaiono termini insignificanti (es. "Dio" o "Principio");

manca una sintassi logica (es. "Giulio Cesare è un gatto").

alcune asserzioni non sono verificabili sperimentalmente (es. "tutti i corvi sono neri": potrebbe esistere un corvo diversamente colorato)

il principio di verificazione è esso stesso un postulato e non può essere verificato (autocontraddizione)

l'ontologia concerne:

questioni interne, che si occupano di capire quali entità esistono nelle teorie;

questioni esterne, che si occupano di capire se tali entità esistono davvero.


CRISI DEL NEOPOSITIVISMO

Il principio di verificazione minava dall'interno il Neopositivismo. Tale principio risultava privo di giustificazione e finì per apparire come un dogma non empiristico dell'empirismo. Esso inoltre non era in grado di giustificare l'esistenza stessa della scienza. A seguito di tali considerazioni il principio di verificazione diventò una regola metodologica piuttosto che un principio vero e proprio.

Altre obbiezioni sollevate contro le linee di pensiero formulate nel Neopositivismo furono:

lo sforzo di unificare le scienze era inutile;

il metodo scientifico oscillava continuamente tra deduzione ed induzione;

il modello logico-deduttivo della fisica teorica pretendeva di applicare la deduzione all'induzione.



Popper


In Popper confluiscono pensieri neopositivistici e anti-neopositivistici. Oggi la critica ha rivalutato questo personaggio come "epistemologo di frontiera". Determinanti per le posizioni di questo pensatore furono gli studi di Einstein sulla relatività. Questi ultimi avevano infatti mostrato che: a) le teorie scientifiche non sempre sono verificabili; b) le teorie scientifiche possono essere smentite.

Popper procedette ad una vera e propria "riabilitazione" della filosofia, assegnandole compiti di fondamentale importanza: la filosofia non era concepita come una riflessione sulle "parole vuote" ma come uno studio delle questioni più profonde. In particolare, Popper assegnò alla filosofia un ruolo decisivo nello studio dei metodi della scienza.

Le dottrine epistemologiche di Popper possono essere riassunte come segue.


PRINCIPIO DI FALSIFICABILITA'

Ricercando quale sia il confine tra scienza e non-scienza, Popper capì che una qualsiasi teoria scientifica non può mai essere completamente verificata (per il fatto che include moltissimi casi e sottocasi da analizzare singolarmente). Il pensatore suggerì allora il principio di falsificabilità: una teoria è scientifica nella misura in cui può essere smentita dall'esperienza.

Per fare un esempio banale, la proposizione "domani pioverà" è scientifica, perché potrà essere smentita da una giornata di sole; al contrario "domani pioverà oppure non pioverà" è una proposizione non-scientifica perché sarà comunque vera.

Da ciò consegue che una teoria non-falsificanile in linea di principio (tautologia) non è oggetto della scienza.

La valutazione della scientificità di una teoria avviene mediante asserzioni-base, cioè enunciati su cui gli scienziati concordano.




VERIFICABILITA', FALSITA', CORROBORAZIONE

Per verificare una teoria occorrerebbero infiniti esperimenti, mentre per falsificarla ne basterebbe uno soltanto. Da questa asserzione discende che la scienza non possiede alcuna verità certa, ma solo ipotesi non ancora falsificate. Le varie teorie non hanno però tutte lo stesso "grado" di verità. A tal proposito Popper introdusse il concetto di corroborazione: una teoria risulta corroborata se ha superato il confronto con un'esperienza potenzialmente falsificante. La corroborazione può essere assunta come criterio temporaneo di scelta tra ipotesi rivali.

CRITICHE: la posizione di Popper prevede che nessuna teoria o proposizione scientifica possa essere definitiva. A tal proposito alcuni critici hanno evidenziato che, stando a questo concetto, nemmeno la smentita di una teoria può essere definitiva (in caso contrario si perviene ad una contraddizione). Alla luce di queste obbiezioni Popper riformulò alcuni aspetti del suo pensiero rivalutando il ruolo dell'esperienza nella scienza.


RIABILITAZIONE DELLA METAFISICA

Nonostante la metafisica non sia una scienza (in quanto non falsificabile), essa risulta fondamentale per l'operato scientifico. Le idee astratte della metafisica (es. ordine dell'universo) spingono gli uomini alla ricerca scientifica ed "alimentano" dunque la scienza stessa. Con Popper si ha dunque una "riabilitazione" della metafisica, in controtendenza con il neopositivismo più rigido.


IL METODO

Le teorie scientifiche e le congetture nascono nei modi più disparati, talvolta anche dalla creatività umana. Sono però necessari dei criteri ben precisi per il controllo delle teorie. Tali criteri possono essere riassunti in un metodo costituito da tre fasi:

incontro/scontro con un problema

tentativo di soluzione mediante ipotesi e teorie (uso della falsificabilità)

approccio critico verso gli errori commessi

Il metodo consiste dunque in prove ed errori ed è concepito da Popper come l'espressione del meccanismo dell'evoluzione biologica (tentativi di adattamento casuali e conseguente morte o sopravvivenza). Da ciò consegue che la scienza procede tramite errori, che sono parte integrante del sapere scientifico.


