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IL NEOREALISMO
Non si tratta di una scuola, non esiste una scuola neorealista. Si tratta, invece, di un gruppo di scrittori accomunati dall'impegno in campo sociale, quasi sempre imbevuti di cultura marxista, che attingono all'insegnamento di Gramsci.
I "Quaderni dal carcere" sono raccolte di appunti, attinenti la storia e la letteratura, che Gramsci scrisse nel carcere fascista, e che vennero pubblicati da Einaudi nel dopoguerra. Non sono opere concluse. Gramsci lamenta che la letteratura italiana sia sempre stata assai poco popolare, una letteratura d'èlite, a differenza di altre letterature che ebbero maggiore diffusione popolare. Ad esempio, egli rivaluta il romanzo d'appendice, molto diffuso in Francia fra l'Ottocento e il Novecento. Gramsci sostiene che i letterati italiani devono contribuire a diffondere l'amore per la letteratura tra il proletariato, che solo acculturandosi può diventare cosciente del proprio ruolo di ceto sfruttato, del proprio ruolo di classe, e potrà in un domani fare la rivoluzione.
E' in seguito a questi avvenimenti che molti scrittori marxisti del dopoguerra intendono svolgere un ruolo di scrittore-militante, con l'intento di parlare al lavoratore sfruttato per renderlo consapevole della sua forza. Lo scrittore militante ha come fine l'educazione del lettore e, per raggiungere il suo scopo, deve trattare temi realistici, archiviando per sempre la letteratura esistenziale dei primi decenni del Novecento (Ungaretti, Montale,.). I problemi concreti sono quelli della guerra che si sta concludendo, della lotta partigiana, della fame e degli scioperi del secondo dopoguerra. Con questa problematica concreta essi si riallacciano all'esperienza del Realismo ottocentesco, i cui punti di riferimento sono Zola e Verga.
Il Neorealismo abbraccia una breve stagione che va dagli anni '40 circa fino al '55, quando Pratolini col suo romanzo "Metello" scrive un'opera importante di questo filone, ma al tempo stesso ne segna la fine, in quanto abbandona l'attualità per scrivere un romanzo di impianto storico che ricorda le lotte operaie (muratori) nella Firenze del tardo Ottocento.
Una delle accuse mosse a Pratolini da una parte della critica marxista (ad esempio Muscetta), era che mancava a Pratolini una visione organica della realtà in tutta la complessa rete dei rapporti sociali: lo scrittore, cioè, si limita ai ceti popolari (che rappresenta con evidente simpatia), mentre manca una corretta rappresentazione dei ceti alti e manca anche l'autentica fisionomia storica del capitalismo (pag. 1065).
In effetti, uno dei limiti maggiori del Neorealismo che in Pratolini risalta in modo particolare (si pensi a "Cronache di poveri amanti") è dato proprio dalla rappresentazione manichea della realtà: i poveri sono i buoni, i ricchi sono i cattivi; cosa che semplifica troppo il contesto storico.
Inoltre, anche lo stile, riprendendo i moduli narrativi del romanzo realistico ottocentesco, appariva ormai superato, ingenuo (era il vecchio racconto eterodiegetico, terza persona) e infatti di qui a pochi anni nascono anche in Italia esperienze totalmente nuove come il gruppo letterario chiamato Gruppo '63, nato a Reggio Emilia, che giunge a rifiutare l'intera letteratura tradizionale.
Una notevole importanza a sostegno della esperienza letteraria neorealista (dopoguerra) ebbero alcune riviste, in particolare "Il politecnico" di Vittorini (riprende il nome di una rivista di Carlo Cattaneo), che, pur sostenendo la necessità di una letteratura attenta ai problemi concreti, non voleva, però, diventare portavoce delle idee del Partito Comunista di Togliatti. Vittorini, cioè, grande intellettuale di sinistra, era geloso dell'autonomia degli intellettuali, e non voleva farsi portavoce delle idee del partito, tanto che esplose una furibonda polemica fra i due, e Vittorini pubblicò un celebre articolo "Suonare il piffero per la rivoluzione?" sulla rivista "La Rinascita".
Da sottolineare l'importanza fondamentale che ebbe anche il cinema neorealista (pag. 1229) che, trattandosi di un'arte molto giovane, era più libero dagli impacci della tradizione.
Lo scrittore usa una lingua popolare, dialettale (come Zola e Verga), ma essendo comunque un letterato colto, faceva fatica ad esprimersi in quel modo. Il regista, invece, non avendo un solido passato di tradizioni alle spalle, fa meno fatica. I maggiori registi del cinema neorealista sono: De Sica (che lavora in coppia con lo sceneggiatore Zavattini) con "Ladri di biciclette", "Sciuscià", "Umberto D.", e Rossellini con "Roma città aperta" (primo film neorealista), del 1945, e "Paisà".
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