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IL NOME DELLA ROSA di Umberto Eco
Nel novembre del 1327, il novizio benedettino Adso da Melk accompagna in un'abbazia del Nord Italia il suo maestro, frate francescano Guglielmo di Baskerville, incaricato di indagare sulla morte di un monaco benedettino e di fare da mediatore tra la delegazione papale e quella francescana che, in quei giorni, si sarebbero incontrate in quella stessa abbazia.
Appena arrivati l'abate illustra loro il caso: Adelmo da Otranto era stato ritrovato morto in un precipizio oltre le mura dell'abbazia. Pregandoli di indagare sul delitto pone loro un solo limite, quello di non entrare mai in biblioteca, luogo a cui avevano accesso solo il bibliotecario Malachia e l'aiuto bibliotecario Berengario.
Il giorno seguente si apre con la scoperta di un nuovo cadavere, quello di Venanzio. Parlando con i frati dell'abbazia Guglielmo apprende che Berengario aveva rivelato un segreto della biblioteca ad Adelmo per comprare il suo amore e che successivamente Adelmo era stato visto insieme a Venanazio. Guglielmo deduce quindi che Adelmo si era tolto la vita per il rimorso del peccato carnale commesso, mentre la morte di Venanzio avreva a che fare con uno strano libro che la biblioteca celava. Così durante la notte si avventura nello scriptorium per frugare sotto il banco di Adelmo dove trova una preziosa pergamena (avente a che fare con il "secretum finis Africae" ), e dove incrocia una misteriosa persona che lo aveva preceduto sottraendo un libro nascosto sotto il banco di Venanzio.
Il terzo giorno di permanenza è caratterizzato dal ritrovamento del cadavere di Berengario nei balnea. Parlando con Severino l'erborista, Guglielmo scopre che la morte è stata provocata da un veleno che lo stesso erborista ricordava essergli stato sottratto parecchi anni addietro.
Il giorno successivo giungono nell'abbazia le delegazioni dei minoriti e degli avignonesi, questi ultimi guidati da Bernardo Gui noto inquisitore dell'epoca. Nella notte Guglielmo e il suo allievo si recano nella biblioteca dove apprendono che ad ogni zona della biblioteca era stato assegnato un nome tra cui "Afrcae", di conseguenza la pergamena recuperata due giorni prima avrebbe dovuto dare la chiave per entrare in una stanza segreta situata in quella zona della biblioteca. Nel frattempo Bernardo aveva fatto rinchiudere Salvatore il cuciniere, scoperto alle prese con riti magici.
La mattina seguente infiamma il dibattito tra minoriti e avignonesi sulla povertà di Gesù e della chiesa stessa: in sostanza fallisce il raggiungimento di quell'accordo per cui Guglielmo era stato chiamato a fare da mediatore. Allo stesso tempo l'abbazia viene sconvolta da un nuovo delitto: Severino viene ritrovato assassinato nel suo laboratorio insieme al cellario Remigio che viene subito fatto processare da Bernardo. Remigio viene prima accusato di aver fatto parte della setta dei dolciniani (cosa realmente accaduta) mentre con la minaccia della tortura gli viene fatto confessare di essere stato l'autore di tutti gli omicidi perpetratisi nell'abbazia. Così Bernardo riparte per Avignone convinto di aver risolto il caso.
Ma il giorno seguente anche Malachia cade morto davanti a tutti, anch'egli stroncato dallo stesso veleno letale. Intanto Guglielmo scopre il segreto per entrare nel "finis Africae" e così la notte si avventura con Adso nella biblioteca. Giunto in una stanza dove era posto uno specchio, preme le lettere di una scritta indicate dalla pergamena di Venanzio facendo aprire lo specchio ed avendo così accesso alla stanza segreta. Lì oltre a trovarvi il monaco cieco Jorge da Burgos che aveva intuito essere la causa di tutti i delitti, scopre anche il misterioso libro cosparso di un veleno letale che si trasmetteva al tatto. Nel frattempo si perpetrava l'ultimo delitto: Jorge aveva rinchiuso l'abate in una stanza dove questo sarebbe morto per asfissia.
Guglielmo aveva ora chiara tutta la situazione: il secondo libro della poetica di Aristotele, poiché sosteneva la liceità del riso, veniva considerato da Jorge molto pericoloso per l'intera Chiesa. Così quello lo aveva cosparso di un veleno letale che non avrebbe dato scampo a chi lo avesse sfogliato. Il primo ad averlo fatto era stato Venanzio, dopodiché Berengario, Severino invece, venuto in possesso del libro a sua insaputa, era stato ucciso da Malachia che era morto a sua volta leggendolo.
Jorge, a quel punto smascherato, tenta di distruggere il libro; così appicca un incendio con una lampada ad olio e subito vi getta il libro maledetto. Le fiamme non smetteranno di bruciare per ben tre giorni e oltre alla biblioteca divoreranno l'intera abbazia.
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