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All'inizio del XIII sec, la crociata indetta da papa Innocenzo III contro gli Albigesi (o Catari di Albi) in Provenza e le violenze che questa comportò, determinarono la decadenza delle corti feudali della Francia merdionale (dove si era sviluppata la lirica provenzale). A causa di ciò, i poeti trovatori abbandonarono la Francia meridionale e trovarono accoglienza in diverse parti d'Europa, soprattutto in Germania, nella penisola iberica e nell'Italia nord orientale.
Proprio nell'Italia nord orientale, dietro il loro modello, si sviluppò un tipo di produzione lirica che recuperava i temi convenzionali, i procedimenti stilistici e la lingua d'oc della produzione lirica provenzale (Sardello da Goito).
Alla corte di Federico II (Sicilia) dal 1230 al 1250, circa, si sviluppò, la prima produzione letteraria in volgare in Italia ad opera di poeti di varia provenienza che erano i funzionari di corte di Federico II: burocrati, amministratori, che quindi non erano professionisti, ma dilettanti colti, esperti di diritto e di retorica che si dedicano alla poesia come evasione, elegante esercizio intellettualistico.
Federico II promosse all'interno della propria corte qualsiasi stimolo culturale valorizzando anche la tradizione culturale araba soprattutto in ambito medico, filosofico e matematico. Inoltre tentò di determinare un forte accentramento del potere politico attraverso un capillare apparato burocratico e cercò di affermare la propria egemonia in Italia (anche se non vi riuscì) entrando in conflitto con la chiesa e di rivendicare la legittimità del potere laico autonomo da quello pontificio. Anche la scelta di promuovere un tipo di produzione laica (quella provenzale) si può ricondurre ad un desiderio di autonomia dalla chiesa.
Nella sua corte fiorì un tipo di produzione poetica che aveva come modello la lirica provenzale ed è probabile (non è sicuro, è un'ipotesi) che il contatto tra Federico II e la lirica trobadorica sia avvenuto nell'Italia nord-orientale (in Veneto) alla corte di Ezzelino da Romano che divenne signore di Verona grazie all'aiuto di Federico II.
Il contesto socio - politico in cui si sviluppò la lirica siciliana era diverso rispetto a quello della lirica provenzale, poiché il potere in Sicilia era accentrato, mentre in Francia il potere era fortemente decentrato. Inoltre in Francia i poeti erano vassalli dei signori, mentre in Italia erano funzionari del re.
Nonostante queste differenze, i temi erano gli stessi, o meglio, venne considerata solo la tematica amorosa, affrontata secondo le stesse modalità della lirica provenzale (culto della donna, idealizzazione della bellezza della donna, la nobilitazione interiore provocata dall'amore fino). Ma i temi non erano più affrontati in modo realistico, ma astratto, stilizzato (poiché non corrispondevano più a situazioni concrete, in quanto i funzionari non avevano tempo per l'amor fino). Inoltre, le poesie erano destinate alla lettura, quindi sono prive di accompagnamento musicale.
La lingua era un volgare di tipo illustre, aulico, raffinato che comportava l'eliminazione di tutte le espressioni correnti, basse e colloquiali. Era un volgare regolare nella sintassi, ricco di latinismi e provenzalismi. Era una produzione destinata a un pubblico ristretto, d'élite, quello gravitante intorno alla corte di Federico II.
Questa lirica aveva esclusivamente fini d'arte, nessun fine didascalico - religioso, politico o pedagogico.
Uno dei maggiori poeti siciliani fu Giacomo da Lentini (o Jacopo), notaio alla corte di Federico II a cui si attribuisce l'invenzione del sonetto, forma metrica costituita da 14 endecasillabi articolati in due quartine denominate nell'insieme ottava e in due terzine denominate nell'insieme sestina.
Nella produzione siciliana lo schema metrico delle due quartine era a rime alternate (ABAB ABAB), delle due terzine a rime replicate (CDE CDE) o rime alterne - alternate (CDC CDC) o rime incatenate (CDC DCD).
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