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Le commedie di antonio aniante per gli indipendenti




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L E C O MM EDIE DI A NTONIO A N I ANTE PER GLI I NDIPENDENTI



Analogamente a quanto detto per Capitano Ulisse di Savinio, si può scorgere nei testi del catanese Antonio Aniante455 un'attuazione dei moduli estetici sperimentati al Teatro degli Indipendenti di Bragaglia. «Da un'identica intolleranza per le soluzioni naturalistiche»456 e dalla predisposizione all'esuberanza formale nasce un sodalizio che avrà per esito la messinscena di sei commedie (e la scrittura di altrettanti testi non rappresentati, né tuttora pubblicati), tra il 1926 e il 1929.

Prima di diventare l'autore più rappresentato da Bragaglia, Aniante, fuoriuscito come molti conterranei dall'isola siciliana, muove verso Parigi, saggiando il diapason dell'avanguardia internazionale: nella capitale francese,

stando ad alcune testimonianze scrive scenari per Copeau, fonda un teatrino di marionette insieme con Camillo Antona-Traversi457 ma soprattutto arricchisce il proprio vocabolario del lessico estetico europeo.

Perlopiù rifiuti e fallimenti (come il dramma Il mercato dei miracoli proposto a Nino Martoglio intorno al 1921 e l'insuccesso clamoroso della tragedia in tre atti Quinziano a Catania458) caratterizzano gli anni che precedono il 1926, in cui Ettore Petrolini accetta di mettere in scena l'atto unico Mezz'uomo459. L'esito non fu incoraggiante e l'incerto apprezzamento di Marco Ramperti mitiga appena l'aspra contestazione di cui abbiamo notizia:

«Mezz'uomo è un vivido violento un po' informe sprazzo di colori [.]. È una macchia di colori rusticana, una breve rappresentazione tra lirica e realistica espressa in un lieve tono di caricatura iperbolica affine allo stile burattinesco dei 'Reali di Francia'»460.

I palcoscenici del Quirino di Roma o dell'Olympia di Milano, ove l'atto unico scritto su misura per Petrolini fece tappa, non potevano del resto accondiscendere all'ironia cruda e umorosa del testo, alle situazioni lubriche, all'implacabile raffigurazione di una Sicilia primitiva e insensibile461. Con più

giustezza il vagabondaggio creativo e umano di Aniante trova ospitalità nello scantinato degli Indipendenti, dove il 28 marzo 1926 va in scena Gelsomino d'Arabia462.

La pièce è divisa in tre atti, solo apparentemente in ossequio alla scansione tradizionale vista l'estrema volatilità dell'intreccio, ed è ambientata a Catania o meglio, come precisa una didascalia, «alle falde del Mongibello»463. Il dato realistico, comune a quasi tutti i testi del catanese, non fa che enfatizzare, antifrasticamente, la bizzarria surreale e magmatica della vicenda. Protagonista è Gelsomino, la bellissima moglie dello «scienziato

tormentatissimo» Magonza, la quale in assenza del marito si concede a tanti amanti «quanti sono gli anni di Cristo»464: alla sarabanda erotica, a cui partecipano il brigante Strapietra, il Maresciallo Spaccone, il malandrino Crudo, il becchino Beccamorto si unisce il venditore tripolino Karis, l'unico a non sottostare alle umilianti e ricattatorie prove d'amore richieste da Gelsomino465. Dopo un brusco salto temporale (dalla primavera all'autunno) si vedrà il frutto dell'unione di Gelsomino e Karis: un bambino di colore di cui tutti reclameranno la paternità, senza che nessuno (Magonza compreso) riesca a vendicare l'onta subita.

Scenario d'apertura della vicenda e luogo deputato a contenere il sensuale intreccio è lo studio di Magonza, che la curatissima didascalia iniziale arreda come un bazar o un bric-à-brac:



Stanza con porte laterali fatte di tendine dai colori sgargianti; molte gabbie di uccelli sospese nel vuoto, formanti nel loro complesso una corona quadrata; vasi di fiori variopinti, formanti anch'essi una quadrata corona al pavimento foderato di tappezzeria orientale, sboccanti dalla porta che sta di fronte fatta a semi-cerchio [.] Molti libri sparsi qua e là. nel mezzo è un seggiolino da pianoforte, girabile, di vimini, foderato di un drappo scarlatto a frangine d'oro466


Tale gusto per la mescidanza, per l'accozzaglia di oggetti e cianfrusaglie, non poteva non incontrare il gusto di Bragaglia. È quanto notò anche Alberto Cecchi, scrivendo che gli scenari degli Indipendenti «vanno accostandosi sempre più al raggiungimento dell'ideale: il cortile del secondo atto era un piccolo capolavoro di precisione e suggestività»467. Un paio di scene sono riprodotte nelle fotografie di scena pubblicate dalla rivista

«Comoedia»468, da cui si può apprezzare la disposizione per piani obliqui

irregolari, con tagli prospettici e aperture visibili solo a metà per dare l'impressione di un'estensione maggiore. Abitudine che Bragaglia e i suoi maestri di scena praticavano frequentemente per sfruttare le limitatissime dimensioni del palcoscenico degli Indipendenti.

