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Il
sogno attraverso Manzoni Pascoli e Saba
Il del Sogno è sempre stato presente in tutte le culture, fin dall'antichità, e non poteva non trovarsi anche nella letteratura italiana. Molti autori sfruttarono il fenomeno onirico per portare alla luce aspetti reconditi dell'esistenza o mostrare una dimensione diversa da quella concreta e creare un'atmosfera surreale. Tra questi si possono citare Alessandro Manzoni,Giovanni Pascoli,Umberto Saba.
Innanzitutto bisogna precisare che negli scrittori pre-freudiani come Manzoni l'aspetto simbolico nei fenomeni onirici è secondario, perché solo in seguito alla scoperta della psicanalisi e dell'inconscio i sogni tendono ad assumere un valore particolare ed a essere costruiti con materiale arcaico e infantile ( vale a dire sulla base delle sensazioni e delle paure dei primi anni di vita ).
Nel sogno di don Rodrigo non manca tuttavia qualche aspetto emblematico, per esempio quello della spada, immagine di potere sociale e di potenza sessuale,che ad un certo punto il personaggio non trova più al suo posto; ma il suo materiale è formato soprattutto da "residui diurni" e cioè da fatti reali e da sensazioni fisiche concretamente percepite. Ciò che costituisce il fondamento dell'incubo di don Rodrigo è il colloquio avuto con padre Cristoforo neppure due anni prima, da cui deriva la figura minacciosa del frate sul pulpito. Anche il luogo di ambientazione del sogno cioè la chiesa era stato evocato in quell' occasione.
Si rintracciano dati concreti, legati alla realtà vissuta, che preannunciano al lettore la sorte che aspetta il "signorotto": un diffuso malessere, una sensazione di abbattimento, un'arsione interna, sintomatici dello sviluppo della malattia, i quali si ritrovano nella dimensione onirica.
<<..Dopo un lungo rivoltarsi, finalmente s'addormentò, e cominciò a fare i piú brutti e arruffati sogni del mondo. E d'uno in un altro, gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo a una folla; di trovarcisi, ché non sapeva come ci fosse andato, come gliene fosse venuto il pensiero, in quel tempo specialmente; e n'era arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cert'occhi incantati, abbacinati, con le labbra spenzolate; tutta gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da' rotti si vedevano macchie e bubboni. 'Largo canaglia!' gli pareva di gridare, guardando alla porta, ch'era lontana lontana, e accompagnando il grido con un viso minaccioso, senza però moversi, anzi ristringendosi, per non toccar que' sozzi corpi, che già lo toccavano anche troppo da ogni parte. Ma nessuno di quegl'insensati dava segno di volersi scostare, e nemmeno d'avere inteso; anzi gli stavan piú addosso: e sopra tutto gli pareva che qualcheduno di loro, con le gomita o con altro, lo pigiasse a sinistra, tra il cuore e l'ascella, dove sentiva una puntura dolorosa, e come pesante. E se si storceva, per veder di liberarsene, subito un nuovo non so che veniva a puntarglisi al luogo medesimo. Infuriato, volle metter mano alla spada; e appunto gli parve che, per la calca, gli fosse andata in su, e fosse il pomo di quella che lo premesse in quel luogo; ma, mettendoci la mano, non ci trovò la spada, e sentì in vece una trafitta piú forte. Strepitava, era tutt'affannato, e voleva gridar piú forte; quando gli parve che tutti que' visi si rivolgessero a una parte. Guardò anche lui; vide un pulpito, e dal parapetto di quello spuntar su un non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e comparir distinta una testa pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, un frate ritto, fuor del parapetto fino alla cintola, fra Cristoforo. Il quale, fulminato uno sguardo in giro su tutto l'uditorio, parve a don Rodrigo che lo fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano, nell'attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terreno del suo palazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno sforzo, come per islanciarsi ad acchiappar quel braccio teso per aria; una voce che gli andava brontolando sordamente nella gola, scoppiò in un grand'urlo; e si destò. Lasciò cadere il braccio che aveva alzato davvero; stentò alquanto a ritrovarsi, ad aprir ben gli occhi; ché la luce del giorno già inoltrato gli dava noia, quanto quella della candela, la sera avanti; riconobbe il suo letto, la sua camera; si raccapezzò che tutto era stato un sogno: la chiesa, il popolo, il frate, tutto era sparito; tutto fuorché una cosa, quel dolore dalla parte sinistra. Insieme si sentiva al cuore una palpitazion violenta, affannosa, negli orecchi un ronzìo, un fischìo continuo, un fuoco di dentro, una gravezza in tutte le membra, peggio di quando era andato a letto. Esitò qualche momento, prima di guardar la parte dove aveva il dolore; finalmente la scoprì, ci diede un'occhiata paurosa; e vide un sozzo bubbone d'un livido paonazzo.>>.