RIFIUTO DELL'INDUZIONE

La scienza si è sempre tradizionalmente basata sull'induzione (metodo che a partire dall'osservazione dei fenomeni formula ipotesi e procede poi alla loro verifica sperimentale). Questo metodo è secondo Popper strutturalmente impotente, in quanto riesce a verificare casi singoli e non la verità universale ed assoluta.

Il procedimento da seguire dovrebbe dunque muovere dalle teorie e passare poi alla loro conformità ai fatti. Popper si presenta allora come una conciliazione tra induzione (per il riferimento ai fenomeni) e deduzione (per la ricerca della verità universale). Protagonista della scienza è allora la mente umana, creatrice di ipotesi.

CRITICHE: alcuni studiosi hanno accusato Popper di aver interpretato in modo troppo semplificato il metodo induttivo, il quale, preso nella sua complessità e completa articolazione, risulta invece molto più generale di quanto possa sembrare.


RAPPORTO TRA SCIENZA E VERITA'

Popper rifiuta l'idea che la scienza possegga delle verità assolute, ed afferma invece che:

il nostro sapere è problematico ed incerto;

la scienza possiede la fallibilità ma anche l'auto-correggibilità;

all'uomo compete la ricerca, mai conclusa, della verità.

Stabilito che il compito della scienza è quello di proporre teorie sempre più verosimili, Popper si pose il problema di come confrontare due teorie tra loro. Dopo aver proposto un criterio ampiamente criticato, il pensatore ribadì che il confronto tra due teorie deve basarsi su un'analisi razionale delle ipotesi. La preferenza di una teoria ad un'altra deve essere razionalmente motivata.

Nell'ultima fase del pensiero di Popper si assiste ad un avvicinamento del pensatore al realismo, secondo il quale la verità consiste nella corrispondenza tra proposizioni e fatti. I critici interpretano questa tesi come l'esigenza di dubitare delle nostre certezze: se teoria e fatti potessero non avere legami, ogni proposizione fondata sulla logica razionale dovrebbe essere accettata (ma così non può essere per la scienza). Al realismo si collega la teoria dei tre mondi, secondo la quale:

il Mondo 1 è quello delle cose (oggetti e fatti);

il Mondo 2 è quello delle esperienze soggettive (pensieri);

il Mondo 3 è quello delle teorie (scientifiche e non scientifiche) organizzate secondo la storia del pensiero umano.



Epistemologia postpositivistica


Con il termine "epistemologia post-positivistica si intende quella parte della filosofia della scienza che ha assunto posizioni critiche nei confronti del neopositivismo. Massimi esponenti furono Kuhn, Lakatos e Feyerabend.


KUHN

Secondo Kuhn nella storia della scienza si articolano fra loro due momenti fondamentali:

la scienza normale, la quale cerca conferme e sviluppi di "paradigmi" (teorie e modelli) già delineati

la crisi rivoluzionaria, durante la quale i "paradigmi" precedenti vengono sostituiti da nuove teorie

Un periodo di "scienza normale" è ad esempio quello di Newton. Un periodo di "crisi" è ad esempio quello di Einstein.

Per la grande divergenza trai vari "paradigmi", le teorie scientifiche non risultano tra loro confrontabili, e viene eliminato così ogni criterio di scelta. Questa "incommensurabilità" è dovuta al fatto che fenomeni uguali vengono interpretati in modi completamente diversi a seconda della teoria cui vengono ricondotti.

Ad esempio l'orbita di un satellite attorno ad un pianeta è spiegata grazie alla forza gravitazionale nella fisica newtoniana, mentre è spiegata con la curvatura dello spazio nella relatività einsteiniana.


LAKATOS

Lakatos accusò Kuhn di aver privato le rivoluzioni scientifiche di un motivo razionale e ribadì la validità metodologica (e non solo teoretica) del pensiero di Popper. Distanziandosi da questi i pensatori però, Lakatos propose la storia della scienza come una serie di programmi di ricerca in razionale confronto fra loro. Per "programmi di ricerca" si intendono insiemi di teorie che gravitano attorno a dei principi fissi e basilari. Un programma di ricerca è progressivo se prevede con successo fenomeni futuri, è invece regressivo se continua ad auto-correggersi per spiegare fatti nuovi ed imprevisti.


FEYERABEND

Al centro della riflessione di Feyerabend vi sta l'idea che non esiste alcun metodo scientifico (inteso come regola di base dei progetti di ricerca). Fedele a tale concezione il filosofo optò allora per una "epistemologia anarchica", motivata dal fatto che il progresso scientifico è sempre stato possibile nella storia solo grazie al superamento e "tradimento" di ogni metodo fissato. Queste idee non portano però ad una rinuncia al rigore, ma alla libera creatività dello scienziato. La lotta contro il metodo si configura dunque come una lotta per la libertà di quest'ultimo.

Altri aspetti di Feyerabend sono il rifiuto della scienza come "accumulazione" e come "approssimazione graduale e costante alla verità". Da questo segue una distruzione del mito della ragione e del mito della scienza, a completo favore del pluralismo.













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