L'attrezzeria poetica spaesante adoperata da Aniante comprende una lingua che mescola neologismi e arcaismi, tra le sequenze sticomitiche e le impegnative, musicali e debordanti elocuzioni. Non altrimenti la didascalia detta le condizioni di una recitazione sussultoria, improbabile, continuamente agitata da inversioni di tendenza. Prescrivendo luci, ritmi e movenze da sceneggiata popolare-festiva, trasfigurata però da un gradiente di pura fantasia

che ha molto di futurista469, la commedia si spinge decisamente sul versante

parodico. Mentre consegna a Magonza tutti i clichés dello scienziato folle, invecchiato precocemente, cornuto e vigliacco, con la figura di Gelsomino - una «Circe da Luna-Park»470, secondo la felice definizione di Anna Barsotti, che sa essere moglie «candida e celestiale»471 quanto «volgare e sensuale»472 nel sedurre - effigia un'irridente antitesi della Bella addormentata sansecondiana.

L'interpretazione che Fulvia Giuliani diede del personaggio di Gelsomino fu stilizzata, comica, tragica, come si addiceva all'istrionismo lunatico della donna aniantesca473. Nelle foto di scena la si vede tre volte con le mani portate sui fianchi, le braccia inarcate simmetricamente, in modo da accentuare uno stilizzato geometrismo nella parte del tronco e un contrasto con l'ampia gonna drappeggiata. Non ha «le gambe nude in evidenza»474, come

vorrebbe la didascalia nella scena di gelosia del primo atto, e crediamo che anche l'insistente eroticità prevista nelle annotazioni dell'autore (che si manifesta con occhiate lussuriose e frequentissime palpate di seno) sia stata emendata da Bragaglia475.

La commedia «procede sull'incalzare sincopato di personaggi/eventi che trascorrono in accelerazione cinematografica, quasi su un nastro mobile»476 e le indicazioni sceniche, mai rarefacendosi, registrano un evolversi di risate sguaiate, singhiozzi, sobbalzi e lamenti. Come se non bastasse rovescia in farsa blasfema riti e miti, promuovendo una versione dionisiaca, funebre e carnale del dramma passionale. Emblematica la scena in cui il pauroso Beccamorto,

preda della sensualità di Gelsomino, «si ferma dinnanzi al pubblico nell'atteggiamento di Cristo che attende che gli si metta una grande croce dietro le spalle»477.

L'animalità della vicenda è anche nei ritratti grotteschi e teriomorfi dei personaggi: il Maresciallo Spaccone, «enorme, vile, con folta piuma di struzzo al berretto e con faccia verde e grassa»478; Beccamorto, «smilzo, dinoccoluto, cadaverico, vestito di nero velluto, con calze bianche e guanti bianchi»479; Strapietra «sbarbato, incipriato come un pierrot e ha i capelli fitti, lucentissimi di brillantina»480; un serraglio ammaestrato e schernito da Gelsomino, i cui pretendenti belano e muggono per amore, fino alla conclusiva parata carnevalesca in cui i trentatre amanti appaiono tutti insieme «con il capo nascosto nelle teste dei più svariati animali»481.

Se in Gelsomino d'Arabia le didascalie dipingono «un microcosmo pseudo-arcaico con smagliature di pittoresco modernismo»482, nelle commedie successive non sono meno immaginose, mettendo a punto un progetto di scenografia "concreta" in cui gli oggetti d'arredo, i costumi, gli elementi scenografici e le presenze sulla scena descritti nel testo assumono il loro valore nominale. «Molto all'ordine con la battaglia internazionale d'avanguardia»483,

Aniante consegna alla scena immaginifica di Bragaglia un dittico di favole rocambolesche, Bob Taft e La femina del toro, in cui la sicilianità diventa materia di una drammaturgia fumettistica484:



I due testi de I semidei della mafia locale sono certamente i più aderenti, tra quelli di Aniante, alle istanze e alle modalità di costruzione scenica futurista, con un coté surrealista che, interno alle stesse declinazioni futuriste, non sarebbe adeguatamente valutabile se non lo si leggesse anche all'incrocio di segmenti ideativi appartenenti alle varie avanguardie europee485.



