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La letteratura ricavata dal cinema
All'inizio del Novecento era il cinema ad attingere le proprie storie dalla letteratura, soprattutto dai miti greci e romani, ma appena la nuova arte riuscì ad affermarsi, restituì i debiti contratti, in parte ispirando i contenuti dei testi, ma soprattutto suggerendo nuove tecniche per narrarli: il linguaggio dei film intervenne con le sue proposte innovative a modificare sensibilmente le modalità stilistiche, agendo sulla sintassi, sul ritmo del racconto, sulla gestione delle categorie di tempo e di spazio, del punto di vista, della continuità o discontinuità narrativa.
Se il primo Italiano ad applicare tecniche cinematografiche a un testo fu Edmondo De Amicis, il primo scritto in tutto il mondo (nel resto della Terra il cinema era sicuramente più sviluppato che in Italia) fu Ulisse di James Joyce dove vengono assemblati numerosi metodi narrativi fra cui quello filmico: nel testo, ad esempio, sono presenti gli equivalenti letterari dei primi piani, dei flashback, della ripresa a carrellata e del montaggio discontinuo.
L'esempio più evidente di influenza del cinema nei contenuti di un'opera è invece il romanzo di Luigi Pirandello chiamato prima Si gira. e poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore del 1915: è la storia di un operatore cinematografico divenuto muto per lo shock di una tragica esperienza collegata al suo lavoro. In questo racconto c'è la preoccupazione di rendere con precisione i vari aspetti della produzione filmica che rivela un precoce interesse per oggetti, tecniche, situazioni di un universo del tutto inedito in campo letterario. Il fine per cui è stato scritto il romanzo è la volontà di analizzare la civiltà delle macchine vista come trionfo della forma: in essa gli uomini non hanno più esperienza diretta del reale, non riescono a percepire che esiste un "oltre" costituito da una vita impetuosa e minacciosa e quando l'avvertono sono presi da improvviso turbamento. In questa nuova epoca il protagonista diventa appendice di una macchina, è ridotto a una totale impassibilità ed estraneità, rese allegoricamente dal suo mutismo, che lo portano al rifiuto del mito del progresso:
Si dovrebbe capire che il fantastico non può acquistare realtà, se non per mezzo dell'arte, e che quella realtà, che può dargli una macchina, lo uccide, per il solo fatto che gli è data da una macchina, cioè con un mezzo che ne scopre e dimostra la funzione per il fatto stesso che lo dà e presenta come reale. Ma se è meccanismo, come può esser vita, come può esser arte?
Serafino, estraniato dalla vita a causa delle macchine, la studia per cercarvi invano un significato e questo atteggiamento rispecchia quello dell'intellettuale dequalificato nell'era della massificazione, degradato alla pura mansione tecnica e ridotto a un "silenzio di cosa". Questa estraneazione è presente fin dal primo quaderno dove l'operatore incontra i suoi futuri amici che vivono nel sottosuolo (mentre in superficie c'è la casa di produzione Kosmograph dove vigono le leggi delle macchine e del denaro), il mondo dell'esclusione, oppure quando ha un dibattito con un uomo che lo interroga sul suo ruolo:
"<<Scusi, non si è trovato ancora modo di far girare la macchinetta da sé? Siete proprio necessario voi? Che cosa siete voi? Una mano che gira la manovella. Non si potrebbe fare a meno di questa mano? Non potreste esser soppresso, sostituito da un qualche meccanismo?>> <<La macchinetta - anche questa macchinetta, come tante altre macchinette - girerà da sé. Ma che cosa poi farà l'uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere.>>"
L'afasia (disturbo della comprensione e/o della produzione del linguaggio verbale) è l'ultimo approdo di una condizione in cui l'unica salvezza possibile sta paradossalmente nella perfetta indifferenza, omologa a quella della modernità circostante. Il soggetto non ha scampo né redenzione possibile dall'alienazione che lo circonda: la sua condizione non è che il riflesso dell'alienazione dominante.
Nell'ambito di questa riflessione negativa sul cinema e più in generale sulle macchine si fa appello a un'alternativa positiva, quella della campagna e della natura: se ne Il fu Mattia Pascal essa veniva concepita leopardianamente come estranea e negativa, ora la lontananza della natura rispetto ai significati umani cessa di essere una minaccia e diventa una promessa, diviene vita allo stato puro e dunque simbolo di positività. Questa soluzione ed il disprezzo del progresso probabilmente sono prove delle origini dell'autore, legato alla Sicilia ed alla campagna più che alle grandi città come Roma e Milano.
In questo primo periodo Pirandello rovescia il mito futurista della macchina e crede che il cinematografo faccia parte di quel "superfluo" che causa l'infelicità dell'uomo:
"La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingoiarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l'anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine?"
Pirandello ribalta anche l'ideale futurista di velocità poiché ritiene che la corsa affannosa e alienata, imposta dalle macchine, impedisce all'uomo di vedere l'"oltre", completando la sua subordinazione al dominio delle forme e delle maschere. In una scena del romanzo un'automobile con tre signore sorpassa velocemente la carrozzella di Serafino che scompare in un attimo allo sguardo delle tre attrici, ingoiata da un inferno di fumo e di polvere e Serafino osserva:
"Pian pianino sì; ma che avete veduto voi? Una carrozzella dare indietro, come tirato da un filo, e, tutto il viale assettarsi avanti in uno striscio lungo confuso violento e vertiginoso. Io, invece, ecco qua, posso consolarmi della lentezza ammirando a uno a uno, riposatamente, questi grandi platani verdi del viale."
Il giudizio nei confronti del cinema cambia radicalmente intorno al 1928: quando nasce il cinema sonoro, Pirandello intuisce le potenzialità del nuovo mezzo, si augura che possa esprimere tutta la varietà dei sentimenti e spera in una definitiva rivoluzione che porti il cinema ad una sua autonomia nei confronti del teatro e della letteratura: egli stresso scrisse la sceneggiatura del film che si ispirò a Il fu Mattia Pascal.
Molti altri intellettuali italiani entrarono in contatto con la settima arte infatti la nascente industria filmica si preoccupò ben presto di coinvolgere letterati, di varia levatura e di varia disponibilità: fra questi ci fu anche Gabriele D'Annunzio che condizionò la nascita e lo sviluppo del divismo cinematografico e che si avvicinò al cinema solo per ottenere maggiore successo e denaro. Ci fu anche chi volle mantenere le distanze da questo nuovo tipo di spettacolo come Giovanni Verga (poiché sentiva minacciata la sua identità ed il suo prestigio artistico) che si mise a disposizione del cinema solo a causa delle difficoltà finanziarie dell'amica Dina di Sordevolo (e poi perché si trovò lui stesso sul lastrico):
"Metto perciò a tua disposizione quelli dei miei drammi, novelle e romanzi che ti servono, e facciamoli pure cinematografare, [.] ben inteso a tuo totale beneficio, che io non voglio nulla ed è cosa tua. [.] A sceneggiare le mie novelle o romanzi ed anche il mio teatro figurati! A quello scopo io dunque non sono adatto e non saprei fare."
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