La logica con cui viene raccontato il sogno nel suo svolgimento è pienamente onirica: mancano i nessi razionali, predomina la paratassi, la tecnica di rappresentazione è fortemente espressionistica.
Manzoni dunque pur non conoscendo i meccanismi della psiche come gli scrittori del Novecento, tuttavia è attentissimo nella loro analisi. Proprio ad un'analisi approfondita emerge che la figura di don Rodrigo risulta più complessa di quanto si possa pensare.
Dal giorno di quell' incontro con padre Cristoforo, le parole del frate hanno continuato a lavorare dentro di lui; lui non aveva cancellato il monito ma lo aveva solo rimosso.
Il cappuccino ne era uscito apparentemente vinto essendo stato cacciato via dal "palazzotto" in malo modo; ma in realtà era stato lui il vero vincitore di quel colloquio poiché era riuscito a penetrare in modo indelebile nell'animo dell' interlocutore con l'autorità profetica dei suoi gesti e delle sue parole(<< Verrà un giorno.>>).
Il sogno di don Rodrigo squarcia il velame del
futuro, un futuro già presente, ma ancora ignoto al protagonista. Esso concede
informazioni al personaggio sul suo destino, è l'incontro di don Rodrigo con la
morte.
Basta un'occhiata, "un'occhiata paurosa", dopo un brivido di esitazione e di
inutile resistenza, per scoprire la verità nella sua immagine più temuta:
peste.
Pascoli, nel suo poemetto di stampo classico Alexandros, vuole esprimere una
una propria concezione irrazionalistica della verità che, secondo lui, non era data dalla Scienza intesa come sapere forte, ma piuttosto dal Sogno ove si può trovare il mistero della vita umana.
Alessandro, giunto al limite estremo del mondo,si trova di fronte a un Oceano immobile,al Niente; scopre che è vano l'impulso possente che lo ha spinto ad andare sempre oltre, a superare ogni limite: la realtà è deludente, più piccola del suo desiderio e del suo sogno.
<< ..era miglior pensiero ristare, non guardare oltre, sognare: Il sogno è l'infinita ombra del vero. >> dice Alessandro una volta accortosi che tutto ciò che aveva immaginato era solo frutto della sua fantasia. L'immaginazione è superiore alla realtà perchè lì tutto appare più grande e smisurato e in virtù di ciò il sogno è superiore al raggiungimento della realtà stessa, è infinito.
Saba è uno dei tanti scrittori del Novecento che ha assorbito bene la lezione di Freud, come è evidente nella sua poesia " Ceneri ".
Il termine stesso ,che ne costituisce il titolo, è inteso come ricordi, cioè tracce lasciate nella psiche da esperienze precedenti e che possono riemergere nell'inconscio in qualsiasi momento. Come la definirà lui stesso nel suo "Storia e cronistoria del Canzoniere è <<. la poesia del dormiveglia. >>, come risulta chiaro nei versi 6-8: "fiamme da voi m'investono nell'atto che d'ansia in ansia approssimo alle soglie del sonno".
Questo componimento rappresenta la descrizione del passaggio dall'ansia al momento che preclude il sonno, in cui la coscienza è ancora presente ma è in procinto di andarsene, e in ciò si vede un esplicito riferimento alle opere di Freud e, in particolare, all' Interpretazione dei Sogni.
Saba conduce abilmente un'esplorazione sui limiti tra conscio e inconscio; grazie al dormiveglia si annulla il confine tra presente e passato, i detriti psichici lasciati dalla vita precedente riemergono e il pensiero può rivivere situazioni dell'infanzia: è quella che in psicanalisi si chiama "regressione",cioè ritorno a stati psichici precedenti.
Ed è in questo stato che riaffiora il legame viscerale del bambino con la madre, si annulla il senso dell'identità personale, in un'estasi felice che è vicina all'idea della morte.
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