La divisione in quadri, sette per entrambi i testi, ribadisce l'accantonamento dei canonici atti, mentre l'estensione e il "parossismo simbolico" delle didascalie consente al regisseur di «estrarre le qualità teatrali [.] a favore della realizzazione scenica»486.

La vicenda di Bob Taft, «ambientata in una Catania travestita magicamente al di là di ogni realistica determinazione spazio-temporale»487, racconta di un triangolo amoroso prossimo al musical. Petronilla, altra incarnazione di donna di sottile ingegno e sensi ardenti, è innamorata del contrabbandiere Girgentoto, la cui voracità è pari soltanto alla sua gelosia, e di Bob, mafioso datosi alla truffa. Ma la lotta furibonda per il possesso della donna serve pretestuosamente alle repentine virate di registro che traggono

dall'impianto varietistico musicalità, comicità piccante e fulminanti duelli verbali. Una zuffa tra i due contendenti può dunque avvenire «canterellando» e

«ruggendo»488 nello stesso tempo; e Petronilla, riconciliatasi infine con

Girgentoto, prima di accarezzarlo, lo sbatte a terra e «lo calpesta»489.

Marinetti, in quegli anni recensore d'eccezione per «L'Impero»490, ne apprezzò naturalmente le «seducenti fughe extralogiche»491 (pur diluite in un lavoro che, a detta di buona parte della critica, richiedeva maggiore velocità492) e i caratteri "esagerati" disegnati dall'autore. Paragonabili, per morfologia, al personaggio dada o futurista, «puro segnalatore ideologico [.] indice la cui riconoscibilità è tanto più immediata quanto più costruita su cifre iperboliche»493, i protagonisti di Aniante sono tipi che si solidificano in corpi monolitici, senza chiaroscuri, portando al limite asintotico un valore visivo o gestuale. La didascalia-azione ne intensifica l'artificiosità, neutralizzando le sfumature. In altre parole, il personaggio non è più solo l'istantaneo attivatore di una situazione comica ma si dà come artefice di azioni eclatanti, alfiere di

una missione iperbolica, quando non scompare del tutto, per lasciare il posto a un'entità non umana, marionetta, macchina o automa.

Se «nell'epoca della desacralizzazione del corpo tutte le deformazioni sono possibili»494, il personaggio può eclissarsi dietro la marionetta, o meglio, dietro il costume da "pupo". Quei pupi che nella scrittura aniantesca

«riappaiono straniati secondo tecniche d'avanguardia, cioè attraverso la collaborazione avanguardistica tra musica-teatro-pittura»495. Non stupirà, del resto, la sostituzione degli eroi cavallereschi con i capi della malavita. L'«animus» mafioso, per come si cristallizza visivamente, sembra conservare infatti molte caratteristiche della natura dei pupi e del teatro di figura siciliano:

il gesticolare violento, la parlata altisonante, il passo lungo e marcato, tutto il portamento sopra le righe, timbro vocale compreso, l'inclinazione a ostentare il coraggio e farsi giustizia da sé, col sostegno divino496. Aniante ne fa materia di un vertiginoso metamorfismo linguistico e comportamentale, come esemplifica una scena del grottesco ménage à trois:



PETRONILLA (dopo una certa pausa, assicuratasi che Bob dorme si leva e va in giro per la stanza, ma improvvisamente si imbatte in Girgentoto che le serra la bocca con una mano. [.] Sempre mimicamente: Girgentoto la persuade a sdraiarsi accanto a lui ai piedi del letto; le si inginocchia accanto e con soli gesti e con lo sguardo degli occhi dice a Petronilla esterrefatta un mucchio di dolci rimproveri: la bacia, la carezza; le scivola ai piedi e assume delle pose alquanto buffe e inspiegabili affatto. Poi si leva e va al letto ad aggiustare le coltri di Bob che si scuote per esclamare nel sonno: "Come mi dai ai nervi!". Ritorna da Petronilla mummificata e la scuote ridendo silenziosamente)497.



Fanno parte di un sovra-testo extradialogico anche i frequenti messaggi iconografici, che ritrattano in chiave metonimica e surreale lo sviluppo dell'azione. Paradigmatica in tal senso la straniante scritta dipinta sulla parete della cella che ospita Bob e Girgentoto, nel quinto quadro della commedia:



(Scena: due celle di galere divise da un muro in centro. Una finestra sbarrata per ciascuna, di fronte. Tanto nell'una quanto nell'altra è stampato sulla parete: Ecco dove vanno a finire i semidei della mafia locale)

(Bob Taft e Girgentoto vi stanno separatamente legati al collo, alle mani e ai piedi da pesanti catene e palle di piombo. Hanno alle spalle e alle calcagne un bel paio d'ali. Appena si leva il sipario i condannati svolazzano

malinconicamente498.


Didascalia che ricorda i disegni caricaturali e gli striscioni che appaiono, con analogo effetto, sul «muricciolo bianco e fiorito» della stanza di Gelsomino d'Arabia, ove si legge, nel primo atto: «W Gelsomino d'Arabia e abbasso lo scienziato cornuto trenta volte»499; e nel secondo: «W lo scienziato e lo vogliamo giocoforza sindaco.»500.

In maniera analoga, La femina del toro, fiaba moderna «che ha il pregio futurista di non avere una trama»501, allinea nei suoi continui stacchi dell'azione «dissonanti accostamenti di musica e filastrocche alogiche, nonché una intensa gestualità segnata da battute prive di coerenza e di senso»502.

Ancora sullo sfondo pittoresco e selvaggio di una Sicilia da cartolina503,

Aniante mette in burla la consueta situazione drammatica del triangolo erotico, facendo incontrare (o meglio scontrare) Escamillo, un torero effeminato in cerca di una brutale virago, e un «uomo taurino», antifrasticamente chiamato Bebè. Come in Gelsomino d'Arabia, la realtà del dato fisionomico si presta a un gioco caricaturale, che procede per paradossi e scurrilità. Bebè «ha le corna

e la cervice del bue»504, la moglie Mahalla è una «donna dalle anche

formidabili», il cui cuore pesante «batte furiosamente alle porte del suo petto d'acciaio»505; mentre Escamillo, versione contemporanea di Don Giovanni, incline al sadomasochismo, è uno «spagnolo elegante ed effeminato, con piccola chitarra sullo stomaco»506.

Provocatoriamente, la fantasia surreale e torrentizia di Aniante torna ad insistere sulla nudità: all'inizio del sesto quadro Mahalla «sale sul piedistallo e assume la posa della Venere: una mano al bacino e una ai seni. È nuda e sembra realmente una statua»507. Ma anche in questo caso le bravure erotiche e la ridicola fatalità dei rapporti darà avvio a «una sarabanda carnevalesca,

nella quale un ruolo trascinante è riservato ai "trucchi" del décor escogitati dal fantasioso Bragaglia. Si trova infatti al centro della scena un W.C. e sullo sfondo uno spazio solcato continuamente da fasci di luce multicolori, nell'intento scoperto di meravigliare e sorprendere lo spettatore»508.

Delle altre commedie scritte da Aniante per Bragaglia solo Carmen

1929 (a lungo chiamata Carmen 1930, perché andata in scena nel febbraio del

1930), è stata ripubblicata509, a differenza delle inedite Il fecondatore di Siviglia (1928), scritta in collaborazione con Pietro Solari, e Carmen darling (1929).

Costruita secondo una struttura operistica (tre atti e due intermezzi, incorniciati da un prologo e un epilogo), Carmen 1929 non mitiga lo spirito profanatorio dei testi fin qui analizzati, ma lo dirotta verso il gusto melodrammatico; attingendo dai due antigrafi (la novella di Prosper Mérimée e l'opera di Georges Bizet) situazioni, ambienti e fisionomie da rovesciare parodicamente. Si legga l'apertura del primo atto:



Cortile con pergolato sotto la casa aristocratica dei signori di Almerida. In un fondo un arco di pietra che dà sulla strada, a destra porta e l'osteria che frequenta Carmen, a sinistra balcone antico, panciuto, in mezzo un sedile di pietra. Da non dimenticare che i personaggi tutti debbono ricordare le figure di Zuloaga. La scena è illuminata da un lume di acetilene510.



Anche in questo caso si ha una "modernizzazione" della macchietta, spoeticizzata, guastata da un procedimento iperbolico ed eversivo paragonabile a quello petroliniano: il ritratto di Petronillito, che forse tradisce nel nome proprio un riferimento a Petrolini, è esemplificativo: «malavitoso ventenne se ne sta sdraiato sul sedile nell'atteggiamento della Paolina del Canova, senza consumarle intere fuma sigarette, pipa e cicca. Pochi minuti dopo si leva,

sbadiglia, si stiracchia e al cospetto del pubblico canta, assonnato [.]»511.

Se la commedia, muovendosi rapidamente tra appartamenti, cortili, teatri d'opera e carceri, esige, non meno delle precedenti, una messinscena su

un palco di eccezionale versatilità (senza negarsi stravolgimenti metateatrali e intrusioni in platea), è una soluzione nuova per Aniante l'utilizzo di un accompagnamento musicale, richiesto al giovane Goffredo Petrassi. Del compositore, la cui partitura è andata distrutta, si legge in una cronaca che si rivelò «abilissimo nella difficile arte della parodia e nel non meno arduo compito di cucire con armonia moderna vecchi motivi di opere e stornelli»512, avvicinando la commedia al melologo.



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